I Principi del Restauro

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1 I Principi del Restauro

2 Il restauro, a partire dal Settecento, difficilmente è stato inteso come conservazione dello stato in cui l'opera ci è pervenuta; generalmente si è spinto ad affermare la necessità di una reintegrazione fino alla ricostruzione dell'immagine. Da queste basi, nacque l'esigenza di superare le contrapposizioni delle due concezioni, fondando una chiara impostazione teorica del problema. Cesare Brandi, nato a Siena nel 1906 e morto nel Si occupò dei problemi della critica e della teoria dell'arte, scrisse numerosi articoli e saggi, fu uno dei più acuti studiosi dell'arte senese e lasciò importanti monografie su alcuni artisti moderni. Nel 1939 fondò l'istituto Centrale di Restauro a Roma, che diresse fino al Il frutto di tale esperienza, fu il suo libro intitolato la Teoria del restauro, del 1963, creato dal lavoro svolto e dalle esperienze fatte. I primi anni di direzione dell'istituto furono difficili, perchè rendere efficiente una struttura del tutto nuova proprio al momento dell'entrata in guerra dell'italia, complicava l'approvvigionamento di materiali ed attrezzature, per non parlare dei limiti economici. L'intenzione del Brandi era quella di elaborare una definizione teorica della problematica del restauro, non solo dei manufatti pittorici e scultorei, ma anche di quelli archeologici ed architettonici.

3 CESARE BRANDI L'ISTITUTO CENTRALE DI ROMA ED IL LABORATORIO DELLA FORTEZZA DA BASSO DI FIRENZE Il primo degli scritti brandiani sul restauro, con l'intento di una definizione teorica, è del 1848, ma sarà pubblicato nel I Bollettino dell'isituto Central e di Restauro, soltanto nel 1950*. Credeva in un rapporto diretto tra concetto di opera d'arte - restauro e dunque nel momento in cui un oggetto artistico viene riconosciuto dalla coscienza umana nelle sue qualità e nella sua materializzazione, solo allora è possibile ipotizzarne un eventuale restauro. "...il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro". Il restauro non deve interferire minimamente sui significati dell'oggetto artistico, ma deve interessarsi unicamente dei suoi componenti materiali, cioè i materiali costitutivi dell'opera, che concorrono alla percezione ed alla sua rivelazione. Il rispetto della storicità di un dipinto vuol dire che esso continua a sussistere potenzialmente come un tutto unico anche in ciascuno dei suoi frammenti e dunque il restauro deve mirare allo ristabilimento della unità potenziale, senza cancellare i segni del passare del tempo. Questo significa che l'intervento deve essere di conservazione dell'oggetto, nello stato in cui si trova in quel determinato momento, senza voler falsare con ritocchi od altri rifacimenti le lacune che si sono venute a creare. * CESARE BRANDI, Teoria e storia del restauro, in "Bollettino dell'istituto Centrale di Restauro", I, 1, Roma, 1950, pp

4 Egli auspicava metodi di restauro basati sull'utilizzo di materiali reversibili con integrazioni che rendessero possibile un riconoscimento delle zone non originali dalle altre. Risolse il problema inventando il sistema della campitura a tratteggio e ad acquarello che assicurava una riconoscibilità anche a distanza ed una gran facilità nella rimozione grazie alla possibilità di eliminare tutto con l'acqua. Quando il Brandi parla di materia o di unità potenziale dell'opera d'arte, significa che tutti i componenti di questo oggetto, anche il telaio ed il supporto, sono parti essenziali di esso.

5 Privare una tavola del suo supporto ligneo ad esempio, significa deturpare per sempre la sua integrità artistica e modificare il significato che aveva al momento della sua creazione. La pubblicazione del libro Teoria del restauro, segnò un evento cardine del dibattito sui problemi della conservazione e del restauro del patrimonio artistico, al punto da farlo diventare un indispensabile riferimento, codificato nei principi sanciti dalla Carta del restauro del Questo Decreto Ministeriale è tuttora vigente come guida al restauro, alla manutenzione ed alla conservazione per le soprintendenze in Italia.

6 I successori del Brandi, Pasquale Rortondi e Giovanni Urbani, che dal 1960 in poi si occuparono dell'istituto di Roma, potenziarono i laboratori con nuove e più sofisticate apparecchiature scientifiche, per approfondire il campo delle ricerche sulla conservazione e sul restauro. La nascita del laboratorio di restauro della Fortezza di Firenze, avvenne per motivi diversi. A causa della terribile alluvione che nel 1966 colpì la città, i monumenti, e tutti i palazzi e le chiese del centro storico vennero danneggiati.

7 L'acqua penetrando negli edifici portava con sè fango e catrame ed a causa delle difficoltà incontrate dai soccorsi, molte opere tra cui alcuni capolavori di pittura, rimasero per giorni immerse in questa melma. Tra queste vi erano 230 dipinti su tavola dei secoli XIV, XV, XVI che a causa della loro particolare sensibilità all'acqua, vennero portate alla Limonaia di Boboli, come primo ricovero d'urgenza. In seguito, nel 1975, grazie ad un provvedimento, vennero unificati il già esistente laboratorio di restauro lapideo, cioè l'antico opificio lorenese con gli spazi della Fortezza da Basso ed il risultato fu il potenziamento dei laboratori e la possibilità di intervenire con mezzi migliori e più adeguati ai guai provocati dal disastro. S. Niccolò del Ceppo dopo l alluvione

8 Per i primi soccorsi, i restauratori avevano adottato mezzi di fortuna sulle opere applicando velinature, a protezione del colore che con il rigonfiamento della preparazione minacciava di cadere ( molte tavole avevano già enormi mancanze). Per farlo, avevano usato materiali che in seguito si rivelarono molto difficili da eliminare; come ad esempio il silicone, iniettato al di sotto dei sollevamenti del colorepreparazione, per impedire a questi "sbollamenti" di frantumarsi. Il silicone, seccando si induriva e formava degli spessori di materiale durissimo. Purtroppo, gli interventi eseguiti in un secondo tempo, non sempre hanno garantito il pieno recupero delle opere e molte hanno subito la drastica tecnica di stacco del colore dal supporto. Dopo la nascita del laboratorio della Fortezza da Basso, in quella sede venne istituita la attuale scuola di restauro fiorentina.

9 La formazione degli allievi ed i principi di base sono simili a quelli impartiti presso l'istituto Centrale, ma a Firenze anche oggi gli studenti si specializzano in un particolare settore: affreschi, dipinti, lapidei..., mentre a Roma la preparazione è più generale. Umberto Baldini, direttore della scuola e dei laboratori di Firenze, teorizzò e propose un metodo per l'integrazione pittorica delle lacune di colore, simile al rigatino romano, ma più elaborato. Il rigatino consiste in una serie di tratteggi monocromatici, di un tono leggermente più basso dell'originale, evitando la ricostruzione della forma, ma seguendo il profilo delle lacune.

10 La selezione cromatica, proposta dal Baldini ed adottata dai restauratori fiorentini, può definirsi lo sviluppo del rigatino e consiste nella ricostruzione della forma che, giustapponendo i quattro colori fondamentali, devono seguire il modellato. Le due scuole si differenziano l'una dall'altra, perchè quella toscana predilige i materiali tradizionali, quelli sperimentati in passato e tratti da antichi ricettari, al posto dei materiali moderni di sintesi, come ad esempio le resine sintetiche che vengono sperimentate a Roma. Il teorema brandiano della non ricostruttibilità non viene condiviso, ma si tenta di ridare all'opera una sua leggibilità ed una dignità d'insieme, garantendone il rispetto dell'autenticità, il riconoscimento in rapporto alle parti rifatte e la reversibilità degli interventi[4]. [1]Enciclopedia Europea, vol. II, Milano, 1976, p [2]CESARE BRANDI, Teoria del restauro, Torino, [3]CESARE BRANDI, Teoria e storia del restauro, in "Bollettino dell'istituto Centrale di Restauro", I, 1, Roma, 1950, pp [4]AA. VV., Firenze restaura. Il laboratorio nel suo quarantennio, Firenze, 1972.

11 I Princìpi del Restauro Riconoscibilità Reversibilità Compatibilità Intervento minimo

12 Riconoscibilità Ogni intervento deve essere riconoscibile, differenziandosi dalla materia originale, per evitare la falsificazione. distinguendosi dalla materia originale senza recare disturbo alla visione di insieme.

13 Reversibilità Qualsiasi elemento / materiale applicato in fase di Restauro deve poter essere facilmente rimosso senza arrecare danno alcuno alla materia originale.

14 Compatibilità I materiali utilizzati nel Restauro dovranno essere scelti compatibilmente alla materia originale dell oggetto su cui si interviene. Le tecniche d indagine e l analisi degli elementi sono gli strumenti utili per lo studio dei materiali di cui le opere si compongono.

15 Intervento minimo L intervento di Restauro deve essere strettamente commisurato alle esigenze di ogni singola opera. Questo principio si applica anche singolarmente a ciascuna fase di intervento.

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