Studio su Mat. 6:13* E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male

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1 Studio su Mat. 6:13* E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male Autore: A. Quintavalle Nella precedente parte della Preghiera del Signore c è un classico parallelismo ebraico tra la petizione «sia fatta la tua volontà» e la supplica «venga il tuo regno». Le richieste «non ci esporre alla tentazione» e «liberaci dal male/maligno» (Mat.6:13) sono anch esse parallele. Le due parti di un parallelismo non sono sempre sinonimiche, cioè identiche nel significato, ma spesso la seconda parte rafforza l'idea della prima, spiegando le sue implicazioni in maniera più completa. Inclinazione al peccato Il significato di base della parola ebraica nisayon tentazione - è prova. La Mishnah (Avot 5:3) parla di dieci prove che Abrahamo ha dovuto superare. I Vangeli sinottici riportano la storia delle tre prove con cui Satana tenta Yeshua cercando di farlo cadere (Mat.4:1-11; Mar.1:12,13; Luca 4:1-13). Questa petizione è probabilmente la parte più sconcertante della "Preghiera del Signore" (o meglio: la Preghiera dei Discepoli). La CEI traduce: «E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male». La Diodati traduce nella stessa maniera. La Riveduta legge: «e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno». Questa parte della Preghiera del Signore ha stretti paralleli con "La Benedizione serale" (mishnah Berakhot. 9:1; Talmud Bab. Berakhot 60b che recita: "inducimi a compiere i comandamenti, e non indurmi a compiere trasgressioni, e non darmi in potere del peccato, né in potere dell iniquità, né in potere della tentazione ". Il mistero è questo: perché Dio ci dovrebbe indurre (o esporre) alla tentazione? Inoltre, questo va in contraddizione con quanto si legge in Giac.1:13,14: «Nessuno, quand'è tentato, dica: Io son tentato da Dio; perché Dio non può esser tentato dal male, né Egli stesso tenta alcuno; ma ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca». Mat.6:13 è in realtà un idioma ebraico in cui viene utilizzato un verbo attivo per esprimere non il fare una cosa, ma il permesso di farla. Un buon esempio è nel Tanak in Ger.4:10: «Allora io dissi: Ahi! Signore, Eterno! tu hai dunque ingannato questo popolo e Gerusalemme dicendo: Voi avrete pace mentre la spada penetra fino all'anima». Da intendere nel senso che YHWH HA PERMESSO al popolo di essere ingannato. Un altro esempio è nella Torah in Es.4:21: «ma io gl'indurerò il cuore, ed egli non lascerà partire il popolo». Il che significa che YHWH HA CONSENTITO al cuore del Faraone di essere indurito. 1

2 Così il passo di Mat.6:13 è un idioma ebraico da intendersi: «NON PERMETTERCI DI ESSERE INDOTTI IN TENTAZIONE...». Nella preghiera del Signore, la parola tentazione ha a che fare con l inclinazione dell uomo a peccare. Per evitare il peccato, un uomo non deve mettersi in una posizione dove sarà provato. Una tradizione preservata da Rabbi Yehuda a nomi di Rabbi è molto istruttiva: «Una persona non deve mettere se stessa alla prova [cioè mettersi nella situazione di essere tentato]. Il re Davide d Israele ha fatto proprio questo ed è caduto» (T. Bab. Sanhedrin 107a). Bisogna stare attenti sia al potere della tentazione che alla propria capacità di resistergli (cfr. Giac.1:14,15). A volte è impossibile evitare una prova, ma Yeshua insegna ai suoi discepoli di pregare che essi possano essere allontanati dalla tentazione. La natura peccaminosa può condurre una persona alla prova. Liberaci dal male o dal maligno? La seconda metà del parallelismo, va ben oltre l'idea della prova e introduce la supplica di essere salvati dalle forze del male, che sono, naturalmente, connesse con la tentazione. Secondo la versione di Matteo leggiamo: «ma liberaci dal male» nella CEI, nella Ricciotti e nella Martini. La Diodati, Nuova Diodati, Riveduta e Nuova Riveduta rendono Mat.6:13b con «liberaci dal maligno». La differenza è significativa, e stimola la curiosità. I traduttori delle versioni cattoliche hanno reso la frase greca apo tou ponērou (letteralmente, «dal cattivo») con: «dal male». I traduttori delle altre versioni hanno reso la stessa frase con: «dal maligno». Quali traduttori sono nel giusto? I primi fanno sì che Yeshua stia insegnando ai suoi discepoli di chiedere a Dio la protezione contro il male - tutto il male - indipendentemente dalla sua origine. I secondi limitano il significato ad una richiesta di protezione contro colui che è il male, in altre parole, contro Satana, il maligno. Per arrivare alle radici di questo problema linguistico, dobbiamo scavare. Una rapida occhiata al greco Innanzitutto, una rapida lezione di greco. Tutti i sostantivi e gli aggettivi greci sono classificati secondo il genere. Il genere può essere maschile, femminile, o neutro. Una parola greca, talvolta, può essere di un genere in un contesto e di un genere diverso in un altro contesto. La differenza di genere modifica il significato. Ad esempio, ponēros è di genere maschile e significa «un uomo cattivo» o «un entità maschile» Ma ponēron, essendo di genere neutro, significa «male» o «cosa malvagia» in senso largo e impersonale. Le difficoltà sorgono in quei contesti dove il maschile ponēros e il neutro ponēron ricorrono dopo certe preposizioni. Quando avviene, il loro significato ultimo può essere identico e indistinguibile. Mat.6:13b contiene la frase preposizionale apo tou ponērou, che può significare «da colui che è il male» o «dal male» (cosa). Perciò, tou ponērou è formalmente ambiguo. Ma non ci dobbiamo fermare qui! 2

3 Una congettura plausibile Di fronte a questa forma ambigua del sostantivo, i traduttori hanno dovuto fare una congettura plausibile su come tradurre il verso. C è chi ha interpretato ponērou come un sostantivo neutro, ma c è chi l ha trattato come un sostantivo maschile. Di conseguenza, abbiamo traduzioni che dicono «liberaci dal male», mentre altre hanno «liberaci dal maligno». Quale traduzione è quella giusta? Nel Nuovo Testamento il sostantivo ponēros è utilizzato sia nel genere maschile che in quello neutro. Si possono trovare esempi per entrambi i casi. 1Giov.2:13 legge: «Giovani, vi scrivo perché avete vinto il maligno [ton ponēron, maschile]». Qui ponēros ricorre come oggetto del verbo, un sostantivo singolare e maschile, che chiaramente si riferisce al diavolo. Lo stesso dicasi di 1Giov.5:18, dove leggiamo: «colui che nacque da Dio [Yeshua] lo preserva [il credente], e il maligno [ho ponēros, maschile] non lo tocca». Anche qui, il testo parla del diavolo come di «colui che è il male il maligno». In Mat.5:11 ponēros ricorre come sostantivo neutro. Il verso legge: «Beati voi quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro a voi ogni sorta di male [pan ponēron, neutro] per cagion mia». La forma neutra del sostantivo attribuisce al male un significato generale, astratto e impersonale. È interessante che il termine ponēros ricorre tre volte in un verso della Scrittura Luca 6:45: «L uomo buono dal buon tesoro del suo cuore reca fuori il bene [neutro]; e l uomo malvagio [ho ponēros, maschile], dal malvagio [tou ponērou, forma maschile o neutra] tesoro reca fuori il male [cosa to ponēron, neutro]». In questo verso, la chiave per tradurre correttamente è il contesto. La prima ricorrenza di ponēros si riferisce ad una personalità - di un uomo o del diavolo - e il contesto richiede che la traduzione sia «l uomo malvagio». La seconda ricorrenza di ponēros segue la preposizione ek (= da, fuori da) e, quindi, ricorre nella stessa forma ambigua nel genere come nella preghiera del Signore (Mat.6:13b). Però, il contesto di Luca 6:45 richiede che tou ponērou sia trattato come un sostantivo neutro, cioè «malvagio». La terza occorrenza di ponēros è l oggetto neutro del verbo, e come tale, significa «male» in senso generale ed impersonale. Mat.13:19 è particolare e richiede attenzione: «Tutte le volte che uno ode la parola del Regno e non la intende, viene il maligno [ho ponēros, maschile] e porta via quel ch è stato seminato nel cuore di lui». Il maschile ho ponēros non si riferisce ad un uomo malvagio, ma al diavolo. Dunque, Matteo non ha avuto alcun problema ad usare il maschile ho ponēros per indicare il diavolo. Questo fatto certamente non è sfuggito all'attenzione dei traduttori e può aver avuto un ruolo chiave nella loro decisione di trasformare apo tou ponērou in «liberaci dal maligno». Siamo pronti a trarre alcune conclusioni? Non ancora. Continuiamo a scavare. Abbiamo bisogno di andare oltre la sintassi e considerare il quadro più ampio il contesto originale 3

4 della preghiera di Yeshua. In quale lingua Yeshua ha insegnato questa preghiera ai suoi discepoli? Sicuramente non in greco. Infatti, tutti i saggi giudei del primo secolo, la maggior parte dei quali sappiamo che provenivano dalla Galilea, 1 hanno trasmesso i loro insegnamenti in ebraico. Abbiamo buoni motivi per credere che Yeshua non faceva eccezione. Riportare la frase greca apo tou ponērou (letteralmente, «dal cattivo») in ebraico e confrontare la Preghiera del Signore con altre antiche preghiere giudaiche ci dà una prospettiva più completa. La metodologia è ragionevole, perché cerchiamo di capire ogni possibile influenza, non solo sulla preghiera di Yeshua, ma anche sulla formazione del greco di Matteo. Quando consultiamo l antica traduzione greca della Bibbia Ebraica, la Septuaginta, vediamo che l ebraico ra (cattivo, malvagio) risulta essere il candidato principale per la parola «male/maligno» usata da Yeshua nella sua preghiera. Mi spiego meglio. Gli antichi traduttori della Septuaginta hanno usato ponēros 231 volte per tradurre ra. Solo raramente ponēros è stato usato per tradurre qualche altra parola ebraica. Quindi, in base all'alta corrispondenza nella Septuaginta tra il ponēros greco e l ebraico ra, l ebraico min hārā (letteralmente, «dal male») è probabilmente l origine della frase greca apo tou ponērou. Sia il greco che l ebraico significano «dal male». Ma mentre il greco è ambiguo, l'ebraico non lo è, e può significare solo «dal male». Questo diventerà più evidente esaminando alcuni esempi biblici dove viene usato ra, ed alcuni estratti di antiche preghiere giudaiche. Da notare: hārā (il cattivo, il malvagio) non è stato mai usato come titolo del diavolo nell ebraico biblico, né in quello post-biblico, né nella letteratura rabbinica. Le molte sfumature di Ra Nelle Sacre Scritture, ra ha una vasta gamma di sfumature. Gen.8:21 parla dell'inclinazione malvagia (ra ). Il profeta Isaia ha dichiarato: «le loro opere son opere d iniquità, e nelle loro mani vi sono atti di violenza. I loro piedi corrono al male (ra ), ed essi s affrettano a spargere sangue innocente» (Is.59:6b,7). Confrontiamo anche Giud.2:11; 3:7: «I figliuoli d Israele fecero ciò che è male [hāra ]», dove la Septuaginta legge to ponēron, «il male» (cosa neutro). In questi versi ra ha a che fare con il peccato, o con la condotta malvagia e distruttiva. In altri versi ra porta una sfumatura diversa. Per esempio, in Gen.44:34, dopo che Giuseppe ha accusato Beniamino per furto nascondendo una coppa d argento nel sacco del giovane, Giuda ha supplicato Giuseppe: «come farei a risalire da mio padre senz aver meco il fanciullo? Ah, ch io non vegga il dolore [rā ] che ne verrebbe a mio padre». Se Giuda fosse ritornato da suo padre Giacobbe senza Beniamino, il dolore e la pena avrebbe spezzato l uomo emotivamente, fisicamente e spiritualmente. Questo dolore è il ra dal quale Giuda ha chiesto di essere risparmiato. In seguito, quando Giacobbe ha benedetto i due figli di Giuseppe, disse: «L Iddio, nel cui cospetto camminarono i miei padri Abrahamo e Isacco, l Iddio che è stato il mio pastore dacché esisto fino a questo giorno, l angelo che mi ha liberato da ogni male [mikkol ra ], benedica questi fanciulli» (Gen.48:15,16). La frase 4

5 mikkol ra («da ogni male») assomiglia grammaticalmente a min hārā (dal male), la traduzione ebraica del greco apo tou ponērou. Da questi esempi biblici, impariamo che ra ha varie sfumature. Può riferirsi alla condotta malvagia o al comportamento peccaminoso. Può anche riferirsi alla tragedia personale derivata dalla perdita di una persona cara, può riferirsi alla sofferenza fisica, o al danno morale malevolo. Il significato di Ra nelle antiche preghiere giudaiche Rivolgendo la nostra attenzione alla letteratura post-biblica, possiamo acquisire ulteriori dati esaminando degli estratti di preghiere dai rotoli di Qumran, e da un esempio preso dalla letteratura Talmudica. In 11QPs b XIX, 5-6, un rotolo dei Salmi scoperto nella grotta 11 di Qumran, troviamo la seguente preghiera: «Non permettere a Satana o a uno spirito immondo di regnare sopra di me [ al tašleṭ bî śāṭān w e rûḥ ṭum āh], e non permettere al male o all istinto del male di avere autorità su di me». Questa preghiera contiene degli elementi tipici che si trovano nelle preghiere giudaiche: protezione da Satana e dalle sue schiere, dalla sofferenza fisica e dall inclinazione malvagia dell uomo. Il Testamento di Levi ha una preghiera simile: «E non permettere a Satana di governare sopra di me e di condurmi fuori strada». David Flusser ha notato la somiglianza tra questi testi e il Sal.119:133: «non lasciare che alcuna iniquità mi domini» - w e al tašleṭ bî kol āwen. In ebraico, le espressioni sono quasi identiche, eccetto per la parola «iniquità» che è stata sostituita con la parola «Satana» sia nel Testamento di Levi che nei Rotoli del Mar Morto. Prendiamo dunque nota, che quando si riferisce al diavolo, l ebraico usa la parola «Satana». Dire «il maligno» sarebbe estraneo al linguaggio. L ebraico ra ricorre nel Manuale di Disciplina 2:3: «Possa benedirti con ogni bene, e possa proteggerti da ogni male [mikkol ra ]». L'autore di questo rotolo di Qumran ha, in stile tipicamente midrashico, ampliato la benedizione sacerdotale di Num.6: Questa preghiera è per la protezione dal male in senso generale, astratto e impersonale. Da Berachot 16b del Talmud viene questa preghiera attribuita a Rabbi Giuda hanasi, il compilatore della Mishnah: «Sia la Tua volontà, Signore, Dio dei nostri padri, che Tu ci salvi da uomini e donne arroganti, dall uomo malvagio, da un caso sinistro, dal cattivo istinto, da un compagno cattivo, da un vicino cattivo e da Satana il distruttore». In questo testo, ra viene usato quatto volte come aggettivo. La frase, «dall uomo malvagio», ricorre in ebraico come me adam ra. Da solo, ra non ha il significato del male personificato. Se, parlando in ebraico, Yeshua voleva far riferimento al diavolo nella preghiera che ha dato ai suoi discepoli, avrebbe semplicemente detto, «liberaci da Satana». L ebraico satan sarebbe stato riportato molto facilmente in greco come satanas (Satana) o diabolos (diavolo). Il diavolo è nei particolari di Mat.13:19 È giusto chiedersi a questo punto se Matteo, o un successivo redattore, ha visto satanas o diabolos nella sua fonte di Mat.6:13b e l ha sostituito con ponērou. È probabile? Sembra che sia stato fatto in Mat.13:19. Analizziamo quel verso in maniera più approfondita, insieme ai suoi paralleli in Marco e Luca, prima di formulare una qualsiasi soluzione. 5

6 «viene il maligno e porta via quel ch è stato seminato» (Mat.13:19) «viene Satana e porta via la Parola seminata in loro» (Mar.4:15) «viene il diavolo e porta via la Parola dal cuor loro» (Luca 8:12) Per uno stile letterario più greco, Matteo ha probabilmente sostituito ponēros per il più semitico satanas che ricorre in Marco. Inoltre, Matteo ha introdotto una speciale costruzione greca chiamata «genitivo assoluto». Questa costruzione è caratteristica del greco e non corrisponde direttamente all ebraico. In altre parole, Mat.13:19 mostra delle tracce di attività redazionale per uno stile letterario greco. Così, sono riluttante a confrontare un verso come Mat.13:19, che ha subito un certo grado di stilizzazione, con Mat.6:13b, che non mostra alcuna prova di stilizzazione greca. 2 Quando cerchiamo di stabilire se apo tou ponērou della Preghiera del Signore deve essere tradotto «dal male» o «dal maligno», preferisco associare questa frase greca con il chiaro e non ambiguo idioma ebraico «dal male». Alla luce di questo preferisco la traduzione: «dal male». La verità confermata A questo punto, abbiamo approfondito la nostra comprensione di Mat.6:13. Dovrebbe essere letto: «non permetterci di essere indotti in tentazione, ma liberaci dal male». In confronto con la conclusione di Luca, «e non ci indurre/esporre alla tentazione», la versione di Matteo riflette più completamente quello che Yeshua disse ai suoi discepoli. L'accoppiata che fa Matteo di non ci indurre/esporre alla tentazione con la liberazione dal male, è un parallelismo, il marchio di garanzia della poesia ebraica. Riconoscere il parallelismo conferma anche l'interpretazione corretta del verso. «Non ci indurre alla tentazione» è una maniera giudaica per dire: «non lasciarci cadere nella tentazione di peccare». La frase successiva, «liberaci dal male», lascia intendere un'idea simile. Significa, «trattienici da fare il male», cioè, «fa che non cediamo alla nostra inclinazione malvagia, fa che non pecchiamo». Inoltre, proprio come una buona poesia può avere una molteplicità di allusioni, così «Liberaci dal male» può contenere l idea aggiuntiva della protezione dalla persona malvagia e dagli spiriti malvagi, e da tribolazioni e calamità. Le preghiere giudaiche dei tempi di Yeshua mostrano una consapevolezza della potenza del male che potrebbe sopraffare una persona. Nei Rotoli del Mar Morto sono state trovate delle preghiere che chiedono a Dio la liberazione dal potere del male. Un salmo non biblico recita: «al tashlet bi satan veruaḥ tum'ah», Non permettere a Satana o a uno spirito immondo di prendere il controllo su di me (11QPs XIX, 5). Questa richiesta implica qualcosa di più del semplice superare un desiderio peccaminoso. Uno deve vincere una potente forza malvagia e concreta che cerca di influire sulla sua vita. Consapevole della potenza del peccato, il salmista che ha composto un altro dei Salmi che sono stati scoperti nella Grotta 11 di Qumran e che era conosciuto anche in Siriaco, presenta 6

7 la sua zelante preghiera a Dio: «non condurmi in prove troppo difficili per me» - w e al tebî ēnî baqqāšôt mimmennî (11QPs 155, Colonna XXIV, linea 10). L'apostolo Paolo ha scritto: «Niuna tentazione vi ha còlti, che non sia stata umana; or Iddio è fedele e non permetterà che siate tentati al di là delle vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d uscirne, onde la possiate sopportare» (1Cor.10:13). L'autore del Salmo 155 (non biblico) ha riconosciuto la sua fragilità umana e ha chiesto di non essere condotto in alcuna prova che non fosse in grado di sopportare. Paolo ha specificato che Dio dà ad ognuno la forza di vincere la tentazione. Numerose preghiere rabbiniche contengono una richiesta d aiuto a Dio per resistere al potere del male. La benedizione che doveva essere recitata quando una persona si lavava la faccia al mattino, inizia con il ringraziare Dio per «aver rimosso i legami del sonno dai miei occhi», e continuava con una preghiera nella quale si chiedeva l aiuto di Dio per resistere alla tentazione. La preghiera è di Rabbi Giuda il Principe: «non farmi venire in potere del peccato, dell iniquità, della tentazione e della vergogna e piega la mia indole, perché ti sia sottomessa; allontanami da un uomo cattivo, da un compagno cattivo, e rendimi attaccato all indole buona Possa piacerti, o Signore nostro Dio e Dio dei nostri padri, di guidarci a camminare nei sentieri della tua Torah e stringerci ai tuoi comandamenti. Non indurci al peccato o alla trasgressione e all ingiustizia, o in tentazione o in disgrazia. Non permettere che l istinto del male abbia il controllo su di noi ma aiutaci a stringerci alle buone disposizioni e alle buone azioni, e piegare la nostra volontà per essere sottomessa a te» (T. Bab. Berachot 60b). Nel Talmud c è un altra preghiera, recitata prima di andare a dormire: «Possa piacerti, o Signore mio Dio di farmi giacere in pace, e darmi la mia parte della Tua legge. Istruiscimi a fare i tuoi comandamenti, e non permettere che io li trasgredisca. Non condurmi nella stretta del peccato, né nella stretta dell iniquità, né nella stretta della tentazione, né nella stretta della disgrazia. Possa l inclinazione al bene governare su di me. Possa l inclinazione al male non governare su di me, e liberami dal contatto con il male» (T. B. Berachot 60b) Flusser ha suggerito che molte di queste preghiere erano originariamente composte nella prima persona singolare, e dunque avevano un carattere più personale. In seguito, furono adattate per il culto pubblico e cambiate nella prima persona plurale per la preghiera collettiva. Il mondo sarebbe sicuramente un posto più felice se ognuno di noi pregasse giornalmente la Preghiera del Signore con convinzione e nella profonda comprensione del suo ricco retroterra giudaico: «Padre Celeste, allontanaci dal peccato e trattieni la nostra inclinazione malvagia! Possa questo trattenerci dal subire danni, e proteggerci dal male»! Arrendersi a Dio 7

8 «Non ci esporre alla tentazione ma liberaci dal maligno», si collega strettamente con le precedenti petizioni della preghiera del Signore a proposito del regno di Dio e dell esecuzione della sua volontà in cielo e in terra. Non meraviglia che i primi cristiani hanno riferito di aver usato questa preghiera al battesimo. La preghiera che Yeshua ha insegnato è quella di arrendersi alla volontà e al potere di Dio. Chi fa questa preghiera cerca il regno di Dio nella sua vita, e ha già perdonato coloro che gli hanno fatto un torto, e cerca il perdono dell Onnipotente. La richiesta della liberazione dalla tentazione e la protezione contro il male è la conclusione naturale di questa preghiera. La prima parte di questa petizione è una preghiera di essere allontanati dalla tentazione derivante dagli impulsi malvagi dell uomo. La seconda parte si riferisce alla forza del male che cerca di signoreggiare la volontà dell uomo ed influenzare la sua vita. 1 Vedi Shmuel Safrai, «The Jewish Cultural Nature of the Galilee in the First Century». Safrai ha fatto notare i seguenti saggi Galilei del primo secolo: Yohanan ben Zakkai, Hanina ben Dosa, Halafta, Hananiah ben Teradyon, Eleazar ben Azariah, Zadok, Elisha ben Avuyah, Yose ben Kismah, Ilai, Yohanan ben Nuri, Eleazar ben Parta, Eleazar ben Teradyon, Yose ben Tadai of Tiberias, Zakkai of Kavul, Yose ha-gelili, Abba Yose Holikofri of Tiv on. 2 Infatti, l intera Preghiera del Signore conserva un sapore eccezionalmente ebraico. Gli esempi di idiomi ebraici in questa preghiera sono: «il Padre che è nei cieli»; «la santificazione del nome»; «regno dei cieli»; «sia fatta la tua volontà»; «pane quotidiano»; «debiti» nel senso di peccati; «esporre alla tentazione» e «liberazione dal male». * Il presente studio è soggetto a revisioni e aggiornamenti 8

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