Il progetto Sporthabile

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1 Il progetto Sporthabile Finalmente dopo tanto combattere anche in Italia lo sport per disabili è arrivato ad un livello di considerazione analogo a quello delle altre nazioni importanti. E finalmente si è capito che la pratica sportiva oltre ad essere uno dei migliori veicoli di riabilitazione fisica e funzionale, è anche uno degli stimoli più forti alla vita di relazione. Fare sport, in molti casi, significa ritrovare il proprio protagonismo. E pensare che proprio a Roma nel 1960 in occasione delle Olimpiadi Estive, per la prima volta in coda ad esse, fu organizzato un evento internazionale, in cui atleti disabili fisici di 23 nazioni da tutto il mondo, si cimentarono in 8 discipline sportive e, con l'ausilio di rudimentali carrozzine da agonismo, dettero il via alle Paralimpiadi. Dopo quella esperienza, dalle fusioni di alcune Associazioni Sportive per Disabili, presenti ed attive sul territorio nazionale, nacque la F.I.S.Ha (Federazione Italiana Sport Handicappati). La Fisha con il suo primo storico presidente, il sig. Roberto Marson, che ai Giochi Paralimpici del 1968 era stato giudicato miglior atleta assoluto, cercò immediatamente un riconoscimento istituzionale e un coinvolgimento di tutti i portatori di handicap che volevano fare sport, indipendentemente dalla loro menomazione. Passarono alcuni anni e dopo tante, tantissime barriere mentali superate, nacque la F.I.S.D. (Federazione Italiana Sport Disabili) che per la prima volta, sotto la presidenza del prof. Antonio Vernole, raggruppò tutti i portatori di handicap, fisici (paraplegici, tetraplegici, poliomielitici e amputati), sensoriali (sordi e ciechi) e mentali (cerebrolesi, down, intellettivi). Finalmente ogni disabile poteva riconoscersi in un organismo nazionale in grado di che capire i loro problemi, affrontare le loro difficoltà, organizzare la loro attività sportiva. Organizzare tanti tipi di handicap, comprendenti decine di discipline sportive, ciascuna con attività regionale, nazionale ed internazionale, era un'impresa difficilissima per una sola federazione. Fortunatamente, grazie alla lungimiranza del nuovo presidente l'avv. Luca Pancalli, anch'egli come Marson vincitore di tantissime medaglie paralimpiche, e alla sensibilità dei nostri governanti, nel 2003 è nato il C.I.P. Comitato Italiano Paralimpico, che da questo anno è l'ente Pubblico deputato ad occuparsi dello sport per disabili. Il CIP quindi è il Coni dei diversamente abili.

2 Un'organizzazione esemplare, studiata a livello internazionale e che ha portato risultati strabilianti di gestione ed organizzazione, consentendo, attraverso gli organi territoriali periferici, di instaurare proficui rapporti di collaborazione con le strutture sanitarie e para-sanitarie (Unità Spinali, Centri Inail ecc.), con i vertici sportivi del Coni (dove a tutti i livelli un rappresentante Cip è sempre presente in Giunta e talvolta ne è anche il vice-presidente), con le strutture scolastiche (Università, Scuole medie inferiori e superiori, Scuole dello Sport ecc.). Nella nostra regione il CIP insieme con la Regione, il Coni, la FAND e la FISH ha prodotto questo Progetto denominato "Progetto SportHabile", che ha i seguenti obiettivi: 1. Informazione Il primo aspetto su cui questo progetto vuole intervenire è quello della circolazione delle notizie relative allo sport per disabili, ai suoi benefici per gli attori - i disabili che possono praticare una disciplina sportiva - e per gli spettatori, coloro che entrano in relazione con loro, ogni qual volta li osservano mentre praticano sport. Questo aspetto sarà particolarmente curato nell'ambito del Progetto SportHabile con un'azione progettuale specifica denominata "InformHabile" e che consentirà l'apertura di specifici sportelli informativi dove possano venire diffuse tutte le informazioni relative allo sport per portatori di handicap e ai vantaggi che esso può offrire. Infatti, sovente vi è pochissima conoscenza da parte degli stessi attori, sulle proprie residue possibilità e mai o quasi mai, questa conoscenza è propria e profonda da parte degli spettatori, specialmente se costoro non hanno rapporti con la disabilità. Il disabile, in particolar modo il traumatizzato, teme il proprio status e tende a chiudersi in un mondo ovattato, dove non esiste lo sport perché lo stesso concetto di competizione ve ne è bandito. Chi gli sta intorno, sia a livello familiare che istituzionale (scuola, terapisti della riabilitazione assistenti sociali ecc.), poche volte entra in relazione con la pratica sportiva e quando questo accade, il confronto è spesso con soggetti particolarmente dotati, in grado di fornire prestazioni ritenute impossibili dai disabili "normali".

3 Invece la pratica sportiva, specialmente quella che definiremo "competitiva non agonistica" è un vero toccasana per gli attori disabili, perché: a) la ricerca del superamento dei propri limiti di diversamente abile in una dimensione ludica, consente di ottenere risultati riabilitativi sorprendenti; b) la competizione dà quello stimolo in più, frutto della ricerca di emulazione di un proprio simile (anche di handicap) che, seppur non in presenza di agonismo esasperato, contribuisce a consolidare l'autostima e l'autoconvinzione nel superamento degli ostacoli; c) la pratica sportiva avviene in ambiente non protetto, che pur se curato affinché non vi siano barriere architettoniche, non può offrire le "sicurezze" tipiche di un ambiente protetto che, proprio per questo, inibisce la crescita e la normalizzazione della diversità; d) l'allenamento si svolge a stretto contatto con altri sportivi di ogni età, estrazione sociale, economica e culturale e costringe il disabile ad un serrato confronto con il mondo esterno, di quei normodotati che spesso rappresentano per il disabile la dimostrazione della sua diversità. A loro volta costoro si trovano a relazionare con il disabile in un ambiente differente dall'abituale e, spesso per la prima volta, percepiscono la disabilità in una dimensione ben diversa da quella sanitaria. Nei campi di atletica, nelle piscine, nelle palestre, per la prima volta il disabile non è un malato ma uno sportivo, un atleta con qualche difficoltà. Questa fondamentale differenza è il primo passo fondamentale, verso quel processo di integrazione che farà di un disabile che fa sport semplicemente uno sportivo, sia esso ciclista o tennista, sciatore o schermidore, pongista o calciatore. Ma come abbiamo detto, questi benefici non sono solo per gli attori dello sporthandicap, ma anche per gli spettatori, per tutti coloro che in qualche modo e a qualunque titolo, entrano in relazione con disabili che praticano una disciplina sportiva. Fra costoro, un ruolo determinante lo rivestono i genitori, che pur non vivendo sulla loro pelle la disabilità, sono costretti a confrontarcisi ogni ora di ogni giorno. I genitori, specialmente nell'ambito della disabilità intellettiva e relazionale, ma anche le mogli e i parenti e gli amici, nelle altre disabilità,

4 hanno bisogno di tutte le informazioni possibili per vincere una loro diffidenza che, soprattutto nei casi delle disabilità congenite, si è consolidata profondamente grazie alle moltissime delusioni che il sistema ha fornito loro. Il messaggio sul quale dobbiamo lavorare nei confronti degli spettatori dello sport handicap non è molto diverso da quello degli attori, perché: a) il rapporto con la disabilità è a volte di sofferenza interiore e di disagio, a volte di disponibilità e spirito di servizio per fornire al proprio familiare quello che si ritiene gli serva. Entrare nella dimensione ludico-motoria tipica dello sport, cambia anche il tipo di servizio che viene richiesto e che trova una nuova dimensione di normalità tipica di ogni genitore. Specialmente nella disabilità intellettiva, l'attività sportiva dona anche agli spettatori un ruolo di attori, protagonisti del modo di fare sport del proprio congiunto. b) l'informazione fornita nel modo giusto, con le nozioni giuste, contribuisce ad accrescere la fiducia nelle istituzioni e, tranquillizzando lo spettatore da ansie e perplessità, lo trasforma in un valido collaboratore del progetto. c) ci sono azioni informative da parte di federazioni sportive o enti di promozione che cercano di valorizzare la loro disciplina come fonte di benefici di vario tipo. Portare alla loro conoscenza tutte le peculiarità tipiche di ogni disabilità con un informazione guidata a 360, contribuirà a far nascere un interesse meno generico e frutto della generosità individuale, bensì più consapevole e motivato, trasformando questi altri spettatori della disabilità, in veri promotori dello sport-handicap. 2. Formazione Questo processo è rivolto esclusivamente a tutti coloro che in concreto si relazioneranno con i disabili. Il lavoro si svolge su quattro fronti : quello dei formatori dei docenti sportivi, quello dei docenti sportivi, quello dei docenti scolastici e quello delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali che decidono di confrontarsi a vario livello con il mondo della disabilità.

5 Il concetto semplice è che spesso tutti questi soggetti, quando ce l'hanno, hanno una preparazione modesta se riferita allo sport. Sovente sono estremamente preparati in altri campi ma sanno poco o niente delle possibilità e dei benefici che la pratica sportiva può offrire e, se li conoscono, ne hanno una visione incompleta e generalmente legata ad un'unica disciplina sportiva, spesso con adattamenti di cui non ne conoscono a fondo le ragioni o i motivi tecnici. Questo accade anche perché raramente si è riusciti a coinvolgere in maniera sistematica e diretta, i portatori di handicap alla stesura dei progetti di formazione soprattutto nel campo sportivo. La formazione non può prescindere da uno stretto rapporto di collaborazione del Cip con la Scuola dello Sport del Coni e attraverso questa collaborazione mettere a punto modelli formativi sempre più curati, approfonditi e sistematici. a) formatori dei docenti sportivi: la Scuola dello Sport dispone di formatori molto preparati che però non sempre hanno una preparazione altrettanto completa sullo sport per portatori di handicap. E' necessario cominciare un percorso formativo per migliorare le conoscenze di coloro i quali saranno poi, come docenti, i protagonisti della formazione sportiva. b) docenti sportivi: in molte province esiste una stretta collaborazione fra la Scuola dello Sport del Coni e le Federazioni e vengono organizzati molti corsi di formazione per operatori sportivi. Anche in questo caso, con la collaborazione della Scuola, è opportuno organizzare in ogni Coni Provinciale dei corsi di formazione che diano una prima informazione specifica sullo sport per disabili. c) docenti scolastici: in ogni scuola, a tutti i livelli, un momento di grande aggregazione è dato dall'ora di educazione fisica. In molti paesi viene posta grande attenzione a sfruttare questa fonte di aggregazione per l'integrazione e l'emancipazione dei portatori di handicap. In Italia a parte sporadiche realtà, frutto della sensibilità di qualche direttore didattico o di qualche insegnante, i disabili vengono esonerati proprio alla lezione di educazione fisica, secondo un processo che trova proprio nelle famiglie la più forte motivazione all'esonero dell'alunno.

6 La facoltà di Scienze Motorie, pur prevedendo una informazione sulle discipline adattate, spesso non è in grado di effettuare una vera e propria formazione in tal senso. Con l'aiuto della Regione, è possibile attivare una collaborazione fra il Cip Regionale la Scuola dello Sport del Coni e le Università tesa ad approfondire la formazione specifica e soprattutto a collegare questa con delle esemplificazioni teoriche e delle esibizioni tecniche. Il primo passo è la stesura di un testo che sia una vera e propria guida allo sport per portatori di handicap. Il secondo è l'organizzazione di brevi ma frequenti stage formativi, in sintonia con gli organi regionali preposti all'istruzione e con la collaborazione del Cip, rivolti alle varie sezioni provinciali degli ex Provveditorati agli Studi oggi Centri Servizi Amministrativi, e anche ai plessi scolastici più importanti e con presenza di disabili, portando delle "case history" che possano illuminare sui risultati possibili e ottenibili grazie alla pratica di una disciplina sportiva. Il terzo step è far tornare l'ora di educazione fisica come momento di aggregazione, cercando di sensibilizzare i vari plessi scolastici affinchè le classi dove c'è la presenza di disabili possano effettuare una programmazione volta ad aggregare più soggetti portatori di handicap oppure affinché venga affrontato un processo formativo che coinvolga i disabili in discipline "possibili". d) le associazione di volontariato e le cooperative sociali: queste organizzazioni che si muovono nel mondo della disabilità,hanno sovente poca relazione con lo sport e talvolta lo guardano addirittura con diffidenza. La formazione verso questi soggetti è un lavoro difficile e molto complesso perché tutte le forze devono essere messe in campo e coordinate con attenzione. Certamente molto del successo di queste azioni dipenderà dalla capacità di relazionare proprio con le associazioni e le cooperative che già lavorano in modo positivo e si dovrà riuscire a coinvolgerle condividendo le finalità e coordinando con loro il lavoro da fare. Occorre sempre ricordare che tutti quanti lavorano nel mondo della disabilità devono diventare nostri alleati a mai essere considerati come avversari.

7 Per ulteriori informazioni rivolgersi a: C.I.P. Comitato Italiano Paralimpico-Comitato Regionale Toscana presso La Casa delle Federazioni Via di Ripoli, 207/V FIRENZE Tel. 055/ Web site : mailto:toscana@comitatoparalimpico.it

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