DISCRIMINAZIONE. Fonti normative generali: - Art. 3 Cost. - Art. 15 Statuto Lavoratori

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1 Fonti normative generali: - Art. 3 Cost. - Art. 15 Statuto Lavoratori DISCRIMINAZIONE Discriminazioni per ragioni di sesso Attuazione nel nostro paese del principio di uguaglianza formale viene fatto risalire alla L. n. 903/1977, che ha posto per la prima volta specifici divieti di discriminazione per ragioni di sesso. La tutela dell uguaglianza sostanziale giunge con la L. n. 125/1991 (azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) che va oltre l impostazione garantistica della parità di trattamento. Entrambi questi testi normativi sono stati pressoché totalmente abrogati e trasfusi 1) Nel D.lgs. n. 151/2001 T.U. in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità 2) Nel D.lgs. n. 198/2006 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna Il codice delle pari opportunità all art. 25 provvede ad una definizione esplicita delle discriminazioni per ragioni di sesso distinguendole tra discriminazioni dirette ed indirette. In generale con l aggettivo dirette si qualificano tutte le discriminazioni operanti sul piano individuale e cioè quei trattamenti differenziati basasti su condizioni soggettive e perciò considerati ingiustificati e non ragionevoli ex art. 3 Cost. Es. a parità di curriculum viene assunto Tizio piuttosto che Caia solo perché il datore di lavoro non vuole donne nella sua azienda. La nozione di discriminazione indiretta è più sottile e complessa, scivolando dal piano individuale al piano collettivo, nel senso di prendere in considerazione il complessivo peso sociale della discriminazione. Es. viene operata una discriminazione nel trattamento economico tra part-timers e fulltimers nell azienda di Tizio, dove i part-timers sono prevalentemente donne oppure viene richiesto il possesso di una statura minima indifferenziata senza che ciò sia essenziale alle mansioni da svolgere.

2 Art Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. 2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. 2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti. Molestie Il quadro definitorio del concetto di discriminazione viene completato dall art. 26 Codice Pari Opportunità con riferimento alle molestie Intese come comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l effetto di violare la dignità di un lavoratore o di una lavoratrice e di creare un clima di intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Nonché con riferimento alle molestie sessuali Ossia quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale o non verbale, sempre allo scopo o con l effetto di violare la dignità di un lavoratore o di una lavoratrice e creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Ai fini della tutela contro le molestie, queste sono equiparate alle discriminazioni. A completamento è necessario dare atto della novella dl 2010 (D.lgs n. 5/2010) che per rafforzare il principio antidiscriminatorio ed ampliarne la portata inserisce il comma 2-bis all art. 25 che evidenzia il contenuto illegittimo anche dei trattamenti meno favorevoli in ragione dello stato di gravidanza, maternità o paternità ed il comma 2-bis all art. 26 che precisa che l equiparazione alla discriminazione vale anche per quei comportamenti meno

3 favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di avere rifiutato molestie, anche a connotazione sessuale. Discriminazione ad altri diversi aspetti della vita lavorativa: Accesso al lavoro L art. 27 del codice vieta ogni discriminazione per sesso nell accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e dal settore di attività, nonché nel campo della formazione e dell aggiornamento professionale. Carriera L art. 29 del codice vieta ogni discriminazione tra uomini e donne nell attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e nella progressione di carriera. Parità retributiva L art. 28 si preoccupa di ribadire la parità di retribuzione per prestazioni uguali o di eguale valore tra lavoratori e lavoratrici, riprendendo sul punto il principio sancito dall art. 37 Cost. Attuazione del principio di uguaglianza sostanziale: le azioni positive L art. 42, 1 comma Codice Pari Opportunità, fornisce una definizione funzionale di azioni positive comprendendovi tutte le iniziative volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici. Il richiamo all art. 3, 2 comma, Cost. è testuale. Le azioni positive costituiscono uno strumento di diritto diseguale non contrastante con il 1 comma dell art 3, Cost. perché di natura transitoria: deviazioni dall uguaglianza formale legittimate dal perseguimento dell uguaglianza sostanziale.

4 Discriminazioni per ragioni di razza o origine etnica e altre discriminazioni Con i decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003 hanno ricevuto trasposizione nell ordinamento le direttive 2000/43/CE (parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall origine) e 2000/78/CE (parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro; meglio conosciuta come direttiva altre discriminazioni: motivi connessi alla religione, orientamento sessuale, età, convinzioni personali, handicap). Questi due decreti legislativi hanno un ambito di operatività diverso infatti il n. 216/2003 circoscrive l oggetto del proprio interesse alle discriminazioni in materia d occupazione e di condizioni di lavoro, mentre il n. 215/2003 ha un ambito di operatività più vasto. Relativamente alla discriminazione in materia di razza e/o etnia un importante fonte normativa è il testo unico sull immigrazione (D.lgs n. 286/1998) che all art. 22 riconosce a tutti i lavoratori stranieri regolari e alle loro famiglie la parità di trattamento e la piena uguaglianza dei diritti rispetto ai lavoratori italiani. Introduce, altresì, all art. 43 una specifica nozione di discriminazione diretta ed indiretta (sulla falsariga della L. n. 125/1991) per motivi appartenenti ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa o ad una cittadinanza. Art. 43 Testo unico immigrazione 1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. 2. In ogni caso compie un atto di discriminazione: a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell'esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionali, lo discriminino ingiustamente;

5 b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità; c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socioassistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità; d) chiunque impedisca, mediante azioni od omissioni, l'esercizio di un'attività economica legittimamente intrapresa da uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, confessione religiosa, etnia o nazionalità; e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa. 3. Il presente articolo e l'articolo 44 si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell'unione europea presenti in Italia. Anche i decreti legislativi n. 215 e n. 216 contengono una loro peculiare definizione di discriminazione diretta ed indiretta per razza o origine etnica (n. 215/2003) religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale (n.216/2003). Si ha discriminazione diretta quando in ragione di tali motivi una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un altra in una situazione analoga.

6 Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto. Un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza o origine etnica (215) di una determinata religione, ideologia, handicap, età, orientamento sessuale (216) in una situazione di svantaggio rispetto ad altre persone. Rispetto alla definizione contenuta nella legge n. 125/ 1991 e nel testo unico sull immigrazione, quella dei decreti n. 215 e n. 216 è più ampia, ma d altra parte anche le eccezioni sono più estese. Affinché si concretizzi un trattamento discriminatorio indiretto, è sufficiente il possibile verificarsi di una situazione di particolare svantaggio per il soggetto discriminato e non invece una situazione di effettivo svantaggio proporzionalmente maggiore come richiesto dalla l. n. 125/1991 e dal testo unico. Questa nuova definizione diviene assorbente rispetto alla precedente. Dai decreti suddetti viene altresì fornito rilievo - All ordine di discriminazione (a causa della razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale) che rientra nell area delle discriminazioni vietate - Alle molestie (comportamento indesiderato) causato da uno dei motivi discriminatori di cui ai citatati decreti che violi la dignità delle persone o crei un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. - Alle discriminazioni multiple o doppie che si verificano quando al fattore di discriminazione per razza, origine etnica religione, convinzioni personali, handicap, età se ne sovrapponga un altro di origine sessuale (accrescendo così il pregiudizio. Eccezioni I decreti però introducono un ventaglio di ampie eccezioni alla regola di non discriminazione: Con riguardo alle discriminazioni dirette è stata posta una generale eccezione, alla stregua della quale non costituiscono discriminazione le differenze di trattamento fondate sulla razza, origine etnica, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale, qualora costituiscano un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento di una data attività lavorativa.

7 Con riguardo alle discriminazioni indiretta è stata anche qui posta una rilevante ed ampia eccezione che sancisce che non sono discriminatorie le differenze di trattamento che siano giustificate da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. TUTELA GIURISDIZIONALE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI Art. 15 Statuto dei Lavoratori (modificato dall art. 13 L. 903/1977) dichiara nullo ogni atto o patto che rechi in qualche modo pregiudizio alla lavoratrice o lavoratore a causa del sesso; poi estende il divieto ai patti o atti intimidatori per motivi politici, religiosi, razziali e di lingua. Ciò che è apparso subito di dubbia adeguatezza è il fatto che il rimedio civilistico della nullità deve farsi valere in giudizio dal lavoratore discriminato attraverso l azione ordinaria. Ed inoltre c è la questione degli atti omissivi contro i quali il rimedio della nullità nulla può considerando che esso sottrae solamente rilievo giuridico all atto o patto. Il carattere individuale dell azione e le difficoltà di prova della discriminazione rendono difficilmente praticabile la prova della di tutela aperta dall art. 15 St. Lav. Pertanto, si è prevista la possibilità di ricorrere ad un procedimento speciale (sulla falsariga di quello art. 28 St.Lav. (relativo alla repressione della condotta antisindacale) all art. 38 del Codice delle pari opportunità Art Qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo o di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o comunque discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonche' in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parita' provinciale o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e' avvenuto il comportamento denunziato, [o il tribunale amministrativo regionale competente,] nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della

8 prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. 2. L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente. 3. Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. 4. L'inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punita con l'ammenda fino a euro o l'arresto fino a sei mesi. 5. La tutela davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo. 6. Ferma restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega dalle associazioni e dalle organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, o dalla consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parità. Oltre all azione individuale ex art. 15 St. lav o a quell a individuale d urgenza ex art. 38 Codice pari opportunità è prevista anche un azione istituzionale in giudizio promuovibile dal consigliere di parità competente per territorio. Autonomamente - in via ordinaria ex art. 37, 2 comma, C.p.o. - in via d urgenza ex art. 37, 4 comma, C.p.o. E sempre che le pratiche discriminatorie abbiano rilevanza collettiva; Su delega del soggetto discriminato - in via d urgenza ed in sostituzione dello stesso ex art. 38 C.p.o. - negli atri casi ex art. 36, 2 comma In questi casi l azione condurrà ad effetti limitati alla situazione individuale. Art Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo o comunque nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione

9 professionale, nelle condizioni compresa la retribuzione, nella progressione di carriera, nonche' in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni, prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro. 2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parità, qualora non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. 3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità regionale competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano. 4. Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. Il Tribunale in funzione di giudice del lavoro adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro

10 provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva. La tutela davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo. 5. L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3 e al comma 4, al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione è punita con l'ammenda fino a euro o l'arresto fino a sei mesi e comporta altresì il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al Fondo di cui all' articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all'articolo 41, comma 1. Art Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonche' in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, dell'articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente. 2. Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parità provinciali e regionali competenti per territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima. Il D.lsg. n. 5/2010 estende la tutela giurisdizionale ai casi di vittimizzazione cioè ai comportamenti ritorsivi del datore di lavoro scatenati da attività o iniziative dirette ad ottenere il rispetto della parità di trattamento. Art. 41-bis

11 1.La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne. Altra disposizione rilevante del Codice delle Pari opportunità è l inversione parziale dell onere della prova nel giudizio in tema di discriminazione: quando il lavoratore o la lavoratrice ricorrenti forniscono elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto (datore di lavoro) l onere della prova sull insussistenza della discriminazione. Art Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione. Anche i decreti n. 215 e 216 del 2003 prendono in considerazione la tutela giurisdizionale. La tutela più pregnante però sembra essere quella esperibile attraverso lo speciale procedimento sommario di cognizione di cui agli art. 702 bis ss. C.p.c. richiamato dallart. 28 del D.lsg. n. 150/2011 (decreto sulla semplificazione dei riti civili), anche per le discriminazioni di contemplate dai decreti n. 215 e 216 del 2003 ARTICOLO N.28 Delle controversie in materia di discriminazione 1. Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1 marzo 2006, n. 67, e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. E' competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio. 3. Nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente.

12 4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si puo' presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata. 5. Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice puo' condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice puo' ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano e' adottato sentito l'ente collettivo ricorrente. 6. Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attivita' del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parita' di trattamento. 7. Quando accoglie la domanda proposta, il giudice puo' ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell'ordinanza e' data comunicazione nei casi previsti dall'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e dall'articolo 55-quinquies, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n Si prevede, al 4 comma dell art. 28 appena citato, che nell ambito del rito sommario sia utilizzabile la medesima inversione parziale dell onere della prova prevista all art. 40 del Codice delle pari opportunità e quindi la vittima, in giudizio, per dimostrare la sussistenza del comportamento discriminatorio, può dedurre elementi di fatto basasti anche su dati statistici. In base al 5 comma dell art. 28 il giudice con il provvedimento di accoglimento del ricorso può ordinare la cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti nonché

13 provvedere su richiesta al risarcimento del danno anche non patrimoniale prescrivendo altresì l adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

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