Il problema della definizione dell arte nella teoria storico-intenzionale

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1 Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi Dottorato di ricerca in Estetica e Teoria delle arti XX ciclo Settore scientifico disciplinare: M-Fil/04 Coordinatore: Prof. Luigi Russo Il problema della definizione dell arte nella teoria storico-intenzionale Tesi di: Filippo Focosi Tutor: Ch. mo Prof. Luigi Russo Co tutor: Ch. mo Prof. Salvatore Tedesco

2 INDICE Introduzione Definire l arte storicamente: la teoria di Jerrold Levinson I fondamenti teorici della definizione storica dell arte La definizione storico-intenzionale di Levinson: prima, seconda e terza versione Storicità e continuità dell arte I problemi di una definizione storico-intenzionale Obiezioni e repliche Risposte convincenti A) I POLLI DI JONES E I FILMATI DI MARIETTE B) INTENZIONE CATEGORIALE E INTENZIONE SEMANTICA C) FALSI PROBLEMI, FALSI D AUTORE E FALSI ARTISTI Risposte incerte A) NON BASTA IL PENSIERO B) LA QUESTIONE DELLA CORRETTEZZA E DELLA COMPLETEZZA DEI MODI DI CONSIDERAZIONE ARTISTICI C) MARS ATTACKS D) OPERE D ARTE E ARTEFATTI No comment Risposte deboli A) IL PROBLEMA DELLE PRIME OPERE D ARTE B) TRADIZIONI REMOTE, MONDI LONTANI C) LO SCOPO DELL ARTE D) NELLA MENTE DELL ARTISTA Processo alle intenzioni E allora? Le teorie storiche dell arte di Carroll, Carney e Stecker La teoria delle narrazioni storiche di Noel Carroll A) CHE COSA E ARTE? B) ARTE COME CONVERSAZIONE C) IL METODO DELLE NARRAZIONI STORICHE D) IL PROBLEMA DELLE ORIGINI La teoria stilistica di James Carney A) STILE E PROPRIETA ESTETICHE B) STILE GENERALE E STILE INDIVIDUALE C) LA TEORIA STILISTICA DELL ARTE... 85

3 D) ALCUNE OBIEZIONI Carroll, Carney e Levinson Il funzionalismo storico di Robert Stecker A) HA ANCORA SENSO CERCARE DI DEFINIRE L ARTE? B) LA NOZIONE DI FUNZIONALISMO C) LA DEFINIZIONE STORICO-FUNZIONALE DELL ARTE Perché la definizione di Stecker non funziona A) I PROBLEMI DELLA DEFINIZIONE STORICO-FUNZIONALE DELL ARTE B) FRANKENSTEIN JUNIOR C) COSA CI INSEGNA DAVVERO LA STORIA? Ritorno alle origini Il centro naturale dell arte L arte in una prospettiva transculturale Liste, griglie, grappoli Le origini dell arte L essenza estetica dell arte Le proprietà estetiche A) LA NATURA DELLE PROPRIETA ESTETICHE B) LO SPETTRO DELLE PROPRIETA ESTETICHE Esperienza, piacere, valore A) I PRINCIPI DELL ESPERIENZA ESTETICA B) LA DUPLICE NATURA DEL PIACERE ESTETICO C) VALORE ESTETICO E VALORE ARTISTICO Definire l arte dal punto di vista estetico A) I DESIDERATA DI UNA DEFINIZIONE ESTETICA DELL ARTE B) RICHARD & RICHARD I dilemmi di una definizione estetica dell arte A) TROPPO INCLUSIVA O TROPPO ESCLUSIVA? B) DUCHAMP: DENTRO O FUORI? C) OGGETTIVITA O SOGGETTIVITA DELLE PROPRIETA ESTETICHE? Giudicare l arte storicamente Dalla storia all opera Dall opera alla storia A) RIMODELLARE L ESPERIENZA B) ESTENDERE L ESPERIENZA C) INNALZARE L ESPERIENZA D) R. S. V. P Bibliografia

4 Introduzione Uno dei principali problemi intorno ai quali l estetica analitica anglo-americana ha dato un contributo teoretico particolarmente cospicuo e originale è quello della definizione dell arte. La tradizione estetologica occidentale infatti, pur non trascurando del tutto la questione, non ne ha fatto un campo privilegiato di riflessione, né le ha riservato uno specifico ambito di indagine. Trascurando le riflessioni sull arte che sono state prodotte prima della costituzione dell estetica come disciplina autonoma, possiamo infatti dire che dal Settecento in poi c è stata un unica definizione dell arte in Occidente, vale a dire quella formulata da Batteux nel 1746 e che identifica l arte con l imitazione della bella natura 1. Ciò non significa che non siano state proposte altre teorie sul significato dell arte; la storia della filosofia dimostra piuttosto una grande mobilità di idee al riguardo. Tuttavia ogniqualvolta ciò è stato fatto, la dimensione definitoria dell arte non ha assunto uno spazio specifico, ma è stata inscritta in un contesto più ampio non solo del problema della classificazione delle opere d arte (il quale è stato collegato alle questioni relative alla verità dell arte, allo statuto ontologico delle opere, ecc.), ma anche dell arte stessa (la quale è solo una parte, seppure esemplare, dell estetica intesa come disciplina che studia le condizioni di possibilità di una conoscenza sensibile). L estetica analitica ha invece trattato il problema della definizione dell arte separatamente dagli altri problemi, cercando di articolare delle risposte il più possibile plausibili alla domanda su cosa sia un opera d arte, ovvero su come facciamo a distinguere un opera d arte dagli altri prodotti dell agire umano. Tale insularità della ricerca estetica dei filosofi inglesi e americani può essere vista come una caratteristica negativa del metodo analitico, in quanto indice di un riduzionismo limitante e parcellizzante l estetica si riduce a filosofia dell arte, la quale a sua volta si riduce allo studio di settori (la definizione dell arte, le caratteristiche specifiche delle singole discipline artistiche, le proprietà estetiche di un oggetto, e via dicendo) ciascuno dei quali viene trattato a parte e isolatamente dagli altri. In tal modo la filosofia analitica rischia di perdere il nesso che collega tra loro le varie problematiche 1 Charles Batteux, Les Beaux-Arts Reduits a un meme principe (1746), trad. it. (a cura di E. Migliorini, I. Torrigiani, F. Vianovi) Le belle Arti ricondotte ad unico principio, Aesthetica, Palermo 2002 (la prima ed. it. è del 1983), p

5 inerenti all arte e più in generale all estetica, con ciò privandosi della possibilità di una loro vera e approfondita comprensione 2. Lo stesso fenomeno presenta però anche degli aspetti indubbiamente positivi. Innanzitutto, concentrandosi di volta in volta su oggetti specifici e applicando ad essi il metodo dell analisi logica, i filosofi analitici riescono a decifrare aspetti degli oggetti e del nostro modo di relazionarci ad essi ai quali altrimenti non presteremmo attenzione. In secondo luogo, con l aver preso come oggetto privilegiato (sebbene non unico) della loro indagine il problema della definizione dell arte, i filosofi analitici si sono mostrati estremamente ricettivi nei confronti della realtà artistica del XX secolo. A partire dalla fine dell Ottocento e fino a buona parte del Novecento (soprattutto la prima metà) una serie di fattori il profondo rivolgimento che ha attraversato tutte le forme artistiche e che ha avuto il suo culmine nelle Avanguardie di inizio secolo, la comparsa di nuove forme d arte come la fotografia e il cinema, la progressiva costituzione della critica d arte come disciplina di primaria importanza ha rimesso in discussione alcune delle categorie filosofiche tradizionali (come quelle di imitazione, di bellezza, di gusto) sulle quali la tradizione estetologica si è eretta, o quantomeno ne ha messo in discussione la possibilità di utilizzo in ambito artistico. La filosofia analitica ha raccolto il guanto di sfida lanciato dalle arti, e ha intrapreso, per mano di un numero consistente di autori, prevalentemente inglesi e americani, il compito di cercare di ri-definire il concetto di arte alla luce degli stravolgimenti dell epoca contemporanea. Il primo autore ad aver proposto, all interno di tale tradizione di pensiero, una definizione moderna di arte è stato Clive Bell, il quale rimase profondamente colpito dall avvento dell arte astratta (come pure il suo amico Roger Fry, col quale condivise la duplice attività di critico e filosofo) e pubblicò nel 1914 un testo intitolato Art, contenente una definizione formalista di arte secondo cui un oggetto è un opera d arte se e solo se possiede la proprietà della forma significante 3. Bell aveva in mente principalmente le opere d arte visiva, e per forma significante egli intendeva quindi quell insieme di relazioni di linee e colori tale da produrre nello spettatore un tipo particolare di emozione, da lui chiamata emozione estetica 4. Tale teoria aveva il merito di catturare il significato dell arte astratta, ma presentava due evidenti difetti. In primo luogo, 2 Di questo avviso è Stefano Velotti, come si evince da S. Velotti, Estetica analitica: un breviario critico, Aesthetica Preprint, Palermo Clive Bell, Art, Chatto & Windows, London Nel formulare la sua teoria formalista dell arte, Bell fu sicuramente influenzato dalle analoghe riflessioni contenute in Roger Fry, An Essay in Aesthetics (1909), trad. it. Un saggio di estetica, in F. Di Giacomo, C. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell opera d arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2008, pp Fry riteneva che l opera d arte (visiva), attraverso l unità e la varietà dei suoi elementi formali (linea, massa, spazio, chiaroscuro, colore), fosse in grado di comunicarci emozioni diverse (ovvero le emozioni estetiche) da quelle ordinarie e tali da trasportarci dal piano della vita reale a quello della vita immaginativa. 2

6 essa è circolare, in quanto la forma, per poter essere descritta come significante, rimanda alla nozione di emozione estetica, la quale a sua volta è descritta da Bell come la reazione appropriata alla percezione della forma significante stessa. Inoltre, essa è palesemente restrittiva, dal momento che esclude dal novero delle opere d arte (visiva) tutti i dipinti figurativi (o nel caso migliore ne decreta l artisticità per il solo effetto delle proprietà formali possedute e indipendentemente, anzi nonostante, il loro contenuto rappresentativo). Circa vent anni dopo la pubblicazione di Art un altro filosofo inglese, Robin G. Collingwood, elaborò nei suoi The Principles of Art una definizione di arte che cercava di superare le aporie contenute nella teoria del suo predecessore 5. Secondo Collingwood lo scopo dell arte è l espressione di emozioni, dove per espressione egli intende il processo attraverso il quale l artista rende chiara, a sé e al pubblico che contempla l opera, le proprie particolari emozioni. Tale teoria ha il merito di dar conto di movimenti artistici (come l espressionismo, ma non solo) che non si lasciano ridurre all astratta realizzazione e percezione di pure composizioni formali, ma risulta anch essa troppo restrittiva (dal momento che non tutte le opere d arte esprimono emozioni, o nascono per questa esigenza), se non eccessivamente audace Collingwood arrivò a sostenere, in sintonia con Croce (al quale la sua teoria rimanda in più punti), che l opera d arte è un entità che esiste solo nell immaginazione, e che le opere concrete non sono che una semplice traccia di cui possiamo servirci per ricostruire mentalmente la vera opera d arte; ipotesi, questa, quanto meno dubbia e decisamente poco condivisa. Ma la vera svolta si ebbe nel 1956, quando con la pubblicazione di The Role of Theory in Aesthetics Morris Weitz mise in discussione la legittimità dell idea stessa di definire l arte 6. In disaccordo con quanto dichiarato da Bell, secondo il quale o tutte le opere d arte visiva possiedono qualche qualità comune, oppure quando parliamo di opere d arte farfugliamo 7, Weitz sostenne che non esistono proprietà comuni a tutte le opere d arte, visiva e non; ciò significa che non esistono condizioni necessarie e sufficienti all artisticità. Tale affermazione venne presentata non come un inferenza induttiva ricavata dal fallimento delle teorie tradizionali, ma come una verità logica: l arte è indefinibile in quanto essa è un concetto aperto, che deve includere in se stesso la possibilità dell innovazione e della creatività, che sono caratteristiche costitutive del concetto di arte e che sarebbero inibite qualora si cercasse di chiudere tale concetto entro un numero limitato e fisso di condizioni. Come facciamo allora a stabilire se un oggetto è o meno 5 Robin G. Collingwood, The Principles of Art (1938), Oxford University Press, Oxford Morris Weitz, The Role of Theory in Aesthetics (1956), ora in A. Neill e A. Ridley (a cura di), The Philosophy of Art: Readings Ancient and Modern, McGraw-Hill, New York 1995, pp Clive Bell, Art, cit., pp

7 un opera d arte? La risposta di Weitz è contenuta nella teoria delle somiglianze di famiglia (ripresa da Wittgenstein), secondo cui esistono tra le opere d arte dei fasci di somiglianze che si intersecano e si sovrappongono, allo stesso modo in cui i membri di una famiglia rimandano ad altri per alcune caratteristiche (ad es. gli occhi), ad altri membri per altri tratti somatici (la forma del viso), e via dicendo, senza che vi sia un tratto posseduto da tutti e soli i membri di tale famiglia 8. Non si tratta allora di applicare un criterio predeterminato per stabilire l artisticità di un oggetto, ma di prestare attenzione e vedere se esso possiede o meno un numero soddisfacente di caratteristiche rilevanti e possedute da opere d arte considerate paradigmatiche e indiscusse, e di decidere in base a tali somiglianze se l oggetto possa o meno essere considerato un opera d arte 9. Sulla scia dell articolo di Weitz, anche altri autori si convinsero dell impossibilità (teoretica) e dell inutilità (pratica) del progetto definitorio: secondo questi autori, le definizioni tradizionali possono essere usate solo come indicazioni circa quali aspetti vanno tenuti in considerazione, accanto ad altri, nella classificazione delle opere d arte, la quale rimane un operazione fondamentalmente intuitiva (ovvero non guidata da regole ferree) 10. Nonostante l iniziale successo, anche la teoria di Weitz prestò il fianco a numerose (e per lo più inconfutabili) critiche. Innanzitutto, Weitz sembra confondere il piano dell arte in quanto attività con quello dell arte in quanto insieme dei prodotti di tale attività, ovvero delle opere d arte: dall eventuale chiusura di queste ultime in un concetto definito, ovvero in un insieme di condizioni necessarie e sufficienti, non deriva logicamente l impossibilità dell innovazione e della creatività dell operare artistico. Riguardo poi alla teoria delle somiglianze di famiglia, due punti vanno sottolineati. Il primo è che se non si specificano quali e quante siano le somiglianze (con le opere paradigmatiche del passato) rilevanti ai fini dell identificazione di un opera d arte, quest ultima operazione rischia di sconfinare nell arbitrarietà. Il secondo e decisivo punto è stato rilevato da Maurice Mandelbaum nel 1965 in un articolo altrettanto importante e influente, dal titolo Family Resemblances and Generalizations Concerning the Arts 11. In quest articolo Mandelbaum accusò Weitz di aver male interpretato l idea wittgensteiniana delle somiglianze di famiglia. Ciò che infatti ci permette di stabilire se una certa persona è un membro di una data famiglia non è tanto il fatto che egli possieda o meno 8 M. Weitz, The Role of Theory in Aesthetics, cit., pp Ivi, p Vedi William E. Kennick, Does Traditional Aesthetic Rest on a Mistake?, Mind 67 (1958), pp ; P. Ziff, The Task of Defining a Work of Art, Philosophical Review 62 (1953), pp ; W. B. Gallie, Art as an Essentially Contested Concept, Philosophical Quarterly 6 (1956), pp Maurice Mandelbaum, Family Resemblances and Generalisations Concerning the Arts (1965), ora in A. Neill e A. Ridley (a cura di), cit., pp

8 lo stesso taglio degli occhi e la stessa forma della bocca del padre o di un fratello (caratteristiche, queste, che egli potrebbe condividere anche con persone con lui in nessun modo imparentate), quanto piuttosto il fatto di possedere lo stessa origine genetica, ovvero lo stesso DNA. Tradotto in termini artistici, ciò significa che, pur non essendoci proprietà manifeste comuni a tutte le opere d arte, possono esistere delle proprietà non manifeste che fungano da nucleo condiviso e imprescindibile di ogni oggetto che si vuole classificare come opera d arte. Tali proprietà possono essere di vario tipo; ciò che conta è che esse sono di tipo relazionale, ovvero riguardano la relazione tra le opere d arte e determinate caratteristiche non esibite ma egualmente reali (come l intenzione dell autore, le istituzione sociali, la tradizione storica, e via dicendo). L articolo di Mandelbaum non fu meno influente di quello di Weitz, in quanto fu capace di ridar vigore al progetto definitorio, facendolo rinascere su direttive diverse da quelle su cui si erano poggiate le teorie tradizionali: mentre queste si basavano sulla presunta esistenza di caratteristiche intrinseche e manifeste, ovvero direttamente osservabili, comuni a tutte le opere d arte, i nuovi difensori di tale progetto si misero alla ricerca di proprietà comuni ma nascoste, in quanto costituite dalla relazione delle opere con elementi non direttamente osservabili ma rilevabili per mezzo di una conoscenza sociale, culturale e storica. Il primo a muoversi in questa direzione fu Arthur C. Danto, il quale nell ormai noto The Artworld scrisse che per riconoscere che un oggetto è un opera d arte abbiamo bisogno di un qualcosa che l occhio non può cogliere un atmosfera di teoria artistica, una conoscenza di storia dell arte: un mondo dell arte 12. Danto giunse a tale conclusione dopo essersi posto la domanda su come possiamo distinguere un oggetto comune da un opera d arte; domanda sollecitata da un numero consistente di opere d arte del Novecento. Se Fountain di Duchamp o i Brillo Boxes di Warhol erano percettivamente indiscernibili da dei comuni orinatoi o dalle scatole di pagliette saponate che si usano per pulire le pentole, ciò che rendeva le prime delle opere d arte non poteva infatti che essere un elemento non percettivo, e quindi, in accordo con Mandelbaum, non manifesto, che Danto identificò col mondo dell arte, termine destinato ad avere una gran fortuna negli anni a venire. Danto non fornì però indicazioni sufficienti circa l esatta natura del mondo dell arte (che per lui comprendeva a vario titolo la storia, la critica e la filosofia dell arte), e ciò non gli permise di formulare una vera e propria definizione dell arte (il che peraltro non era nemmeno nelle sue intenzioni). Tale compito venne assunto invece da un altro autore, George Dickie, il quale caratterizzò in termini marcatamente sociali 12 Arthur C. Danto, The Artworld (1964), ora in A. Neill e A. Ridley (a cura di), The Philosophy of Art: Readings Ancient and Modern, McGraw-Hill New York 1995, p

9 il mondo dell arte, che venne da lui concepito come una vera e propria istituzione, comprendente un certo numero di persone (artisti, critici, galleristi, curatori di mostre, appassionati) e regolata da un insieme di procedure storicamente sedimentate di presentazione di un dato oggetto (l opera) a determinate persone (il pubblico) per conto di certi individui (i galleristi, i curatori e soprattutto gli artisti stessi). I ready-made duchampiani o le scatole Brillo di Warhol hanno mostrato come la presentazione di un oggetto da parte di persone deputate a farlo, secondo una serie di procedure standard e entro un contesto adeguato, fossero caratteristiche essenziali al conferimento dello status di artisticità all oggetto stesso. Su tale base Dickie ritenne quindi di poter formulare una definizione compiuta di arte, che prende il nome di definizione istituzionale, secondo cui un oggetto è un opera d arte in senso classificatorio se e solo se (1) è un artefatto (2) a un insieme di aspetti del quale è stato conferito lo status di candidato all apprezzamento da parte di una o più persone le quali agiscono per conto di una determinata istituzione sociale (il mondo dell arte) 13. La teoria istituzionale sancì il cambio di rotta, prefigurato da Mandelbaum, della ricerca filosofica di una definizione dell arte. Essa tuttavia non si mostrò in grado di condurla all approdo finale e decisivo. Più di un problema ne minò infatti sin da subito la validità, e uno in particolare risultò decisivo in tal senso. Dickie definisce infatti l opera d arte nei termini di una istituzione (il mondo dell arte), la cui identità è definita dal potere di conferire ad un oggetto lo status di opera d arte: i due concetti (opera d arte e mondo dell arte) si richiamano a vicenda, e la definizione risulta essere circolare. Egli è in realtà disposto a concedere che la sua definizione sia accusata di circolarità, a patto che si specifichi che non si tratta di circolarità viziosa, dal momento che la descrizione del mondo dell arte contiene una quantità di informazioni che non rimandano al concetto di opera d arte. Anche questo punto è però piuttosto discutibile. Le persone che compongono il mondo dell arte sono individuabili in quanto hanno il potere di conferire lo status di candidato all apprezzamento a un oggetto; tale atto non è però formalizzato in una serie di norme o codici precisi, ma si riduce al generico atto di presentazione di un opera ad un pubblico. Tali descrizioni non ci permettono dunque di distinguere l istituzione artistica da altri tipi di istituzioni sociali (come lo stato, il diritto o la chiesa, le quali peraltro sono più rigidamente strutturate); a tal fine è necessario rimandare all oggetto del conferimento di status, vale a dire all opera d arte, il che non permette di far uscire la definizione istituzionale da una circolarità che si rivela irrimediabilmente viziosa. Inoltre, se non si specificano i criteri che guidano la presentazione 13 George Dickie, Art and the Aesthetic: An Institutional Analysis, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.) 1974, p

10 dell opera o il tipo di apprezzamento richiesto (Dickie ci tiene a specificare che si tratta di un generico apprezzamento che non va confuso con la valutazione estetica), l atto di conferimento di status appare arbitrario (qualsiasi oggetto può divenire in tal modo un opera d arte, indipendentemente dalle sue proprietà intrinseche) ed elitario (ciò che conta ai fini della classificazione delle opere d arte è in ultima analisi il potere che una ristretta cerchia di persone possiede in virtù del loro status sociale). Le difficoltà incontrate dalla teoria istituzionale hanno portato alcuni a riprendere il sentiero tracciato dalle teorie tradizionali dell arte. Tra questi spicca il nome di Monroe C. Beardsley, uno dei più importanti filosofi analitici in ambito estetico. Beardsley, che nei suoi primi lavori si è mostrato non particolarmente interessato al problema della definizione dell arte, ha proposto agli inizi degli anni Ottanta una definizione che possiamo chiamare estetico-funzionale, la quale afferma che un oggetto è un opera d arte se è stato prodotto con l intenzione di renderlo capace di soddisfare un interesse estetico, ovvero l interesse per il carattere estetico dell esperienza che tale oggetto (in virtù delle sua costituzione intrinseca) produce nello spettatore 14. La definizione appena enunciata è estetica, in quanto il termine estetico compare esplicitamente; il che la differenzia in parte dalle definizioni tradizionali, nelle cui enunciazioni primarie tale termine non è presente, sebbene esso sia necessariamente implicato (l imitazione ha per oggetto la bellezza, che è una proprietà estetica; la forma diviene significante se è in grado di procurare un emozione estetica in chi la percepisce; la stessa emozione che l artista vuole esprimere diviene un emozione estetica una volta che il processo di chiarificazione artistica è completo). Inoltre essa è funzionale, in quanto la condizione che ci permette di classificare un oggetto come opera d arte è che esso soddisfi (o meglio, sia inteso per soddisfare) una determinata funzione, vale a dire la produzione di un esperienza estetica soddisfacente. La definizione di Bearsdley riporta l attenzione sull opera d arte, sulle sue proprietà intrinseche e sull esperienza che in base a queste essa è in grado di produrre; il che le permette di evitare le problematiche legate al concetto di mondo dell arte. Essa però non è al riparo da possibili obiezioni fino a che non si dia una valida caratterizzazione del concetto di esperienza estetica (senza la quale si rischia anche qui di incorrere in un circolo vizioso); compito, questo, che non è meno difficile di quello di definire i concetti di bellezza e di emozione estetica. Se anche ciò fosse possibile (come lo stesso Bearsdley ritiene, sulla base delle ricerche da lui stesso effettuate a più riprese sull argomento), rimarrebbe comunque sempre il problema della ristrettezza di una 14 Monroe Beardsley, An Aesthetic Definition of Art (1983), in H. Curtler (a cura di), What is Art?, Haven, New York 1983, p

11 definizione basata su concetti chiusi (come quello di esperienza o interesse estetici) i quali fanno appello a proprietà manifeste dell oggetto. Di fronte alle difficoltà incontrate dalla teoria istituzionale ci sono stati però anche autori che, piuttosto che tornare sui sentieri già battuti delle teorie estetiche, hanno cercato di elaborare definizioni basate ancora su proprietà di tipo relazionale (come suggerito da Mandelbaum e Danto). Affinché le suddette difficoltà fossero superate era necessario però cambiare i termini delle relazioni essenziali. Ciò è quanto ha fatto Jerrold Levinson, il quale a partire dalla fine degli anni Settanta si è impegnato nella messa a punto di una definizione in cui l opera d arte fosse individuabile attraverso la relazione non già con una istituzione sociale (il mondo dell arte), quanto con la storia dell arte passata e recente. Levinson sostiene infatti che un oggetto è un opera d arte se è stato creato per essere percepito e valutato nello stesso modo in cui precedenti e riconosciute opere d arte sono state percepite e valutate. In altre parole, ciò che è arte oggi non può prescindere da ciò che è stato considerato come arte (nel passato), ma anzi è legato ad esso da una relazione di continuità che ne giustifica l attribuzione dello status di artisticità. La sua definizione, detta storico-intenzionale, rappresenta una terza via, a metà tra le teorie istituzionali e quelle estetiche. Delle prime essa riprende l idea che l arte debba essere definita attraverso il ricorso a proprietà relazionali; con le seconde condivide l attenzione per i modi appropriati di fruizione delle opere d arte, che sono più importanti delle procedure che attribuiscono loro un determinato status sociale. A dire il vero Levinson non intende specificare quali siano tali modi appropriati, come fanno invece Beardsley (il quale li identifica con l interesse estetico) o i suoi predecessori (Bell e Collingwood); pertanto la definizione storico-intenzionale pende maggiormente dalla parte della teoria istituzionale che non verso le teorie estetiche. Ciò non toglie tuttavia che la proposta di Levinson si differenzi in maniera significativa da quella di Dickie (e indirettamente di Danto), e parte della differenza sta proprio nel recupero di un contatto con il nostro concreto rapporto con la storia e con le opere (ovvero con qualcosa che l occhio può cogliere, a differenza di quanto sostenuto da Danto). L originalità e l importanza della teoria di Levinson è confermata dal fatto che a partire da essa sono state successivamente elaborate altre teorie definitorie basate sui medesimi concetti di storicità e continuità dell arte. Tali teorie (in special modo quella di Levinson) sono state inserite in un fitto dibattito di obiezioni e contro-obiezioni tipico della tradizione analitica e che testimonia di come l interesse verso di esse sia stato consistente e duraturo. Ciò che manca è forse una ricognizione del percorso compiuto da tali teorie, che ne metta a fuoco i rapporti e le differenze con le altre teorie, i relativi pregi e difetti, e in ultimo le capacità 8

12 esplicative nei confronti della realtà artistica (passata e presente). L intento del presente lavoro di ricerca è quindi quello di percorrere fino in fondo la via aperta dalla teoria storicointenzionale, analizzandone i fondamenti teorici e tenendo conto anche delle diramazioni che in tempi più recenti si sono formate a partire dalla direzione principale nonché degli ostacoli disseminati lungo la via, con la speranza di raggiungere infine l agognato traguardo di una definizione coerente ed esaustiva dell arte. 9

13 CAPITOLO PRIMO Definire l arte storicamente: la teoria di Jerrold Levinson Jerrold Levinson affronta diffusamente la questione della definizione dell arte principalmente in quattro saggi: Defining Art Historically (1979), Refining Art Historically (1989), Extending Art Historically (1993) e The Irreducible Historicality of the Concept of Art (2002). Quest ultimo è più che altro una difesa di quanto esposto nei precedenti articoli, nei quali l autore elabora una definizione detta storico-intenzionale dell arte, formulandola in maniera chiara e precisa, analizzando i termini che la costituiscono e approfondendo i concetti filosofici implicati in essa. Inizierò quindi col ripercorrere l esposizione e l analisi terminologica e concettuale della definizione di Levinson contenute nei suddetti articoli, procedendo però per nuclei tematici anziché in ordine cronologico. 1.1 I fondamenti teorici della definizione storica dell arte La domanda su che cosa fa di un oggetto un opera d arte è, secondo Levinson, la più venerabile in estetica 15. Tuttavia, come i neo-wittgensteiniani (Weitz, Ziff, Kennick) hanno a più riprese sottolineato, le risposte che sono state finora fornite a tale domanda hanno tutte fallito il loro obiettivo, in quanto hanno cercato di definire l arte in termini di caratteristiche intrinseche comuni alle opere d arte, incorrendo alternativamente nelle accuse di ristrettezza, tendenziosità, inflessibilità, vaghezza o circolarità 16. Le osservazioni critiche di Weitz e compagni non hanno comunque impedito che si sviluppassero nuove definizioni dell arte, ma hanno comportato in queste un cambio di direzione: dalla ricerca di proprietà intrinseche e oggettivamente osservabili si è passati all identificazione dell artisticità di un oggetto con il suo essere in relazione nel modo corretto con l attività e il pensiero umani Jerrold Levinson, Defining Art Historically (1979), ora in Id., Music, Art and Metaphysics, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.) 1990, p. 3. Dove non è indicato il nome del traduttore, le traduzioni dei testi citati sono mie. 16 Ibid. 17 Ivi, p

14 La prima e principale teoria che ha compiuto tale inversione di tendenza è stata la teoria istituzionale dell arte, adombrata da Arthur Danto e sviluppata da George Dickie. Levinson ravvisa due problemi fondamentali in questa teoria, che si aggiungono a quelli che abbiamo sintetizzato nell introduzione. Innanzitutto, essa considera l arte esclusivamente nei termini di un attività consapevole di se stessa, socialmente collocata e dichiarata, in quanto implica che il produrre opere d arte debba necessariamente comprendere una cerimonia sociale (il conferimento di status di candidato all apprezzamento da parte del mondo dell arte), negando così ad una persona che agisca isolatamente e al di fuori di qualsiasi contesto sociale la possibilità di essere un artista. Inoltre, la teoria istituzionale specifica solo il modo in cui un oggetto debba essere presentato o trattato affinché esso diventi un opera d arte, ma non ci dice nulla su cosa l artista debba prevedere che venga fatto col suo prodotto da parte di potenziali spettatori, ovvero non chiarisce in che modo l artista richiede che il suo oggetto venga considerato e apprezzato. La sfida consiste quindi, secondo Levinson, nel trovare una definizione che, pur mantenendo il presupposto da cui muove la teoria istituzionale, ovvero che le condizioni necessarie e sufficienti all artisticità siano da ricercare in proprietà relazionali anziché intrinseche, sappia risolvere i problemi in cui tale teoria inevitabilmente incorre, ovvero sappia dar conto tanto della possibilità dell esistenza di un arte isolata dalle pratiche e dalle istituzioni sociali, quanto dell importanza dei modi di considerare e di apprezzare l opera richiesti dal suo autore, senza che vi sia con ciò bisogno di fornire un elenco finito e qualificato di tali modi questo tentativo, come è stato notato, è destinato al fallimento, data l impossibilità di individuare una singola e unitaria attitudine o modo di considerazione estetico comune a tutte le maniere in cui ci accostiamo alle opere d arte 18. Il concetto di arte, sostiene Levinson, è diverso dal concetto di qualsiasi altro tipo di oggetto che ci circonda (ad es. automobili, sedie, persone), in quanto esso non è definibile in termini di caratteristiche intrinseche, nemmeno flessibili 19. Ciò è particolarmente evidente se si riflette sulla varietà delle produzioni artistiche della seconda metà del Novecento: dopo le esperienze dell arte concettuale, del minimalismo e di performance di vario genere, si può a ragione affermare che oggi ogni cosa può essere arte 20. Tuttavia, questo non vuol dire che oggi ogni cosa è arte 21 : è sempre possibile individuare un qualcosa in comune tra opere (come le Demoiselles d Avignon di Picasso, la sinfonia Eroica di Beethoven o le Odi di Saffo) 18 Ivi., pp Ivi, p J. Levinson, Refining Art Historically (1989), ora in Id., Music, Art and Metaphysics, cit., p Ibid. 11

15 corrispondenti a concezioni artistiche distanti tra loro, e che ci permetta di tracciare una distinzione tra ciò che è arte e ciò che non lo è 22. Questo minimo comun denominatore tra le opere d arte di epoche, stili e culture differenti è da rintracciare, secondo Levinson, nella connessione con l arte precedente: l arte nuova è arte in virtù della sua relazione con l arte del passato non troppo recente, e l arte del passato non troppo recente è arte in virtù della sua relazione con l arte del passato più remoto 23. Di che tipo è tale relazione? Secondo Levinson la connessione con l arte del passato può essere determinata in tre modi: 1) creando qualcosa che sia esteriormente simile alle opere d arte precedenti ; 2) creando qualcosa che sia stato inteso per procurare lo stesso tipo di piacere/esperienza che precedenti opere d arte hanno procurato ; 3) creando qualcosa che sia stato inteso per essere considerato o trattato nel modo in cui sono state considerate o trattate precedenti opere d arte 24. La prima opzione corrispondente alla teoria delle somiglianze di famiglia di Weitz è palesemente inutilizzabile, dal momento che ogni cosa potrebbe essere esteriormente simile a qualche opera d arte del passato sotto qualche aspetto 25. La seconda opzione è più promettente, ma anch essa fallisce in quanto: a) i piaceri/esperienze derivati dall arte possono essere procurati anche attraverso esperienze non artistiche (in linea teorica, il piacere/esperienza che proviamo ascoltando un quartetto di Beethoven potrebbe essere uguale a quello che ci procura l ingerimento di una determinata droga); b) ciò che contraddistingue le opere d arte è la maniera in cui queste producono i loro piaceri/esperienze, ovvero le modalità di interazione tra la persona e l opera. Tale opzione, nel porre l accento esclusivamente nel piacere/esperienza procurato dall opera, evidenzia solo il carattere passivo della ricezione, laddove è più corretto pensare che l artista, nel proporre la sua opera a dei potenziali spettatori, sia intenzionalmente orientato a stimolare una percezione attiva in essi 26. Non rimane quindi che la terza opzione: l unica connessione possibile con l arte del passato è di tipo storico-intenzionale. Il contenuto dell attuale concetto di arte è nient altro che ciò che l arte è stata : pertanto, in una definizione dell arte dovrà figurare il corpo dell arte del passato preso come base indiscutibile e non-problematica 27. Allo stesso tempo, dato che l invocazione intenzionale (esplicita o implicita) all arte del passato e ai suoi modi di ricezione è sempre stata (da sola o accanto a caratteristiche funzionali o formali) 22 J. Levinson, Extending Art Historically (1993), ora in Id., The Pleasures of Aesthetics, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.) 1996, p J. Levinson, Defining Art Historically, cit., p Ivi, pp Ivi, p Ibid. 27 Ivi, pp

16 un elemento essenziale dell arte, dovrà anch essa necessariamente figurare in una siffatta definizione 28. Perciò, pur concordando con la teoria istituzionale sul fatto che la proprietà essenziale dell arte sia una proprietà relazionale non-esibita, Levinson si propone di cambiare i termini di tale relazione: laddove quella parla di conferimento di status di candidato all apprezzamento all interno di un contesto istituzionale costituito da più individui, egli pone l intenzione di un individuo socialmente indipendente; laddove Dickie fa dipendere tale conferimento di status dall esclusivo e oscuro mondo dell arte, Levinson collega l intenzione individuale alla concreta ed evidente storia dell arte La definizione storico-intenzionale di Levinson: prima, seconda e terza versione Date tali premesse, Levinson propone di definire l arte nella seguente maniera: X è un opera d arte se e solo se X è un oggetto che una o più persone, aventi il legittimo diritto di proprietà su X, intendono fermamente che venga considerato-come-un opera-d arte, ovvero considerato in un qualsiasi modo (o modi) in cui precedenti opere d arte sono o sono state correttamente (o uniformemente) considerate 30. Alcuni termini della definizione richiedono un approfondimento. Innanzitutto, con l avverbio fermamente Levinson chiarisce che l intenzione dell autore dell opera non può essere accidentale o momentanea, bensì deve essere stabile e duratura. La condizione del diritto di proprietà impedisce invece ai curatori e agli organizzatori di eventi artistici di trasformare a loro piacimento oggetti qualsiasi in opere d arte (il che è invece consentito agli artisti, ovvero a coloro che operano, anche solo concettualmente, su materiali di loro proprietà; che poi il risultato di tali operazioni sia classificabile come arte è un qualcosa che va verificato facendo riferimento alle altre condizioni contenute nella definizione) J. Levinson, Extending Art Historically, cit., p J. Levinson, Defining Art Historically, cit., p Ivi, pp Ivi, pp La condizione del diritto di proprietà segna una prima presa di distanza dalla teoria istituzionale (stando alla quale un gallerista, qualora scoprisse dei dipinti realizzati da una persona che opera al di fuori di qualsiasi cornice istituzionale e li esponesse in una galleria d arte, con ciò li trasformerebbe in opere d arte diventando egli stesso il gallerista, non l autore un artista: vedi Dickie, Art and the Aesthetic, cit., pp. 45-6). 13

17 Il senso del verbo considerare, specifica Levinson, comprende anche i verbi trattare, recepire, valutare, avere a che fare con e simili 32. L avverbio correttamente non può essere sostituito con le espressioni comunemente o in modo soddisfacente : se così fosse, infatti, nell ipotetico caso in cui si scoprisse che alcuni ritratti del Rinascimento possono efficacemente essere usati come isolatori termici e tale uso si diffondesse, dalla definizione seguirebbe che qualsiasi oggetto successivamente prodotto che sia stato inteso per essere usato come isolatore termico sarebbe un opera d arte, il che è palesemente assurdo 33. Alcuni esempi di modi di considerare correttamente un opera d arte sono il prestare attenzione alla forma, l avere apertura emotiva, l essere consapevoli dei significati simbolici 34. Levinson aggiunge che i modi di considerazione menzionati nella sua definizione devono essere, oltreché corretti, anche integrali, ovvero devono essere insiemi relativamente completi di tali modi, e non modi singoli e isolati: altrimenti, infatti, perfino dei segnali stradali potrebbero diventare delle opere d arte, dal momento che sono stati intesi (anche) per essere considerati in una delle maniere (come l attenzione al colore) in cui precedenti opere d arte (ad esempio i dipinti impressionisti) sono state correttamente considerate. Data tale precisazione, appare chiaro che i segnali stradali non possono essere opere d arte, in quanto l attenzione al colore è solo uno dei modi di considerazione che nell insieme costituiscono un approccio corretto e adeguato ad un opera d arte in riferimento alle opere pittoriche, tale insieme dovrebbe comprendere anche l attenzione ai dettagli, la consapevolezza del background artistico e culturale, la conoscenza dello stile, la sensibilità alla struttura formale e all effetto espressivo, la percezione degli aspetti rappresentativi 35. Con l espressione intendere che Levinson dichiara di indicare l atto di fare, adattare o concepire allo scopo di, giustificando in tal modo l esistenza di molta arte concettuale 36. L inclusione dell intenzione come condizione necessaria in una definizione dell arte spiega il motivo per cui nell arte ogni cosa passa, ma non ogni cosa assolve la sua funzione 37 e 32 J. Levinson, Extending Art Historically, cit., p J. Levinson, Defining Art Historically, cit., p J. Levinson, Refining Art Historically, cit., p Ivi, pp J. Levinson, Defining Art Historically, cit., p Ivi, p. 24. Il testo originale è in art anything goes, but not everything works. Non è facile tradurre esattamente il termine works. Ho optato per un espressione che collegasse il valore dell opera (perché è di questo che implicitamente si parla) alla sua capacità di assolvere una specifica funzione (identificata per lo più con la produzione di un esperienza estetica soddisfacente), come vogliono le teorie funzionali dell arte, le quali considerano tale assolvimento come una condizione necessaria dell artisticità di un oggetto. D altronde, come è stato sottolineato a più riprese da Stephen Davies, tale concezione del valore artistico non è proprio solamente delle definizioni valutative come quelle funzionali (ad esempio Beardsley), ma è condiviso anche da definizioni descrittive (che non includono cioè considerazioni di merito tra le condizioni necessarie e sufficienti 14

18 chiarisce il carattere descrittivo, ovvero puramente classificatorio e non valutativo, della definizione storica. Difatti, se da un lato non ci sono limiti riguardo al tipo di oggetto sul quale una persona possa indirizzare un intenzione artistica, dall altro lato l intenzione non basta a garantire che tale oggetto si integri nella maniera desiderata con i modi di considerazione relativi ad opere precedenti alle quali esso rimanda: l interazione tra le caratteristiche del presente oggetto e i modi di considerazione propri dell arte del passato che sono stati intenzionalmente invocati talvolta soddisfa immediatamente, talvolta solo dopo un intervallo. Talvolta siamo scioccati e sconvolti, ma quando ci riprendiamo siamo illuminati. Talvolta siamo spinti con forza ad adottare nuovi modi di considerazione, e a lasciarci dietro quelli vecchi. Ma talvolta siamo semplicemente confusi, annoiati, irrimediabilmente infastiditi. In questi casi abbiamo sì delle opere d arte, ma queste opere d arte non operano come tali 38. Vi sono, secondo Levinson, tre tipi di intenzioni che possono realizzare la condizione (intendere che venga considerato-come-un opera-d arte) espressa nella definizione. Il primo tipo equivale all intendere consapevolmente che qualcosa venga considerato nello specifico modo (o modi) in cui alcune determinate opere (o classi di opere) d arte sono state correttamente considerate ( specific art-conscious intention ); il secondo tipo equivale all intendere consapevolmente che qualcosa venga considerato in uno (o più) qualunque dei modi in cui una qualsiasi delle opere d arte del passato è stata correttamente considerata ( non-specific art-conscious intention ); il terzo tipo equivale all intendere che qualcosa venga considerato in uno specifico e particolare modo caratterizzato in termini di proprietà intrinseche, laddove tale modo risulta in effetti essere uno dei modi in cui alcune opere d arte del passato sono state correttamente considerate, sebbene tale coincidenza si verifichi all insaputa di chi ha avuto quell intenzione ( art-unconscious intention ) 39. Quest ultimo tipo, che corrisponde ad una interpretazione trasparente della nozione di intenzione, concede la possibilità di essere artisti anche a persone totalmente ignoranti tanto della storia delle opere d arte quanto dei movimenti e delle istituzioni artistiche; i primi due tipi sono accomunati invece in una interpretazione opaca della nozione di intenzione 40. Nel caso dell interpretazione trasparente, la persona che si rivolge intenzionalmente a un determinato all artisticità) come quelle di Dickie e di Levinson ( Stephen Davies, Definitions of Art, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.) 1991). 38 J. Levinson, Defining Art Historically, cit., pp In questo caso ho preferito tradurre work con operare, allo scopo di rendere il gioco di parole espresso nel testo originale ( in such cases we have artworks, but such works don t work ). 39 Ivi, p Ibid. 15

19 insieme di modi di considerazione senza avere in mente nessuna particolare opera o genere o movimento artistico, è un artista se tali modi di considerazione si rivelano nei fatti essere gli stessi modi in cui opere d arte del passato sono state correttamente considerate: le intenzioni sono allora dette intrinseche 41. Nel caso dell interpretazione opaca, una persona realizza un opera d arte in quanto si riferisce intenzionalmente ai modi di considerazione relativi a determinate opere d arte passate, senza necessariamente specificare tali modi: le intenzioni sono qui dette relazionali 42. Statisticamente parlando, aggiunge Levinson, le intenzioni intrinseche rappresentano l eccezione (si pensi ai casi dei pittori naïf, come Henri Rousseau), mentre per lo più abbiamo a che fare con intenzioni relazionali, in special modo nell arte moderna e contemporanea, la quale è profondamente riflessiva e auto-referenziale. Inoltre, spesso i due tipi di intenzione coesistono: in tal caso, ciò che garantisce all oggetto la sua artisticità è l intenzione relazionale, la quale risulta quindi prevalente su quella intrinseca. Per chi vede le intenzioni come entità psichiche inafferrabili, una definizione intenzionale dell arte può apparire problematica. Tuttavia, secondo Levinson è sempre possibile ricostruire sulla base delle caratteristiche esteriori dell oggetto, del suo contesto di produzione, del genere a cui appartiene, delle dichiarazioni (sia private che pubbliche) dell artista, dell intero corpus delle opere dell artista, ecc. le intenzioni che governano un determinato oggetto e stabilire se esse sono o meno delle intenzioni artistiche 43. In realtà, anche quando decidiamo che qualcosa è un opera d arte in virtù di determinate somiglianze esteriori e manifeste con opere d arte riconosciute del passato operiamo con una nozione intenzionale di arte, in quanto da queste somiglianze e dalla considerazione del contesto sociale e culturale in cui esse si presentano inferiamo l intenzione, da parte dell autore dell opera in questione, che la sua opera venga considerata nello stesso modo in cui tali opere d arte del passato sono state correttamente considerate 44. Pertanto, si può formulare il seguente test di artisticità: se il presunto artista non ammette di avere l intenzione che la propria opera venga considerata nello stesso modo in cui precedenti opere d arte sono state correttamente considerate, e se noi, in quanto spettatori ai quali l artista si rivolge, non rintracciamo alcuna base per attribuire all autore una siffatta intenzione, allora egli non ha prodotto un opera d arte; se invece il presunto artista non dichiara in alcun modo di fare arte, ma ciononostante intende, in modo 41 J. Levinson, Refining Art Historically, cit., pp Ibid. L intenzione relazionale contempla, come abbiamo visto poc anzi, anche il caso in cui nemmeno le opere siano specificate: l importante è che vi sia comunque una consapevolezza dell autore dell opera riguardo al fatto che questa sia posta in relazione con opere o modi (non specificati) riconosciuti come paradigmatici per l arte del passato. 43 Ivi, p J. Levinson, Extending Art Historically, cit., pp

20 opaco o trasparente, che un determinato oggetto venga considerato nella maniera in cui precedenti opere d arte sono state considerate, allora egli sta sicuramente creando un opera d arte 45. Esattamente dieci anni dopo la prima formulazione della definizione storico-intenzionale dell arte, Levinson ne elabora una seconda versione, nella quale si fa esplicito riferimento alla dimensione temporale del concetto di arte: X è un opera d arte al momento t se e solo se X è un oggetto di cui è vero al momento t che una o più persone, aventi il legittimo diritto di proprietà su X, intendono fermamente che X venga considerato-come-un opera-d arte ovvero, considerato in uno (o più) qualsiasi dei modi in cui opere d arte esistenti in un momento precedente t sono o sono state correttamente (o uniformemente) considerate 46. Questa nuova versione permette a Levinson di dar conto di due situazioni altrimenti difficilmente giustificabili. Innanzitutto, essa concede che un oggetto, pur non essendo un opera d arte al momento della sua creazione fisica, possa diventarlo in un momento successivo, in virtù del sopraggiungere di un intenzione artistica che ne modifichi lo statuto ontologico: è il caso dei ready-made di Duchamp, i quali, come dice la parola stessa, sono oggetti già fatti, cioè sono stati materialmente prodotti molto tempo prima del raggiungimento del loro status artistico quest ultimo essendo dovuto all intenzione che Duchamp proietta su tali oggetti e che è testimoniata dall averli esposti in rassegne artistiche. Inoltre, la seconda versione della definizione storica dell arte comprende anche il caso, peraltro abbastanza raro, in cui una persona, nel creare un oggetto Z al momento t, intende fermamente che Z venga considerato in un modo di considerazione non ancora disponibile, in quanto non riconosciuto durante il percorso che la storia dell arte ha compiuto fino a t; secondo la nuova versione della definizione, Z, pur non essendo un opera d arte al momento t, può diventare un opera d arte in un momento t 2 successivo a t se al momento t 2 si verifica che i modi di considerazione richiesti per Z dal suo creatore sono entrati a far parte della tradizione artistica. Ovviamente, prima del sopraggiungere del momento t 2 non si può dire nulla circa l artisticità di Z: difatti, un oggetto non può essere dichiarato un opera d arte 45 J. Levinson, Refining Art Historically, cit., pp J. Levinson, Defining Art Historically, cit., p

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