REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ROMA TERZA SEZIONE CIVILE composta dai seguenti magistrati: Edvige Verde -

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ROMA TERZA SEZIONE CIVILE composta dai seguenti magistrati: Edvige Verde - Presidente - Diego Pinto - Consigliere - Antonella Miryam Sterlicchio - Consigliere rel. - pronuncia la seguente sentenza nella causa civile in grado d'appello iscritta al n R.G. Cont. anno 2006 TRA C.G. con l'avv. M.M. che la rappresenta e difende per procura in atti Parte appellante E G.M. con l'avv. G.F. che lo rappresenta e difende per procura in atti Parte appellata E A.M. S.p.A. in persona del l.r.p.t., con l'avv. F.M. che la rappresenta e difende per procura in atti Parte appellata Oggetto: appello avverso sentenza del Tribunale di Roma, n /2005. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L'appellante impugna la sentenza di cui in epigrafe del seguente testuale tenore: "Con atto di citazione del , notificato il , C.G. conveniva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, il Dr. M.G. al fine di sentir accertare e dichiarare che l'errato intervento oftalmico patito dalla attrice era avvenuto per fatto e colpa esclusivi del convenuto e sentir condannare il medesimo Dr. G. all'integrale risarcimento, a favore dell'attrice, dei danni tutti dalla stessa patiti. Si costituiva in giudizio il convenuto che contestava domanda attrice e nel contempo evocava in giudizio, ai fini della malleva, la Comp. M.A. che si costituiva contestando la domanda. In corso di istruttoria veniva espletata Ctu. La causa, sulle conclusioni delle parti, veniva trattenuta in decisione all'udienza del MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda attrice è infondata e, pertanto, non può trovare accoglimento. In via di principio va osservato che la responsabilità del professionista, per i danni subiti da

2 un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, ha, in ogni caso, natura contrattuale e la relativa disciplina deve rinvenirsi nelle norme che regolano la responsabilità in esecuzione di un contratto di opera professionale (art c.c. e ss.). A tal riguardo va considerato, altresì, che la limitazione di responsabilità professionale ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell'art c.c., attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, che trascendono la preparazione media (Cass. n del 1995), ovvero perché la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza, o non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare (Cass. n del 1995). Non può, quindi, ravvisarsi detta limitazione nelle ipotesi di imprudenza e di negligenza, dovendosi così ritenere che la responsabilità sussista anche per cola lieve quando per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione, provochi un danno nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica. Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio, incombe al paziente l'onere di provare, anzitutto, il nesso causale tra l'evento lesivo della.sua salute e la condotta del professionista (Cass. n del 2000 e, una volta raggiunta detta prova, al fine di andare esenti da responsabilità, che l'insuccesso dell'operazione non è dipeso da un difetto di diligenza Cass. n del 1996; Cass. n del 1997; Cass. n del 1995). Ove, poi, venga invocato il più ristretto grado di colpa di cui all'art cc., si deve fornire la prova che la prestazione implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, mentre incombe al paziente danneggiato provare quali siano state le modalità di esecuzione ritenute inidonee (Cass. n del 1998; Cass. n del 1974). Tanto premesso, nel caso di specie deve ritenersi accertato, in base alle risultanze di causa e, in particolar modo, in forza delle condivisibili risultanze della c.t.u., logicamente motivate sulla scorta di congruo ed esaustivo accertamento medicolegale, che - come riferisce il Ctu - non è possibile stabilire dalla disamina ex post degli atti sanitari mostrati al Ctu, se nel corso dell'esecuzione dell'intervento de quo siano state adottate tutte le precauzioni che le conoscenze scientifiche dell'epoca e lo stato della paziente richiedevano in conformità alle

3 metodiche medico - chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica non essendo presente nel fascicolo attoreo la cartella clinica o documento equivalente relativa alla descrizione dell'atto operatorio in questione, documentazione questa che l'attrice aveva l'obbligo di produrre, sempre rispettando i termini perentori di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c.. (= Imputet sibi -) vanificando l'operato del Ctu. Ne consegue, pertanto, che la pretesa attorea va rigettata e conseguentemente anche la domanda di chiamata in causa. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di lite tra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando disattese ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: Rigetta sia la domanda proposta dall'attrice C.G. nei confronti del convenuto G.M. che quella di chiamata in causa da parte di quest'ultimo nei confronti della M.A. S.p.A. e dichiara compensate le spese di lite tra tutte le parti." Lamenta l'appellante l'erroneità della sentenza con cui il Tribunale ha respinto la domanda risarcitoria proposta poiché il Giudice di prime cure avrebbe invertito l'onere della prova ritenendo che fosse la danneggiata a dover fornire la dimostrazione del nesso causale esistente tra la condotta del professionista e l'evento lesivo della salute derivatone. Assume che, viceversa, spetta al danneggiato di allegare l'inadempimento contrattuale ed al professionista di fornire la prova della non imputabilità di questo, ai sensi dell'art. 1218, c.c.. Né appare corretta l'affermazione secondo cui l'attrice avrebbe dovuto produrre in giudizio la cartella clinica tenuto conto che l'intervento operatorio in esame non ne richiede la compilazione e che, comunque, qualunque mezzo istruttorio poteva essere utilizzato dalla C.. Si duole, infine, che le richieste istruttorie sono state rigettate senza motivazione. In ogni caso, laddove dall'eventuale imperfetta tenuta della cartella clinica derivi l'impossibilità di trarre utili elementi di valutazione in ordine alla correttezza della prestazione medica, le conseguenze di ciò non possono riverberarsi sul danneggiato stante il principio della "vicinanza della prova". Aggiunge che, comunque, il consulente tecnico d'ufficio nominato dal Tribunale ha ritenuto che il danno riportato dalla C. è conseguenza dell'intervento chirurgico eseguito

4 dal G. e, pertanto, risulta acquisita la prova della fondatezza della sua domanda seppure attraverso presunzioni grave precise e concordanti. Assume, infine, che il medico odierno appellato non ha adempiuto neppure all'obbligo di raccogliere dalla paziente il consenso informato sicché, pure in mancanza di colpa medica relativa all'esecuzione dell'intervento, ciò costituisce un autonomo titolo di responsabilità, tanto più che il consulente ha affermato che il metodo "Lasik" non era l'unica opzione chirurgica praticabile ed inoltre che trattandosi di intervento eseguito per lo più per ragioni estetiche, poteva anche non essere eseguito in quanto non necessario. Conclude chiedendo che il G. venga condannato al risarcimento del danno alla salute provocato dalla sua colpa professionale, ivi inclusa quella relativa al consenso informato, nella misura di Euro ,00, ovvero in via equitativa, con interessi e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento delle spese sostenute per eseguire l'intervento che ha riparato il danno pari ad Euro ,00, oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria delle spese del doppio grado. In via subordinata, chiede l'ammissione delle prove già domandate in primo grado. Si costituisce l'appellato G. e, nell'aderire alla doglianza della C. relativa all'errata applicazione delle regole sull'onere della prova da parte del Tribunale, deduce di aver chiesto di fornire la prova dell'asetticità dell'ambiente in cui l'intervento è stato eseguito, stante l'assunto dell'attrice che in primo grado aveva sostenuto di aver contratto un'infezione oculare a causa dell'assenza di sterilità dello studio presso il quale il G. l'aveva operata. Criticata la perizia medico - legale poiché il consulente non indica la causa del danno e dichiara di non conoscere, nonostante la sua specializzazione in oculistica, il G. (uno dei massimi esperti in ambito europeo di chirurgia refrattiva); evidenziato che il perito, nello stesso contesto, afferma che la C. "fortunatamente" ha sostenuto il trapianto delle due cornee eseguito da un "chirurgo esperto" (lo stesso G.) che ha riparato il danno derivato dal primo intervento, afferma di aver raccolto il consenso informato - che in questo caso non richiede la forma scritta - e che la C. fu accompagnata all'intervento di correzione della miopia con il metodo Lasik dal dr. C.,

5 suo oculista di fiducia, il quale vi partecipò. Assume che se il Tribunale avesse ammesso le sue richieste istruttorie sarebbe stato in grado di dimostrare che l'infezione contratta dalla C. non è derivata dall'intervento ma da una "pseudomonas", batterio che ha colpito la paziente nella fase post operatoria. Conclude chiedendo, in via principale, il rigetto dell'appello e, in via subordinata, previa ammissione delle richieste istruttorie ed espletamento di nuova consulenza tecnica da parte di un perito della branca di microchirurgia oculare refrattiva. Con vittoria delle spese di lite del doppio grado. Si costituisce la A.M. e chiede il rigetto dell'appello. Con il favore delle spese. All'udienza del la causa è stata trattenuta in decisione, con concessione del termine di giorni venti per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per le repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello non appare fondato e, pertanto, non merita d'essere accolto. Va premesso che "in tema di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura, la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile".(cass. 975 del 2009) Questa Corte, pertanto, ritiene di condividere la decisione del Tribunale in ordine al rigetto della domanda seppure sulla scorta di ragioni differenti da quelle esposte nella sentenza di primo grado. Va osservato, infatti, che non appare configurabile - né in linea generale né nel caso concreto - alcun obbligo del danneggiato di depositare in giudizio la cartella clinica. Sia per la ragione che, come nel caso di specie, alcuna cartella clinica è stata né doveva essere compilata, sia perché il danneggiato ben può dimostrare il suo assunto facendo ricorso ad altri mezzi istruttori. Né ci si può

6 esimere dal rilevare l'inammissibilità per tardività di tutte le questioni sollevate dall'appellante con riferimento al consenso informato delle quali non vi è traccia in primo grado e che, pertanto, non possono essere proposte per la prima volta in grado d'appello, ex art. 345, c.p.c.. Venendo al motivo d'appello che attiene alle richieste istruttorie, pure se ne deve dichiarare l'inammissibilità poiché risulta che in sede di precisazione delle conclusioni all'udienza del , la C. anziché insistere per l'ammissione dei mezzi istruttori, ha domandato che la causa fosse "assunta in decisione". Sicché la sola prova della fondatezza della domanda dovrebbe risiedere nell'esito della Ctu che, per vero, contiene delle valutazioni tutt'altro che condivisibili poiché discetta in ordine alla scelta del tipo di intervento da praticare, quando questa non è stata contestata dalla C. che si lamenta non della metodica prescelta ma, seppure in modo generico, delle modalità di esecuzione. Né può trascurarsi di considerare che il perito, pur specializzato in oftalmologia, mostra di non conoscere la fama internazionale dell'appellato, particolarmente esperto proprio nel campo della microchirurgia refrattiva, come dimostrato anche dalla documentazione depositata in atti. Il che, se in astratto parrebbe poter essere non rilevante, in concreto desta non poche perplessità sull'attendibilità del perito tenuto conto che costui ha affermato "il trattamento prescelto richiedeva ovviamente una specifica competenza professionale di tipo ultraspecialistico, ma non è possibile sapere se questa fosse in possesso dell'oftalmochirurgo operatore in questione". In ogni caso va rilevato che il perito, dopo aver affermato che "non è possibile stabilire" se nel corso dell'esecuzione dell'intervento in questione sono state adottate tutte le precauzioni richieste, giunge all'apodittica conclusione in ordine all'esistenza di rapporto causale tra l'operato del chirurgo ed i postumi patiti dalla C., senza fornirne la benché minima spiegazione. Fatte queste premesse e ritenuto che, pertanto, neppure dalla disposta consulenza tecnica è emerso alcun nesso di causalità tra il danno riportato dalla C. e l'opera professionale prestata dal G., non resta che confermare la pronuncia del Tribunale atteso che la C. non ha fornito la prova del fatto costitutivo della domanda.

7 Ed invero, emerge dalla documentazione depositata in atti dall'attrice sin dal primo grado che la C. ha contratto un'infezione oculare da "pseudomonas fluorescens" che le ha provocato la distrofia corneale, successivamente curata con una cheratoplastica perforante (cf. cartella clinica, allegato 5 all'atto di citazione). Il G., già in primo grado, aveva eccepito che la predetta infezione era la causa del danno riportato dalla C. e che era stata contratta durante il decorso post operatorio e, quindi, in ambiente diverso da quello in cui l'intervento era stato eseguito. Nell'atto di appello la C. non fa minimo cenno all'infezione oculare in questione neppure per attribuirne la responsabilità all'operato del chirurgo. Le spese del primo grado, in mancanza di appello incidentale, restano regolate dalla sentenza del Tribunale. Non resta che condannare l'appellante alla refusione delle spese di lite, in favore delle appellate, nella misura liquidata nel dispositivo che segue. P.Q.M. definitivamente pronunciando; ogni contraria istanza ed eccezione reietta; respinge l'appello; condanna l'appellante alla refusione delle spese di lite nella misura che liquida in Euro 3.500,00 di cui Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 2.300,00 per onorari, oltre Iva e Cap, in favore di ciascuna parte appellata. Così deciso in Roma, il 20 luglio Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2011.

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