5. IL CHIAROSCURO Giovanni Maria Bagordo
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- Serafino Barbieri
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1 5. IL CHIAROSCURO Giovanni Maria Bagordo Con il termine chiaroscuro si è soliti indicare la rappresentazione grafica del rapporto esistente tra luci ed ombre, così da conferire tridimensionalità all oggetto rappresentato. La presenza delle ombre è un fenomeno naturale strettamente collegato alla presenza della luce: senza luce non sarebbe possibile la visione, ma non appena i raggi provenienti da una sorgente luminosa sono intercettati da un qualunque oggetto, si forma, dal lato opposto alla sorgente luminosa, una zona d ombra. La percezione di tale differenza di luminosità, deputata ai bastoncelli presenti nell occhio mentre ai coni è riservato il compito di percepire le differenze cromatiche integra la visione binoculare, garantendo una migliore percezione della tridimensionalità degli oggetti e della loro distanza rispetto all osservatore. In una rappresentazione a mano libera, caratterizzata soprattutto per la sua immediatezza e spontaneità, ma tesa comunque a fornire tutte le informazioni necessarie per la comprensione dell oggetto rappresentato, diviene quindi fondamentale un corretto uso del chiaroscuro così da definire un immagine quanto più simile alla realtà, sia nel caso in cui questa venga riprodotta dal vero, sia quando si tratti di una rappresentazione di un idea progettuale. 5.1 Luce, ombra, penombra Per prima cosa occorre dunque stabilire la posizione della sorgente luminosa e la direzione dei raggi di luce. Poiché infatti la luce si propaga irradiandosi in maniera rettilinea in tutte le direzioni, quello che si forma, alle spalle dell oggetto che intercetta tali raggi, è un cono d ombra che ha come direttrice la linea tridimensionale, spezzata e chiusa presente sulla superficie dell oggetto e che separa le parti illuminate da quelle in ombra (dette in ombra propria), denominata, appunto, separatrice d ombra. L intersezione del cono d ombra con un altra superficie quale ad esempio il piano d appoggio su cui si trova l oggetto o con altri corpi presenti in-
2 torno determina, invece, l ombra portata, cosicché tutti i corpi compresi all interno del cono d ombra risulteranno non illuminati. Per quanto geometricamente si possa considerare sempre una sorgente luminosa puntiforme, in grado pertanto di proiettare un ombra dal profilo netto, nella realtà ciò è pressoché impossibile. È esperienza comune che, affacciandosi ad una finestra illuminata dal sole, la propria ombra venga proiettata sul davanzale; variando la distanza rispetto al piano del davanzale, ad esempio alzando o abbassando una mano, la nitidezza dell ombra varia di conseguenza, in maniera inversamente proporzionale alla distanza dal piano, divenendo più sfocata quando si alza la mano e progressivamente più scura quando la si abbassa. Ciò è dovuto al fatto che qualunque sorgente luminosa ha sempre una propria estensione sia che si consideri il filamento all interno della lampadina sia che si utilizzi come sorgente di luce il sole e si trova sempre ad una determinata distanza dall oggetto illuminato, rispetto al quale assume un preciso rapporto dimensionale. Pertanto, a seconda della dimensione del corpo illuminante e della distanza dell oggetto sia dalla sorgente luminosa, sia dal piano su cui si proietta l ombra, questa presenta un contorno più o meno netto, detto fascia di penombra. Fig. 1 Schema illustrativo dalle condizioni di illuminazione di una sfera da parte di una torcia. Oltre che dal cono di luce di centro C, la sfera è colpita da tutti quelli che hanno per centro i punti compresi nel segmento di estremi A-B. I diversi coni di luce, sovrapponendosi, generano, oltre alle ombre propria e portata, differenti fasce di penombra. A destra è riportata l intensità dell ombra e delle fasce di penombra proiettate sulla parete.
3 Si consideri ad esempio il fascio luminoso prodotto da una torcia (ma la stessa cosa accade durante un eclissi di sole determinando i diversi casi di eclissi totale o parziale): se la sorgente di luce fosse realmente puntiforme basterebbe considerare i raggi luminosi irradiantisi dal suo centro che, colpendo l oggetto posto di fronte, proietterebbero un solo cono d ombra alle sue spalle. Ma in realtà la torcia presenta una superficie illuminante; occorre pertanto considerare per ciascun punto di tale superficie il fascio di raggi luminosi ed il relativo cono d ombra prodotto (fig.1). A seconda della posizione di ciascun punto rispetto all oggetto, la separatrice d ombra si presenterà leggermente differente come anche il contorno dell ombra portata, così che, alle spalle dell oggetto, vi saranno alcune zone sempre in ombra, altre sempre in luce e altre ancora illuminate soltanto da una parte dei raggi emessi, risultando quindi in penombra. Per tale motivo la rappresentazione del passaggio dalle parti illuminate a quelle in ombra deve essere il più possibile graduale. Ciò è possibile se si considera che quella a chiaroscuro è una rappresentazione di tipo acromatica alla cui base si trova il contrasto di opposti generato dal bianco e dal nero in cui è possibile utilizzare tutta la varietà, pressoché infinita, di toni di grigio esistente tra il bianco ed il nero assoluto, tenendo tuttavia presente che, per quanto il passaggio dal bianco al nero possa avvenire senza soluzione di continuità, il numero di gradazioni di grigio che si è in grado di distinguere dipende dall acutezza visiva e dalla soglia di percezione individuale (fig.2). Fig. 2 Esempio di scala acromatica con 12 tonalità di grigio comprese tra il bianco fondo della pagina ed il nero. 5.2 Sei invarianti per la luce e l ombra 1 Occorre inoltre fare un altra serie di considerazioni in funzione delle condizioni di illuminazione in cui si trova l oggetto da rappresentare; si vengono così a determinare sei invarianti interdipendenti e concatenate l una all altra. In primo luogo «le superfici illuminate hanno tonalità diverse in dipendenza dell angolo di incidenza della luce su di esse» (fig.3). È questa la principale invariante da considerare dal momento che permette di distinguere, in funzione della direzione della luce, le varie parti
4 Fig. 3 Invariante n 1: occorrono tonalità diverse per angoli diversi di incidenza della luce. di un oggetto, illuminate diversamente a seconda della loro giacitura nello spazio. Se si considera, ad esempio, un cubo e generalmente del cubo saranno visibili tre facce, a meno di particolari condizioni di osservazione invariabilmente ciascuna delle facce mostrerà un differente grado di illuminazione, dovuto al diverso angolo di incidenza della luce su ciascuna delle facce. L effetto è ancor più accentuato se almeno una delle facce si trova in ombra propria. Occorre pertanto rappresentare ciascuna delle facce del cubo di una differente tonalità di grigio, così da evidenziare la diversità dell angolo di incidenza dei raggi luminosi e individuare correttamente la direzione di provenienza della luce. Alla prima invariante è strettamente collegata la seconda (fig.4), che ricorda come «l ombra propria è massima nelle vicinanze della separatrice d ombra. Essa va attenuandosi sulla restante parte del corpo in ombra per effetto del riflesso della luce sulle superfici retrostanti illuminate». Fig. 4 Invariante n 2: l ombra propria è massima vicino alla separatrice d ombra.
5 Per quanto questa invariante sia applicabile a qualunque oggetto, essa risulta particolarmente importante per rendere la volumetria dei solidi privi di spigoli, quali coni, cilindri e sfere, sulla cui superficie la zona di massima ombra non coincide quindi con la linea del contorno apparente, ma con la stessa separatrice d ombra. Successivamente dovranno poi essere ricercate tutte quelle sfumature atte a riprodurre la distribuzione graduale della luce sull intera superficie, considerando anche la parziale illuminazione dell ombra propria dovuta alla riflessione della luce sulle superfici circostanti all oggetto. Fig. 5 Invariante n 3: le ombre portate sono più scure delle ombre proprie. Dalla seconda invariante deriva la terza (fig.5), che riguarda il differente trattamento da adottare nella rappresentazione di ombre proprie e portate: «le ombre portate hanno una tonalità più scura delle ombre proprie, perché vengono intercettate di meno dalla luce riflessa dalle superfici illuminate circostanti». Si considerano, in questo caso, ombre portate sul piano d appoggio che, essendo orizzontale, subisce meno gli effetti dovuti al riflesso della luce a causa di altre superfici limitrofe. Ma questa invariante vuole ricordare soprattutto che occorre considerare anche i reciproci riflessi di luce intercorrenti tra l oggetto e l ambiente in cui è inserito altri oggetti, superfici variamente disposte, ambiente esterno così da distinguere, anche nelle zone d ombra, differenti gradi di luminosità. La quarta invariante (fig.6), che si ricollega alla precedente, ricorda che le ombre non sono sagome omogenee: «le ombre portate hanno un intensità variabile in dipendenza dell angolo di incidenza della luce sugli oggetti. Più la luce è radente, più esse sono leggere». L allungarsi dell ombra determinerà pertanto la sua attenuazione e quindi la sua parte più scura sarà quella a contatto con l oggetto stesso che la produce. A questa si collega strettamente anche la quinta invariante (fig.7):
6 Fig. 6 Invariante n 4: più la luce è radente, più le ombre portate sono leggere. «il contorno delle ombre portate è più o meno netto a seconda che sia minore o maggiore la distanza tra esso e i punti del corpo che vi si proiettano», il che vuol dire che le ombre più scure sono prodotte dagli oggetti più bassi, ovvero più vicini al piano su cui proiettano ombra, come si era osservato trattando dell effetto della penombra. Infine la sesta invariante (fig.8) ribadisce il concetto della prospettiva aerea, affermando che «più gli oggetti sono lontani dall osservatore, più l effetto dell atmosfera li rende indefiniti, con contrasti attenuati tra parti illuminate e in ombra». Ovviamente nella rappresentazione di tali oggetti occorrerà applicare sempre tutte le sei varianti enunciate, considerando complessivamente un tono più scuro per quelli in primo piano rispetto a quelli posti su piani successivi e più distanti dall osservatore. Fig. 7 Invariante n 5: il contorno delle ombre portate è più o meno netto a seconda della distanza dall oggetto.
7 Fig. 8 Invariante n 6: la prospettiva aerea fa sì che gli oggetti più lontani appaiano complessivamente più chiari di quelli vicini. 5.3 Oltre l ombra: la materia ed il colore Poiché la presenza della luce origina necessariamente anche un altro fenomeno, che è la presenza dei colori, percepiti grazie alla diversa riflessione subita dalle onde elettromagnetiche di cui è costituito un raggio di luce bianca la luce solare da parte della superficie dei corpi, in una rappresentazione a chiaroscuro occorre fornire indicazioni anche su tali aspetti. Qualunque materiale, infatti, per la sua stessa natura determinata dalle proprie caratteristiche fisico-chimiche, assorbe in varia misura lo spettro visibile, riflettendo la banda di lunghezza d onda corrispondente al colore che percepiamo. 100% NERO ASSOLUTO 90% GRIGIO MOLTO SCURO 80% GRIGIO SCURO BLU DI PRUSSIA 70% GRIGIO SCURO PORPORA, BLU OLTREMARE, VIOLA 60% GRIGIO MEDIO SCURO BLU-VERDE, TURCHESE 50% GRIGIO MEDIO ROSSO, VERDE, AZZURRO 40% GRIGIO MEDIO CHIARO ARANCIO, OCRA 30% GRIGIO CHIARO GIALLO ORO 20% GRIGIO MOLTO CHIARO GIALLO LIMONE 10% GRIGIO CHIARISSIMO GIALLO CHIARO Fig. 9 Scala acromatica di grigi, espressi in funzione delle percentuali di nero contenute, e loro corrispondenza con i colori di pari luminosità. Se dunque la superficie del materiale è tale da riflettere tutto lo spettro, si avrà la percezione del bianco; se, invece, la superficie è in grado di riflettere
8 una sola parte dello spettro, assorbendone il resto, si avrà la percezione di uno specifico colore; se infine la superficie assorbe completamente tutto lo spettro, senza riflettere alcuna lunghezza d onda, si avrà la percezione del nero o di un grigio molto scuro. Un disegno in chiaroscuro deve quindi riuscire a comunicare la stessa quantità di informazioni di un immagine a colori garantendo la comprensione della realtà: un corretto uso del chiaroscuro deve infatti consentire di poter distinguere le diverse varietà dei materiali anche in relazione al loro comportamento sotto l effetto della luce. Fig. 10 Scala acromatica di grigi realizzata con la tecnica del tratteggio.
9 Fig. 11 Adriano Bentivegna, Piazza Navona, matita su carta. Occorre quindi un attento studio preliminare delle tonalità di grigio da adottare per fornire contemporaneamente informazioni su tre aspetti relativi a qualunque oggetto: sul tipo di materiale di cui è costituito, sul suo comportamento in relazione alle condizioni di illuminazione e, anche se
10 sembrerà paradossale, sul suo colore. Per quanto riguarda quest ultima caratteristica occorre considerare nuovamente la scala di grigi che, senza soluzione di continuità, si sviluppa tra il bianco ed il nero. Per confronto tra fotografie a colori ed in bianco e nero, sono stati individuati analoghi livelli di intensità luminosa tra le tinte ed i differenti toni di grigio ad esse corrispondenti, così da definire una scala acromatica che esprime, in percentuale di nero miscelato con il bianco, la luminosità propria di ciascun colore (fig.9). Si avrà quindi che ai toni più chiari del giallo corrisponderà un grigio che presenta solo un 10% di nero, mentre un grigio con il 50% di nero può essere utilizzato indifferentemente sia per il rosso che per il verde; una percentuale di nero pari all 80%, infine, corrisponderà ai toni più scuri come il blu di Prussia. Per quanto riguarda la varietà di materiali di cui sono costituiti i corpi, sarà l uso di textures differenti 2 a permettere di riprodurre, scegliendo opportunamente quella più indicata, i vari effetti dovuti alle caratteristiche superficiali, quali l opacità, la levigatezza, la lucentezza, ecc. Graduando il segno grafico di ciascuna texture (fig.10) sarà quindi possibile associare, a ciascun oggetto, anche il proprio colore, sulla base della scala di grigi precedentemente descritta, studiandone contemporaneamente il comportamento nelle condizioni di illuminazione attraverso l applicazione delle sei invarianti (fig.11). NOTE 1 Le definizioni delle sei invarianti sono tratte dalla dispensa curata dal prof. Pierluigi Cavicchioni per il Corso di Disegno dell Architettura I, prof. Cesare Cundari, Facoltà di Ingegneria Edile Architettura, Università di Roma Sapienza, A.A. 2002/ Cfr. il capitolo 3 di Maria Martone nel presente volume.
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