FILMDOCNUMERO. OSCAR 2012: vincitori e vinti. Sasha Baron Cohen: il corpo comico. I film sul G8 genovese al festival di Berlino

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1 FILMDOCNUMERO 97 Anno XXI marzo aprile 2012 PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA TARIFFA REGIME LIBERO: POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB GENOVA DISTRIBUZIONE REGIONALE GRATUITA 03 OSCAR 2012: vincitori e vinti Sasha Baron Cohen: il corpo comico I film sul G8 genovese al festival di Berlino Verdone in Paradiso Il cinema nello Spezzino

2 FILMDOC PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA IN QUESTO NUMERO NUOVA SERIE ANNO XXI N 97 MARZO APRILE 2012 REDAZIONE c/o A.G.I.S. LIGURIA via S.Zita 1/ Genova tel fax agisge@tin.it DIRETTORE RESPONSABILE Renato Venturelli 04 COORDINAMENTO EDITORIALE Daniele Biello Vittorio Di Cerbo Gianfranco Ricci Riccardo Speciale Coordinamento redazionale Giancarlo Giraud Registrazione stampa N. 30/93 (1/10/1993) del Tribunale di Genova Progetto grafico, ricerca immagini e impaginazione B&G Comunicazione via Colombo 15/ Genova info@begcom.it Stampa Ditta Giuseppe Lang srl Via Romairone, Genova (Bolzaneto) 03> 04> 05> 06> 07> 08> Oscar 2012: vincitori e vinti Una storia semplice - A Simple Life Intervista a Jason Reitman Verdone in Paradiso Sacha Baron Cohen Stragi d Italia Questa pubblicazione, ideata nel quadro della collaborazione tra Regione Liguria - Settore Spettacolo e la Delegazione Regionale Ligure dell AGIS, contiene i programmi delle sale del Circuito Ligure Cinema d Essai e viene distribuita gratuitamente, oltre che in dette sale, anche nei circoli culturali e in altri luoghi d incontro e di spettacolo 09> 10> 11> Occhio ai film doc FilmDoc ragazzi Diaz a Berlino Intervista a Massimo Lauria 06 A.G.I.S. Liguria - Regione Liguria I cinema del Circuito Ligure Cinema d Essai aderiscono a: 12-13> 14-15> Le recensioni doc - Fight Club Il cinema nello Spezzino 08 16> Colonne sonore - Cinema e cucina F.I.C. F.E.D.I.C. C.G.S. A.N.C.C.I. 17> 18> 19> La posta Doc - Forza Italia Libri & Riviste Intervista a Lionello Cerri 11 La rivista è anche visibile on-line sul nuovo sito Ogni numero è anche scaricabile in formato pdf. 20> 21> 22> Un sogno lungo un giorno Starved for Attention Intervista a De Serio Daniele Gaglianone Popoli in movimento > Programmi sale d essai In copertina Carlo Verdone in Posti in piedi in Paradiso di Carlo Verdone (foto 2012 Filmauro Romolo Eucalitto) Leggi la rivista, guarda i programmi e commenta gli articoli sul nuovo sito on line

3 TRIONFA IL FRANCESE THE ARTIST, PREMI TECNICI ALLA PARIGI ANNI 20 DI HUGO CABRET Europa da Oscar C INQUE STATUETTE AL TRIONFATORE THE ARTIST, CINQUE AL RIVALE SCON- FITTO HUGO CABRET, UNA MORALE INEVITABILE: AGLI OSCAR 2012 HANNO VINTO L EUROPA, IL FASCINO D INIZIO 900, IL LUNGO PONTE STORICO TRA PARIGI E HOLLYWOOD CHE STA ALLE ORIGINI DEL CINEMA. MAI COME QUE- ST ANNO L ACADEMY HA GUARDATO AL PASSATO PER PREMIARE IL PRESENTE, DISINTERESSANDOSI FORSE DEL FUTURO. GLI ITALIANI GLI SCONFITTI Terrence Malick, il trionfatore di Cannes, è uscito completamente a mani vuote. Zero statuette al suo The Tree of Life, ma nessun premio nemmeno a L arte di vincere e War Horse di Spielberg. LA DIVA The Artist è il film francese che celebra la Hollywood del cinema muto, Hugo Cabret è il film americano che riscopre Méliès, le origini francesi della settima arte, l idea del cinema come spettacolo fantasioso e imprevedibile ma anche come dedizione assoluta di vita. E l Oscar alla sceneggiatura di Midnight in Paris premia la cultura newyorkese che rievoca il mito della Lost Generation americana tra rive gauche e Montmartre Accademia? Nostalgia? Estetismo? Le accuse si sono sprecate, perché The Artist è lo spettacolo ingegnoso e smaliziato, l esercizio di artigianato brillante che non piace ai cinefili duri e puri: l insofferenza era partita già dal festival di Cannes, ma ancora una volta Hollywood si è semplicemente schierata dalla parte del pubblico, dell estro spettacolare, della capacità di sorprendere lo spettatore. Nonostante tutto, The Artist resta essenzialmente un gioco, senza ricatti estetizzanti o pretese metalinguistiche: un gioco perfettamente riuscito, ma senz altra ambizione al di là dello sperimentare meccanismi comici all interno di un sistema di convenzioni forti su cui poter sorridere. E gli sconfitti? Anche quest anno il cinema di regia, l ambizione autoriale, la ricerca linguistica. Tutte cose che agli Oscar sono sempre contate poco, perché si tratta di un industria che celebra se stessa e le proprie capacità professionali. La trovata esteriore, l invenzione di facile impatto, l illusoria verniciatura culturale, il virtuosismo mimetico dell attore hanno sempre avuto più peso. John Ford non ha mai vinto con i suoi grandi western, Hitchcock non ha mai vinto con i suoi grandi thriller. Ma, almeno, stavolta ci sono stati risparmiati i contenuti pomposi, i Grandi Temi trattati in modo pompieristico. E tra i film stranieri è stato premiato l ottimo Una separazione: magari ha vinto solo perché si tratta di una produzione iraniana critica verso il regime, ma facciamo finta di niente e festeggiamo il riconoscimento di un gran bel film. O RMAI È UN ABITUDINE: con le splendide scenografie parigine di Hugo Cabret, gli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo hanno vinto il loro terzo Oscar, dopo quelli già ottenuti per The Aviator (2005) e Sweeney Todd (2008). Non ce l ha fatta invece il giovane genovese Enrico Cimarosa (La luna) nella categoria corti d animazione: ma la nomination, alla sua età, è già un grande successo. Il grande esercizio mimetico da star ha funzionato anche quest anno: dopo il Colin Firth balbuziente del 2011, questa volta ha vinto l imitazione di mrs.thatcher fornita da Meryl Streep in The Iron Lady. LA SORPRESA La sua torta speciale e i suoi occhi sgranati hanno avuto effetto: dopo quindici anni di carriera senza premi, Octavia Spencer, classe 1972, ha vinto tutto grazie al ruolo di Minny in The Help. IL GRANDE VECCHIO A 82 anni suonati, vince il suo primo Oscar Christopher Plummer, attore di vecchia scuola teatrale shakespeariana, sempre ignorato dall Academy. A portarlo alla vittoria, il film Beginners di Mike Mills. I VINCITORI Miglior film: The Artist Miglior Regia: Michel Hazanavicius (The Artist) Miglior Attore Protagonista: Jean Dujardin (The Artist) Miglior Attrice Protagonista: Meryl Streep (The Iron Lady) Miglior Attore Non Protagonista: Christopher Plummer (Beginners) Miglior Attrice Non Protagonista: Octavia Spencer (The Help) Miglior Film Straniero: Una separazione di Ashgar Farhadi Miglior Sceneggiatura Originale: Woody Allen (Midnight in Paris) Miglior Sceneggiatura Non Originale: Alexander Payne (Paradiso amaro) Miglior Film D'Animazione: Rango di Gore Verbinski Miglior Documentario: Undefeated di Daniel Lindsay, T.J. Martin e Rich Middlemas Miglior Fotografia: Robert Richardson (Hugo Cabret) Miglior Montaggio: Kirk Baxter e Angus Wall (Millennium Uomini che odiano le donne) Miglior Scenografia: Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (Hugo Cabret) Migliori costumi: Mark Bridges (The Artist) Miglior Colonna Sonora: Ludovic Bource (The Artist) Miglior Canzone Originale: Man or Muppet di Bret McKenzie (I Muppet) Migliori Effetti Speciali: Hugo Cabret - Robert Legato, Joss Williams, Ben Grossmann e Alex Henning Miglior Missaggio Sonoro: Tom Fleischman e John Midgley - Hugo Cabret Miglior Montaggio Sonoro: Philip Stocton e Eugene Gearty - Hugo Cabret Miglior Trucco Mark Coulier e J. Roy Helland - The Iron Lady Miglior Cortometraggio d'animazione: The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore di William Joyce e Brendon Oldenburg Miglior Documentario Corto: Saving Face di Daniel Jungle e Sharmeen Obaid-Chinoy Miglior Cortometraggio: The Shore di Terry e Oorlagh George MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 3

4 I FILM DOC A SIMPLE LIFE DI ANN HUI, SUL RAPPORTO TRA UN UOMO E L ANZIANA DOMESTICA Una storia semplice [ di Bruno Fornara ] C I SONO DUE P E R S O - NAGGI che vivono davvero: vivono, li sentiamo veri e vivi nel film. Lei è una vecchia signora, avanti con gli anni e con gli acciacchi, si chiama Ah Tao, ha fatto la amah, la donna di servizio, per sessant'anni nella stessa famiglia, ha conosciuto nonni, genitori, figli, nipoti, una generazione dopo l'altra, fino alla quinta. Lui è Roger, l'ultimo della famiglia che è rimasto dove i suoi avevano sempre vissuto, a Hong Kong. Adesso che tutti si sono trasferiti negli Stati Uniti, Roger è il solo a essere rimasto ed è il solo che conosce Ah Tao. Non la conosce soltanto: le vuole bene, come a una madre, a una nonna, come a una persona che ha passato la vita standogli vicino senza mai chiedergli nulla e dandogli tutto il proprio affetto e la propria devozione. È su questo rapporto tra una anziana e umile donna e un giovane che vive una vita attiva che si fonda il film. Roger ha un'attività nel cinema, fa il produttore e ha successo. Sa quanto deve essere riconoscente ad Ah Tao. Così, quando la donna viene ricoverata in ospedale, colpita da una paralisi, e deve essere seguita nella rieducazione, Roger si dedica a lei. La aiuta, la va a trovare, le cerca un posto in una casa di riposo, le fa sentire una vicinanza preziosa e sincera. La porta anche alla prima di un suo film, cosa inconsueta per Ah che si meraviglia che qualcuno possa uscire, poco educatamente, durante la proiezione. La regista Ann Hui è tutta presa da questo rapporto tra i due personaggi, li ammira, li descrive e li segue come se non fossero dentro un film. Usa uno stile chiaro, preciso, senza enfasi: sa bene come non sia necessario fare qualcosa in più di quello che serve. Il rispetto e l'ammirazione per Roger e per Ah Tao si vedono bene proprio se lui e lei sono seguiti nella più tranquilla serenità, si notano ancor più se i due vengono mostrati come se fossero guardati da una macchina da presa invisibile e potessero così sembrare non attori ma persone, due persone che si vogliono bene. Ann Hui usa uno stile semplice come è semplice la storia che racconta: la semplicità è il suo modo di dire, di rispettare un sentimento, un momento, un gesto. Anche perché A Simple Life è la storia di una fine che si avvicina. Lo sanno sia Roger che Ah Tao. Sanno che è lì che si arriverà e che quel che conta non è quel momento ultimo: contano tutti i momenti, uno per uno, che devono ancora essere vissuti e percorsi da qui dove sono fino a quando si giungerà alla fine. La perfezione del film sta esattamente in questo: nel riuscire a dimostrare come la consapevolezza della fine non fa perdere neppure un istante dell'adesso. Saggezza confuciana: se si è vivi bisogna vivere bene. Si festeggia con la famiglia tornata apposta dall'america. Si danno dei soldi a un ospite della casa di riposo, ben sapendo che non si tratta di un prestito ma di una donazione a fondo perduto. E quell'uomo, che userà il denaro per andare da una donnina, resterà anche lui legato a Ah Tao e arriverà con un mazzo di fiori per lei che non c'è più. Con Ah Tao se ne vanno tanti ricordi, svanisce un passato, si perdono le tracce di un tempo dimenticato: resta la sua impronta, il suo modo d'essere, la gentilezza, la riservatezza. Roger lo sa: ha imparato tante cose da lei. Una è che non è la morte ad avere senso. La morte non ha senso: lo acquista per come si è vissuto. Per questo la fine di Ah Tao non ha nulla di drammatico. È il mettere un punto a un percorso giusto e meritevole. Ann Hui ha alle spalle una lunga carriera con tanti film nei quali ha affrontato temi decisivi per un intero e immenso continente, il Vietnam dopo La perfezione del film sta esattamente in questo: nel riuscire a dimostrare come la consapevolezza della fine non fa perdere neppure un istante dell'adesso " la liberazione in Boat People, poi la vita a Hong Kong colonia inglese, porto franco e ora territorio cinese. Una figura come quella di Ah Tao riassume nella sua lunga e dignitosa esistenza tutti questi sobbalzi della storia che sembrano non aver lasciato tracce evidenti. L'approdo finale è l'essere riusciti a conservarsi liberi e giusti attraverso tante traversie. Ann Hui guarda ad Ah Tao e a Roger con scrupolo e discrezione. Tra l'anziana signora, il giovane uomo, la regista che li segue e noi che guardiamo si crea una vivace circolazione di simpatia e vicinanza. Cosa che non succede spesso al cinema. Mentre si vede A Simple Life, che in fondo è una semplice storia di riconoscenza, questo circuito empatico lo sentiamo attivo e felice. Tutto è così tranquillamente vivo. E non ci si accorge quasi che Roger è un grande e famoso attore come Andy Lau e Ah Tao una famosa (in Oriente!) attrice come Deanie Ip, premiata per la migliore interpretazione alla Mostra di Venezia. Si sono entrambi spogliati di ogni traccia di divismo. Insieme a loro, per chi conosce il cinema orientale, appaiono in parti di contorno il fantasioso regista Tsui Hark, l'acrobatico attore e regista Sammo Hung e un altro attore come Anthony Wong. Se non sapessimo che sono loro non li noteremmo proprio. Se un film deve raccontare una vita semplice e piena non ha di sicuro bisogno di mettere i suoi interpreti su un piedistallo. Attori e registi hongkonghesi stanno lì per onorare una anziana signora che è un po' la nonna di tutti. È una figura che riassume un modo d'essere orientale. Nel film tutti stanno, con modestia, al loro posto, dalla prima che è Ah Tao, al secondo che è Roger, fino all'ultimo dei vecchietti dell'ospizio. A Simple Life insegna che ognuno ha un posto nell'esistenza. Senza smancerie né patetismi. Eppure ti viene alla fine un groppo in gola. Per le tante tranquille emozioni. 4 FILM DOC MARZO - APRILE 2012

5 American horror story INTERVISTE DOC Intervista a Jason Reitman, regista di Young Adult. Con una Charlize Theron cattivissima. [ di Roberto Pisoni ] FIGLIO D ARTE, GIOVANE E AMBIZIOSO, CON UN PUGNO DI FILM JASON REITMAN È DIVENTATO UNO DEI REGISTI INDIPENDENTI PIÙ STIMATI E CELEBRATI DELL UL- TIMO DECENNIO. MENO INCLINE AL COMICO DEL PADRE IVAN - STRIPES, GHO- STBUSTERS, EVOLUTION -, HA INDIVIDUATO LA SUA VOCE DA STORYTELLER NELLA COMMEDIA SOCIALE ACIDA E POLITICAMENTE SCORRETTA, COLLEZIONANDO UNA GAL- LERIA DI PERSONAGGI CONTEMPORANEI IRRISOLTI, SPIGOLOSI O DICHIARATAMENTE IM- MORALI. Dopo Nick Naylor, il lobbysta dell industria tabacco di Thank You for Smoking, 2005, l adolescente incinta e new romantic di Juno (2007) e Bingham, lo spregiudicato tagliatore di teste di Tra le nuvole (2008), in Young Adult al centro del quadro c è Mavis Gray, una ghost writer psicotica che torna per una celebrazione a Mercury, nel Minnesota, la piccola cittadina che un tempo l aveva eletta reginetta del liceo. L homecoming, invece di redimerla dai propri fallimenti sentimentali e lavorativi, la consegna a una serie di regressioni, meschinerie e perfidie perfino peggiori. Sostenuto dai dialoghi sagaci di Diablo Cody - già Oscar per la sceneggiatura di Juno - e da una mostruosa Charlize Theron, Reitman confeziona il ritratto vivido di un America profonda e grottesca, una specie di purgatorio di mezzi adulti, persi in un infinita teoria di megastore, in cui trionfano malessere, sogni avariati e conformismo. Film di personaggi ben scritto, ottimamente recitato, iperrealistico e dai chiari riverberi autobiografici i titoli di testa e la splendida soundtrack anni novanta hanno il calore della playlist personale Young Adult corre un solo rischio, quello di innamorarsi troppo della propria intelligenza e di osare una cattiveria più retorica che reale. Ancora una volta Young Adult ruota intorno ad un personaggio centrale controverso. Come mai nei suoi film predilige sempre dei tipi umani moralmente borderline? «Mi piacciono le persone complicate, le persone gentili sono noiose da raccontare. Mavie è peggio di un inondazione, vuole essere disperatamente amata e cerca di raggiungere l obiettivo nei modi più sbagliati e compiendo una serie di azioni piuttosto sgradevoli. Ma credo che sia per quello che mi piace. Ci sono molte persone che non apprezzano i miei film, perché pensano che i miei personaggi siano freddi e calcolati. Ma ognuno di loro è un opera personale, tutti hanno degli echi emotivamente autobiografici. Ho sempre apprezzato i registi che fanno film di questo tipo e, nei miei, cerco sempre di esplorare un tema interessante o un dilemma morale attraverso un personaggio significativo; e di esporre, almeno un po, me stesso nel film. Riconosco qualcosa di me in Ryan di Tra le nuvole, in Nick di Thank You For Smoking e ovviamente anche in Mavis. Anche se dietro la scrittura e la storia di Young Adult c è molto di Diablo, se non sentissi il personaggio vibrare nella mia testa o non avessi vissuto esperienze simili, per me sarebbe impossibile da metter in scena. Solo una teoria senza vita». Mi ha molto incuriosito una sua definizione del mestiere del regista: secondo le sue parole non si tratterebbe di un lavoro creativo ma di un lavoro reazionario. Ci può spiegare cosa intende e cosa ci sarebbe di reazionario in Young Adult? «Si trattava di una lezione universitaria. Volevo ridimensionare l alone sacrale della parola creazione e dare una definizione più pragmatica del lavoro del regista. Reagire alle cose, da qui il termine reazionario, è il momento numero uno del mio lavoro. Se in me scatta una reazione la prima volta che leggo una sceneggiatura, un articolo o ho un idea per un film, da quell istante il processo decolla. La prontezza con cui ho risposto alla proposta di Diablo per Young Adult, mi ha dato la misura di quanto fosse necessario per me dirigere il film. E poi ogni atto del lavoro preparatorio scatta da una reazione: a un dialogo, una performance, un provino, un mal di testa, un pezzo di scenografia o un costume. E la domanda che mi pongo ogni volta, conscia o inconscia che sia, non è mai: Sono ispirato o no rispetto a quello che vedo?, ma: Mi sembra autentico?. Dalla prima reazione si crea una linea di tensione che diventa la sostanza del pitch del film. Un regista, come prima dote, deve sviluppare un occhio e un orecchio personali per chiedersi: Questa performance è in tono o no? E questa location? E se non lo è, perché? C è troppa luce? O la palette dei colori non è corretta?. Questo modo di procedere mi sostiene per tutto il processo fino alle decisioni finali, quando devo correggere il colore o impostare il mix. E così è stato anche in Young Adult». Un altra delle caratteristiche del suo cinema è la grande cura con cui riesce a incastrare gli attori, anche celebri, nei personaggi; la Mavis interpretata della Theron è un personaggio memorabile. «Sì, una gran figlia di puttana, come l ha definita Charlize. La caratteristica maggiore di Charlize come attrice è il coraggio, ha avuto un coraggio pazzesco nel fare Monster, ma è stata impavida in molti altri dei suoi ruoli. Nella maggior parte dei personaggi interpretati da un bravo attore ti accorgi che c è sempre qualcosa nel mezzo, tra lui e la sua performance. Lo capisci dall accento, dal trucco o da altri dettagli: questo è un personaggio, l attore si è servito di un elemento del mestiere, anche straordinario, per tenerlo alla giusta distanza. Charlize invece è l unica attrice che non mette mai filtri tra sé e il suo personaggio e sapevo che avrebbe fatto altrettanto con Mavis». Young Adult ha un finale spiazzante - il personaggio non si redime - ma è una caratteristica comune a tutti i suoi film quella di riaprire la storia e sospendere il giudizio. «Mi piacciono i film che mettono a disagio lo spettatore, i film horror per esempio mettono in difficoltà chi li guarda, almeno quelli più riusciti, e credo che Young Adult sia in qualche modo un film horror. I miei film sono commedie drammatiche e possono causare disagio perché danno una descrizione molto realistica dei personaggi. Mi piace l effetto specchio di un film, quando mette in scena delle persone in cui è possibile non solo identificarsi ma scoprire i riflessi meno encomiabili di se stessi. Alcuni film mettono in scena la parte migliore dell umanità, altri la parte peggiore, i miei film prediligono quella peggiore, che io reputo sia una porzione viva e reale della complessità dell essere umano. Sono contento quando lo spettatore lascia il cinema incerto su quello che ha visto ed è spiazzato dalla mancanza di un happy-end. O forse anche di un semplice finale. Negli anni settanta era normale fare dei film aperti, sospesi, e non so perché ci siamo fermati. Per fortuna, fino a qui, ho trovato persone che non hanno mai avuto nulla da ridire sul mio modo di chiudere un film». MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 5

6 PERSONAGGI DOC GLI ITALIANI SECONDO VERDONE: SEMPRE CIALTRONI, MA PIÙ ANSIOSI E INSICURI. Filmauro Romolo Eucalitto I nuovi mostri [ di Natalino Bruzzone ] U O M I N I SULL ORLO di una crisi di nervi. Comunque senza casa e senza più famiglia. Tre esemplari dell epoca della crisi. Il nuovo film di Carlo Verdone, Posti in piedi in Paradiso, continua a pedinare gli italiani, a guardarli in faccia e ad esprimere una sua eterodossa diagnosi. Lo scricchiolio dei sentimenti e della vita quotidiana va oltre i tic, le manie, le fobie e le cialtronerie. E strutturale. Un trittico allo sbando: Ulisse (Verdone) è stato un discografico di successo, ora non solo vende oggetti da memorabilia su Ebay, ma abita anche nel retro del suo negozio di prodotti in vinile; Domenico (Marco Giallini) non solo poggia le ossa sulla barca di un amico ma per mantenere due famiglie si trasforma in gigolo per ricche ma vecchie; Fulvio (Pierfrancesco Favino) per campare al giornale si è dovuto convertire dalla critica cinematografica al gossip e pure lui deve adattarsi ad un rifugio offerto da un convitto religioso. Cacciati dalle consorti per qualche peccato di troppo e con il conto in banca azzerato dagli alimenti sono destinati a condividere lo stesso appartamento, mentre sulla scena si affaccia una strana cardiologa (Micaela Ramazzotti) con problemi al cuore, ma nel senso degli affetti. Forse saranno i figli a dare una nuova prospettiva al malessere che assedia gli sgangherati genitori. Senza una diretta visione (al momento in cui scrivo) non si può tracciare un diagramma esatto dello stato delle cose e di salute del tocco alla Verdone. Ma il tema e i suoi annunciati sviluppi sembrano garantire una coerenza con il Verdone I personaggi verdoniani sono il riflesso di un osservazione ostinata, carpita, magari, ogni mattina da un angolo di farmacia in cui il regista si reca per misurare e tenere a bada pressione e paure" lontano dalla multimimesi interpretativa. Non più un Fregoli di straordinario impatto satirico, ma un umorista che della commedia ha un concetto da pratiche alte, fondato su una tradizione e su una pratica ormai cancellate da pseudo autori che hanno come modello narrativo esclusivamente i toni e i modi della fiction televisiva. Verdone ha ancora e sempre voglia di guardare il prossimo per scoprire e capire dove sta andando quell italiano che, per esempio, Risi e Monicelli avevano scorticato, pelle dopo pelle, dimostrando che una cipolla resta una cipolla anche se crede di aver imparato il miracolo dell arte di arrangiarsi. I personaggi verdoniani sono il riflesso di un osservazione ostinata, carpita, magari, ogni mattina da un angolo di farmacia in cui il regista si reca per misurare e tenere a bada pressione e paure. Il filo della nevrosi è teso e, paradossalmente, anche pieno di curve e sfilacciamenti: resta impervio fissare la fotografia di creature che assomigliano ad alieni rispetto a quelle mutazioni degli anni Cinquanta e Sessanta non così spiazzanti da fare impazzire un antropologo. Ma il cinema di Verdone non è mai così presuntuoso da sfogliare la margherita del sociologismo e dello psicologismo tagliati con l accetta. Come lo struzzo di un celebre finale di Bunuel tiene la testa fuori dalla sabbia, scruta e poi inventa la sua analisi spicciola che, da sempre, ha anche la famiglia come crogiolo di inquietudini e complessi dove il nido di vi- pere morde le chiappe di ogni ingenuo eversore. E ci sono i figli come verifica di quanto è stato e di quanto potrebbe essere oltre le dabbenaggini, le viltà e gli errori dei padri. Che lo sguardo di Carlo Verdone sia, poi, secondo una frettolosa sentenza, buonista, è un errata classificazione che confonde il rifiuto del cinismo con la mancanza di cattiveria: è la malinconia soffusa e irrimediabile che fa da filtro ad una crudeltà soffice ma che, in alcuni capitoli (come in Gallo Cedrone), si lascia implodere, mettendo in un angolo la compassione (sorridente) e qualsiasi assoluzione. La verità è che gli eroi stralunati di Verdone, rispetto alla galleria di mostri allestita dalla commedia italiana dell età dell oro, hanno conservato il gene della cialtroneria e della megalomania, ma devono fare i conti con le proprie insicurezze, con l ansia di apparire senza essere, con il timore di restare soli e in compagnia di se stessi. Ecco, Posti in piedi in Paradiso sembra proprio ragionare ancora sul terrore di essere soli con i propri fallimenti e con l impossibilità di una normalità di rapporti che faccia da scudo al caos esterno. Tre uomini in crisi e durante la crisi che si agitano per non smarrire completamente l orientamento già precario di una navigazione a vista, in balia di un destino che li prende a calci nel sedere. Cronaca ironica di una sconfitta che sconvolge un panorama trapunto di rovine, di sogni infranti e di illusioni allestite con la cartapesta dei difetti generazionali. Ma per Carlo Verdone non sarà un marzo da consumarsi solo sullo schermo. C è la libreria come replica alle immagini. Un romanzo autobiografico arriverà sui banconi negli stessi giorni del film. Titolo: La casa sopra i portici (Bompiani). Una casa grande a Roma nei pressi di Ponte Sisto, la casa dell infanzia, la casa della famiglia, la casa di papà Mario, la cui morte ha riconsegnato al Vaticano la proprietà dello stabile con portici di LungoTevere dei Vallati. In questo spazio non claustrofobico, Verdone muove alla ricerca del tempo perduto. Alla sua maniera, raccontando tra sorrisi e commozione la storia di una casa, di un papà e di una mamma adorata, Rossana Schiavina, alla quale l appartamento era passato per diritto di famiglia. In nome del padre e della madre. Un po per un pizzico di melanconia, un po per tanto affetto. 6 FILM DOC MARZO - APRILE 2012

7 PERSONAGGI DOC ASPETTANDO THE DICTATOR, L ULTIMO FILM DEL TERRORISTA DEI MEDIA Sacha Baron Cohen Lo specchio della vita [ di Giona A. Nazzaro ] N ON È UN CHE FA CERTO MOLTI SFORZI per farsi amare, Sacha Baron Cohen. Autentico terrorista dei media, è riuscito a creare, attraverso gli alter ego Ali G, Borat e Brüno, un mostruoso falò delle vanità che ha fatto piazza pulita della nostra stupidità televisiva (e politica, umana, culturale ) rivendendocela come il migliore dei mondi possibili. Cosa notevole, da un punto di vista strettamente imprenditoriale: farci comprare una cosa che abbiamo già ma andiamo per ordine. Attore di origini ebraiche, nipote di un sopravvissuto allo sterminio nazista, cugino dello scienziato Simon Baron-Cohen, specializzato nelle ricerche sull autismo, si è fatto notare attraverso la creazione di un personaggio, Ali G, che azzerava la distanza fra personaggio e attore. Un vero e proprio alter-ego in grado di fungere da catalizzatore del rimosso dell intervistato o, se si preferisce, in grado di spingerlo a rivelarsi al di fuori del galateo televisivo. Il senso dell assurdo di Baron Cohen nasce da un folle desiderio di conformismo elevato all ennesima potenza. Come se il clown Augusto della tradizionale cultura circense tentasse in tutti i modi di attingere alla rispettabilità sociale del clown Bianco, sua perenne nemesi e modello irraggiungibile. Le creazioni comiche di Baron Cohen non sono degli outsider, tutt altro. Sono semmai il minimo comun denominatore di un mondo azzerato su un modello linguistico e di comunicazione che non ha più altro orizzonte se non quello della propria autoreferenzialità mediatica. Ciò che dunque mette in scena Baron Cohen è sostanzialmente un mondo cieco incapace di vedere l altro che, nonostante tutto, si ritiene legittimato a scandalizzarsi o a stigmatizzare le oltraggiose creazioni dell attore che, come il più rigoroso degli scienziati sociali, si limita a tenere ben saldo lo specchio (e, lo sappiamo grazie a Carmelo Bene, che gli specchi sono osceni perché moltiplicano l essere umano ). Se dunque la prima sortita cinematografica del nostro con il film dedicato alle imprese del rapper bianco Ali G non si distaccava molto, qualitativamente, dalle pellicole che faticano a tenere al cinema il passo della televisione, con il successivo Borat Studio culturale sull America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, Baron Cohen spinge la sua scommessa formale in territori non esplorati dal cinema commerciale statunitense e non solo. Borat, infatti, non si vergogna di essere antisemita, sessista, fascista e quant altro. È semplicemente convinto che tutto il mondo sia fatto a sua immagine e somiglianza e si comporta di conseguenza. Lui, Borat, è più normale dei normali. E se pensate che la corsa antisemita stile palio di Siena con i fantocci dai nasi adunchi sia un invenzione gratuita, beh, date uno sguardo all agghiacciante documentario The Passion according to the polish comunity of Pruchnik di Andreas Horwath e Monika Muskala e se ne riparla. Lo sforzo compiuto Il senso dell assurdo di Baron Cohen nasce da un folle desiderio di conformismo elevato all ennesima potenza da Borat è di essere ammesso in un mondo al quale lui sente di appartenere per diritto. Chiede di essere ammesso in un mondo di simili. In questo senso il processo è inverso a quello della comicità tradizionale nel quale l elemento scatenante del caos è introdotto da un corpo, un personaggio essenzialmente incapace di adattarsi al mondo degli altri. Un mondo che non comprende e che rifiuta in ultima analisi. Se dunque c è una comicità sovversiva, dichiaratamente tale, da Buster Keaton passando per Stan Laurel per giungere sino a John Belushi, Baron Cohen inverte il processo: il suo Borat non è la parodia della cattiva coscienza degli altri, è semplicemente la loro normalità. Ed è dunque su questo crinale che l attore dimostra tutto il suo potenziale politico. La caratterizzazione mostruosa non crea distanza: è l immagine riflessa di una deformità antropologica che si pensa normale. In questo senso il discorso di Baron Cohen si radicalizza con il successivo Brüno che permette all attore una serie di oltraggiose caratterizzazioni che non fanno prigionieri distruggendo ogni brandello di p o l i t i c a - mente corretto. Brüno e stre m i z z a Borat in una sorta di auto da fé che assume i contorni sinistri di una condanna senza appello. Mentre soffochiamo dalle risate, strozzandoci per i sensi di colpa Chi l ha detto che ridere è liberatorio? Che l attore abbia in realtà anche altre numerose frecce al suo arco espressivo è dimostrato ovviamente anche dalle sue caratterizzazioni in film come il recente Hugo Cabret di Martin Scorsese o lo Sweeney Todd di Tim Burton (anche se la nostra preferenza va inevitabilmente al pilota di nascar gay interpretato nella commedia Talladega Nights). Senza contare che è stato arruolato da Quentin Tarantino per il suo annunciatissimo Django Unchained e che è procinto di interpretare Mercury, il biopic dedicato al cantante dei Queen. Certo, nel paese del doppiaggio a oltranza, la forza della comicità di Baron Cohen si arena sempre sulle secche dei tentativi vani di rendere il florilegio d invenzioni dell originale in un improbabile italiano che non esiste se non nella testa di chi è ancora convinto che il pubblico della penisola sia rigorosamente monolingua. Eppure ciò non dovrebbe affatto sminuire la curiosità per l attesa di The Dictator, film che sarebbe tratto addirittura da un romanzo scritto da Saddam Hussein in persona (ovvio che in questo caso il dubbio è più che lecito, ma non si può fare a meno, perversamente, di sperare che invece sia tutto vero ). Dalle immagini che ci è dato vedere al momento, sembra che Baron Cohen abbia delle idee molto precise in merito alla faccenda della democrazia nel mondo. Se mai ci fosse stato bisogno di avere conferma della sua vocazione politica. E come non rabbrividere alla battuta: Oh l America! Il paese che ha inventato l Aids!. MARZO - APRILE 2012

8 GUIDE DOC IN USCITA ROMANZO DI UNA STRAGE, DI MARCO TULLIO GIORDANA SU PIAZZA FONTANA Stragi d Italia Da Salvatore Giuliano al caso Moro, da Pasolini a Ustica, una guida ai film che hanno indagato sui tanti misteri della Repubblica. È LA MADRE DI TUTTE LE STRAGI, la tragedia che inaugura la strategia della tensione, l evento su cui a suon di depistaggi non è mai stato possibile fare giustizia. Esce a marzo Romanzo di una strage, il film di Marco Tullio Giordana che tenta di ricostruire quanto avvenne in quel maledetto 12 dicembre 1969 alla Banca dell Agricoltura di Milano, quando un esplosione provocò diciassette morti e diede il via alla stagione del terrorismo italiano. Con tutti i suoi segreti e i suoi misteri, con le infiltrazioni, i servizi segreti, la presenza americana, la teoria degli opposti estremismi «L ultima sentenza della Cassazione ha riconosciuto Freda e Ventura colpevoli dice Giordana ma non più giudicabili. E per un atroce beffa ha costretto le famiglie delle vittime a pagare le spese processuali». Vittime a cui bisogna sempre aggiungerne almeno un altra: l anarchico Pinelli, finito giù da una finestra della questura di Milano pochi giorni dopo, durante un interrogatorio della polizia. Con Romanzo di una strage, Giordana ripropone il suo cinema civile che cerca di entrare nel cuore della vita e della storia italiana, come aveva fatto in La meglio gioventù. Ma si ricollega anche a una tradizione sempre più frequentata dal nostro cinema: quella dei cosiddetti film politico-indiziari, che tra documenti e ricostruzioni cercano di far luce sui troppi misteri della Repubblica. Dal caffè avvelenato di Pisciotta a quello di Sindona, dalla morte di Mattei a quella di Pasolini, dal caso Moro alle stragi di mafia anni 90, da Ustica a Calvi, la P2 e lo Ior, ecco una guida ai film italiani che in quest ultimo mezzo secolo hanno cercato di raccontare quanto era successo. Film di denuncia e di indignazione civile, ma anche oscillanti tra il puro spettacolo cospirazionista e la sottile riflessione linguistica attorno al concetto di verità cinematografica. SALVATORE GIULIANO (1962) di Francesco Rosi * La storia del bandito Giuliano, dalla strage di Portella della Ginestra (1947) fino all uccisione del suo luogotenente Pisciotta: tra mafia, servizi americani, politici democristiani Il capostipite di stragi e misteri della Repubblica con tutti i protagonisti già ben delineati, in un film-prototipo di grande potenza e limpidezza, tra finzione e documentario. TRE IPOTESI SU GIUSEPPE PINELLI (1970) di Elio Petri, con Gian Maria Volonté * Ricostruzione scenica delle grottesche versioni ufficiali sulla morte dell anarchico Pinelli (1969). Cortometraggio realizzato nell ambito di un progetto collettivo su Pinelli: ma solo Petri e Nelo Risi portarono a termine il proprio episodio. IL CASO MATTEI (1971) di Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté * Francesco Rosi s inventa una struttura audace di film-inchiesta per raccontare la storia di Enrico Mattei, il presidente dell Eni che stabilì rapporti diretti coi produttori di petrolio, scontrandosi con gli interessi delle sette sorelle. Fino al misterioso incidente aereo che nel 1962 mise fine alla sua vita. Film energico e di grande impatto, con uno strepitoso Volonté. Palma d oro a Cannes. IL CASO PISCIOTTA (1973) di Eriprando Visconti, con Tony Musante * Gaspare Pisciotta, in carcere per l uccisione di Salvatore Giuliano, muore nel 1954 dopo aver bevuto una tazzina di caffè avvelenato. Il giorno dopo avrebbe dovuto deporre al processo... IL CASO MORO (1986) di Giuseppe Ferrara, con Gian Maria Volonté * La storia del sequestro Moro (1978), con ricostruzione degli eventi ed aperta denuncia dei vertici DC per la rigida intransigenza. Incalzante come un pamphlet, accolto tra polemiche anche per l interpretazione che Volonté aveva dato di un politico simil-moro in Todo Modo (1976). PASOLINI, UN DELITTO ITA- LIANO (1995) di Marco Tullio Giordana *L uccisione di Pasolini (1975), le indagini contraddittorie, i dubbi di amici e familiari, fino al processo concluso con la condanna del solo Pelosi. Troppi misteri, troppe stranezze: il film semina dubbi pesanti e spinge la magistratura a riaprire il caso. IL MURO DI GOMMA (1991) di Marco Risi, con Corso Salani * Il disastro aereo di Ustica (1980) raccontato attraverso l indagine di un giornalista, che viene inviato per un articolo di routine, scopre scenari internazionali e con le sue denunce infastidisce le alte sfere dell aviazione. Scontrandosi però con un autentico muro di gomma. Teso ed asciutto. GIOVANNI FALCONE (1993) di Giuseppe Ferrara, con Michele Placido * La storia di Giovanni Falcone, del pool antimafia di Palermo e del suo smantellamento: fino all uccisione di Falcone e Borsellino (1992). Instant-movie grezzo e serrato, tra didattica e action, nello stile di Ferrara. I BANCHIERI DI DIO (2002) di Giuseppe Ferrara, con Omero Antonutti * Quali intrighi criminali si nascondono dietro la morte del banchiere Roberto Calvi nella Londra del 1982? Al centro c è la storia del Banco Ambrosiano, il rapporto con lo Ior di Marcinkus e del Vaticano, l Opus Dei, la loggia P2, Licio Gelli, Sindona: gran lavoro di documentazione, e imbarazzanti sosia di personaggi pubblici. UN EROE BORGHESE (2003) di Michele Placido, con Fabrizio Bentivoglio * Dal libro di Corrado Stajano, la storia dell avvocato Giorgio Ambrosoli, incaricato di liquidare la Banca Privata Italiana di Michele Sindona: scoprirà porcherie che coinvolgono mafia, politici e Vaticano, finendo assassinato nel SEGRETI DI STATO (2003) di Paolo Benvenuti, con Antonio Catania * Cosa accadde in realtà a Portella della Ginestra il 1 maggio 1947, quando mafiosi e banditi spararono sui manifestanti, poco dopo la vittoria della sinistra alle elezioni siciliane? Partendo dagli studi di Danilo Dolci e dal processo Pisciotta, il film cita vertici militari, Scelba, Andreotti, i servizi americani, il Vaticano. Ricostruzione documentatissima condotta con stile didattico e straniato, in un sottile lavoro linguistico. PIAZZA DELLE CINQUE LUNE (2003) di Renzo Martinelli, con Donald Sutherland * Dopo il film sulla tragedia del Vajont (2001), Martinelli affronta il caso Moro inserendo nel taglio narrativo-spettacolare alla JFK una quantità torrenziale di informazioni e di interrogativi: dai servizi segreti italiani e americani alla P2, da Gladio a Cossiga, alla morte di Pecorelli e del colonnello Varisco. BUONGIORNO, NOTTE (2003) di Marco Bellocchio, con Roberto Herlitzka * Film sostanzialmente estraneo alla tradizione politico-indiziaria : pur ispirandosi al libro della brigatista Anna Laura Braghetti, Bellocchio rievoca la prigionia e l uccisione di Moro evitando ogni approccio investigativo, per riflettere invece sui destini dell Italia da un interno simil-familiare. ROMANZO CRIMINALE (2005) di Michele Placido, con Kim Rossi Stuart * Subito dopo Fatti della banda della Magliana (2005) di Daniele Costantini, Placido affronta lo stesso argomento col piglio e la libertà narrativa del grande romanzo epocale: e le imprese dei banditi romani s intrecciano all agonia della Prima Repubblica, tra mafia, terrorismo nero, servizi segreti, stragi e attentati. Dal libro di Giancarlo De Cataldo. 8 FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

9 Camus secondo Amelio 17 RAGAZZE OCCHIO AI FILM DOC A LLA FINE DEGLI ANNI 50, uno scrittore parigino torna nell Algeria dove era nato e cresciuto, e che adesso si ritrova sconvolta dalla guerra di liberazione, tra attentati dei patrioti e brutale repressione francese. Nonostante la violenza del clima storico e politico, l uomo è però destinato a compiere un percorso che è innanzitutto interiore, alla ricerca di se stesso, della propria infanzia, del padre morto nella prima guerra mondiale a un età molto inferiore a quella che lui ha adesso: e ad affiorare è un infanzia trascorsa nel mondo dei coloni più poveri, al fianco di una nonna dispotica e di una madre più dolce ed assente L ultimo film di Gianni Amelio si ispira a Le premier homme, il 360 L ultimo film del regista di City of God è ispirato a un classico della letteratura e del cinema: La Ronde di Arthur Schnitzler. Al centro del racconto corale, i rapporti di coppia tra le persone in un mondo globalizzato, esplorati a 360 gradi da Vienna a Parigi, da Londra a IL PRIMO UOMO (FRANCIA-ITALIA, 2011) DI GIANNI AMELIO, CON JAC- QUES GAMBIN, MAYA SANSA, DENIS POLYADÈS, CATHE- RINE SOLA Un film ispirato a Le Premier Homme, il romanzo incompiuto del grande scrittore francese. libro parzialmente autobiografico che Albert Camus stava scrivendo al momento della morte, al punto che le carte furono trovate all interno dell auto in cui nel 1960 morì insieme al suo editore Michel Gallimard: nelle intenzioni dello scrittore, doveva essere un romanzo che apriva una nuova stagione della sua opera, ma al momento dell incidente stradale non era ancora stato completato, e venne poi pubblicato a cura della figlia solo a metà degli anni 90. Oltre al protagonista Jacques Gambin, spicca la presenza di Maya Sansa nel ruolo della madre da giovane: e al festival di Toronto, dove è stato presentato, il film ha vinto il premio della Fipresci, vale a dire della stampa internazionale. Denver. Scritto da Peter Morgan, lo sceneggiatore di The Queen e Hereafter. (GB-USA, 2011) DI FERNANDO MEIRELLES, CON ANTHONY HOPKINS, JUDE LAW, RACHEL WEISZ In una cittadina bretone, diciassette ragazze di un liceo prendono insieme una decisione inattesa e incomprensibile agli occhi dei compagni e degli adulti: decidono di rimanere incinte nello stesso momento. Senza commenti e senza spiegazioni. Film sui misteri dell adolescenza scritto e diretto dalle sorelle Delphine POLLO ALLE PRUGNE e Muriel Coulin, al loro esordio nel lungometraggio: ottime accoglienze alla settimana della critica dell ultimo festival di Cannes. (FRANCIA, 2011) DI DELPHINE E MURIEL COULIN, CON LOUISE GRINBERG, JULIETTE DARCHE (FRANCIA, 2011) DI MARJANE SATRAPI E VINCENT PARONNAUD, CON MATHIEU AMALRIC, MARIA DE MEDEIROS Secondo film per Marjane Satrapi, 32 anni, disegnatrice, scrittrice e regista diventata famosa qualche anno fa raccontando la sua autobiografia di ragazza iraniana in Persepolis. Stavolta rievoca la storia di un celebre musicista che rinuncia a vivere dal momento in cui la moglie ha rotto il suo violino, togliendo così ogni significato alla sua esistenza. Dal graphic novel (2004) della stessa autrice, metafora del silenzio cui sono state costrette le voci libere del suo paese. FILM DOC RAGAZZI [ di Maria Francesca Genovese ] Pirati! Briganti da strapazzo S e Johnny Depp aveva contribuito a demolire i cliche sulla figura del terribile predone dei mari nella saga Pirati dei Caraibi, a dare la spallata finale ci pensa l ultima animazione della casa di produzione Aardman. Pirati! Briganti da strapazzo racconta di un gruppo di pazzerelli agli ordini di un Capitano vanesio e maldestro (nella versione originale a prestargli la voce è Hugh Grant, al suo debutto nel doppiaggio di un film d animazione). Deciso a soffiare il titolo di Pirata dell Anno ai suoi acerrimi nemici Black Bellamy e Cutlass Liz, il Capitano si caccia in una lunga serie di guai, che lo porteranno a scontrarsi con la regina Vittoria e a far squadra con un giovane Charles Darwin. Tratto dai primi due libri della serie Pirati! firmata dall inglese Gideon Defoe (The Pirates! In an Adventure with Scientists, edito anche in Italia, e The Pirates! In an Adventure with Whaling), il film racchiude i tratti che hanno reso la Aardman unica nel panorama dell animazione internazionale. Fondata a Bristol nel 1972, la società di produzione è nota per la sua tecnica di animazione a passo uno (stop motion) di pupazzi di plastilina (claymation). Ma anche per lo humor pungente delle sue storie, ironiche e un po dissacranti. Così è stato sin dal lungometraggio d esordio, Galline in fuga (2000), seguito da Wallace & Gromit: la maledizione del coniglio mannaro, che è valso alla Aardman il premio Oscar per il miglior film d animazione nel Giù per il tubo (2006), animato in digitale, ha segnato la fine della collaborazione con l americana DreamWorks e l inizio di una lunga pausa di riflessione. La Aardman ne è uscita alla fine del 2011 proponendo ben due film, questa volta in partnership con la Sony Pictures: il divertente Il figlio di Babbo Natale, in computer grafica 3D, e, appunto, Pirati! Briganti da strapazzo, la prima realizzazione Aardman in stop motion 3D. In realtà, come era già successo per Wallace & Gromit, più volte è stato fatto ricorso alla computer grafica. Secondo Peter Lord, cofondatore degli Studios nonché regista di Pirati! (aveva già co-diretto Galline in fuga), la nuova tecnologia ha facilitato molto la lavorazione: abbiamo fatto un uso massiccio del green screen, abbiamo arricchito i set e inserito il mare. Per un filmmaker è davvero liberatorio sapere che non c è richiesta che il suo team non possa soddisfare attraverso la computer grafica. Oltre a proporre tematiche come l amicizia e la lealtà, il film offre buoni spunti storico-scientifici per illustrare ai giovani spettatori l età vittoriana e l operato di Charles Darwin.

10 FESTIVAL DOC PREMIO DEL PUBBLICO AL FILM DI DANIELE VICARI SUL G8 GENOVESE Diaz a Berlino [ di Francesca Felletti] I L TRIONFO dell Italia alla 62esima Berlinale arriva insperato a risollevare gli umori, di un cinema ormai troppo spesso concentrato, a livello produttivo, su commedie banali che puntano sul successo commerciale. L Orso d oro per Cesare deve morire consegnato ai fratelli Taviani che contano, in due, 164 anni di vita simbiotica perlopiù dedicata al cinema, una Palma d oro nel 1977 per Padre padrone, molti altri successi come La notte di San Lorenzo e qualche caduta come il recente La masseria delle allodole presentato proprio a Berlino nel 2007 arriva dopo 21 anni dall ultimo successo italiano (l Orso a La casa del sorriso di Marco Ferreri), mentre da 11 anni il made in Italy non vince una Palma a Cannes e da 14 un Leone a Venezia. Cesare deve morire è un film poetico, coraggioso, difficile. Una docufiction ambientata nella sezione di massima sicurezza del carcere di Rebibbia a Roma che racconta la messa in scena del Giulio Cesare shakespeariano da parte dei detenuti (fra cui molti condannati all ergastolo), in un gioco di teatro nel teatro dove amore e odio, lealtà e tradimento, potere e assoggettamento rappresentano i meccanismi che dominano non solo gli antichi romani, non solo i carcerati ma l umanità intera. L Italia ha fatto parlare di sé a Berlino anche fuori del concorso ufficiale: Diaz di Daniele Vicari ha conquistato il secondo premio, assegnato dal pubblico, della sezione Panorama. Anche qui si Orso d oro ai Taviani C ESARE DEVE MORIRE di Paolo ed Emilio Taviani ha vinto l Orso d oro e il premio della giuria ecumenica, battendo il favorito tedesco: Barbara di Christian Petzold, storia di una dottoressa nella vecchia DDR, cui è andato l Orso d argento per la miglior regia. Il Gran Premio della potrebbe parlare di docufiction, o meglio di una fiction documentaristica che ripercorre alcuni dei drammatici eventi del G8 di Genova nel 2001, in parte rifacendosi alla documentazione video di quei giorni, in parte affidandosi alle testimonianze dei partecipanti. Spiega il regista: «È stato un evento enorme che ha coinvolto i capi di Stato di tutto il mondo, ha visto l arrivo di centinaia di migliaia di manifestanti anch essi da tutto il mondo, ha visto la presenza di una quantità mai impiegata prima in Italia di forze dell ordine. Migliaia di video attivisti, operatori televisivi, video operatori delle forze dell ordine, fotografi e registi cinematografici hanno ripreso ogni cosa. Nell archivio del Genova Legal Forum sono conservate migliaia di ore di riprese video e fotografie. Tutto è stato documentato. Tutto, tranne ciò che è accaduto dentro la scuola Diaz e dentro la caserma di Bolzaneto». Diaz è un po come un film di guerra: ha avuto bisogno di un grande lavoro di stuntmen, effetti speciali, numerose auto di scena e mezzi tecnici abbondanti E Vicari parte proprio da questo vuoto narrativo per ricostruire attraverso gli atti del processo e la voce di quelli che hanno partecipato ciò che verosimilmente è potuto accadere all interno della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto: la violenza e la vendetta delle forze dell ordine su dei supposti black block, vittime sacrificali dei disordini dei giorni precedenti. Anche supponendo che i presenti fossero stati giuria è invece andato all ungherese Just the Wind di Bence Fliegauf, film sull odio anti-rom che ha vinto anche il premio di Amnesty International. Nella sezione Panorama, il pubblico ha premiato Parada del serbo Srdjan Dragojevic (sui diritti gay), Diaz Don t Clean Up That Blood di Daniele Vicari e Xingu di Cao Hamburger. tutti incalliti black block, in base a quali norme o principi democratici si è potuta prendere una simile iniziativa? Per perseguire reati contro le cose, uno Stato ha il diritto di commettere così gravi reati contro le persone? A posteriori mi chiedo anche: non è per caso che Genova 2001 abbia dato inizio ad una crisi sociale e istituzionale profondissima che in un decennio di fantapolitica ha portato l Italia sull orlo del baratro? sono le agghiaccianti domande che il regista di Velocità massima (si) pone. Prima di arrivare a raccontare gli orrori della Diaz e di Bolzaneto: pestaggio, umiliazione e tortura da parte della polizia sugli ospiti del Genoa Social Forum, Vicari ripercorre alcuni tragici episodi dei giorni precedenti la morte di Carlo Giuliani, le cariche sui manifestanti, i vandalismi dei black block guardandoli attraverso il punto di vista di vari personaggi: un giornalista (Elio Germano), il comandante del VII nucleo di poliziotti (Claudio Santamaria), un anarchica tedesca (Jennifer Ulrich), un anziano militante Cgil (Renato Scarpa), a cui si affiancano tantissimi altri personaggi e diversi attori genovesi come Ignazio Oliva e Fabrizio Lo Presti. La narrazione procede avanti e indietro nel tempo, con una costruzione che ha il suo leitmotiv nella rottura di una semplice bottiglietta di vetro, un simbolo forse troppo artificioso (così come il rallenti dell inquadratura) che vuole rappresentare l innocenza dei manifestanti. Le riprese si sono svolte a Genova e a Bucarest. In Romania abbiamo ricostruito Via Battisti, 250 metri di scenografia racconta Vicari Dal nulla di un gigantesco piazzale di cemento alla periferia di Bucarest è venuto su un intero quartiere di Genova. Diaz è un po come un film di guerra: ha avuto bisogno di un grande lavoro di stuntmen, effetti speciali, numerose auto di scena e mezzi tecnici abbondanti. E conclude ringraziando il produttore Domenico Procacci che nonostante le difficoltà ha creduto nel progetto fino in fondo. 10 FILM DOC MARZO - APRILE 2012

11 INTERVISTA A MASSIMO LAURIA FESTIVAL DOC Summit di sangue [ di Renato Venturelli ] L A PIÙ GRAVE SOSPENSIONE DEI DIRITTI DEMOCRATICI IN UN PAESE OCCIDENTALE DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE. È LA FRASE DI AMNESTY INTERNATIONAL SU CUI SI APRE THE SUMMIT, IL DOCUMENTARIO DI FRANCO FRACASSI E MASSIMO LAURIA PRE- SENTATO AL PANORAMA DOKUMENTE DEL FESTIVAL DI BERLINO. UN FILM SUL G8 GENOVESE DEL 2001 REALIZZATO PER CAPIRE NON SOLO CHE COSA È SUCCESSO NELLE STRADE DI GE- NOVA IN QUEI GIORNI, MA SOPRATTUTTO CHE COSA C ERA DIETRO QUEGLI AVVENIMENTI. «Sono stati fatti tanti documentari, anche molto belli e importanti, su quello che è successo a Genova nel 2001 dice Lauria, che è nato in Calabria ma è cresciuto ad Arenzano, dove ha vissuto per vent anni. E però la prima volta che si fa un film per capire cosa c era dietro. Non è credibile che singoli poliziotti o singoli reparti si fossero presi la briga di fare una repressione così dura, come non si era mai vista. E siccome il G8 non è un discorso solo italiano, abbiamo cominciato a ragionare su motivazioni di livello internazionale. Già allora, del resto, si sapeva che c erano settecento agenti dell Fbi in quei giorni a Genova. Il significato di quello che era successo doveva andare al di là di una repressione tutta italiana: a Genova c era un collegamento di intelligence a livello internazionale». Quindi avete fatto un film-inchiesta anziché un film-testimonianza. «Abbiamo intervistato un centinaio di persone, studiato filmati, documenti, atti dei processi. Siamo andati a parlare con esperti di tattiche militari informali, con l ex-generale della Nato Fabio Mini, con le vittime della Diaz e della caserma di Bolzaneto, con poliziotti e carabinieri». E cosa avete concluso? «Che c era una volontà internazionale di reprimere in maniera esemplare quel movimento che si stava sviluppando a livello mondiale. Un movimento che non riguardava solo forze di sinistra, ma riuniva cattolici, associazioni religiose, liberali, contadini del nord e del sud del mondo A Genova è stata attuata una repressione di massa in modo da evitare il confronto che veniva chiesto. Molti di questi metodi erano già stati sperimentati a Seattle, Praga, Napoli, a Goteborg c era già quasi stato il morto: solo per un miracolo la vittima riuscì a sopravvivere. E a Genova vennero segnalate in modo preciso le persone violente che stavano arrivando: ma nessuno andò a fermarle. Non si capisce perché furono fatte agire nonostante si sapesse. Ci sono ordini della questura che sono stati completamente ignorati: invece di andare a prendere i black bloc che sfasciavano tutto, si andarono ad attaccare le tute bianche Venne costruita una situazione senza possibilità di fuga, tra via Tolemaide e piazza Alimonda: tutto lascia intendere che lo scopo non era quello di disperdere la folla, ma di creare una vera e propria imboscata fino a far esplodere la tensione. Dal film si desume che la repressione del G8 genovese è stata una gigantesca operazione internazionale. Si voleva dimostrare al mondo che la piazza era pericolosa, che era meglio tenersene a distanza». Avete fatto un collegamento tra la repressione del 2001 e la crisi di oggi: la macelleria messicana come premessa alla macelleria sociale? «La crisi economica che stiamo vivendo è frutto di quel G8, durante il quale sono state prese decisioni che hanno cambiato il volto di questo pianeta. A Genova è stato deciso che i mercati finanziari del mondo avrebbero potuto agire in pratica senza nessuna regola, facendo piombare il mondo in una recessione finanziaria, ma soprattutto sociale, di cui oggi viviamo gli effetti più drammatici». Come è stato accolto il film a Berlino? Che cosa ha interessato maggiormente gli stranieri? «E stato accolto molto bene, pensa che al mercoledì mattina erano già tutti esauriti i biglietti per la proiezione del venerdì sera. Alla prima hanno chiesto di essere presenti il giornalista inglese Marc Cavell, massacrato alla T RA I PRODUTTORI DI THE SUMMIT, accanto alla Telemaco, c è la genovese Video Voyagers di Furio Bruzzone e Ugo Nuzzo, una delle società che hanno sede a Villa Bombrini presso gli spazi della Genova Liguria Film Commission. Nata nel 2000, Video Voyagers realizza documentari istituzionali, creativi, filmati televisivi: un suo settore specifico riguarda la collaborazione con compagnie crocieristiche italiane ed estere. Ho partecipato con entusiasmo alla realizzazione di The Summit, in quanto genovese e presente alle manifestazioni del 2001 che hanno lasciato una traccia indelebile nella mia coscienza Diaz, il parlamentare tedesco Hans Christian Stroebele, una rappresentante di Amnesty International. Il giorno dopo Stroebele ha presentato una mozione al Bundestag per obbligare la Merkel a fare pressione sul governo italiano, affinché Monti faccia riaprire una commissione parlamentare d inchiesta in Italia». E il pubblico? «Era interessato a capire meglio il movimento dei black bloc, le infiltrazioni, i gruppi militari, addestrati soprattutto negli Stati Uniti, che hanno compiuto atti serviti a giustificare l attacco ai manifestanti pacifici. Un altro oggetto d interesse erano le torture subite dai manifestanti: non dimentichiamo che le vittime erano in gran parte straniere. E poi il coordinamento internazionale: è la prima volta che un film sul G8 si concentra su questo aspetto. Finora era stato trattato come argomento nazionale. Non è così, il G8 è un evento mondiale e in questa prospettiva va visto». Si sa come e quando il film verrà distribuito? «Abbiamo ricevuto diverse offerte, sia di distributori italiani, sia stranieri, ma abbiamo detto a tutti di no. Volevamo aspettare la fine del festival, per avere una distribuzione vera, al cinema: e adesso stiamo decidendo». Il contributo genovese di Video Voyagers civile dice Furio Bruzzone, che in The Summit è direttore della fotografia. Io ho effettuato gran parte delle riprese del film, Ugo Nuzzo ha realizzato le riprese aeree ed un grande aiuto è arrivato da un altro genovese: Simone Torrisi, che ci ha seguiti con passione, collaborando alla parte tecnica (microfonista) durante il nostro lunghissimo viaggio per raccogliere le interviste dei protagonisti. Un viaggio intenso e carico di emozioni.

12 N ON OPERAZIONE NOSTAL- GIA, ma omaggio appassionato alle proprie radici culturali. Non bio-pic dedicato al pioniere del cinema fantastico, ma una favola per l infanzia capace di tradurre in metafora della modernità le numerose citazioni dei film che si sono amati. La dimensione astorica di Hugo Cabret è del resto certificata da quel Festival del cinema muto dove il giovane protagonista fa vivere alla sua bibliofila coetanea l avventura della scoperta del racconto per immagini, mentre Scorsese testimonia con l aggiunta di quel incongruo aggettivo ( muto ) l evidenza della prospettiva di un gioco della memoria che guarda quel tempo (l azione si svolge presumibilmente nel 1925) come qualcosa di inesorabilmente coniugato al passato. Ma Hugo Cabret non è The Artist e tanto meno le inquietudini artistiche di Martin Scorsese sono paragonabili all estetizzante operazione retrò messa in scena in elegante bianco e nero dal francese Michel Hazanavicius. Pur nell evidenza di un gusto citazionista che alla lunga può risultare un po stucchevole, quello di Scorsese è comunque un film d autore, capace di costruire un mondo meraviglioso e non solo di evocarne le radici storiche. Il cinema come arte meccanica (artigianato?) per eccellenza si rispecchia non solo nel trionfo d immagini dedicate all era della tecnica (gli ingranaggi degli orologi: sia quelli costruiti da papà Jude Law, sia quelli amorevolmente accuditi da Hugo per eredità di zio Claude; i treni che entrano in stazione nella storia del cinema come negli incubi e nella realtà del protagonista; i giocattoli a molla e le protesi più o meno difettose; soprattutto l antropomorfico robot che sta al centro del racconto e sul cui sguardo il film si conclude), ma trova compiuta espressione nel virtuosismo futuribile dei movimenti della cinepresa di Martin Scorsese, il quale HUGO CABRET Il cinema è una cosa meravigliosa LE RECENSIONI DOC si serve dei ritrovati più moderni della tecnologia cinematografica (montaggio digitale, piani sequenza impossibili, lo stesso 3D) per costruire un universo d immagini e di suoni nel quale possano rispecchiarsi sia l amore per i grandi romanzi d avventura (da Robin Hood a Jules Verne), mescolati con il realismo sociale delle più celebri opere di Charles Dickens, sia soprattutto la testimonianza del debito emotivo ai pionieri che hanno aperta la strada a quel meraviglioso giocattolo che è il cinema: da Georges Méliès a Harold Lloyd, ma anche dai Lumière a Charlie Chaplin. Un cinema, quello di cui parla Scorsese nell atto stesso di farlo, inesorabilmente trasformato dalla realtà storica esterna (la prima Guerra Mondiale), ma capace di ritornare in tutto il suo splendore nello sguardo contemporaneo degli uomini (e dei bambini) del terzo millennio, ai quali Scorsese dedica idealmente la sua prima favola cinematografica, concludendola significativamente sullo sguardo del robot che ha ripreso infine a funzionare. Il cinematografo, caratterizzante forma d arte della rivoluzione industriale, può far proprie le più meravigliose invenzioni tecniche, ma per essere davvero arte, sembra ammonire Scorsese inquadrando quello sguardo, non deve mai dimenticare che l arte è fatta dagli uomini e per gli uomini. E questo è valido non solo per l immaginario poetico dei pionieri, quale Georges Méliès, ma anche per i suoi moderni apologeti, perché per nostra gioia Martin Scorsese non dimentica mai, neppure in una favola per bambini quale Hugo Cabret, di essere l autore di film adulti, capaci di parlare il linguaggio universale del cinema, come Quei bravi ragazzi o Gangs of New York. HUGO CABRET (Hugo, Stati Uniti, 2011 ) Regia: Martin Scorsese Soggetto: dal romanzo illustrato di Brian Selznick Sceneggiatura: John Logan Fotografia: Robert Richardson - Musica: Howard Shore -Scenografia: Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo - Costumi: Sandy Powell e Fola Solanke Montaggio: Thelma Schoonmaker. Interpreti: Asa Butterfield (Hugo Cabret) Chloë Moretz (Isabelle) Ben Kingsley (George Mélies) - Sacha Baron Cohen (ispettore Gustav) Jude Law (padre di Hugo) Christopher Lee (monsieur Labisse) Helen McCrory (mamma Jeanne) Michael Stuhlbarg (René Tabard) Ray Winstone (zio Claude) Richard Griffiths (monsieur Frick). Distribuzione: 01 Distribution - Durata: due ore e 7 minuti J. EDGAR Storia del F.B.I. secondo Clint C ON J. E D G A R, Clint Eastwood racconta la storia degli Stati Uniti nel XX secolo, dal primo dopoguerra all inizio degli anni Settanta, privilegiando due punti di vista che tendono a c o n v e r g e r e : quello dei corpi che progressivamente imputridiscono sino a diventare un amorfa massa di carne abbandonata ai piedi di un letto; e quello di una ideologia che si dimostra sempre più incapace d interpretare la realtà entro la quale è nata e si trova ad operare. Il corpo è quello di Leonardo di Caprio ( ma anche, per assonanza, quelli di Armie Hammer e di Naomi Watts) che, dando una maschera all onnipotente J. Edgar Hoover, offre ancora una volta uno splendido esempio di recitazione a levare ; mentre l ideologia messa 12 FILM DOC MARZO - APRILE 2012 in scena apparentemente senza giudicarla è quella che ha caratterizzato la componente più conservatrice della storia statunitense nel corso del Novecento: pregiudiziale anticomunismo, insofferenza per l equiparazione dei diritti per bianchi e negri, incompatibilità con le manifestazioni dichiarate di idee progressiste o di evidenti tendenze sessuali, amore per l organizzazione del lavoro spinto ossessivamente sino al culto di meticolosi dossier finalizzati a ricattare tutti, presidenti compresi. Introdotto dall uso insistito della voce fuori campo, J. Edgar è un film costruito interamente sui comportamenti e fa proprio, almeno in apparenza, il punto di vista del suo protagonista. Di Hoover, infatti, racconta solo l attività storicamente accertata, anche se poi, alla resa del conti, Clint Eastwood finisce col coniugare sullo schermo una storia molto più complessa e contraddittoria: una storia di uomini e di donne votati con una tenacia spinta anche al di là dell evidenza a far coincidere la realtà con la loro idea del mondo; un viaggio esistenziale sempre identico a se stesso, dallo splendore fisico di una giovinezza mal vissuta alla sua putrefazione sotto il makeup pesantemente caricato della vecchiaia; un sottile percorso nei grovigli dell animo umano cadenzato al ritmo dei 24 fotogrammi al secondo. Ancora una volta come in Flags of Our Fathers o in Invictus Clint Eastwood scommette sulla possibilità di tradurre in puro cinema la storia di un recente passato e, evitando i difetti come smussando le punte più personali di quelle sue opere precedenti, consegna al grande schermo quello che è forse il suo film più scespiriano, nel quale l autore sparisce completamente nell autonomia dei propri personaggi e nella forza evocativa della storia raccontata. Tutto questo concorre a fare di J. Edgar un grande film che però poco concede alle aspettative dello spettatore, il quale non può far altro che o evitare di comprendere quello che accade davanti ai suoi occhi o uniformarsi all idea che solo nell autonomia linguistica dell opera vanno ricercati il suo senso e i suoi significati. Dal primo corno del dilemma nasce lo sconforto di chi, non trovando nel film neppure l esplicito appiglio offerto ancora, ad esempio, dal messaggio edificante contenuto nel finale di Gran Torino, ha frettolosamente etichettato J.Edgar come un prodotto senile e reazionario o come anche solo un capolavoro mancato; dal secondo, invece, prende vigore la convinzione dell assoluta coerenza espressiva di un regista che, consapevolmente in viaggio verso la rappresentazione della morte, come ci ha ben dimostrato con Hereafter, continua a guardare al presente e a indagare tramite il cinema la complessità dell animo umano, lasciandosi sempre più alle spalle la voglia preconcetta di essere capito, per sollecitare invece gli spettatori a mettersi in relazione con quello che è lì, chiaro ed evidente, sullo schermo. A condizione che si sappia guardare quello che si sta vedendo, perché solo in questo caso accade allora che un film di Clint Eastwood dimostri ancora una volta di saper riempire gli occhi e di scaldare il cuore di chi ama il cinema. J. EDGAR (J. Edgar, USA, 2011) Regia e musica: Clint Eastwood - Sceneggiatura: Dustin Lance Black - Fotografia: Tom Stern - Scenografia: James J. Murakami - Costumi: Deborah Hopper Montaggio: Joel Cox e Gary D. Roach. Interpreti: Leonardo Di Caprio (J. Edgar Hoover), Armie Hammer (Clyde Tolson), Naomi Watts (Helen Gandy), Josh Lucas (Charles Lindbergh), Ed Westwick (agente Smith), Lea Thompson (Lela Rogers), Dermot Mulroney (colonnello Schwarzkopf), Jeffrey Donovan (Robert Kennedy), Stephen Root (Arthur Koehler), Judy Dench (Anne Marie Hoover), Ken Howard (generale Harlan F. Stone), Christopher Shyer (Richard Nixon). Distribuzione: : Warner Bros.- Durata: due ore e 17 minuti.

13 [ di Aldo Viganò ] WAR HORSE Melodramma equino T RA LE MOLTE VIRTÙ del regista e produttore Steven Spielberg c è anche quella di saper tradurre la convenzionalità tematica in opere autoriali, la favola dal sapore infantile in metafora della vita e in riflessione personale sul linguaggio cinematografico. E War Horse non fa eccezione. Anzi, il suo ultimo film sembra quasi voler portare sino alle estreme conseguenze questa tendenza che attraversa gran parte dell opera spielberghiana, affrontando da vincente anche il rischio dello schematismo narrativo o della ripetizione di stilemi drammaturgici. Come già aveva fatto in L impero del sole, anche in War Horse Spielberg mette in scena una storia di formazione: la violenta separazione di un giovane dalle proprie radici famigliari; il sentimento dell amicizia come forza che fa affrontare e superare le difficoltà della vita; l assurdità della guerra come abbrutimento etico e come drammatico specchio storico della lotta per l esistenza; il premio della felicità che alla fine il destino dona a chi ha saputo attraversare con animo puro la tragedia di vivere. Solo che questa volta al centro del racconto non sta un ragazzino che la guerra con i giapponesi ha violentemente sottratto al nido dell infanzia, ma c è un mezzo purosangue inglese che, con quel suo sguardo sempre un po spaventato, viene sottratto all affetto materno, venduto all asta, costretto a tirare l aratro e poi ad abbandonare il ragazzo che l ha educato per cadere nell inferno della prima guerra mondiale, dove passa dalle cure di un ufficiale dell esercito di sua Maestà, a quelle di uno stalliere tedesco e poi a quelle di una fanciulla francese, per tornare quindi tra i tedeschi che lo utilizzano per trainare i cannoni; sino a che, dopo una folle corsa tra il filo spinato che separa le trincee nemiche, il protagonista che ha conosciuto sino in fondo l orrore dell esistenza ritrova il suo primo padroncino, con il quale torna a vivere felice e contento sullo sfondo di un tramonto tanto infuocato, che neanche si era visto in Via col vento. War Horse, come già L impero del sole, è un melodramma a lieto fine e, come Salvate il soldato Ryan, trae forza drammatica dalla giustapposizione di sequenze belliche di straordinaria forza spettacolare con altre in cui domina soprattutto il lirismo del paesaggio e la silenziosa presenza di una natura tragicamente violentata dagli uomini. Nel mettere in scena tutto questo, ancora una volta, Steven Spielberg rivela il suo straordinario talento visivo, capace di trascorrere con fluidità narrativa dalla citazione della splendida retorica paesaggistica dei film MGM degli anni Quaranta e Cinquanta all invenzione, tramite il montaggio digitale, dello spazio cinematografico, tutto fango e ritmo narrativo, che caratterizza le grandi scene di guerra. Se poi, dopo due ore e mezza che scorrono senza che il film perda mai l unità stilistica, qualcosa non convince completamente in War Horse, a ben vedere, questo non dipende tanto dalla storia raccontata o dalla enfasi che alla favola dà la ridondante partitura musicale di John Williams, quanto dal fatto che la scelta del cavallo come assoluto protagonista finisce col dare al film un certo sapore astratto da cartone animato, relegando gli esseri umani al ruolo di poco più che comprimari: con il risultato che gli attori (fatta eccezione di Niels Arestrup) stentano quasi sempre a trovare lo spazio e il tono per dare ai propri personaggi una dimensione drammatica che sappia essere altrettanto coinvolgente di quella che la cinepresa regala al suo interprete equino. WAR HORSE (U.S.A., 2011) Regia: Steven Spielberg - Soggetto: dal romanzo omonimo di Michael Morpurgo, adattato per la scena da Nick Stafford- Sceneggiatura: Richard Curtis e Lee Hall - Fotografia: PJanusz Kaminski - Scenografia: Rick Carter - Costumi: Joanna Johnston - Musica: John Williams - Montaggio: Michael Kahn. Interpreti: Ariane Ascaride (Marie- Claire), Jean-Pierre Darroussin (Michel), Gérard Meylan (Raoul), Maryline Canto (Denise), Grégoire Leprince-Ringuet (Christophe), Anais Demoustier (Flo), Adrien Jolivet (Gilles) Robinson Stévenin (il commissario). Distribuzione: : Sacher - Durata: un ora e 40 minuti FIGHT CLUB [ di Giona A. Nazzaro ] MILLENNIUM UOMINI CHE ODIANO LE DONNE di David Fincher Il primato dello stile N ON C È BISOGNO DI SCOMO- DARE Raymond Queneau per affermare che gli esercizi di stile sono nobilissime manifestazioni del pensiero. E non c è bisogno di scomodare Serge Daney (o chi per lui) per dichiarare che al cinema le storie (e le sceneggiature) contano ma sino a un certo punto. Questo per dire, semplicemente, che il nuovo film di David Fincher, non è la versione hollywoodiana giunta in ritardo della trilogia cinematografica svedese tratta dai libri elefantiaci di Stieg Larsson. Ci vuole davvero poco per notare come Fincher, in perfetto stile hollywoodiano (nel senso di quella classica, beninteso), se ne freghi altamente di plot e varia exotica svedese. Riducendo all essenziale, grazie all aiuto di Steve Zaillian, il primo tomo dedicato alle imprese di Lisbeth Salander, Fincher dimostra che ciò che conta al cinema è lo stile, perché è solo dallo stile che discende la potenza del racconto stesso. Ciò che entusiasma di più del suo film, però, e non è un paradosso, è l invisibilità del suo stile (anche questa una cosa classicamente hollywoodiana). Se si escludono i titoli di testa che sembrano rimandare a Tsukamoto Shinya, il suo film estremizza quel partito preso della trasparenza che a partire da Zodiac è diventata la cifra dominante del suo stile. Ed è grazie a questa trasparenza che Fincher riesce a inoculare nel corpo del suo film una strepitosa riflessione sulle forme del tempo che assume i contorni di una vera e propria lezione di sguardo e di cinema. C è una linea retta che collega le indagini al computer di Rick Deckard in Blade Runner alle foto animate di Fincher. Nel mondo di Millennium secondo Fincher ciò che conta è lo sguardo e il tempo. L uno e l altro esistono in una simbiosi inevitabile. Così, mentre la trilogia svedese, pigramente mette per immagini linearmente la traccia narrativa dei libri di Larsson, Fincher, operando verticalmente, offre una lettura mai vista di storie che ormai conoscono anche i sassi. E, come in ogni vero esercizio di stile, quando pensi che sia tutto chiaro, giunge la fitta al cuore che non ti aspetti, che conferisce carne e sangue a quei corpi che sullo schermo sembravano così trasparenti. Se proprio volete saperlo, è esattamente questo la differenza fra un cineasta e un mestierante che si limita a filmare sceneggiature illudendosi così di fare del cinema. MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 13

14 VIAGGIO NELLE SALE STORICHE DELLA LIGURIA - 2 Il cinema nello Spezzino [ di Ariodante Roberto Petacco ] I NIZIANDO DALLA ZONA DELLE CINQUE TERRE, il panorama delle sale cinematografiche dalle origini del cinema ad oggi porta soprattutto i segni di innumerevoli vuoti causati nel corso del tempo da una molteplicità di ragioni che sarebbe troppo lungo ricordare. Tengono ancora alta (quanto e soprattutto fino a quando?) la bandiera a Levanto il Nuovo Roma e lo Sport con inserimento di arene estive ed un apprezzato festival fortemente voluto dalla famiglia Morandini, episodicamente si accendono gli schermi sulle notti estive anche a Moneglia e Portovenere. Ma è avvicinandosi a La Spezia che ci si accorge di quanti cambiamenti sono avvenuti: l'avvento di una grande multisala come "Il Megacine" ha assestato il colpo di grazia ad un complesso di sale di grande rilevanza che da molti anni ormai si andavano rarefacendo. Dal piccolo locale situato nel quartiere della Chiappa scendendo si è visto chiudere il glorioso Monteverdi, enorme cinema teatro con furoreggiare di avanspettacoli. Chiuso ormai da oltre un decennio l'odeon del mitico gestore Beltramo (sembra peraltro che vi sia già più che un'intenzione da parte del Comune della città per una riapertura), stessa sorte per il Civico che, rimasto dopo una accurata opera di risanamento teatro di importanza non solo regionale, si è lasciato dietro solo la memoria di splendidi percorsi di cinema legati alle figure dell'indimenticabile Enzo Ungari che con Franco Ferrini, Enrico Oldoini ed altri appassionati ha segnato un'epoca. Passato definitivamente a luci rosse il Diana, hanno chiuso anche il Marconi e lo Smeraldo (dopo una velleitaria e breve trasformazione in multisala) mentre l'astra ha concluso il suo per- Da Moneglia alle Cinque Terre Due le sale storiche di Moneglia: l Arena San Lorenzo, attiva dal 1964 al 1977 e il Centrale ( ) di Emilio Frixione, un chiavarese che aveva fatto fortuna in Perù. Nella vicina Deiva, il Valdeiva. AnIl Centrale di Moneglia, oggi chiuso cora attive l Arena di Bonassola e l Arena Giardino di Monterosso, cui si è aggiunto il Burgo di Moneglia. 14 FILM DOC MARZO-APRILE 2012 corso diventando un superstore. Restano il Controluce Don Bosco che guidato da un gruppo di ex-oratoriani dopo un periodo di assoluto fulgore tra gli anni'80 e 2000 (decine di interventi di registi di assoluto prestigio con attori e sceneggiatori e rassegne mirate di grande consistenza) continua caparbiamente a resistere. Così come resiste il Cinema Nuovo diventato tale dopo decenni di esistenza come Unione Fraterna ed un lungo periodo di chiusura negli anni '80 per un completo restauro sotto la guida di due appassionati filmmaker come Tedoldi e Corvi (un po' troppo frettolosamente dimenticati) ed oggi affidato alle cure di Silvano Andreini per una programmazione di qualità. Ma tra gli anni sessanta e gli ottanta e qualche volta anche oltre anche la periferia spezzina presentava diverse interessanti realtà; a cominciare dal parrocchiale Candor di Mazzetta che ha finito i suoi giorni sotto la cura di un autentico personaggio che ha fatto senz'altro un po' di storia in questa zona. Si tratta di Carlo Roda vera memoria storica ed inesauribile fonte per collezionisti e non solo grazie ad una collezione sterminata di "pellicole" d'epoca. Lo stesso che aveva tentato per un breve periodo la riapertura di un vecchio locale cittadino profondendo i suoi sforzi per rianimare il Garibaldi del Canaletto costretto poi alla chiusura. Stessa sorte per il parrocchiale Palmaria di Canaletto stroncato dalla assoluta vicinanza del Megacine. Stessa causa probabile per la chiusura di un'altra storica sala del centro città come il Cozzani diventato sala bingo. Le avvertenze della crisi delle periferie aveva coinvolto già negli anni settanta il Volta e l'augustus di Migliarina, una sala nella località Limone (diventata palestra) e ben due locali in località Termo. Da dove proseguendo si trova solo il ricordo di un piccolo cinema ad Arcola e del Verdi di Romito Magra (finito addirittura distrutto da un incendio e per anni sotto l'oculata gestione di Pino Trefiletti, ancora oggi ad una bella età memoria storica dei tempi andati). Ma anche la riviera spezzina non si faceva mancare il fascino del cinema in sala, basti ricordare a S. Terenzo il Mantegazza e soprattutto il Giardino che sotto la ferrea direzione dell'allora parroco cinefilo Mons. Attilio Castiglione era attrezzato in maniera avveniristica per proiezioni al chiuso in inverno ed all'aperto per le estati con anche una ventennale presenza di attività di cineforum in cui non era raro incontrare il mitico padre Angelo Arpa. Oggi in quella zona resta solo l'astoria di Lerici con programmazioni soprattutto di qualità ed annessa arena estiva sotto la guida dell'intraprendente Davide Borghini. Per l'altro locale chiuso nell'80 il Goldoni un avvenire di attività bancarie. A Portovenere c era l Arena, a Le Grazie lo Scalone. Anche Ameglia ebbe nel dopoguerra la sua sala situata all'incrocio tra il piano ed il paese e voluta da quel Onelio Moretti che praticava l'attività di proiezionista a bordo di transatlantici. A voler essere pignoli bisogna riconoscere ad Ameglia la voglia di cinema perché da svariati anni nell'incantevole area adiacente al palazzo comunale nel centro storico nel periodo estivo vengono promosse rassegne di indubbio interesse. Per Sarzana per fortuna è andata meglio perché a partire da ben prima del secondo conflitto mondiale esisteva una piccola sala (Marconi) cui successe il Moderno oggi multisala molto attiva (sei sale con 3D e digitale) che sotto la guida di Alberto Taponecco e Mimo Modaffari è un vero e proprio polo di attrazione per l'intera vallata ed oltre con periodiche rassegne mirate e cineforum. Fino a pochi

15 SALE DOC Dalla Cinque Terre alla Lunigiana, dalla costa all entroterra, una zona di grande tradizione cinematografica. anni fa si proiettava cinema anche nell'incantevole Teatro Impavidi oggi destinato specificamente a spettacoli teatrali e musicali. Un'altra presenza costante è rappresentata dal cinema parrocchiale Italia che nato nei primi anni cinquanta dalla volontà dell'allora parroco Giacinto Bertonelli è presente con una destinazione prevalentemente d'essai e vede al suo interno un cineforum attivo dal Ma forse per capire la vocazione al cinema di queste zone bisogna spingersi ancora oltre nel territorio fino a Castelnuovo Magra dove agli inizi del novecento la famiglia Carlini curava proiezioni viaggianti con la lanterna magica ed in seguito diede vita prima a proiezioni nel vecchio teatro nel centro storico del paese e poi costruì nel piano il Cinema Luni famoso a suo tempo per aver avuto per primo la possibilità di passare dal muto al sonoro. Ha chiuso negli anni settanta seguito poco dopo dal cinema Centrale (i due locali distavano 200 metri). Vi era tra loro una collaborazione commerciale tra la famiglia di Armando Carlini (figlio del pioniere) e quella di Mario Bello e Afra Pierantoni (gestori del Centrale). Negli anni sessanta un locale circolo culturale ("LA VETTA" anch'esso defunto) nei due locali propose per un periodo consistente rassegne ancora oggi ricordate (free-tedesco, cinema americano noir anni trenta). Del gruppo faceva parte anche un locale situato al confine con la Toscana: il Dogana di Ortonovo affidato al genero di Carlini di nome Licio Bologna. Possiamo aggiungere l'aneddoto relativo al figlio di Bologna (Sergio) che imparò il mestiere insieme alle sorelle seguendo soprattutto le arene estive che per un ventennio ed oltre il gruppo gestì a Marinella di Sarzana e Fiumaretta di Ameglia per diventare gestore del mitico Politeama di Carrara in anni recenti fino alla chiusura attuale per problemi che troveranno, forse, soluzione in tribunale. Risalendo da Sarzana verso la Lunigiana si ricordano a S. Stefano prima un piccolo parrocchiale sotto l'edificio della chiesa dove era presente un 16 millimetri che alcuni giovani del posto usarono anche per brevi cineforum. Il locale industriale era rappresentato dal Lux situato lungo la statale e gestito dalla famiglia Vannucci/Lucà e chiuso negli anni '80, diventato in seguito supermercato ed oggi acquisito dal locale Comune per insediamento di uffici. Un piccolo locale ebbe breve esistenza anche ad Albiano mentre per qualche decennio fu presente ed attivo a Ceparana (frazione del comune di Bolano) il Perla in origine con la gestione Angeletti ed in seguito (dal 1970 fino alla chiusura nel 1985) gestito da Mario Lucà con frequenti rassegne di stampo cineforistico. Procedendo verso Fivizzano si incontravano il Castello di Pallerone (all'interno dello storico castello), il Moderno di Gragnola e l'ideal di Monzone (edificato specificamente con tanto di galleria e chiuso nel Infine a Fivizzano il cinema Vittoria gestito ai primordi da Mattei Enrico cui subentrò Bozzoli Alfonso che aveva ceduto analoga attività tra Reggio Emilia e Modena per tentare la fortuna in Lunigiana. Dal 1952 al 1974 subentrò il figlio Gianfranco, poi la chiusura, oggi nei locali è insediato un istituto bancario. Ma il vero centro propulsore dell'attività cinematografica nella vallata fu Aulla dove dapprima si insediò un'arena nella piazza antistante la stazione ferroviaria e poi furono costruiti ben due locali l'italia e il Nuovo. Gestiti dapprima da persone del luogo (Osmo Mattei, Fiorentini) conobbero il loro momento di boom quando il Nuovo venne gestito da Vincenzo Lucà che con i figli Mario e Giuseppe fu presente in varie realtà. In anni molto recenti (nuovo millennio) dopo la chiusura dell'italia il Nuovo conobbe una nuova gestione fino alla chiusura pochi anni fa. Nel frattempo però il Comune di Aulla provvide alla creazione di una vasta sala multimediale (circa 400 posti) in ambienti sottostanti il palazzo comunale. La gestione venne affidata a Mario Lucà (successore col fratello Giuseppe del patriarca Vincenzo) che riuscì a creare un'attività molto seguita con attenzione al cinema di qualità (cineforum e rassegne) ed alle proiezioni per le scuole. La recente alluvione ha cancellato il locale. Ma i Lucà sono presenti da decenni anche nella vicina Terrarossa con un locale di proprietà (il Verdi) ed a Villafranca Lunigiana dove l'amministrazione comunale ha riadattata una sala già attiva fino ad una ventina di anni fa come cral della Montedison. Oggi forse è questo il locale di maggior prestigio della zona con prime visioni, rassegne, proiezioni per le scuole di ogni ordine e grado. Resta Pontremoli dove ancora resiste il Manzoni (recentemente digitalizzato) dove uno strenuo drappello di volontari cura proiezioni "ordinarie" dal venerdì alla domenica ma allestisce anche (in primavera ed autunno) rassegne e proiezioni per le scuole. Ha chiuso al cinema dopo una onesta carriera il Teatro La Rosa oggi ritornato all'antico splendore dopo una complessa opera di restauro che lo vede insieme al Quartieri di Bagnone polo teatrale di eccellenza. E pensare che il cinema nel dopoguerra era presente in una piccola sala addirittura nella zona di Arpiola. Sic (forse) transit gloria cinema ma forse importante è e sarà resistere. Al centro, Il Teatro Impavidi di Sarzana e due immagini del suo interno. In questa pagina, dall alto in basso, il Moderno di Sarzana (esterno e interno), un interno del Controluce di La Spezia, lo Sport di Levanto. Nella pagina accanto, l Odeon di La Spezia (esterno e interno) e il Roma di Levanto. Qui accanto, a cavallo delle pagine, il Monteverdi di La Spezia in una foto d epoca. a cavallo MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 15

16 PERCORSI SONORI Musiche da Film The Artist C OME PREVISTO, QUESTO PICCOLO GIOIELLO d altri tempi firmato da Michel Hazanavicius continua a raccogliere innumerevoli riconoscimenti. Si tratta di un film muto, ambientato nel 1927, che narra la storia d amore fra un divo sul viale del tramonto ed una stella nascente destinata a sfondare nell era del sonoro. Uno dei punti di forza del film è senz altro la partitura originale di Ludovic Bource, arrangiatore e musicista francese, semisconosciuto fuori patria sino a questo momento, ma già da tempo collaboratore di Hazanavicius (ha iniziato a collaborare con il regista franco- lituano dapprima per alcuni spot pubblicitari, poi per l esordio al cinema con Mes amis, del 1999, e ha proseguito con le due parodie spionistiche dedicate all agente segreto OSS117 uscito dalla penna di Jean Bruce). Scrivere lo score di The Artist imponeva al compositore di emulare lo stile delle colonne sonore tipiche dei film muti, evitando però di creare una parodia a buon mercato. Per essere in grado Sherlock Holmes: Gioco di Ombre S E C O N D O CAPITOLO DEDICATO a Sherlock Holmes. Stesso regista, Guy Ritchie, stessi interpreti, Robert Downey Jr. e Jude Law, stesso compositore, Hans Zimmer, che per questo sequel, ha ripercorso la vecchia via, ma lo ha fatto spingendo la musica al suo estremo. Andando dritti al sodo, questo è il caso in cui una colonna sonora si trasforma in una scusa per dare libero sfogo allo sfrenato divertimento del compositore. Beninteso, divertirsi lavorando non è certo un male, ma duole riscontrare la totale mancanza dello sviluppo di nuovi motivi nell intera partitura. La musica, infatti, si limita in gran parte ad espandere il leitmotiv del capitolo precedente. Nonostante sia entrata una nuova porzione musicale che potremmo definire zingaresca, con tanto di fisarmonica, banjo, cembalo e violino, questa colonna sonora ha poca personalità e non ha una direzione narrativa, in più, manca una coesione strumentale e la parte orchestrale della partitura è stanca e ridondante. Ma allora, c è qualcosa da salvare? Sì. Le registrazioni degli artisti slovacchi sono, sotto molti aspetti, ammirevoli. Questa accuratezza va ricollegata al fatto che Zimmer sia così stregato dal suono gitano da basarsi quasi esclusivamente su di esso (ed ecco l errore), e si limiti ad alternarlo qua e là con la reprise di temi già utilizzati. Compratelo solo se siete stati in Slovacchia e ne avete amato la tradizionale musica gitana. Millennium - Uomini che odiano le donne I L POPOLO DI SVEZIA SARÀ INORRIDITO per tutta l'attenzione che l industria editoriale e cinematografica ha dato alla trilogia Millennium di Stieg Larsson. Si tratta di tre romanzi polizieschi, pubblicati postumi, già trasposti in film da registi scandinavi, e caratterizzati da un potpourri di violenza che non suona certo come un omaggio alla società svedese. Ora, il perché a poco più di un anno di distanza venga prodotta una seconda versione di Millennium - Uomini che odiano le donne (primo dei tre romanzi), affidata [ di Barbara Zorzoli ] di scrivere passaggi musicali che citassero i manierismi e l andamento delle partiture di quegli anni, ma che avessero al loro interno un nucleo di originalità, il compositore ha dovuto studiare approfonditamente la musica della Golden Age. In senso tecnico questo è un lavoro riuscito, in senso lato, questo score merita di entrare a far parte delle vostra collezione. Ad orecchie allenate non saranno sfuggiti alcuni riferimenti ai magnifici commenti sonori di Franz Waxman, Erich Wolfgang Korngold, Max Steiner e Alfred Newman (così come alcuni tocchi alla Bernard Herrmann e alla Maurice Jarre), o ancora i suggestivi passaggi che ricordano Charlie Chaplin, Leigh Harline e Carl Stalling; ma Bource se riecheggia lo fa con garbo, e se rilegge lo fa con una freschezza tutta contemporanea, cosicché questo CD può essere considerato non solo una colonna sonora, ma anche una valida compilation di melodie Golden Age. L'elemento vincente risiede nella sua personalità estroversa e romantica questo tipo di accompagnamento sonoro, d altronde, non è mai stato destinato ad essere sottile o appena percepibile. Il film sarà anche muto, ma la voce della musica si ode chiaramente. Lo score ha già vinto il Golden Globe per la migliore colonna sonora originale ed ha ottime possibilità di bissare con l Oscar (nel momento in cui scrivo la cerimonia deve ancora svolgersi). al regista David Fincher, è uno dei tanti misteri del mercato cinematografico. Ma passiamo alla colonna sonora, che Fincher affida a Trent Reznor, ex membro dei Nine Inch Nails, e a Atticus Ross, con cui aveva già lavorato in occasione del film The Social Network (la cui colonna sonora, lo scorso anno, si è aggiudicata l Oscar e il Golden Globe nella sua categoria). Per quest occasione i due musicisti hanno optato per la leggerezza, una scelta coraggiosa dato il tenore della pellicola. Il risultato è un triplo CD con tre ore di musica inedita, ognuno dei quali contiene tredici brani, per un totale di trentanove tracce piacevolmente accessibili. Particolarmente apprezzabile è la scelta dell inserimento di tre canzoni; la prima è una cover a dir poco abrasiva di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin interpretata da Karen O degli Yeah Yeah Yeahs (accompagna i titoli di testa), la seconda è una rilettura appetibile di Is Your Love Strong Enough?", nota hit di Bryan Ferry, eseguita dai How To Destroy Angels, la terza è la nota ballata new age di Enya "Orinoco Flow", che pare sia stata inserita grazie ad un suggerimento di Daniel Craig, protagonista del film. QUANDO IL CINEMA SPOSA LA CUCINA 19 [ di Antonella Pina ] The Help di Tate Taylor Vendetta al cioccolato I N PRINCIPIO THE HELP era solo il libro di Kathryn Stockett uscito nel 2009, un romanzo con alcuni elementi biografici riguardanti l autrice, cresciuta a Jackson, nello stato del Mississippi, dove la nonna aveva come domestica Demetrie, una donna di colore. Il libro, inizialmente rifiutato da molte case editrici, è diventato un best seller. Nel 2011 Tate Taylor ne ha tratto un film che, ottenendo quattro nomination agli Oscar, ne ha consolidato il successo. 16 FILM DOC MARZO - APRILE 2012 The help è l aiuto per la padrona di casa, una domestica tuttofare con mansioni di cameriera, cuoca e bambinaia. Siamo nei primi anni 60. John Fitzgerald Kennedy è Presidente, il reverendo King ha un sogno, Barack Hussein Obama nasce ad Honolulu, ma nel sud degli Stati Uniti la segregazione razziale è ancora una rassicurante certezza. Sono in molti a Jackson a pensare che esista una differenza fisica tra la razza bianca e nera che impedirà per sempre una convivenza in termini di parità sociale e politica, per usare le garbate parole di Lincoln. Le domestiche di colore vengono pagate poco, sono prive di ogni diritto e hanno l obbligo di usare un bagno separato da quello dei bianchi perché le si immagina portatrici di malattie terribili. Lavano, rassettano, cucinano e si occupano dei bambini che, non informati dell artificio che distingue e separa i bianchi dai neri, adorano le loro tate colorate, almeno fino al momento in cui molti di loro, crescendo, prendono ad assomigliare ai genitori. Molti, ma non la Stockett né Eugenia Skeeter Phelan/Emma Stone alter ego della scrittrice. La giovane e ribelle neolaureata ha avuto una tata nera, Constantine, che ha continuato ad amare. E consapevole delle terribili condizioni di vita dei neri di Jackson e decide di dare il suo contributo alla loro causa. Raccoglie le testimonianze delle domestiche di colore e le pubblica in un libro. Il gesto richiede molto coraggio, soprattutto da parte delle domestiche, ma in un film tutto è possibile, soprattutto quando, pur mostrando una realtà drammatica, decide di mantenere il tocco leggero della commedia. In Mississippi Burning non sarebbe potuto accadere. Per il suo progetto Skeeter si avvale dell aiuto di Aibileen Clark/Viola Davis e Minny Jackson/Octavia Spencer, le due domestiche di colore protagoniste della storia. Aibileen è specializzata nel crescere bambini bianchi, mentre Minny è un ottima cuoca proverbiali il suo pollo fritto, reso particolarmente croccante dall utilizzo dello strutto, e la torta di cioccolato con vaniglia messicana - e nonostante debba subire, oltre ai consueti soprusi, anche la violenza del marito, fa mostra di una grande dignità e perfino di una certa verve. Si tratta di un film che ha un dichiarato intento educativo e sarebbe molto politicamente corretto se non fosse per la sfrontatezza di Minny. Licenziata dall odiosa padrona per aver usato il bagno di casa, si vendica confezionandole una delle sue torte di cioccolato a cui aggiunge un ingrediente speciale che, per ragioni estetiche, tralasciamo di citare. I lettori interessati alla ricetta, che hanno un conto in sospeso con qualcuno, potranno sempre andare a vedere il film, nel caso non lo abbiano ancora fatto. Noi ci limiteremo a cucinare un dolce innocuo, una sorta di crostata con mousse al cioccolato. Per la base: lavorate 150 g di farina con 100 g di burro, 50 g di zucchero, un tuorlo, una bustina di lievito per dolci e, se serve, un po d acqua. Stendete la pasta in uno stampo a cerniera di 22 cm - precedentemente imburrato - tenendola sollevata lungo il bordo, bucherellatela, coprite con carta da forno e legumi secchi e fate cuocere a 180 per 20 minuti. Poi fate raffreddare. Per la crema: portate ad ebollizione 1.5 dl di panna e 1.5 dl di latte incorporandovi 200 g di cioccolato fondente e due uova precedentemente sbattute. Versate la crema sulla base e rimettete in forno a 180 per 15 minuti. Servite le fette di torta con un cucchiaio di panna fresca montata. Con il cuore sgombro da impulsi vendicativi, aggiungiamo un tocco di poesia e abbiniamo un Aleatico dell Isola di Capraia.

17 DISEGNO DI ELENA PONGIGLIONE Gent.mo dottor Fava "doc Holliday", ho appena visto in sala un vecchio film girato a Genova con Victor Mature e mi rivolgo a Lei, in quanto con questa rubrica rende omaggio a uno dei grandi personaggi interpretati dall'attore, forse il più importante della sua carriera. Per Lei, Mature era un bravo attore o era solo un bisteccone? Ed è vero che aveva origini italiane, come ho letto da qualche parte? Cordiali saluti. Pasquale Musso Genova Caro Musso, il film di cui lei parla è presumibilmente Interpol (1957) di John Gilling (in originale International Police o Pickup Alley ) di cui ha scritto recentemente Renato Venturelli proprio in Film Doc n.95 del 6 Novembre Venturelli ricordava che era stato ampiamente girato a Genova -via Balbi, il Lagaccio, il Ponte di Carignano, eccetera- ma che la nostra città non vi era menzionata, camuffata, secondo la necessità della sceneggiatura, principalmente da Atene, e forse anche da altri luoghi. Al fianco di Mature recitarono attori di buon livello, o comunque di buona notorietà, come Anita Ekberg, Trevor Howard, Bonar Colleano. Per venire al succo della sua domanda credo si possa rispondere che Victor Mature era tante cose insieme: al tempo stesso un bravo attore e, come dice lei, un bisteccone. In una prima parte della carriera egli apparve in film di notevole importanza. Ad esempio, come ricorda il lettore, in Sfida infernale (My Darling Clementine, 1946) di John Ford dove fu appunto a fianco di Herry Fonda - nella parte di Wyatt Earp - il Dr. John Doc Holliday: anni dopo dopo in Sfida all O.K.Corral (Gun fight at the O.K. Corral) lo stesso personaggio venne interpretato da Kirk Douglas mentre la parte di Wyatt toccò a Burt Lancaster. Nel 1947 Victor Mature fu invece il gangster Nick Bianco nell ottimo Il bacio della morte (Kiss of Death) del grande Henry Hathaway, ricordato soprattutto perché fu il film di esordio di Richard Widmark nella parte di un sadico, Tommy Udo, che lo rese famoso. Si può dire che ancora per un decennio Victor Mature ebbe una carriera di successo ove appunto interpretò parti di buon livello o comunque di successo. Ricordo Il gigante di New York (Easy Living, 1949) di Jacques Tourneur a fianco di Lizabeth Scott, Lucille Ball e Lloyd Nolan. Oppure il gigantesco Sansone irretito da Dalila (Hedy Lamarr) in Sansone e Dalila (Samson and Delilah, 1949) di Cecil B. De Mille, allineando poi altri personaggi epici ad esempio ne La tunica (The Robe, 1953) di Henry Koster con Richard Burton e Jean Simmons. Via via con il passare del tempo Victor Mature si gonfiò, sia fisicamente che professionalmente, pur con qualche momento di maggiore credibilità come in Controspionaggio (Betrayed, 1954) di Gottfried Reinhardt ove, opposto a Clark Gable impersonava un capo partigiano olandese traditore. Di classe anche il resto del cast con Lana Turner e soprattutto Louis Calhern, O.E.Hasse e Wilfrid Hyde White. Mature era nato nel 1913 a Louisville nel Kentucky (secondo altre fonti nel 1915) e morì nel 1999 in una community, Rancho Santa Fe, in California. Malato da diversi anni e da diverso tempo lontano dal cinema. Salvo un mio errore la sua ultima, fugace apparizione fu in un toccante film del 1979 Oltre il giardino (Being LA POSTA DI DOC HOLLIDAY Victor Mature, il grande Doc Holliday There) di Hal Ashby, cavallo di battaglia di Peter Sellers, a fianco di molti tipici attori hollywoodiani, fra cui Shyrley MacLaine e Melvyn Douglas. Fu, nei pregi e nei difetti, con la sua ostentata tipologia da italo-americano atletico, una tipica figura post bellica, completamente superata dai tempi e dalle mode. Era di padre italiano, Marcello Gelindo Maturi (un arrotino nato a Pinzolo in Trentino quando faceva ancora parte dell Austria-Ungheria, ed emigrato negli Stati Uniti nel 1912) e di un oriunda svizzera, Clara P.Ackley. Come si vede il suo cognome era un vago arrangiamento americano dell originale trentino. Ebbe ben cinque mogli ed una figlia. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale come sottoufficiale del Coast Guard. Per scrivere a Claudio G.Fava: claudio.g.fava@village.it Forza Italia 07 [ di Giovanni Robbiano ] VERRANNO RECUPERATI IN TV FILM INEDITI O POCO VISTI DI GIOVANI AUTORI LIGURI Non fiori ma opere di bene! M I È VENUTO regalato alcuni dei programmi più avvilenti di anzi per lo più autoprodotti. Cominciamo con in mente sempre. Certo un po di gusto e qualche intuizione non guastano ma su questo ve- piccolo horror sorprendentemente gradevole, La volontà è Il Metodo Orfeo, di Filippo Sozzi del 2008: un questo titolo ma una ragione c è e la spiego. Premessa, questa volta non tratto di un film piccolo o medio che sia ma di una iniziativa che spero possa avere un senso. Da qualche tempo collaboro con una tv privata genovese, da tempo in precaria situazione e da qualche mese nelle mani di un nuovo gruppo: la gloriosa TeleGenova. Non sto a parlare dei problemi enormi che si debbono affrontare per risollevare un marchio che era finito in pesanti sofferenze, intanto ci vuole molto tempo e molto lavoro e i primi segnali di un nuovo rilancio si vedranno da qui in avanti, lentamente ma si spera costantemente; parlo piuttosto del desiderio di rilanciare una voce storica con idee possibilmente interessanti. Il che non vuol dire necessariamente idee nuove: la pretesa di fare qualcosa di nuovo in televisione ci ha dremo. La prima cosa a cui ho pensato assumendo il mio incarico è stata l idea che film, magari visti poco, potrebbero suscitare interesse e tenere la gente seduta davanti allo schermo, il che è poi quello che conta nel nostro caso, noi non dobbiamo manipolare le menti, dobbiamo solo far passare un po di pubblicità Così siamo andati in cerca di accordi e posso anticiparlo, tra qualche settimana cominceremo a programmare classici, filmoni in bianco e nero, comiche, anche capolavori: sembra non interessino a nessuno e con le dovute proporzioni, te li tirano dietro E allora, ho pensato, e se cercassi di recuperare quei film che non sono mai usciti, alcuni oggettivamente brutti ma tanti decenti e perfino decorosi? E via una campagna di ricerca che necessariamente è partita da Genova e dintorni: così posso annunciare che cominceremo a trasmettere, hic et nunc alcuni dei film più o meno recenti prodotti nelle nostre contrade, che ha raccolto qualche premio ed è stato gestito con grande professionalità e ottimo risultato tecnico da uno staff quasi integralmente genovese, a partire dal regista sceneggiatore (con l aiuto di Sabrina Sappa e Alessandro Gentini), il cast artistico (Riccardo Traverso e Cecilia Nesti con l apparizione del nostro feticcio Alberto Bergamini), la fotografia (Sara Fenu) e produzione tra cui a braccio non me ne vogliano gli altri cito l amico Stramaglia Un manipolo di ex allievi della gloriosa Sdac di Maurizio Gregorini che ha sfornato in tanti anni un buon numero di futuri professionisti o amateurs di livello come il buon Filippo. Due parole sul film, è un classico archetipo del genere, lo scrittore che assieme alla compagna affitta una casa isolata, qui all Elba, anche se la location non viene contestualizzata, per scrivere un thriller, peccato che, come nei classici del genere, la villa sia stata luogo di una strage efferata Il protagonista ci va apposta, convinto che la discesa in quel luogo di sofferenza ag- proseguire in giunga valore alla sua opera, e ovviamente se ne pentirà. questa ricerca, andando anche a scovare opere più lontane nel tempo di ambiente e produzione genovese e oramai perse in qualche mensola, invisibili da tempo o addirittura da sempre: piccole rassegne di cortometraggi, film indipendenti girati rompendo i salvadanai, qualche operazione maggiormente ambiziosa che magari ha avuto poca fortuna. I contatti sono stati presi, ci sono almeno una decina di prodotti pronti, l invito a chi mi legge è di farsi vivo, segnalarmi il suo film o il film di qualche conoscente: mi trovate a giorobbiano@gmail.com, a voi la palla, attendo con curiosità. MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 17

18 LIBRI E RIVISTE Gary Cooper di Mariangela Pierini (Le Mani, Recco 2011, 411 pp., 22 euro) I libri sugli attori corrono sempre il rischio di essere una mescolanza di aneddoti biografici e di filmografie commentate. In questa ampia monografia, invece, la figura di Gary Cooper ( ) viene analizzata dettagliatamente discutendo innanzitutto le caratteristiche interpretative dell attore, il modo in cui venne utilizzato dallo studio-system e dai registi con cui ebbe a che fare: a partire ovviamente dalla sua naturalezza e dal suo underplaying, dalla recitazione invisibile che scandisce una formazione interamente cinematografica, secondo una tradizione divistica non rara all interno del grande cinema hollywoodiano classico. Sintomatico, a questo proposito, un commento dello stesso Cooper: Quando leggo che sono un talento naturale che non ha mai preso una lezione di recitazione in vita sua, mi chiedo cosa siano tutte quelle migliaia di ore che ho passato con Ronald Colman, William Powell, John Huston, Henry King, Sam Goldwyn, Cecil B.De Mille, Charles Laughton. E Orson Welles: Gary Cooper era un attore cinematografico, il caso classico. Lo vedevi lavorare sul set e pensavi: Dio mio, questa scena dovranno rigirarla!. Praticamente, sembrava che non ci fosse. Poi vedevi i giornalieri, e riempiva lo schermo!. Alla ricerca della (in)felicità: il cinema di Todd Solondz di Nicolò Barretta, Andrea Chimento, Paolo Parachini (Falsopiano, Alessandria 2011, 198 pp., 19 euro) L opera cinematografica di Todd Solondz analizzata attraverso una serie di temi (la famiglia, l adolescenza, la sessualità, la società ecc.) e collocata sullo sfondo della produzione indipendente americana degli ultimi trent anni. Con un capitolo dedicato all analisi dei rapporti tra i film di Solondz e i fumetti indie americani, e in particolare con Daniel Clowes, autore molto vicino al regista e disegnatore fra l altro del manifesto di Happiness. Altri rapporti affrontati: quelli con Chester Brown e con gli scrittori Raymond Carver, John Cheever, Samuel Beckett. Introduzione di Alberto Pezzotta, conversazione finale con Todd Solondz, che indica alcuni dei suoi registi contemporanei preferiti (Mike Leigh, Terry Zwigoff, il Matteo Garrone di Gomorra, il Laurent Cantet di A tempo pieno e soprattutto Todd Haynes; negativo invece su Paul Thomas Anderson) e chiude con la frase: il mio lavoro non è dire la verità, è raccontare storie, la verità non è interessante. Gli uomini oggetto di Laurent Jullier e Jean-Marie Leveratto (Gremese, Roma 2011, 128 pp., euro) Il punto di partenza è naturalmente Marlon Brando, che in canottiera o in t-shirt fece esplodere all inizio degli anni 50 la questione dell erotismo maschile in termini di corpooggetto e di virilità da striptease. Il libro di Jullier e Leveratto si presenta col formato di un album illustrato, ma come altri titoli della collana è in realtà un saggio articolato, scritto da due docenti universitari (Jullier è tra l altro autore di Il cinema postmoderno ). E la riflessione sul corpo oggetto maschile parte da una frase di Jean-Paul Sartre ( io esisto il mio corpo ) per rovesciarla nel suo opposto: per l uomo oggetto, il suo corpo lo esiste, il suo involucro lo definisce, i suoi muscoli lo giustificano. Il percorso va dall atletismo spavaldo di Douglas Fairbanks alla corporeità nature di Johnny Tarzan Weissmuller, da Clark Gable a Charlton Heston, dall esibizione sadomaso del corpo continuamente martoriato di un Burt Lancaster fino ai travestitismi, al body building di Schwarzenegger, ai film di Visconti, al fascino felino (categoria in cui figurano Redford e Delon), a Viggo Mortensen e Mickey Rourke. Fino ad osservare il ribaltamento avvenuto nel cinema mainstream di oggi, dove la nudità maschile sarebbe diventata più accettabile di quella femminile. Un percorso che coincide con una liberazione del corpo maschile o del desiderio femminile? Forse, più semplicemente, un percorso che scandisce la continua ricerca di erotismi da parte dell immagine cinematiografica. Cinecritica n.64 (ottobre-dicembre 2011, pp.114, 6 euro) Il primo piano della rivista del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici (SNCCI) è dedicato in questo numero a Pasquale Scimeca, con una lunga e dettagliata intervista a cura di Cristiana Paternò, oltre a saggi di Emiliano Morreale e Anton Giulio Mancino. Altri articoli sul cinema romeno, la neoavanguardia italiana, il Risorgimento, Hemingway, Bellocchio, i documentari di Cosimo Terlizzi (con intervista), le recensioni di giovani critici vincitori del premio Giovani e innocenti. Thriller italiano in cento film di Claudio Bartolini e Luca Servini (Le Mani, Recco 2011, 268 pp., 18 euro) All epoca della loro uscita venivano per lo più bistrattati, confinati ai circuiti di sale popolari e al cosiddetto mercato di profondità. Da molti anni, invece, i thriller all italiana sono diventati uno dei generi di culto della cinefilia internazionale, che li ha ribattezzati col termine Giallo partendo dal modo in cui in Italia venivano chiamati mysteries e polizieschi classici per via dei Gialli Mondadori. Nella storia dei generi in cento film della casa editrice Le Mani esce adesso questa utilissima guida al thriller italiano, filone impostosi tra gli anni 60 e 70 sulla scia di una crescente tendenza sensazionalista: una tendenza che affonda le sue radici nelle sceneshock della vasca da bagno di I diabolici di Clouzot o della doccia di Psycho, prosegue con produzioni inglesi Walt Disney di Roberto Lasagna (Falsopiano, Alessandria 2011, 344 pp., 23 euro) o addirittura tedesche ed esplode poi nel tripudio di invenzioni formali e coloristiche, di raptus omicidi e di coreografie della violenza, di zoomate e stravaganze pop della produzione italiana. La selezione prende il via da Il rossetto di Damiani (1960), indicato come precursore, prosegue col fondamentale Mario Bava di La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l assassino (1964), passa attraverso i primi titoli di Dario Argento che consacrano il filone e affonda nella produzione più intensa compresa tra il 1969 e la metà degli anni 70, quando comincia il rapido declino (il volume tratta comunque anche titoli successivi, arrivando fino ai nostri giorni). Con molti titoli obbligati, qualche riscoperta, una sostanziale bocciatura per l ultimo Dario Argento, anche se motivata dalla volontà di testimoniare nuove tendenze e nuovi autori. Curiosità: il regista più rappresentato è Sergio Martino (con 9 film), seguito da Mario Bava (6), Dario Argento (6), Umberto Lenzi (5), mentre per gli ultimi decenni spiccano i Vanzina con 4. Torna in libreria in edizione ulteriormente accresciuta e aggiornata l ormai classica monografia di Roberto Lasagna su Walt Disney, dove ogni singolo film viene analizzato nell ambito del contesto culturale, storico e politico in cui venne prodotto: affrontando le innumerevoli contraddizioni della figura di zio Walt, ma anche l intuizione che lo portò a proporsi come pionieristico artista seriale novecentesco. Aggiornato fino agli anni della Pixar/Disney, con contributi di altri saggisti, e introduzione dell autore dell altra storica monografia italiana su Disney: Oreste De Fornari, che del prodigioso Walt sottolinea l immortalità autoriale per cui morto quarant anni fa, continua a firmare cartoon in puro stile Disney. Camogli si gira! (Corigraf, Genova 2011, pp.48, 8.50 euro) Quaderno abbondantemente illustrato sui film girati a Camogli, con brevi schede sui titoli principali (Preludio d amore, Il diavolo in convento, Pezzo capopezzo e capitano ecc.), alcune riscoperte (il semisconosciuto Al mare pago io, film svizzero interamente girato nella località ligure ed interpretato da Capannelle, ma che non compare quasi mai nelle filmografie dell attore), cenni sulle produzioni televisive e i documentari. Tra questi ultimi, da ricordare Tigullio minore, realizzato nel 1947 da Dino Risi. The New Neapolitan Cinema di Alex Marlow-Mann (Edinburgh University Press, pp. 242) Il giovane ricercatore inglese Alex Marlow-Mann con il suo ottimo libro The New Neapolitan Cinema ha circoscritto la sua analisi del cinema napoletano al periodo degli ultimi vent anni, quello che dopo un anonima fase di transizione seguita agli exploit di Piscicelli e Troisi nei primi anni 80, ha visto gli autori partenopei imporsi sullo scenario nazionale e in alcuni casi internazionale. Datando l inizio della sua esplorazione 1990 (Matilda di Antonietta De Lillo e Giorgio Magliulo) e 1991 (Vito e gli altri di Antonio Capuano), l autore individua i 50 film-chiave del ventennio e ne cita molti altri, senza tralasciare proprio nulla: i nuovi autori e gli artigiani, i capolavori e i film di serie B, le opere artistiche e il cinema basso, le poetiche d autore e i filoni di genere e le formule vincenti (la postsceneggiata con Nino D Angelo, la ricetta canoro-sentimentale declinata sui neomelodici), le nuove realtà produttive, l equivoco della coincidenza della rinascita del cinema napoletano e del Rinascimento bassoliniano, il Nuovo Cinema Napoletano degli anni 90 dei Corsicato, Martone, Incerti, De Lillo, Capuano e l affermazione dell onda successiva dei Sorrentino, Terracciano, Luglio, Di Majo, Dionisio, Gaudino, Marra, Lambertini, Marrazzo. Preziose anche la bibliografia e le appendici con grafici e dati. (Alberto Castellano) 18 FILM DOC MARZO - APRILE 2012

19 INTERVISTE DOC INTERVISTA A LIONELLO CERRI, ESERCENTE, PRODUTTORE E NUOVO PRESIDENTE ANEC L uomo Anteo Il premio Pittaluga va quest'anno a un simbolo del cinema di qualità in Italia. Tra i suoi successi, Giorni e nuvole di Soldini e Fuori dal mondo di Piccioni. [ di Matteo Mazza ] G UARDARE E PENSARE AL PUBBLICO. DA ESERCENTE E PRODUTTORE DI CINEMA DI QUALITÀ. QUESTO, IN SINTESI, È IL LIONELLO-CERRI-PENSIERO, PRESIDENTE ANEC E DI LUMIÈRE & CO. E PATRON DI ANTEOSPAZIOCINEMA CHE, DOPO DOMENICO PROCACCI E SIMONE BACHINI, SI È AGGIUDICATO IL GIOVANE PREMIO PITTALUGA. QUEST ANNO IL RICONOSCIMENTO IDEATO DAL CLUB AMICI DEL CINEMA E DALL ACEC LIGURIA HA VISTO LA COLLABORAZIONE DEL GENOVA- LIGURIA FILM COMMISSION. PER L OCCASIONE FILM DOC LO HA INCONTRATO NEL SUO UFFICIO DALLE PARETI ARAN- CIONI, CHE SEMBRANO ANTICIPARE IL SUO ENTUSIASMO, E SI È FATTO RACCONTARE IL SUO ORIGINALE PUNTO DI VISTA. Un premio da Genova e dalla Liguria. Città e regione a cui sei particolarmente legato Mi fa piacere di ricevere questo giovane premio. La Liguria e Genova per me rappresentano un bel ricordo e anche delle belle situazioni vissute, sia per il documentario Un piede in terra un piede in mare, sia per Giorni e nuvole. Sono molto affezionato a Giorni e nuvole e credo che Genova rappresenti in quel film il terzo interprete principale e, quindi, anche uno dei motivi di successo del film di Soldini. Esercente e produttore: quale attività prediligi? La tua esperienza più che ventennale come esercente del cinema Anteo di Milano che cosa ha aggiunto al difficile mestiere di produttore? Quali sono stati i motivi che ti hanno spinto da esercente illuminato alla produzione? Quali qualità occorrono? Da oltre trent anni l esperienza di esercente all Anteo è un esperienza incollata alla mia figura professionale e a quella dei miei soci. È sempre stata un esperienza che aveva un faro, un punto di vista nei confronti del pubblico come primo momento di riflessione. Anche oggi che faccio il presidente degli esercenti il punto di riferimento è sempre la condizione della finalizzazione del prodotto. Pensando a questo mi è venuto molto naturale pensare di andare a verificare il discorso produttivo. Ho voluto mettere a disposizione la mia esperienza organizzativa in quanto esercente non tradizionale, ma un esercente che è come se fosse un organizzatore culturale che pensa di conoscere il suo pubblico, che prova ad intercettarlo, a capirlo, che lo studia in modo critico. Ho scelto di mettermi a disposizione nella fase creativa del regista che ha in testa una storia, che si confronta con te per capire a che tipo di pubblico va incontro. Questo legame di aspetto organizzativo a disposizione dell aspetto creativo mi è parsa una bella scommessa. È per questo motivo che mi piace molto produrre. Riesci a stare dentro un processo creativo che è finalizzato al doppio binario: quello dell organizzazione e quello dell idea. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato? Le difficoltà stanno all interno di un mercato e in Italia non abbiamo un mercato maturo perché esiste un duopolio televisivo e pochi distributori preparati a fare un certo tipo di discorso. Questo tipo di realtà porta a un mercato ricattato. Tutte le difficoltà arrivano non solo dalle risorse, dove c è anche uno Stato assente. Pensando a Francia o a Germania, che hanno una concezione diversa della cultura, e quindi dell intervento pubblico, l Italia vive altre situazioni. Il rapporto che c è tra noi e la Francia è di uno a dieci, cioè 800 milioni di euro spesi dalla Francia contro i 75/80 spesi dall Italia. Questa è la fotografia della difficoltà dove si inseriscono le nostre imprese sia produttive, sia distributive, sia di esercizio. Quali interventi, o quale atteggiamento, per affrontare questa situazione che appare critica dal punto di vista economico e dal punto di vista culturale? Innanzitutto continuando a fare bene il proprio lavoro e a credere nel proprio lavoro, mantenendo sempre chiari i punti di riferimento e i punti di arrivo. Poi bisogna pensare ad unire le risorse private alle poche risorse pubbliche. Il privato deve continuare a creare, non può abbandonare la sua spinta ideativa. Io mi considero fortunato perché ogni mattina mi alzo dal letto e sono contento di andare a lavorare. Il fatto di capitalizzare questa consapevolezza e questa fortuna ti deve dare quell energia e quella volontà per portare a casa risultati che altrimenti non riusciresti a raggiungere. A proposito di soddisfazioni e delusioni, quali le più grandi? Parecchie, tante soddisfazioni ma anche alcune delusioni. Ma io vedo, continuo a vedere, il bicchiere mezzo pieno. Sono ottimista e penso che stiamo continuando a fare belle cose che, se non Filmografia FILM SENZA ARTE NÈ PARTE (2011) di Giovanni Albanese COSA VOGLIO DI PIÙ (2010) di Silvio Soldini GIULIA NON ESCE LA SERA (2009) di Giuseppe Piccioni GIORNI E NUVOLE (2007) di Silvio Soldini QUALE AMORE (2006) di Maurizio Sciarra LA VITA CHE VORREI (2004) di Giuseppe Piccioni IL POSTO DELL'ANIMA (2003) di Riccardo Milani ora, magari verranno riconosciute anche in un futuro. Se devo pensare al mio modo di lavorare in produzione, comunque, penso ad una linea editoriale e, quindi, tutti i film che io ho prodotto sono film che io avrei voluto fare e di cui vado fiero. Un titolo che ha fatto fare il salto di qualità? Be, già dall inizio con il primo film da me prodotto, Fuori dal mondo di Piccioni, sono stato premiato come miglior produttore. Poi, comunque, altri film come i successivi di Piccioni o quelli di Soldini e altri progetti mi hanno dato molte soddisfazioni. Le interessanti esperienze documentaristiche di Biùtiful Cauntri, di Esmeralda Calabria, Andrea D Ambrosio, Peppe Ruggiero e di Niente paura di Piergiorgio Gay hanno ottenuto riscontri positivi. Altra scommessa vinta. Quali saranno i prossimi progetti? A proposito di documentari, abbiamo appena finito di girare un documentario di Soldini che a breve verrà montato e che speriamo di vedere in sala prossimamente. Poi c è il film di Diritti (Vanità, Nda) che stiamo girando in Brasile, uno coprodotto di Susanne Bier (The bald hairdresser, Nda). L iniziativa di cui sei parte Schermi di qualità ha consolidato l attenzione sul cinema europeo. Ci sono ulteriori sviluppi? Il cinema di qualità ha bisogno di sale di città, come salvarle e riqualificarle? Schermi di qualità è un idea nata da un altra idea che voleva portare avanti il cinema italiano nelle sale, sia nelle piccole città, sia nelle città metropolitane: offrire la possibilità di vedere più titoli italiani. Con Schermi di qualità siamo riusciti a dare un impulso alla programmazione nazionale e di cinema europeo maggiore. È un iniziativa meritoria, poco finanziata dallo Stato. Ma abbiamo moltiplicato il numero di schermi che sostengono il cinema di qualità. BRUCIO NEL VENTO (2002) di Silvio Soldini LA FORZA DEL PASSATO (2002) di Piergiorgio Gay LUCE DEI MIEI OCCHI (2001) di Giuseppe Piccioni IL CERCHIO (2000) dijafar Panahi FUORI DAL MONDO (1994) di Giuseppe Piccioni DOCUMENTARI NIENTE PAURA (2010) di Piergiorgio Gay BIÙTIFUL CAUNTRI (2007) di Esmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio, Peppe Ruggiero MARZO - APRILE 2012 FILM DOC 19

20 LIGURIA D ESSAI ESCE IL LIBRO CHE RIEVOCA LA STORIA DELLA COOPERATIVA SPETTATORI PRODUTTORI CINEMATOGRAFICI Un sogno lungo un giorno Volevano un cinema diverso, al di fuori dell industria, finanziato direttamente dagli spettatori. Ma furono bloccati nell Italia degli anni 50. Adesso il volume di Eligio Imarisio rievoca la storia genovese della Cooperativa che produsse Achtung! Banditi! e Cronache di poveri amanti. [ di Renato Venturelli ] D OVEVA CAMBIARE IL MODO DI FARE CINEMA IN ITALIA. E INVECE SI RITROVÒ EMARGI- NATA, BOICOTTATA E UCCISA NEL GIRO DI POCHI ANNI. ADESSO, PERÒ, QUALCUNO SI È PRESO LA BRIGA DI RICOSTRUIRE, DOCUMENTI ALLA MANO, LA STORIA DELLA LEG- GENDARIA COOPERATIVA SPETTATORI PRODUTTORI CINEMATOGRAFICI, NATA NELLA GE- NOVA DEL 1950 SULLO SLANCIO DEGLI IDEALI PARTIGIANI PER REALIZZARE FILM AL DI FUORI DEI CONDIZIONAMENTI DEL MERCATO, DEI GOVERNI, DEI MECCANISMI INDUSTRIALI. UN CI- NEMA CHE VOLEVA ARRIVARE DAL BASSO, DA SPETTATORI APPASSIONATI E MILITANTI PRONTI A FINANZIARE LE PELLICOLE CHE VOLEVANO VEDERE: MA DOPO AVER REALIZZATO ACHTUNG! BANDITI! E CRONACHE DI POVERI AMANTI, ENTRAMBI DIRETTI DA CARLO LIZZANI, LA COOPERATIVA FU COSTRETTA A SCIOGLIERSI, RINUNCIANDO A REALIZZARE UNO DEI MOLTI SOGNI PER LE STRADE NELL ITALIA DEL DOPOGUERRA. Come uccidere un idea (ed.le Mani, 352 pp. + ill., 23 euro) s intitola adesso il libro che Eligio Imarisio ha dedicato all argomento, dopo i due volumi che lo stesso autore ha realizzato su Achtung! Banditi! e Cronache di poveri amanti. Com è noto, la Cooperativa nasce attorno a Gaetano Giuliani De Negri e Giuseppe Dagnino, due ex-partigiani che vogliono proseguire nel dopoguerra la loro battaglia con le armi della cultura. Raccolta l adesione dell ANPI, della Lega delle Cooperative e di tante associazioni di lavoratori, viene finanziata da semplici spettatori, operai, portuali, tranvieri, sindacalisti e liberi professionisti, dei quartieri popolari e di quelli borghesi. Grazie alle ricerche dell avvocato Alessandro Ghibellini, l ex-pallanuotista, figlio di quell Annibale Ghibellini che era stato uno dei promotori, il libro fa chiarezza sull atto di nascita e sui vari spostamenti della Cooperativa. L atto costitutivo fu stipulato dal notaio Boggiano il 30 ottobre 1950, le prime sedi si trovavano al 40 di via XX settembre e in via D Annunzio 2, poi nell edificio littorio di via Gallino a Pontedecimo (ora abbattuto) durante la lavorazione di Achtung! Banditi!, quindi a Roma, davanti a Porta Pia. E i soci fondatori comparsi davanti al notaio erano undici: i giornalisti Tullio Cicciarelli ( Il Lavoro ) e Kino Marzullo ( L Unità ), il chirurgo Aldo Podestà, Giuseppe Dagnino e Gaetano De Negri, Enrico Ribulsi, Annibale Ghibellini, Franco Venturini, Gastone Duse, Antonio Chessa, Manlio Leonardi. Il volume di Imarisio riporta anche gli articoli di giornale relativi alla presentazione ufficiale del progetto, quando una domenica mattina (25 giugno 1950) Massimo Girotti, Lamberto Maggiorani, Carlo Lizzani, il sindaco Gelasio Adamoli e tanti altri vennero all Universale di Impossibilitata a vendere all estero i suoi film, la Cooperativa veniva di fatto condannata al fallimento" Eligio Imarisio con Carlo Lizzani. Sotto, Pontedecimo anni 50 e una scena di Achtung Banditi! Genova completamente stipato: le cronache dicono che centinaia di spettatori furono costretti a restare fuori. Sul perché e quando la Cooperativa ebbe termine, dopo aver prodotto appena due film, si intrecciano poi considerazioni più complesse. Ufficialmente avvenne nel 1961, di fatto già a metà degli anni 50. Un episodio decisivo fu l incendio e il fallimento (1956) della Minerva Film, che distribuiva i due titoli. Ma una causa determinante fu l impedimento governativo ad esportare Cronache di poveri amanti, subito dopo il successo ottenuto al festival di Cannes: impossibilitata a vendere all estero i suoi film, la Cooperativa veniva di fatto condannata al fallimento. E tra le concause ricorda Lizzani ci fu anche il rifiuto di Togliatti, che durante un incontro col regista aveva detto di non essere interessato ad aiutare finanziariamente produzioni che alla fine sarebbero risultate targate P.C.I., mentre era meglio per la Cooperativa navigare in mare aperto. Nelle sue 350 pagine, il volume curato da Imarisio raccoglie documenti, testimonianze, fotografie, saggi di diversi studiosi (Marino Biondi, Paolo Arvati, Camilla Toschi, lo stesso Imarisio) sul contesto culturale dell epoca. Ma tra i documenti più ghiotti del dossier spiccano le veline della Direzione Generale dello Spettacolo, rimasta nelle mani di un ex-fascista come Nicola de Pirro. In una nota contraria alla realizzazione di Achtung! Banditi! si osserva la non opportunità di riportare sullo schermo la guerra partigiana e le azioni dei nazisti a causa della nuova collocazione internazionale della Germania, sottolineando come, nonostante non ci siano cenni sull appartenenza politica dei partigiani, la particolare forma mentale dei personaggi consente di individuarli chiaramente come comunisti. Il benestare alla produzione venne così rifiutato, e solo in un secondo tempo il film fu accettato, anche perché si notava erano state attenuate o espunte alcune delle scene non gradite. Oltre che una ricostruzione della famosa Cooperativa genovese, il libro di Imarisio fornisce così spunti istruttivi su cosa fosse la censura nell Italia degli anni 50, e su quanto fosse difficile la vita di chi voleva realizzare film non allineati. Alcuni dei protagonisti di quell esperienza continuarono comunque in altro modo la loro battaglia cinematografica. A cominciare da Carlo Lizzani, che sta per compiere 90 anni. O Giuliano Montaldo, che rievoca in un semplice ma significativo aneddoto il suo impatto con l ambiente romano. Partito da Genova, ricorda Montaldo appena sceso dal treno telefono a un signore che lavora in una importante produzione cinematografica. Gli devo consegnare la lettera di un amico genovese. E una lettera di raccomandazione. Ottengo l appuntamento: Domani alle 9, al Caffè Rosati. Il giorno dopo, con largo anticipo, sono in Piazza del Popolo, ma il locale ha le serrande abbassate. Attendo. I minuti passano, sempre più lenti. Il caffè è sempre chiuso. Dopo un ora si alzano le serrande e io entro per telefonare, deluso e imbarazzato, a quel signore. Mi risponde, è ancora in casa. Divertito, mi sfotte: Alle 9 del mattino? Ma da dove viene? Da noi, le 9 sono quelle di sera!. 20 FILM DOC MARZO - APRILE 2012

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