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1 o m w w ISSN w. i l r i b e l l e. c Mensile Anno 5, Numero 40 Poste It. Spa. Sped. in abb. post. DL 353/03 (conv. in L n 46 27/02/2004) art.1 comma1 aut.171/2008 Rm. Anno 5 - numero 40 - Gennaio 2012 Lo Monaco: MOSSA 2: STOP CONSUMI Fini: Il 2011DOVE E CAMBIATO TUTTO Zamboni: ALTRO CHE COMPLOTTISTI Menconi: GLOBALIZZAZIONE DEL KANSAS CITY Rifiuti: SCORIE RADIOATTIVE Fondatore Massimo Fini Direttore responsabile Valerio Lo Monaco

2 IN QUESTO NUMERO EDITORIALE LA VERSIONE di Fini sul 2011 di Massimo Fini Io comincerei dalla Libia perché è la settima guerra d'aggressione che le democrazie occidentali fanno da quando è scomparso il contraltare... EDITORIALE E ORA stop consumi di Valerio Lo Monaco Èun termine con il quale è necessario fare i conti. Meglio: è un termine che al giorno d'oggi indica una condizione decisamente... EDITORIALE A PROPOSITO del complottismo di Federico Zamboni Dovrete avere un po di pazienza, stavolta. Soprattutto se siete di quelli che prediligono gli articoli incentrati su degli avvenimenti... Anno 5, numero 40, gennaio 2012 Fondatore: Massimo Fini Direttore Responsabile: Valerio Lo Monaco (valeriolomonaco@ilribelle.com) Capo Redattore: Federico Zamboni Redazione: Ferdinando Menconi, Sara Santolini (redazione@ilribelle.com) Art director: Alessio Di Mauro METAPARLAMENTO LA POLITICA? Non pervenuta di Alessio Mannino Fermare la crescita che produce il debito. Il debito pubblico non è un problema di cui sia stata sottovalutata... ANALISI INDIGNADOS nel mondo: dalla strada alla storia di Sara Santolini appena passato è stato caratterizzato dalle proteste del L anno nord-africa e poi da quelle che hanno interessato l Europa per poi... INTERVISTA SCORIE radioattive di Andrea Bertaglio Qual è la menzogna nucleare che dà il titolo al libro che ha recentemente pubblicato? C è una menzogna di fondo che è... Hanno collaborato a questo numero: Alessio Mannino, Davide Stasi, Andrea Bertaglio, Fiorenza Licitra Segreteria: Sara Santolini (sarasantolini@ilribelle.com) 340/ Progetto Grafico: Antal Nagy, Mauro Tancredi La Voce del Ribelle è un mensile della MaxAngelo S.r.l. Via Trionfale 8489, Roma, P.Iva Redazione: Via Trionfale 6415, Roma, tel. 06/ , fax 06/ , info@ilribelle.com Testata registrata presso il Tribunale di MOLESKINE INTERVISTA CLAUDIO Mutti di Fiorenza Licitra tra i Fedeli d Amore e il Tasawwuf, insieme alla poesia persiana indicata da Italo Pizzi come L analogia da Luigi Valli è un caso... CINEMA GLOBALIZZAZIONE del Kansas City di Ferdinando Menconi Zeffirelli non ha voluto Sordi nel suo video su Roma perché non era un personaggio internazionale, eppure l Albertone nazionale divenne... Rinnova il tuo Abbonamento Ora! Roma, n 316 del 18 Settembre Prezzo di una copia: 5 euro. Sito internet redazione@ilribelle.com www: Tutti i materiali inviati alla redazione, senza precedente accordo, non vengono restituiti. Chiuso in redazione il 16/01/2012

3 INTERVISTA La Versione di Fini sul 2011 di Massimo Fini Io comincerei dalla Libia perché è la settima guerra d'aggressione che le democrazie occidentali fanno da quando è scomparso il contraltare sovietico: prima guerra del Golfo, Somalia - che ci siamo dimenticati - Bosnia, Serbia (tutte cose, queste, risalenti a prima dell'1 settembre famoso) e poi dopo il 2001 c'è stata l'invasione e l'occupazione dell'afghanistan che dura tuttora e l'invasione e l'occupazione dell'iraq. E infine, appunto, l'attacco alla Libia. La cosa più drammatica è l'iraq, nel senso che come era straprevedibile, gli Usa se ne vanno ma hanno posto le basi per una guerra civile tra sunniti e sciiti. Un ottimo lavoro. Non gliene frega niente dei 750 mila morti - ne hanno avuti anche loro, beninteso, circa ma il punto è che gli è andata completamente in culo. È dall'ottanta che tutta la politica americana è anti iran. Da quando fermarono gli iraniani che stavano entrando a Bassora, per prendere la quale ciò avrebbe significato la caduta di Saddam e la riunione dell'iraq all'iran sciita (visto che è la stessa gente dal punto di vista etnico e religioso, oltre all'indipendentismo curdo iracheno). Ebbene oggi hanno di fatto consegnato proprio il nord dell'iraq all'iran: essendo una pseudodemocrazia (gli sciiti sono il 72% della popolazione, ovvero la maggioranza) adesso questi in pratica dipendono dai confratelli iraniani. Eterogenesi dei fini Un boomerang strepitoso che potrebbe essere ancora più devastante per gli Stati Uniti, se l'indipendentismo curdo, visto che i curdi adesso hanno una autonomia che assomiglia a una indipendenza, si dovesse trasmettere alla Turchia dove ci sono 12 milioni di curdi. In quel caso i curdi potrebbero contagiare la Turchia, che è il grande alleato degli americani nella regione: posizione strategica e partaerei naturale. Ecco perché, del resto, i curdi non sono mai stati aiutati sino a ora. Ma adesso il rischio c è.

4 La Clinton si è spesa molto, per la Turchia Gli Usa spingono affinché entri in Europa perché sarebbe la loro longa manus: non è una questione relativa ai musulmani, ma di far entrare ancora di più gli Stati Uniti in Europa. E poi la Libia L'attacco alla Libia, mascherato come al solito con motivi umanitari, in realtà è stata una aggressione per instaurare un protettorato occidentale, che ovviamente si spartiranno gli inglesi, i francesi e in parte gli americani. Poi, naturalmente, ci sono stati i motivi di carattere energetico: non vedo altre ragioni. La rivolta oltretutto è stata fomentata, come documentato, da agenti provocatori inglesi e francesi. I rivoltosi non sarebbero arrivati da nessuna parte perché è dimostrato che il dittatore non era isolato ma aveva una base assai consistente, altrimenti non si resiste il tempo che ha resistito lui. Afghanistan La terza cosa in politica estera, che ora sembra tacere perché è inverosimile, è che gli americani sono stati costretti a iniziare le trattative con il Mullah Omar in Afghanistan. Gli Usa non possono più restare per motivi economici, inoltre la missione si è dimostrata totalmente fallimentare (infatti i talebani hanno riconquistato l'80% del territorio). Ora, dunque, si verifica che il Mullah è diventato improvvisamente un talebano moderato: gli Stati Uniti sono ridotti a un punto tale che hanno chiesto l'aiuto, a un certo momento, quest'anno, persino dell'arci nemico Iran. Durante una riunione di tutti i paesi che occupano l'afghanistan - circa quarantacinque - sono stati invitati anche esponenti iraniani. L'Iran può essere molto utile per la risoluzione della questione afghana. Da questa vicenda verranno novità molto interessanti per il In Afghanistan però, quando gli Usa andranno via, ci saranno alcune differenze rispetto alla situazione irachena. In Iraq non c'è mai stato uno spirito nazionale (ci sono tre grandi popolazioni completamente diverse): l'iraq è una invenzione degli inglesi del 1930, in cui misero insieme, forzatamente, curdi, sciiti e sunniti.invece in Afghanistan saranno i soli afghani a vedersela tra loro. Noi abbiamo posto le basi per una guerra civile,ma lì sarà peggio,perché nel frattempo abbiamo armato oltre che Karzai e il suo esercito (che in ogni caso cadrà in ventiquattr'ore) anche diversi signori della guerra. Peraltro gli Usa vogliono andare via dall'afghanistan ma lasciare lì delle basi militari, mentre la prima condizione posta dal Mullah è proprio quella di non dover vedere più un solo soldato straniero nel territorio. In ogni caso la questione è aperta: da un lato gli Usa ingaggiano una lotta per ora diplomatica con l'iran, vedi le navi nello stretto di Hormuz, dall'altro lato gli chiedono aiuto per risolvere la questione afghana. E il tutto con operazioni ridicole: ancora nel 2011 è stato fatto morire Bin Laden - che in realtà era morto sette anni prima - proprio per iniziare questo lungo e tortuoso processo di exit strategy. Lasciando disastri ovunque, dietro di loro: vedi ad esempio la rivolta in Bahrein,dove naturalmente la repressione è stata lasciata libera di agire poiché in quel luogo vi risiede la V flotta statunitense. Ecco, lì i motivi umanitari non contano... Ma è in generale tutto il loro discorso a non tenere: la questione di civiltà che pongono è totalmente grottesca. Il loro grande alleato, ad esempio, l'arabia Saudita, è probabilmente l'unico dove veramente viene applicata la Sharia, eppure nessuno, negli Usa, si sogna di spendere neanche una parola sulla questione.

5 Primavera Araba La più vera di tutte, tra le rivoluzioni, è stata quella tunisina, dove i cittadini si sono liberati della dittatura in due giorni. Anche quella egiziana lo era, ma essendo rimasto, il Paese, sotto il comando dell'esercito che a suo tempo era agli ordini di Mubarak, ovvero degli Stati Uniti, in pratica adesso è lo stesso. E infatti gli egiziani, almeno una parte, non hanno smesso di protestare. È per molti insopportabile che una rivolta popolare si sia trasformata in un golpe militare. Ma esiste un filo rosso tra tutte queste rivolte? Probabilmente c'è ma io non riesco a coglierlo. Se si guarda ai Paesi vicini, per esempio la Tunisia, è chiaro che la rivolta sia stata causata dalla modernizzazione: è una rivolta dovuta alla disoccupazione intellettuale. L'ingegnere tunisino che si è dato fuoco lo ha fatto perché gli mancava il lavoro. Non è un fenomeno tanto lontano da noi. E le rivolte occidentali, se così possiamo chiamarle, tipo quella degli indignados? C'è evidentemente un comune denominatore, però questi movimenti, svolgendosi in paesi democratici, hanno grandissima difficoltà ad andare avanti, perché mentre è lecito buttare giù a cannonate il dittatore di turno non è lecito usare la violenza in una democrazia. Gli unici che davvero si stanno muovendo sul serio sono dei gruppi anarco insurrezionalisti, mentre invece ci vorrebbe una vera rivolta di popolo. Violenta, per la precisione. Non armata, ma certamente violenta, che spazzasse via la classe dirigente inguardabile che ci troviamo. La crisi La situazione non è risolvibile. Può essere tamponata con degli investimenti di denaro, o meglio, con immissioni di liquidità di denaro che ovviamente non rappresenta nulla, se non una ipoteca su un futuro talmente lontano dall'essere inesistente. Quindi prima o poi si arriva al collasso definitivo del sistema del denaro e del sistema industriale, che noi chiamiamo occidentale ma che oramai riguarda molti altri luoghi. La Russia ci è entrata da tanto tempo, ma anche i paesi emergenti, come Cina e India, ci sono dentro sino al collo. Loro hanno il vantaggio di aver cominciato dopo, quindi arriveranno dopo al muro invalicabile che segnerà il fatto che non possono più crescere, ma in ogni caso il gong suonerà anche per loro. È matematico. Futuro bruciato Si potrebbe andare a ripescare dichiarazioni non dico degli anni Ottanta, ma dei Novanta e oltre. Nel 2000 e persino dopo il crollo dei subprime ancora si sentiva parlare di un "futuro radioso". Ma non è questo il punto. Il fatto è che in paesi come l'italia, un uomo come Monti ha buon gioco a dire che se non si fosse fatta questa manovra non si sarebbe riusciti a pagare gli stipendi. È proprio il sistema che è sbagliato, basato sulle crescite infinite che esistono in matematica ma non in natura, partito da due secoli e mezzo fa e arrivato al suo limite. Un po' come una potente macchina, che arrivata davanti a un muro continua a dare gas finché non fonde. Invece di continuare e ostinarsi a crescere, visto che crescere non si può più, si dovrebbe iniziare a governare in modo ragionevole la decrescita.

6 Decrescita: adottata da tutti oppure non funziona Naturalmente, questo è il punto. Il sistema invece si basa sull'opposto, ovvero sulla competizione mondiale, sulla crescita, sugli investimenti, sulle infrastrutture. I popoli teoricamente diventano più ricchi ma nella realtà diventano più poveri. Costretti a decrescere, in ogni caso Certo, la classe media sino a ora era attaccata alla macina ma almeno poteva consumare. Adesso non può e non potrà fare più nemmeno quello, e dunque sarà costretta a decrescere. Ma una cosa è farlo in questo modo e una cosa invece è governare il movimento della decrescita. Perché quella di adesso più che decrescita è una recessione - di cui tutti parlano ma in realtà poco capiscono. È il fatto che poi tanta gente viene sbattuta fuori dal mondo del lavoro, e dunque non consuma, e dunque le imprese riducono ancora, e insomma il processo si avvita su se stesso. Solo che lo fa a velocità sempre maggiore. Come quando vedi un nastro: una volta arrivato alla fine torna indietro, solo che lo fa a velocità molto superiore. E questo succede se pretendendo di crescere ancora invece non si cresce e dunque si alimenta la disoccupazione. La recessione non sarà come un tornare a vivere come facevamo trenta anni fa, ma sarà un processo di una velocità estrema: questo è il crollo di tutto il modello di sviluppo che conosciamo. E nessuno è preparato. Nessuno (o quasi) osa parlare di decrescita. In una riunione recente con i gruppi di Uniti e Diversi di Chiesa e Pallante (e altri gruppi) ho proposto di fare una manifestazione comune sulla decrescita. Chiesa e Rossi si sono opposti dicendo che erano cose che non si potevano dire in questo modo. Che dire? C'è molto residuo di pensiero liberale e marxista. Scenari per il 2012? A breve termine, per un po', la cosa sarà lenta, quindi non verrà avvertita in modo traumatico, poi piano piano accelererà fino a diventare inarrestabile. Alla fine ci sarà gente che si riverserà nelle campagne alla ricerca di cibo, perché in città ci sarà meno lavoro, meno denaro, meno merce da poter acquistare, anche tra quella indispensabile. Solo che non è che ci siano poi tante campagne intorno. Insomma vedo una feroce lotta all'ultimo sangue, alla fine del processo. Tempi? Una volta pensavo che i tempi sarebbero stati lunghi. Data l'accelerazione che c'è, ora penso che nell'arco di 5-10 anni si arriverà a questo, Prepararsi? Certamente, un consiglio: acquistare terra e ritornare a saperla coltivare. E anche imparare a usare il kalashnikov, perché poi la gente arriverà dalle città e sarà una vera e propria lotta tra disperati. Basta pessimismo della ragione: cose positive? Il lato positivo sicuramente è che se la crisi economica si accentua ancora indurrà le persone a una maggiore solidarietà. È nelle situazioni di questo tipo di dramma che la solidarietà riappare e riaffiora rispetto all'individualismo. Esempio scemo: quando a Milano nevicò per tre giorni di seguito tutto

7 fu immobilizzato, e la gente si aiutò anche se non si era mai parlata pur vivendo fianco a fianco. Nella necessità si crea la solidarietà. Poi questa situazione indurrà anche quelli che non ci pensano (ora) al tipo di vita che facciamo anche quando tutto va bene: una crisi economica potrebbe suscitare una riflessione in persone che non l'hanno mai fatta, che sentono il disagio magari, ma non l'hanno mai razionalizzato. Insomma produci-consuma-crepa non è un mondo umano dunque è bene cercarne un altro. Meno lavoro e più occupazione (a fare altro) Pensiero in parte vero ma troppo ottimistico perché poi le occupazioni da fare in un sistema come questo, non è che ve ne siano molte. Discorso diverso, naturalmente, sarà quando tutto sarà cambiato. Tu ti sei preparato? No, io predico bene e razzolo male. Ma il punto è che non è questione che riguarda me, riguarderà i giovani, per loro sarà una grande opportunità, avranno le energie per ricominciare da capo. Chi avrà cinquanta o sessant'anni sarà fatto, non avrà possibilità di riciclarsi, ma per i giovani, ripeto, sarà una grande opportunità. Studiare agraria e fare un corso balistico In Afghanistan tutti sanno usare il kalashnikov, qui no. Però basta prendersi il porto d'armi e andare a un poligono di tiro, no?

8 EDITORIALE E ora stop consumi Al di là di sciocchi travisamenti, che pure sono arrivati in seguito a quanto avevamo scritto sullo scorso numero del mensile, proseguiamo come promesso in una disamina sia teorica sia pratica su una serie di comportamenti da cercare di adottare per prepararsi ad affrontare la lunga stagione di transizione che ci aspetta. Che questa sia una necessità ineluttabile è fuori discussione, almeno per noi. Che la nostra generazione e almeno quella immediatamente successiva vadano incontro al difficile compito di inventarsi un nuovo modo di vivere, dopo il crollo del nostro sistema di sviluppo per come lo conoscevamo e andando verso uno nuovo di cui ancora non si sanno bene i contorni, è cosa che solo un incosciente può evitare di prendere in considerazione. Tutto, o se non altro buona parte, si gioca sulla disposizione con la quale ci apprestiamo a vivere questa transizione, ovvero se ci poniamo in condizione di cercare di governarla, e se vogliamo abbracciarla, oppure se siamo costretti a subirla. Ma abbiamo bisogno di una ulteriore premessa e messa a punto. La volta scorsa abbiamo posto una domanda, non troppo retorica: "vale più la pena oggi investire per una automobile oppure per quattro biciclette per la famiglia?". Naturalmente non era solo una provocazione, e molto della risposta risiede, tra le altre cose, nel fatto che ad esempio nel momento in cui andiamo in stampa un litro di benzina costa 1.77 euro. Eppure c'è stato chi, nei commenti all'articolo che è stato ripreso da diverse testate on-line e ha avuto eco, per fortuna, anche in una serie numerosa di trasmissioni radiofoniche nazionali, ha commentato il tutto con frasi non molto edificanti.tra queste, una in particolare ci ha colpito: "mandacelo tu tuo figlio a scuola in bicicletta per essere schiacciato da un suv!" Il commento e la risposta sono superflui. Ma non lo è forse una precisazione: nessuno si è sognato di dare un consiglio del genere per soli motivi etici, del tipo lasciamo le automobili brutte e cattive e prendiamo la bicicletta, come un qualunque figlio dei fiori fuori stagione. Beninteso, il discorso etico da solo basterebbe anche, visto che alla madre di quei bambini si potrebbe ricordare che portando i figli a scuola in autodi Valerio Lo Monaco

9 mobile magari si evitano i rischi del traffico ai quali si sarebbe sottoposti andandoci sulle due ruote ma si continua a riempire i polmoni di quei bambini con le polveri sottili che poi si trasformeranno presumibilmente in tumori. Ma il punto è un altro: tra non molto, con buona probabilità, non si potrà proprio più scegliere se andare in automobile, o con altri mezzi che sono economico-dipendenti come per esempio dal petrolio, oppure meno. Il tutto sta a prepararsi mentalmente e ad abituarsi,appunto,al "nuovo" che sta arrivando, che lo si voglia o meno. Ma andiamo avanti. Tutto l'impianto teorico che abbiamo abbozzato e che porteremo avanti d'ora in poi su queste pagine (e in un progetto editoriale di più ampio respiro di cui parleremo più in là) si basa infatti sulla consapevolezza di andare incontro a un mondo molto differente da quello in cui vivevamo sino a qualche anno addietro e da quello che stiamo vivendo oggi. Chiaro che se si è dalla parte di chi in quel mondo ancora crede, se si è dalla parte di chi pensa che con le misure di austerity del nostro Paese, con quelle che il mondo intero ha preso per "uscire dalla crisi", si riuscirà a ritornare, o prima o poi, a ciò cui eravamo abituati, il discorso diventa superfluo e in fin dei conti anche irritante. Se si pensa che da una crisi di crescita si potrà uscire con ulteriore crescita - cosa creduta dalla maggior parte dei Paesi del mondo e portata avanti con perseveranza da quasi tutti - allora basterà accodarsi al gregge, subire supinamente le ricette che ci vengono imposte, e aspettare. Prima o poi, in ogni caso, si tireranno le somme. Per tutti gli altri invece vale certamente la pena prendere in considerazione strade alternative, alcune delle quali proviamo a delineare proprio con il nostro lavoro, come una sorta di "ragionamento a voce alta". Non ci sono libretti di istruzioni, ma una cosa è certa: si tratta di operare delle modifiche, anche radicali, al proprio modo di vivere. E di sperimentare qualcosa di nuovo, con inevitabili fallimenti ma si spera anche con risultati apprezzabili. Del resto siamo convinti che tra le due possibilità, attendere fiduciosi che dalla crisi si esca in questo modo, subendo nel frattempo tutto quello che attualmente subiamo e dovremo subire presto, oppure credere nell'incognita di creare e sperimentare un nuovo modello, al momento attuale sia molto più probabile sperare in un successo della seconda. È insomma a un vero e proprio atto fondativo al quale dobbiamo puntare. Modificare l'esistente per arrivare a un nuovo ordine. Operazione titanica sotto certi aspetti eppure non solo, a nostro avviso, indispensabile, ma anche in grado di suscitare, finalmente, la sana furia creatrice che è - o era - propria dell'uomo. Troppi anni dove tutto era già scritto e imposto. Legati alla macina della schiavitù di questo sistema, in una ipnosi collettiva che ci ha portato a esistenze sterili, anomiche e, al giorno d'oggi, anche alla verifica del fallimento di ciò che ci avevano promesso. Vale la citazione, ormai un mantra: cosa abbiamo da perdere, dunque, se non le nostre stesse catene? Proviamo a tagliare un altro anello, dunque. Una delle cose da fare, per chi già non lo avesse fatto, è rasare al suolo i consumi. Letteralmente. Non stiamo parlando solo di una riduzione volontaria e limitata del consumismo, ma di fatto di una reale, e quasi totale, soppressione dell'acquisto di tutto ciò che non "ci serve". Ci dispiace ovviamente per chi è nel settore del commercio, soprattutto nel settore del commercio del superfluo, così come, quando parliamo di non utilizzare l'automobile in favore di mezzi alternativi come la bicicletta o le proprie gambe, ci dispiace per i benzinai e per gli operai che a vario titolo lavorano nel settore e nell'indot-

10 to (non certo per i pretrolieri e per i Marchionne di turno). Ma bisogna pure che qualcuno lo dica chiaramente: è evidente che in un cambio di paradigma di questo tipo, molta parte dei lavori svolti dalle persone in diversi settori, ove legati al mondo del consumo, in un futuro non ci saranno più. Ed è altresì evidente che allo stato delle cose si deve pur dire senza ipocrisia che quel mondo è alla fine. E che noi non solo non vogliamo contribuire alla sua agonia "sostenendo l'economia", ma dobbiamo agire in prospettiva di ciò che sarà. E ciò che sarà, senza ombra di dubbio, non può, per motivi intuitivi, logici e aritmetici, oltre che etici, essere basato sul consumo. Quei lavoratori devono essere riconvertiti e riassorbiti in altri impieghi. Magari per produrre e vendere beni, o anche merci, purché siano beni. E infatti non è affatto detto che tutti i settori del commercio soffriranno e che si debba azzerare lo scambio di merci con denaro - anche se fino a che non saremo padroni del denaro, il commercio mediante il denaro, in ultima istanza, sarà sempre e solo e unicamente a vantaggio di chi ne è padrone: al momento, la BCE. Ma comunque nessuno si sogna di tornare al medioevo. Lo ridiciamo: nessuno si sogna di tornare al medioevo. Il punto è che ci sentiremo di appoggiare, e di aiutare - sì, di aiutare - un certo tipo di commercio. Un certo tipo di attività. E solo quelle. La maggior parte delle altre è giusto che vada in malora. Sinteticamente, per fare un esempio, solo uno: no all'acquisto di automobili, ma sì, se si può, a quello di impianti fotovoltaici. Insomma il punto è (o dovrebbe essere) chiaro. Torniamo a noi. La cosa più difficile, nel rasare al suolo i propri consumi superflui, è tutta di carattere mentale. Risiede, ovvero, nel fatto di modificare "il proprio immaginario" imparando a non essere più gratificati dall'acquisto di qualcosa. Il che è impresa difficile per molti, addirittura quasi impossibile per altri: pensiamo a chi già non ha altra attività di ricreazione e gratificazione di quella di andare in un centro commerciale a spendere (e sono moltissimi). Insomma la presa di coscienza di voler dire "mi basta ciò che ho" invece di "sempre di più": il discorso di Pallante e Latouche, tra alcuni. La crisi economica potrà offrire dei validi mezzi per raggiungere lo scopo, ad esempio la mera mancanza di denaro e l'impossibilità di indebitarsi ancora di più, ma naturalmente se non ci si deciderà a "scegliere" questa strada si patirà l'impossibilità di spendere come un disagio insormontabile.viceversa, ove si scegliesse di ridurre, la cosa avrà effetti quasi terapeutici per riscoprire una sobrietà e una giustezza di vita che sono poi il viatico per il nuovo paradigma del mondo che ci aspetta. E che ci auguriamo. Da dove iniziare? Suggeriamo un metodo curioso, dai risultati, spesso, insospettabili. Ed efficaci. Fate un inventario. Esattamente questo: un inventario di ciò che avete. Invece di passare una domenica in un centro commerciale (ammesso che tra i lettori del Ribelle vi sia qualcuno che lo fa, del che fortunatamente dubitiamo) o invece di passare un sabato e una domenica di depressione e angoscia per quello che ci aspetta, passateli a fare un inventario delle cose che avete dentro casa. E intendiamo proprio "cose", per di più concentriamoci proprio sulle merci, anche quando - meglio, soprattutto quando - queste non sono beni. È impressionante scoprire, dopo decenni in cui di riffa o di raffa abbiamo comunque vissuto in un modello consumista, quante cose, quanti oggetti, quante cianfrusaglie di vario tipo si sono accumulate negli anni. Quante paia di scarpe avete? Fuori di metafora e facili ironie: prendere in esame la quantità di roba che si ha è il punto di partenza per capire e convincersi che non ce ne serve altra. Conosciamo situazioni dove all'interno di

11 un nucleo familiare, di una singola abitazione, ci sono tre televisori. Quatto servizi di piatti. Cinque o sei caffettiere. E abiti e borse e scarpe tante quante non ce ne si riesce neanche a ricordare. Cose comprate e accumulate senza mettere a fuoco il disagio esistenziale che ci ha spinto ad accumularle, a consumare, a consumare ancora. Ribadiamo: facciamo un inventario. E prendiamo coscienza di quanto abbiamo accumulato. Inutilmente? Non del tutto, soprattutto in questo momento. Perché da oggi, se decideremo di non comperare più, qualche paio di scarpe in più ci servirà. Ma insomma è arrivato il momento di invertire la rotta. E capire, dopo appena un paio di mesi di "dieta ipo-consumistica", che in realtà per sopravvivere, di denaro ce ne serve molto meno di quanto immaginavamo. Ciò che serve, e non solo a sopravvivere ma anzi a vivere meglio, è invece soprattutto altro. Ma di altri passi da fare - e scoperte - parleremo passo passo. Valerio Lo Monaco

12 EDITORIALE A proposito del complottismo di Federico Zamboni Dovrete avere un po di pazienza, stavolta. Soprattutto se siete di quelli che prediligono gli articoli incentrati su degli avvenimenti specifici, con dei fatti da ricostruire e dei responsabili da identificare. O addirittura, per restare in tema, con delle rivelazioni più o meno scottanti, e scioccanti, da mettere nero su bianco, rigettando le versioni preesistenti e sostituendole con interpretazioni di tutt altro segno. Come nel caso dell Undici Settembre, ad esempio. «Tutto chiaro», afferma la Casa Bianca. «Gli attentati sono opera dei terroristi di al-qaeda.» «Non è chiaro per niente», replicano le controinchieste. «Semmai ne sono stati gli esecutori. Ma il resto è ancora da spiegare.» È arrivati a questo punto, che emerge il fenomeno che intendiamo affrontare. È nella reazione a catena che si innesca tra le due parti, e tra tutti quelli che a vario titolo si accodano all una o all altra, in un ansia crescente di screditarsi a vicenda. Fino ad andare molto al di là della questione di cui si discute e a irrigidire il dissidio in una contrapposizione assai più ampia, e impossibile da superare. «Troppe incongruenze», denunciano i sostenitori delle tesi alternative. «E questo significa una sola cosa: siete in malafede. Mentite sapendo di mentire.» La risposta può essere stringata o minuziosa, ma ruota puntualmente sul medesimo assunto. Che si riassume in una sola parola, lanciata come una condanna definitiva e inappellabile: «Complottisti». Il significato è palese, ma vale la pena di ribadirlo. E di metterne a fuoco i riflessi. In questa accezione negativa i complottisti sono quelli che travolti dalla loro personale fissazione secondo cui dietro la realtà apparente si celerebbero dei poteri occulti impegnati a perseguire scopi illeciti e disegni criminosi, compiendo i peggiori misfatti e manipolando in ogni modo l opinione pubblica smarriscono qualunque barlume di raziocinio e sprofondano in un pantano di fantasie nevrotiche. Costellate di intrighi internazionali e di ristrettissime oligarchie che agiscono nell ombra: avide

13 all estremo; spietate oltre ogni dire; disposte a qualunque abuso e a qualsiasi bassezza pur di realizzare i piani, perversi, di un egemonia assoluta. Oscure consorterie che sono responsabili di ogni sorta di sopraffazioni economiche e sociali, e che non di rado operano dietro il paravento degli stessi governi e dei relativi apparati di controllo e di repressione. Vedi in particolare gli Stati Uniti, l Inghilterra e Israele, nonché le varie organizzazioni sovrannazionali di natura politica, come l Onu, o finanziaria, come il Fondo monetario Internazionale. Senza dimenticare le associazioni semi segrete come le diverse forme di massoneria e affini, che da un lato vantano elevatissimi principi morali, e persino spirituali, ma dall altro sviluppano, in nome della solidarietà tra i confratelli, vincoli inesorabili basati sul favoritismo reciproco e orientati a finalità assai più prosaiche. E tutt altro che limpide. Riassumendo, i suddetti complottisti non sarebbero altro che un miscuglio di faziosità preconcetta e di incompetenza galoppante. Poco meno ma non è detto che degli psicotici in preda dei loro fantasmi. Gente della più diversa estrazione, sia pure con un ovvia prevalenza di estremisti di destra o di sinistra e di integralisti religiosi, che reagisce alla frustrazione rifugiandosi in un universo parallelo, e delirante, di false certezze. Salvo poi abbandonarle, o piuttosto espanderle, aderendo a ulteriori e più suggestive elucubrazioni, propalate da altri maniaci della medesima risma oppure (business is business) da accorti ciarlatani che ci guadagnano sopra. Insomma, una masnada tanto furente quanto inattendibile. Da liquidare appunto e in blocco come un sottoprodotto della libertà di parola. Benevolmente elargita dalle democrazie occidentali ma di per sé suscettibile, ahimè, di innumerevoli distorsioni. Che è doveroso rintuzzare come si conviene, tra una risata di scherno e una scomunica preventiva. Parafrasando il classico detto latino, dileggia et impera. Un atteggiamento suicida Bisogna riconoscerlo. Moltissimi dei complottisti ci mettono del loro, per agevolare il compito a chi li vuole infamare. Pervasi dal sacro fuoco di quella che ritengono la verità, e dal desiderio spasmodico di renderla nota a chi è rimasto vittima delle mistificazioni di turno, finiscono con l assumere un atteggiamento indignato e abbandonarsi all invettiva. Col risultato, fatale, di assecondare i tentativi di chi mira a farli passare per degli esagitati. Beninteso: non stiamo affatto dicendo che se i modi fossero diversi, e più accorti, quei tentativi si esaurirebbero, per lasciare il posto a una vera attenzione e a un effettiva disponibilità al confronto.vuoi per ordini di scuderia, vuoi per zelo cortigiano o per mera ottusità, chi sostiene le tesi ufficiali è altrettanto arroccato sulle sue posizioni. E siccome non intende discuterle davvero, ma solo imporle, simula il dibattito e lo riduce a una requisitoria. Si erge come un pubblico ministero, nello stile arrogante di quelli statunitensi che abbiamo visto in tanti film, e ondeggia tra il cipiglio dell inquisitore e il sarcasmo del tribuno, per mettere in cattiva luce gli imputati e accattivarsi la giuria. Eppure, bisognerebbe resistere alla tentazione (comprensibilissima) di rispondergli per le rime e di annichilirlo con le stesse armi. Soprattutto se, nel farlo, non ci si limita ad alzare i toni per una scelta consapevole e padroneggiata in ogni istante, ma ci si lascia risucchiare in un conflitto personale. Che, come dovrebbe essere noto a chi ambisce a operare effi-

14 cacemente nell ambito della comunicazione pubblica, decade ben presto a una rissa verbale. Magari gli spettatori si divertono, e magari la spettacolarità della performance assicura un ulteriore invito a partecipare a iniziative analoghe, ma degli aspetti sostanziali recepiscono ben poco. O niente del tutto. Se questa deriva ha almeno delle attenuanti durante un confronto che avvenga davanti a una platea, non ne ha nessuna quando invece si può operare con la dovuta calma e ponderare a priori l effetto delle parole che si sceglieranno. Come dimostrano innumerevoli articoli, e interi libri, i complottisti tendono purtroppo a non rendersi conto che l enfasi non aiuta, e che anzi è controproducente. Più una tesi va in direzione opposta all omologazione generale, più si pone la necessità di essere consci delle resistenze che incontrerà nell essere accettata, o anche solo nell essere presa sul serio. Lo scopo non è soddisfare il proprio ego, assumendo toni ieratici da iniziati che conoscono i segreti dell universo e, bontà loro, li svelano al volgo. Lo scopo è avviare un processo di ripensamento, che si snodi via via fino ai passaggi più impegnativi. Invece di annunciare a gran voce il complotto e poi darsi da fare per dimostrarne la fondatezza, sarebbe assai meglio evidenziare l organicità di certi processi di medio e di lungo periodo, in modo da rendere naturale che ci si chieda perché, a fronte di una strategia così nitida, non dovrebbero esserci degli strateghi che l hanno immaginata, pianificata e messa in opera. Metodo induttivo, anziché deduttivo. Complotti? No, poteri Ah ah ah, ridono in tanti appena gli si parla di oligarchie internazionali che dominano il mondo. Ah ah ah. E via a ironizzare su riunioni segrete tra membri di improbabili organizzazioni in stile Spectre: uomini e donne ultra selezionati che si incontrano di nascosto e, all insaputa dei popoli e degli stessi governi, ordiscono trame di inarrivabile ambizione e di raggelante cinismo. Benché nel chiuso di edifici di lusso, o a bordo di jet privati e di yacht miliardari, la cornice modernissima e dispendiosa non basta a riscattarli dall aria un po grottesca che si attribuisce di solito ai congiurati. Ah ah ah. Vengono in mente gli incappucciati del tempo che fu. Radunati col favore delle tenebre in saloni sotterranei noti solo a loro, o se non altro in scantinati ben nascosti e al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Ah ah ah. Figurarsi se oggi, all inizio del Terzo Millennio, potrebbe accadere qualcosa del genere. Oggi che è strapieno di mass media. Che c è Internet. Oggi che basta un ragazzino col cellulare per filmare qualsiasi cosa e per metterla in Rete, a disposizione, e a beneficio, di tutti. Il primo antidoto, per superare queste preclusioni, è essersi liberati del medesimo immaginario da quattro soldi, con le sue ambientazioni da spy story di serie B. Non bisogna sentirsi come gli agenti speciali del Bene che hanno avuto l abilità e il privilegio di scoprire gli orrendi misteri del Male, ma come dei normali cittadini che si sono guardati intorno e che a forza di farsi domande su quello che vedevano dalla diseguaglianza sociale alla corruzione dilagante, dalla distruzione ambientale alle guerre di conquista travestite da missioni di pace hanno individuato delle spiegazioni possibili. E verosimili. A meno di essere seguaci di personaggi alla David Icke, con le sue bizzarre teorie su una razza aliena di uomini-rettili che agisce da millenni per schiavizzare noi terrestri, non c è alcun motivo di perdersi in improbabili

15 rappresentazioni delle élite globali. La tendenza ad accoppiare al male interiore delle manifestazioni esteriori altrettanto inquietanti è puerile. Ovvero, per dirla in termini più garbati, una proiezione dell inconscio. Non c è nessun bisogno di essere dei satanisti per comportarsi in modo diabolico. E così come certi efferati serial killer hanno un aspetto ordinario e persino rassicurante, a cominciare da Ted Bundy, nulla vieta che i più spietati finanzieri, o uomini politici, o comandanti militari, non facciano nient altro di inquietante e deprecabile, a parte depredare il prossimo, o fare strame del bene comune, o sterminare non solo i soldati nemici ma anche la popolazione civile. Siamo sul filo dell ovvio, ma è proprio qui che si deve ritornare. In maniera da ricondurre i cosiddetti complotti ai loro termini effettivi. Che non hanno, e non devono assumere, contorni romanzeschi o addirittura esoterici. Perché viceversa sono quanto mai concreti, nei loro obiettivi e nelle loro pratiche, e quindi, al di là della rilevanza delle poste in gioco e della complessità degli strumenti utilizzati per aggiudicarsele, si riducono all applicazione di un unico e banalissimo principio: fare tutto quello che si è in grado di fare per avere la meglio su chiunque altro. C è qualcosa di strano? Di sorprendente? Di inverosimile? Partiamo dal basso. La vita quotidiana ci mostra infiniti esempi di accordi occulti che hanno come scopo l ottenimento di ogni sorta di vantaggi, da quelli leciti a quelli illegittimi, o addirittura illegali. Ci si coalizza per fare carriera, guardandosi bene dal dirlo ai colleghi o ai superiori. Oppure per convogliare su di sé, o sul candidato preferito, i voti di un elezione, dalla polisportiva di quartiere o dalla sezione periferica di partito in su. E se poi passiamo a qualcosa di più consistente, e con profitti più cospicui, si stringono patti fra operatori commerciali per rafforzare le proprie aziende a danno dei concorrenti. O magari per uniformare al rialzo i prezzi di vendita, in barba alle regole, assai astratte, della libera concorrenza. E infine, naturalmente, ci sono i veri e propri reati. Vedi il calcioscommesse, per restare sulle notizie di attualità: una ragnatela internazionale che connetteva delinquenti abituali e giocatori professionisti, in un intreccio sistematico e abbastanza diffuso da essere quasi all ordine del giorno. La domanda è elementare: perché mai al crescere degli interessi dovrebbe fare riscontro una minore elaborazione strategica e un maggiore rispetto delle leggi e della morale? Quando si ipotizza (ipotizza?!) che vi siano dei potentati finanziari che usano le loro immense risorse per piegare a proprio vantaggio i mercati, e condizionare le stesse attività dei governi, non si fa altro che applicare un criterio del tutto logico. Niente incappucciati, negli spogliatoi dove si vendevano le partite e dove con ogni probabilità si continua a farlo. Niente incappucciati nelle sedi dell alta finanza dove si affossano le economie di nazioni come la Grecia. Solo uomini che vanno fermati. E che prima, naturalmente, vanno smascherati nei loro maneggi e identificati con nomi e cognomi. Federico Zamboni

16 METAPARLAMENTO La Politica? Non pervenuta di Alessio Mannino Il parlamento è diventato davvero un aula sorda e grigia, come la chiamò con disprezzo Mussolini dopo la Marcia su Roma. Ma al posto dei manipoli di descamisados in camicia nera, a bivaccarci sono i soldatini della partitocrazia messasi al servizio del tecnico Mario Monti. Non erano rappresentanti del popolo nemmeno prima, visto che rispondevano alle segreterie dei partiti, e ora hanno definitivamente gettato la maschera: il loro mandato è ubbidire al dio spread, alla Bce e alla Germania, i reali detentori della nostra presunta sovranità nazionale. Dittatura europea Il governo Monti nasce dalla lettera spedita il 5 agosto scorso dalla Banca Centrale Europea. Il presidente uscente Jean-Claude Trichet e quello attuale Mario Draghi dettavano l agenda politica ad uno Stato membro bypassando la Commissione e gli altri organi istituzionali europei, in modo del tutto inusuale e irregolare. Ma coerente: il vero capo dell Europa è chi siede sulla poltrona più alta dell istituto che controlla l euro. È stata un operazione-verità che dovrebbe aprire gli occhi sulla vera natura della costruzione europea, un edificio monetarista che ha come referente la finanza, le banche, i mercati. Non i popoli. Agitando lo spauracchio del crollo dell euro, la Bce si è imposta come centro decisionale supremo. Dietro, come sappiamo bene, c è il sistema delle grandi banche, specialmente tedesche e francesi, e il socio forte dell Unione, cioè Berlino. Sullo sfondo gli Usa e il suo istituto centrale, la Fed, che può comprare direttamente stock di debito, cosa che la Bce non può fare, lasciando trasparire chiaramente la condizione di minorità dell area europea rispetto all America. Nella gara delle monete e delle zone di influenza economica, Eurolandia deve fare i conti con questo handicap di partenza 1. Unito alla sudditanza militare presidiata dalla Nato, si delinea perfettamente il quadro della voluta inferiorità politica del Vecchio Continente nei confronti della superpotenza statunitense.

17 Il proconsole Napolitano Da quella fatidica missiva estiva il diktat si è fatto valanga, con l interesse sui titoli di debito usato per schiacciare il debole e screditato Berlusconi con la minaccia del default. Ecco che allora interviene il capo dello Stato, l atlantista rosso Giorgio Napolitano: indossati i panni del proconsole locale del moloch europeista, dà un calcio nel sedere al Berlusca agonizzante e insedia a Palazzo Chigi l uomo più amato dal liberismo internazionale, dai club esclusivi come Trilaterale e Bilderberg e, ça va sans dire, dai gruppi bancari: l ex commissario europeo Mario Monti. La sobrietà diventa l ideologia patriottica dopo un quindicennio abbondante di vaccate berlusconiane, ma occulta il dato davvero importante: il Quirinale si è prostrato ai voleri dell Europa e ha inaugurato un periodo in cui scelte socialmente letali vengono camuffate per tecniche quando non sono altro che un preciso programma politico. Formalmente non si è trattato di un golpe, perché la precedente maggioranza di centrodestra si era sfasciata e tutto si è svolto secondo le regole costituzionali 2. Nella sostanza, però, le Camere hanno subìto un commissariamento in piena regola da parte del Presidente della Repubblica per ottemperare ai superiori ordini dell economia internazionale. La grande ammucchiata La dittatura eurocratica ha il suo riflesso speculare nella compagine governativa guidata da Monti. Emissari delle banche come Passera allo sviluppo economico e Fornero al lavoro e fedelissimi Nato come Di Paola e Terzi di Sant Agata alla difesa e agli esteri, rendono l idea di quali interessi ci governano (senza dimenticare l apporto della Chiesa, potere forte sempre pronto a sedersi a tavola quando è ora di spartirsi la torta). A sostenere Monti sono tutte le forze parlamentari, ad eccezione della Lega Nord e, dopo un iniziale voto di fiducia, l Italia dei Valori. La prima si rifà una verginità d opposizione dura e pura dopo anni di compromessi e porcate filo-arcore. La seconda si ritaglia a sinistra un congeniale spazio critico, per non farsi vampirizzare da un agguerrito Vendola nelle piazze e da un Grillo in ascesa nei sondaggi. Il resto, dal Pdl al Pd all Udc a Fli, è tutto un coro diretto da Napolitano. Ogni tanto qualcuno, soprattutto a destra, fa stecca, perché l elettorato non manda giù la defenestrazione di Silvio e la mazzata di tasse decisa dal torquemada liberista con la parlata robotica.a sinistra c è pure qualche mugugno, perché a pagare sono i soliti: chi vive di stipendio e di pensione (che con la riforma contributiva diventerà un miraggio all orizzonte). Ma a conti fatti, la Grosse Koalition regge. Comitato trasversale d affari Fine del bipartitismo, sospensione della democrazia? Queste sono ingenuità o slogan di propaganda. I due partiti maggiori e gli altri che si contendono il mitico centro costituivano già un blocco unico, ossequioso verso quegli stessi poteri interni ed esterni che attraverso Monti hanno assunto in proprio la gestione dell esecutivo. La Bce-Ue, la Nato (cioè gli Usa), la finanza bancaria, le grandi industrie (beneficiarie delle liberalizzazioni) e il Vaticano: non erano anche prima le cupole che avevano e hanno in pugno la mediocre e venduta classe politica romana? Il parlamento, che nella sacra rappresentazione è il luogo principe della democrazia, non ha mai smesso di essere il terminale, la facciata, il teatro visibile della messinscena. La sola differenza è che adesso è palese che era una messinscena. Perché quando la base su cui poggia l organizzazione finanziaria, ossia il debito pubblico (di una nazione decisiva per l euro come l Italia,per altro),ha dato segni di instabilità mor-

18 tale, immediatamente è scattato l esautoramento del potere legislativo. Senza un dubbio, come se fosse la reazione più naturale del mondo. In barba alla retorica parlamentarista del popolo sovrano e dei partiti strumenti-chiave della democrazia. La regola dell eccezione E questi partiti ridotti a barzellette si sono resi subito docili esecutori, mostrando quanto siano false e ipocrite le loro divisioni, le etichette di destra e sinistra, le baruffe televisive e i proclami di essere gli uni alternativi agli altri. Si dirà: ma è in simili frangenti, dove si rischia il fallimento di bilancio e la povertà di massa, che si rendono comprensibili e anzi obbligatorie le unioni sacre, i governo di unità nazionale. Certo. Ma non su comando di organismi che non sono legittimati a comandare, come la Banca Europea, e men che meno per compiacere entità private come sono i famigerati mercati. E assolutamente non per fare l interesse di un altro paese, in questo caso della Germania. Il giurista Carl Schmitt insegnava che negli stati d eccezione si vede chi decide sul serio, chi è davvero sovrano. Ebbene, mi pare non ci siano dubbi: il parlamento non è sovrano, non lo era prima e lo è ancor meno oggi. Sovrano è, si darebbe detto una volta, il capitale finanziario. Benvenuti nel mondo reale, pii democratici dei miei stivali. Alessio Mannino Note: 1.Sostiene con acume il saggista autore del best-seller Euroschiavi (Arianna Editrice), Marco Della Luna: «la BCE non è una banca centrale, perché non è autorizzata ad assicurare l acquisto dei titoli del debito pubblico dei paesi aderenti in modo idoneo a sottrarli all aggiotaggio dei grandi predoni finanziari. Se avessimo una vera banca centrale, questa potrebbe farlo, come fa la Fed, la banca centrale nipponica, quella britannica. E come faceva la Banca d Italia prima del 1981! Lo dice anche Paul Krugman: l Italia si è assurdamente messa nelle condizioni di un paese del Terzo Mondo, che deve finanziarsi in una moneta straniera. Se la massa monetaria dell euro deve essere coperta da titoli americani, dollar-backed, allora la BCE è come uno switch-board sottoposto alla Fed, non una banca centrale di emissione al servizio dell Europa, bensì un qualcosa di imposto imperialisticamente per impedire che gli europei abbiano una banca centrale effettiva propria, in modo che l euro dipenda dal dollaro e non gli contenda il ruolo di moneta internazionale», HYPERLINK " 7 gennaio Sarebbe ora di smetterla di considerare democratica la nostra osannata Costituzione: priva il popolo del diritto di esprimersi sulle due materie essenziali che fanno libero e sovrano uno Stato, il sistema fiscale e i rapporti internazionali (art. 75: Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali ).

19 ANALISI Indignados nel mondo: dalla strada alla storia Chi erano ieri e chi sono oggi gli Indignados I manifestanti erano all inizio sopratutto giovani e studenti. Accanto a essi si sono schierati lavoratori precari, pensionati che non arrivano a fine mese, disoccupati al limite della sopravvivenza. In comune, questi cittadini hanno la voglia di riscatto e la forza di sfidare i divieti, sempre più stringenti all acquisizione di importanza da parte del movimento, imposti da autorità locali (ma non solo) e forze dell ordine. Oggi tutta Europa, da Londra a Parigi, e poi il mondo intero dalla Cina fino addirittura a Israele, conosce la rabbia e la protesta degli Indignati che soddi Sara Santolini appena passato è stato caratterizzato dalle proteste del nord-africa e poi da quelle che hanno interessato l Europa per L anno poi sbarcare Oltreoceano e estendersi al resto del mondo. Era il 15 maggio 2011 quando, proprio in riferimento alla data col nome di 15-M, per la prima volta gli Indignados guadagnarono l attenzione dei quotidiani internazionali. Al grido di Yes we camp presidiarono 58 città dopo essersi dati appuntamento grazie ai social network più comuni (facebook e twitter) e con l adesione di più di 200 tra associazioni e movimenti diversi - e nessun partito politico - nelle piazze di tutta la Spagna. Il cuore di questo incipit inaspettato e potente è stato Puerta del Sol, a Madrid.Il centro focale della protesta la dittatura economica e il potere della speculazione sul destino delle popolazioni, il silenzio della politica corrotta e collusa e la mancata redistribuzione della ricchezza, le palesi intenzioni dei Governi di lasciare che a pagare per la crisi siano in toto i cittadini e per nulla le Banche, gli istituti finanziari, i privilegi sociali, economici e politici delle classi dirigenti. Da allora il movimento degli Indignados, o meglio una serie di movimenti correlati e essenzialmente dotati delle stesse caratteristiche e volontà di quello spagnolo, si è esteso a tutto il pianeta.

20 disfano sempre meno la categoria di giovani contestatori che viene loro affibbiata, soprattutto in Italia, per limitare la coscienza delle loro ragioni nell opinione pubblica più distratta. Tanto per fare un esempio,in Cina,dove hanno invece l'appoggio delle autorità locali per il loro carattere anti-occidentale e nazionalista, si tratta soprattutto di anziani che, giusto o meno che sia, spingono la critica comune al capitalismo occidentale fino all'estrema conseguenza della nostalgia del socialismo. Inoltre anche la rigidissima Russia è teatro di qualche timido tentativo di protesta, che per ora è essenzialmente limitata al confronto on line ma anche in questa forma rappresenta già un importante presenza. Soprattutto, però, l anima della protesta è sbarcata in America dove ha dato vita a Occupy Wall Street (Ows), la sezione statunitense degli Indignados che adesso tende a unire le proteste di carattere più marcatamente economico-finanziario. Qui il movimento si è fatalmente - e facilmente - diffuso da New York a Washington, Los Angeles, Chicago, Seattle, Denver, Memphis e Hilo (isole Hawaii). Ows ha iniziato con l occupazione di Zuccotti Park, sgomberato a novembre passato, e ora, in vista delle elezioni Presidenziali, sta pensando di intervenire nei comizi, occupare abitazioni in Spagna e in Inghilterra e tenere questo mese, dopo la prima di New York, la loro seconda conferenza nazionale a Sheffield. La democrazia partecipata del 99% Quello che gli Indignati, primi fra tutti quelli statunitensi, hanno capito è che perché il loro movimento si affermasse era necessario evitare il vizio di tutte le formazioni politiche colluse con il potere economico: l incoerenza. L assemblea degli Indignati costituitasi a New York, che ha preso una serie di decisioni sulle attività e le modalità di protesta, ha reso quello che, a causa anche della dura repressione governativa nei suoi confronti, sembrava destinato a rimanere un episodio di mobilitazione ben limitato nel tempo in un movimento stabile e organizzato che ha tutte le carte in regola, al contrario, per passare alla storia. Al suo interno le decisioni vengono prese solo dopo aver raggiunto una sostanziale unanimità tra tutti i partecipanti alla discussione. Non c è principio di maggioranza che regga e la democrazia partecipativa, attuata attraverso lunghe ma fruttuose discussioni, ha preso il posto di quella rappresentativa ormai considerata superata, desueta e troppo facilmente manipolabile. Il laboratorio di democrazia che il movimento è diventato, mostrando nei fatti e non semplicemente a parole un'alternativa all'odierno sistema di potere, è diventato per i governi un pericoloso esempio. Ancor peggio quando, dando luogo a lunghe occupazioni di parchi o piazze, permette in maniera più semplice e diretta il confronto tra manifestanti e rende agevole l incontro e l unione delle forze contro la macelleria sociale che il potere politico sta attuando con la giustificazione, sempre più flebile, della salvezza contro il default minacciato dall inasprirsi della crisieconomica. Il problema maggiormente sentito dal movimento, assieme a quello della dittatura economica, è dunque quello parallelo della mancanza di rappresentatività popolare. Per questo non c è alcun leader ma solo portavoci, per questo le decisioni, le idee e le iniziative sono condivise e diffuse su internet, finalmente sfruttando le potenzialità di un mezzo tanto potente quanto sprecato - sino a ora - quanto il web. In riferimento a questo si parla di "rivoluzione degli hashtags (parole chiave usate su twitter per aggregare i post dal tema comune)": è attraverso questi che il movimento cresce e si diffonde, senza che ci sia un partito o un sindacato a prendere alcuna iniziativa, che

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