Sergio Atzeni, Le opere di Sergio Atzeni: è autore anche dei seguenti cd:

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1 Sergio Atzeni, cagliaritano, laurea in lettere, studioso di storia in generale e in particolare di quella della Sardegna in tanti anni ha approfondito gli studi e le ricerche acquisendo una profonda e specifica conoscenza del territorio, delle genti e del passato della sua isola. Giornalista, scrive da tanti anni su l Unione Sarda, oltre la cronaca, si è occupato nei suoi articoli anche di temi storici, ambientali e naturalistici della Sardegna. In qualità di esperto ha insegnato storia della Sardegna in alcuni istituti superiori cagliaritani e in numerosai corsi professionali e culturali. La sua attività di scrittore è volta soprattutto a far conoscere e diffondere il patrimonio storicoambientale dell'isola perché, come egli sostiene "Conoscere la storia della propria terra è un diritto-dovere al quale ognuno di noi non può e non deve rinunciare". Le opere di Sergio Atzeni: "Preistoria e Storia di Sardegna" (1998) "Ampsicora tra mito e realtà" (1999) "Cagliari e i suoi sette colli" (1999) "Cagliari dalla laguna al mare" (2000) "Sant'Efisio e la sua Sagra" (2000) "Sardegna, due secoli di storia" (2001) "Storie di Sardegna" (2002) "Ampsicora tra mito e reltà", nuova edizione a colori (2002) "Islam, ieri e oggi" (2002) "La Sardegna nei millenni" (2002) "La Sardegna italiana" (2003) "Cagliari, ieri e oggi" (2003) "I falchi di Barbagia" (2011) - La storia, tra il 1968 e il 1973, del primo Nucleo Eliportato dei Carabinieri di Abbasanta è autore anche dei seguenti cd: "Storia antica della Sardegna" (2000) "Storia ipertestuale della Sardegna" (2001) "Storia di Cagliari" (200 l) "Conoscere la Sardegna" 2009 in collaborazione con L'Università "Guglielmo Marconi" di Roma 1

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3 SERGIO ATZENI PREISTORIA E STORIA DI SARDEGNA 3

4 A MIA MOGLIE SANDRA E MIO FIGLIO ALESSIO 4

5 INTRODUZIONE Millenni di Storia. La Sardegna e la sua storia sono spesso ignorate dagli storiografi, perché consederate marginali rispetto a quelle delle grandi civiltà mediterranee contemporanee. La storia della Sardegna veniva e viene considerata regionale, specialmente in quei lunghi periodi in cui l isola è stata dominata da potenze straniere, in quanto priva di autonomia e sottomessa ad un potere che non vi risiedeva. I fatti che si svolgevano in Sardegna facevano parte della storia di Cartagine, Roma, Bisanzio etc. e non della Sardegna stessa. Fin dalla preistoria la Sardegna ha subito immigrazioni di popoli che hanno contribuito a creare la base etnica che si è sviluppata e differenziata nel corso dei secoli creando una nazione (un popolo con le stesse tradizioni, lingua, arte). Il primo frequentatore arrivò nel Paleolitico ( circa a.c.) e si radicò nell isola, ce ne danno conferma i due ritrovamenti di Perfugas e della grotta Corbeddu (Oliena) che, contra- 5

6 riamente a quanto fino a poco tempo fa si sosteneva, dimostrarono la presenza umana fin da allora. L uomo scoprì l isola forse per caso, spinto dal clima rigido causato dalle glaciazioni, seguendo gli animali che per istinto si dirigevano verso sud per cercare zone più calde. Nel Neolitico l arrivo di nuove genti fu motivato invece dalla ricerca di territori atti alla coltivazione per sviluppare la embrionale agricoltura appena scoperta. L esplosione demografica di quei tempi, data la raggiunta sedentarietà e quindi il modo di vivere più agiato, costrinse le genti dell Anatolia a spostarsi per trovare nuovi spazi dove esercitare l agricoltura e costruire i propri villaggi. Così, intorno al 6000 a.c., masse di uomini pellegrinarono per il bacino de[digitare una citazione tratta dal documento o il sunto di un punto di interesse. È possibile collocare la casella di testo in qualsiasi punto del documento. Utilizzare la scheda Strumenti casella di testo per cambiare la formattazione della citazione.]l Mediterraneo arrivando nella penisola italiana, raggiungendo la Sardegna con rudimental i imbarcazioni spinte da venti favorevoli (minstral) provenienti dal midì francese o usando le isole toscane come ponte. I neolitici si unirono ai paleolitici indigeni e si evolsero insieme creando le culture di Ozieri e Bonu Ighinu che consideriamo autoctone anche se formate con apporti diversi. La base nazionale si andava così delineando prendendo un po da ogni etnia immigrata e creandone una nuova che possiamo iniziare a chiamare sarda. Le esigenze mutavano continuamente e le genti si adeguavano facendo tesoro delle tecnologie tradizionali e delle nuove idee importate. Le culture si sovrapponevano le une alle altre, ognuna facendo tesoro delle precedenti e modificando constatemente l arte, la lingua, il modo di vivere, compiendo così passi decisivi verso la modernità. 6

7 L arte ceramica, le abitazioni, il credo religioso variavano continuamente, segno di una evoluzione tecnica spirituale che rendeva viva la nazione. Nonostante la mancanza di fonti scritte, la Sardegna del Neolitico antico non mostra segni di dominazioni, le genti sono impegnate a trovare spazi vitali e si fondono pacificamente tra loro. Con la cultura di M. Claro (2700 a.c.) e Campaniforme l apporto di idee esterne incomincia ad essere tangibile e la sardità assume una sua fisionomia peculiare. La pangea come si presentava circa 200 milioni di anni fa 7

8 A questo periodo risalgono le prime minacce provenienti dall esterno e forse le divisioni politiche interne che portano all esigenza di edificare villaggi fortificati e a creare forze di difesa: ma la autonomia dell isola sembrerebbe ancora incontestabile. Nel 1800 a.c. inizia quella fase culturale definita nuragica che raggiunse espressioni tecniche e di pensiero notevoli e sebbene influenzata da apporti esterni, rimase sarda a tutti gli effetti: in quel periodo i Sardi costituivano una vera nazione autonoma e dinamica, con tutti i requisiti classici. Con l arrivo dei Fenici nel X secolo a.c. l isola entrò nella storia e si aprì un periodo di contatti con l esterno che vide intensificarsi i commerci. I Fenici costituirono, in un primo tempo, una comunità di coloni che, chiusi nei loro insediamenti costieri, non minacciavano in alcun modo la sovranità e la libertà del popolo nuragico. Solo nel VI secolo a.c. quel popolo semita, ormai radicato nell isola, tentò una espansione territoriale all interno, più per proteggere le proprie città che per conquistare territori: questa mossa provocò la reazione dei nuragici che costituivano un popolo sovrano. Con l arrivo dei Cartaginesi, si può parlare di dominazione, sebbene parziale, con metà dell isola ancora libera e autonoma con tutte le caratteristiche. I Romani, Bizantini e Vandali continuarono a dominare su due terzi del territorio mentre la barbaria ancora rimaneva libera e indipendente. Due Sardegne, con due storie, due nazioni diverse e due popolazioni stanziate su territori distinti. La parziale autonomia si interruppe nel IX secolo quando sorsero i regni giudicali che si possono definire sovrani in quanto non soggetti ad altre entità statuali e perfetti perché in grado di svolgere autonomamente una politica estera. 8

9 Una perfetta indipendenza che durò per vari secoli, nonostante influenze politiche ed economiche di grandi potenze di allora come i Pisani e i Genovesi. I Pisani diventarono poi parzialmente padroni della Gallura e di parte del Calaritano, mentre il resto della Sardegna vedeva il consolidarsi degli Arborensi che, rafforzato il proprio reame, si impadronirono di parte dell ex territorio del Giudicato di Torres e godevano di indipendenza e autonomia. Con l istituzione nel 1297 del regno di Sardegna e Corsica da parte di Bonifacio VIII, l isola diventò di diritto uno stato con tutti i requisiti giuridici; territorio, popolo, forma, nome che fu conquistato di fatto dal Re legittimo, l aragonese Giacomo II nel In Sardegna convivevano da allora due stati autonomi, il regno di Arborea e il regno di Sardegna e non si può certo parlare di dominazioni, a prescindere dal diritto della chiesa di istituire regni usando il noto Costitum Costantini il quale concedeva a Roma la potestà sui territori occidentali da cui derivava la facoltà di creare ex novo stati da affidare a questo o quel sovrano. Questo diritto, fu dichiarato un falso storico quando era troppo tardi, ma ciò che la chiesa aveva creato rimaneva e non fu cancellato. Con gli aragonesi, la Sardegna entrò a far parte della Corona di Aragona, un unione di stati, giuridicamente sovrani anche se non perfetti. Con gli spagnoli la situazione non cambiò poiché l isola aveva un Re, un parlamento e tutti i requisiti di uno stato. Si può obiettare che i sardi non governassero e non occupassero nessun ufficio di prestigio, ma ciò non cambia la sostanza; la carica di viceré poi era da considerarsi provvisoria e cessava con la presenza del sovrano. Nel 1720 dopo una parentesi asburgica, arrivarono sul trono di Sardegna i Savoia e lo stato aumentò i suoi territori ora comprendenti anche il Piemonte non per questo mutando la propria essenza giuridica. 9

10 Si arrivò al 1861 e il regno di Sardegna si trasformò in regno d Italia, questa volta cambiò il nome ma lo stato tenne lo stesso Re, lo stesso parlamento, le stesse leggi, le stesse istituzioni. Lo Stato italiano attuale, diventato Repubblica, fonda le sue radici nell ex regno di Sardegna e ne deriva che la storia dell isola è la base della storia d Italia. Purtroppo, ancora oggi, la storia di Sardegna è ignorata dai Sardi stessi e non si può certo pretendere che siano gli altri a valorizzarla e a farla conoscere. Mancano delle opere divulgative che arrivino a tutti e non ai soli addetti ai lavori, manca l opera essenziale della scuola dell obbligo, manca forse la volontà politica che si impegni per raggiungere lo scopo. Conoscere il nostro passato è un diritto-dovere al quale ognuno di noi non può e non deve rinunciare perché chi ignora la propria storia ignora se stesso. 10

11 LA FORMAZIONE DELLA SARDEGNA La Sardegna è una terra molto antica tra le più vecchie d Europa, il suo sollevamento risale infatti all era primaria. Il Sulcis-Iglesiente si sollevò durante la fase più antica dell orogenesi, circa 500 milioni di anni or sono nel periodo chiamato Cambrico. Nel Devoniano, 400 milioni di anni fa, emerse il Gerrei, mentre nel Carbonifero l isola era più grande di quella attuale ed in parte scomparve nel Triassico. Nel Cretaceo riemersero le montagne del nuorese; nell Eocene si sollevò la Nurra. IL trilobite che popolava i mari caldi dell Ordoviciano quando sorsero dal mare i primi lembi dela Sardegna Nell Oligocene, venti milioni di anni fa, il massiccio Sardo-Corso si staccò dal continente e iniziò il suo viaggio verso Est per giungere al centro del Mediterraneo, dove si trova oggi. 11

12 Le mutazioni che interessarono l Isola facevano parte del movimento più generale che sconvolse l assetto delle terre emerse allora riunite in un unico continente chiamato Pangea. 200 milioni di anni or sono i continenti iniziarono a spostarsi, alcuni allontanandosi, altri urtandosi, la causa di questi movimenti è da attribuire alle fratture della crosta terrestre che spingono le terre come se fossero zattere. Il movimento è lentissimo, si pensa nell ordine di 3-5 cm. all anno. La deriva dei continenti: circa 200 milioni di anni or sono i continenti iniziano a muoversi Questo principio è chiamato deriva dei continenti e la sua prima formulazione la si deve ad uno studioso, lo Wegener, che consultando un atlante notò come le coste dell Africa comba- 12

13 ciassero con quelle dell America meridionale, desumendo che una volta le due terre dovevano essere unite. Le dorsali medio oceanicche Wegener non chiarì quali forze potessero provocare tale fenomeno, per cui gli ambienti scientifici accolsero le sue teorie con molte riserve. Successivamente dei fossili di dinosauro della stessa specie, risalenti a 200 milioni di anni, furono ritrovati sia in America meridionale sia in Africa confermando la tesi di Wegener. Anche l esame su delle rocce prelevate dalle coste dei due continenti diede risultato identico, confermando l antica unione delle due terre. Si arrivò così ad enunciare la teoria della Tettonica a Zolle, la quale sostiene che tutte le terre emerse sono divise in zolle rigide che si comportano come zattere. Le zolle vengono spinte in varie direzioni da fratture della crosta terrestre chiamate Dorsali medio Oceaniche che agiscono come un vero e proprio motore che fa allontanare i continenti. Le dorsali oceaniche interessano tutti i mari per cui alcune zolle si 13

14 incontrano esercitando una forza contrapposta e vengono chiamate Zolle convergenti, altre invece si allontanano e vengono chiamate divergenti. Quando due zolle si incontrano si crea l orogenesi cioè la formazione delle montagne Quando due zolle si incontrano una è costretta a scivolare sotto, l altra invece si solleva originando, in migliaia di anni, le montagne. Così sono nate le Alpi e gli Appennini, generati dallo scontro tra la zolla Africana e quella Eurasiatica che dura ancora oggi e causa i terremoti italiani. Sotto il profilo geologico la Sardegna è formata da una base granitica, roccia effusiva intrusiva, sulla quale poggia il calcare, roccia sedimentaria organogena, formata essenzialmente dai gusci di primordiali esseri che popolavano i mari. Morendo, questi animali, cadevano sul fondo marino, cre- 14

15 ando cumuli di gusci che raggiungevano centinaia di metri di altezza. Grandi movimenti, dovuti allo scontro delle zolle, innalzarono questa massa organica che diventò predominante in Sardegna. nell Ordoviciano(500 milioni di anni fa) nascono i primi lembi della Sardegna Il calcare è una roccia solubile nell acqua e viene scavata facilmente, nel corso di millenni, dai fiumi. Così nascono le grotte e così sono nate le più note cavità sarde: la grotta de Is Zuddas a Santadi, Su Mannau a Fluminimaggiore, Ispinigoli a Dorgali, tanto per citarne alcune. I monti sardi non sono molto elevati (1.834 m. Punta La Marmora ), ciò a causa della loro vetustà che ha permesso alle forze esogene (vento, pioggia, acqua) di livellarli durante i millenni. Le Giare, presenti in Sardegna, sono invece delle antiche montagne, di origine vulcanica, formate da rocce basaltiche, erose da- 15

16 gli agenti atmosferici e trasformate in tavolati; ricordiamo tra le altre, la Giara di Gesturi, di Serri e di Tuili. Nell isola sono presenti anche due antichissimi vulcani spenti, Monte Arci e Monte Ferru, residuo di una notevole attività sismica che plasmò la Sardegna. A causa del sollevamento orogenetico alpino, nell era terziaria, si formò la fossa del Campidano che divise l isola in due blocchi, colmata nel quaternario dai detriti trasportati dai fiumi e dal vento. La Sardegna naviga da Ovest verso Est (circa 5 centimetri all anno) a causa di una frattura della crosta terrestre Oggi la Sardegna è situata al centro del Mediterraneo, dista dalle coste africane 180 Km circa, dalle coste della penisola italiana Km 220 (Olbia-Civitavecchia) e Km 350 dalla penisola iberica. 16

17 Con i suoi Km 2 è la seconda isola del Mediterraneo, ha uno sviluppo costiero di Km. Il clima mediterraneo, con estati lunghe e calde ed inverni miti e brevi, fa della Sardegna una terra godibile tutto l anno. Il maestrale (minstral) che soffia dalle bocche del Rodano (Nord-Ovest) è predominante, portando frescura in estate e pioggia (nella zona Nord) d inverno. La scarsità di piogge e la mancanza di fiumi con portata d acqua costante, creano il dramma della siccità che rischia di diventare endemico. Nonostante la costruzione di nuovi invasi non ancora a regime, il problema è lungi dall essere risolto. La densità demografica della Sardegna è di 68 abitanti per Km 2 per una popolazione totale di unità. La flora sarda, data la modesta altezza dei rilievi, rientra nella tipica vegetazione mediterranea delle sempreverdi. I boschi una volta numerosi, sono relegati nelle zone più elevate e ogni estate sono minacciati dalla piaga degli incendi. La macchia domina il territorio isolano, con il corbezzolo, l erica arborea, il lentisco, il mirto ed il cisto. La Sardegna nel Miocene. Nel 1993, a Fiume Santo nella Nurra (Sassari), vennero alla luce alcuni frammenti fossili. I reperti furono inviati all istituto di Geomorfologia e Geologia del Quaternario dell Ateneo di Liegi che li sottopose immediatamente a prime analisi: i resti appartenevano a vertebrati che vissero con molta probabilità prima del Quaternario. Una scoperta di notevole importanza considerato che in Sardegna scarseggiano i reperti appartenenti a fauna vissuta nel Cenozoico o Terziario. Tra i fossili furono individuati dei frammenti di una mascella inferiore contenenti due molari attribuiti a un primate individuato nell Oreopiteco, scimmia antropomorfa, vissuta nel Miocene, già 17

18 studiata perché una sua mandibola fu ritrovata a fine 800 in Toscana e nel 1958 uno scheletro completo emerse da una cava Il frammento di una mandibola fossilizzata appartenente a un Oreopiteco ritrovato a Fiume Santo di lignite nel Monte Bamboli in Maremma. In campagne di scavo seguite nel '94 e '95 vennero alla luce una ventina di denti che per le loro caratteristiche appartenevano anch essi alla stessa specie di scimmie. Un lontano parente dell uomo vissuto circa 9 milioni di anni fa che secondo li studiosi aveva tratti che lo differenziavano dalle scimmie classiche perché il suo bacino era corto e largo e la forma del femore poteva far pensare a un portamento eretto caratteristico della nostra specie. L Oreopiteco Nurrae o Proto, come i locali lo hanno battezzato, era alto un metro per 40 chili di peso, visse circa 9 milioni di anni or sono, aveva abitudini miste arboricole e terrestri. Non è un nostro antenato nonostante le sue caratteristiche siano tipiche dei primati che asso- 18

19 migliano all uomo (antropomorfi) ma appartiene a una linea collaterale che si evolse in modo diverso e si estinse misteriosamente. Nel Miocene esisteva probabilmente un ponte di isole che permise il collegamento con la Toscana e l arrivo di vari tipi di animali tra cui la scimmia antropomorfa battezzata Oreopiteco Bamboli Oltre ai resti di Proto, la trincea di Fiume Santo ha permesso di individuare altri fossili appartenenti a due bovidi, forse antilopi, a giraffe e a un suide: i resti hanno evidenziato che gli animali avevano taglie grandi e piccole tali da far pensare a razze endemiche in evoluzione nell isola. Tra i reperti anche frammenti di un tipo di orso e denti di coccodrillo e di roditori e microframmenti di animali anfibi. Gli studiosi non hanno dubbi nell attribuire all Oreopiteco e alle antilopi un origine africana ciò dimostrerebbe l esistenza in Sardegna di un clima subtropicale caratterizzato da grandi piogge alternate a siccità con folta vegetazione lungo fiumi e savana ricoperta di erba nell entroterra. Un ambiente misto con corsi d acqua che creavano estesi delta regno dei coccodrilli e grandi foreste con alberi d alto fusto habitat dell Oreopiteco contrapposti a pianure con erbe alte dove scorrazzavano antilopi e roditori. I ritrovamenti della Nurra pongono subito un problema: come giunsero gli animali dall Africa? Probabilmente Sardegna, Corsica e Toscana facevano parte di un grande arcipelago collegato da strisce di terra che permettevano agli animali di spostarsi da un luogo all altro: quindi la Sardegna nel Miocene sicuramente non era un isola. 19

20 IL PALEOLITICO SARDO QUESTO SCONOSCIUTO Fino a poco tempo fa, si credeva che nel Paleolitico la Sardegna fosse abitata solo da una scarsa fauna e non si supponeva che l uomo in quel periodo fosse presente, o perlomeno, non si trovarono tracce per confermarne la presenza. Solo recentemente nella zona di Perfugas, nel letto del Rio Altana, si sono individuate alcune pietre scheggiate col metodo a percussione detto clactoniano, lisciate dall acqua nel suo scorrere millenario ma riconoscibili come manufatti; decine e decine di microliti sono ora a disposizione degli studiosi. Durante le glaciazioni il livello del mare si abbassò notevolmente facendo emergere delle terre prima sotto il mare e creando così una serie di isole tra la Sardegna e la Penisola L uomo, quindi, approdò in Sardegna, forse per puro caso e vi si adattò vivendo di caccia e usando come ripari grotte naturali. I suoi utensili erano litici e d osso, si vestiva certamente di pelli e la sua vita era brevissima. Non abbiamo nessuna traccia della sua religiosità, ma senza dubbio esso fu impressionato da feno- 20

21 meni naturali quali il fulmine, il tuono o da corpi celesti come il sole e la luna. L uomo del Paleolitico fu certamente condizionato dalle glaciazioni che modificarono il clima e la fauna di quel periodo. Microliti ritrovati in Sardegna in un ruscello nei pressi di Perfugas (Sassari) Gli animali furono costretti ad emigrare dall Europa centrale verso quella meridionale e da qui, forse attraverso un ponte naturale, raggiunsero l Africa dove, trovando un clima favorevole, si stanziarono. L uomo fu costretto a seguire gli animali, fonte unica di cibo e, forse per avventura, raggiunse la Sardegna. Non abbiamo elementi che chiariscano se esso praticasse il culto dei morti o come inumasse i defunti, siamo portati a credere che li sotterrasse in ciste litiche (cumulo di pietre) all esterno o dentro caverne. Un altra scoperta importante ha dato la conferma che l uomo era presente nell isola da tempi remotissimi, nella grotta Corbeddu presso Oliena, dal nome di un bandito che la frequentò, furono identificate nello strato più profondo (III) tracce inconfutabili della presenza umana, quali i resti di focolari, ossa ammucchiate al centro della grotta, (gli animali morenti di norma 21

22 si avvicinano alle pareti e si lasciano andare), crani di cervi e di prolagus (piccolo roditore estinto), ammucchiati in modo razionale. Forse con imbarcazioni improvvisate come questa l uomo riusci a attraversare i piccoli tratti di mare e arrivare in Sardegna 22

23 La conferma si ebbe in breve tempo quando si identificò una mascella dai denti larghi e tozzi che, senza dubbio alcuno, appartenne ad un uomo di anni fa. Più tardi, si trovarono tracce di frequentazioni umane in strati risalenti a anni or sono. Le datazioni dei reperti vengono effettuate col sistema del radiocarbonio che consiste nel determinare la quantità di C14, isotopo radioattivo del C12 che è inerte ed è contenuto in ogni sostanza organica. In natura esiste una proporzione fra C14 e C12, si sa anche che quando un organismo muore, il C14, come tutte le sostanze radioattive decade, dimezzandosi ogni anni circa, quindi determinando la quantità presente di C14 in un reperto organico, se ne può determinarne l età con una buona approssimazione. Il cranio di un Megaceros Cazioti, antico cervo sardo estinto L eventuale Uomo di Oliena appartenne senza dubbio al tipo Neanderthal che, com è noto, fu soppiantato misteriosamente 23

24 da quello di Cro-Magnon solo anni fa e non ci è dato sapere se esso sopravvisse sì da avere contatti con la prima immigrazione neolitica. Le frequentazioni umane dell isola avvennero durante la glaciazione del Riss fra e anni fa e l uomo può avervi trovato condizioni ideali di vita, con una flora lussureggiante ed una fauna, priva di predatori, che forniva abbondante cacciagione. Certamente quegli uomini primitivi riuscivano a procurarsi facilmente il cibo e forse non avevano bisogno di vagare alla sua ricerca, questo gli permetteva di dedicarsi più a lungo alla costruzione di utensili e di armi per la caccia. Il cranio di un Prolagus, piccolo roditore endemico nell isola, estinto da migliaia di anni La fauna sarda era di piccole dimensioni, mancavano cioè i grandi animali ed era povera di specie; questa tendenza degli a- nimali ad evolversi in piccole taglie viene chiamata scientifica- 24

25 mente nanismo insulare ed è causata soprattutto dalla mancanza di predatori che in ambiente insulare fanno sì che le taglie tendano sempre più a rimpicciolirsi. Dopo la glaciazione di Riss si ebbe una lunga interglaciazione durata anni, nella quale il clima doveva avvicinarsi a quello subtropicale con piogge abbondanti e grande umidità che indubbiamente contribuirono ad aumentare le zone paludose dove l uomo imparò a navigare, costruendo le imbarcazioni con la canna (materiale peraltro abbondante), forse simili ai fassones tuttora usati nell Oristanese. La valle di Lanaitu presso Oliena culla degli uomini paleolitici e dove è ubicata la grotta Corbeddu che tanti reperti ha restituito Il Cervo Sardo (Megaceros Cazioti) subì un influenza evolutiva proprio a causa dell uomo, infatti conservò la sua taglia medi 25

26 per poter scampare con la fuga al più grande predatore tra tutti gli animali. Il cervo costituiva certamente la preda più ambita per quei primitivi cacciatori, poteva fornir loro carne per sfamarsi, ossa per fabbricare utensili e pelli per difendersi dal freddo. Non ci stupisce, quindi, l estinzione di questa unica specie di taglia grossa esistente in Sardegna. Se l uomo paleolitico ha influito sia sulla taglia, sia sulla estinzione del cervo, certamente doveva essere presente in numero consistente da formare una prima popolazione autoctona. Se si può affermare che i primi uomini approdati sull isola fossero di Neanderthal, certamente più tardi, essi furono soppiantati, come nel resto della terra, dall Uomo Sapiens-Sapiens del tipo Cro-Magnon. Pensando all impresa con la quale i popoli primitivi sono arrivati in Australia, superando un tratto di mare oceanico ben più impegnativo, diventa reale e concreta la venuta in Sardegna. Si possono fare solo congetture sulla provenienza degli uomini che per primi colonizzarono l isola, due sono le tesi più accreditate: dalle coste della Toscana o dalle coste del Midì francese. Su una cosa non ci sono dubbi: l uomo arrivò certamente per puro caso e per necessità. Siamo sicuri che in futuro, ritrovamenti da parte di paleontologi e archeologi riusciranno a chiarire il Paleolitico Sardo, scoperto da poco tempo e da poco tempo studiato e tutt oggi misterioso e nebuloso. 26

27 IL NEOLITICO SARDO Neolitico Antico ( a.c.) Il passaggio dal Paleolitico (Pietra Antica) al Neolitico (Pietra Nuova), fu lento e progressivo. Tra questi due periodi si suole collocare il Mesolitico (pietra di mezzo), nel quale gli uomini affinarono l arte di lavorazione litica non più scheggiando grossolanamente ma perfezionandosi fino ad ottenere manufatti più rifiniti e taglienti quindi sempre più efficaci. Dopo questo lento periodo di transizione si passò decisamente al Neolitico che rappresentò una rivoluzione tecnica e culturale. Nel periodo paleolitico l uomo era costretto a praticare il nomadismo, al fine soprattutto di procurarsi il cibo con la caccia, fino a quando, forse per caso, capì che certi animali, conigli, polli, maiali, potevano essere tenuti in cattività e usati come scorta a- limentare vivente e incominciò così a limitare la caccia, dedi- 27

28 cando più tempo al lavoro vicino alla grotta senza allontanarsi più di tanto; ma una scoperta ancora più importante fece fare a quei primitivi un salto notevole di qualità nel modo di vita, questa scoperta era l agricoltura. Non dobbiamo pensare che l introduzione dell agricoltura avvenne in tempi brevi, anzi probabilmente furono lunghissimi. Infatti si iniziò sicuramente con una scoperta casuale, fu così che un chicco di grano, che cresceva spontaneo e che l uomo aveva imparato a mangiare, caduto a terrà sviluppò il gambo e la spiga. Da lì l uomo capì che, vicino alla sua abitazione, poteva coltivarlo ed avere una riserva di cibo senza spostarsi. Da queste piccole scoperte, in centinaia d anni, l uomo perfezionò l agricoltura imparando i vari sistemi, i cicli, i metodi di raccolta. La disponibilità di cibo contribuì al moltiplicarsi della popolazione che cercò anche sistemi di vita più comodi incominciando a costruire ripari sotto roccia, capanne in legno o in canne e più tardi con i mattoni. L uomo incominciò a chiedersi se dietro alcuni fenomeni naturali ci fosse un essere soprannaturale e così intuì l esistenza di un Dio, sviluppando parallelamente il culto dei defunti. L esigenza di conservare i cibi portò alla scoperta della ceramica, a cui gli studiosi devono tanto, infatti i reperti di questi manufatti hanno contribuito a svelare i segreti dei nostri antenati. I primi villaggi di cui si è trovata traccia, in Medio Oriente, risalgono a anni fa, mentre nello stesso periodo, in Anatolia, si ebbe un forte impulso dell agricoltura e probabilmente quelle genti, favorite dal clima stabile dell interglaciazione, intrapresero una migrazione per stabilirsi in territori più fertili e più favorevoli. Fu così che arrivarono nel Mediterraneo e riuscirono ad attraversare il mare giungendo in Corsica ed in Sardegna. Nella nostra isola trovarono condizioni favorevoli e raggruppati in Clan familiari si diffusero in tutta la regione. 28

29 Sotto: cartina dei Ritrovamenti del neolitico antico in Sardegna L uomo neolitico perfezionò la tecnica litica creando manufatti rifiniti; l ossidiana, roccia vulcanica effusiva, permetteva la costruzione di utensili e armi facilmente, fu una vera materia d esportazione essendo richiesta e ambita in tutto il bacino del Mediterraneo; questo minerale abbondava nell isola, nel monte Arci e fu sfruttato fin dal Neolitico antico. Il lavoro degli archeologi ha portato alla luce vari siti sparsi in tutta l isola e all identificazione di vere e proprie culture, tutte 29

30 con loro peculiarità e diffusione nel territorio, il cui studio ha contribuito a svelarci gli usi, le credenze, le abitudini e quindi a conoscerle meglio. L ossidiana roccia vulcanica effusiva usata nel neolitico per costruire punte di lancia, frecce, coltelli e raschiatoi Oltre alle culture, caratterizzate dalla diffusione territoriale della ceramica e del modo di seppellire i defunti e della stessa credenza religiosa, vi sono dei ritrovamenti che, mancando i requisiti su esposti, possiamo chiamare momenti culturali. Fu così che il ritrovamento più antico datato circa 6000 a.c. appartiene ad un momento culturale nel quale l uomo neolitico è passato fino a raggiungere una più alta espressione che ha favorito le culture vere e proprie. Negli anni settanta, presso il villaggio di Sirri (Carbonia), venne alla luce un importantissimo sito, che testimonia la penetrazione neolitica in tutta l isola e l uso abbondante dell ossidiana quale minerale principe dell industria litica; il luogo chiamato Su Car- 30

31 roppu (riparo sotto roccia), nonostante sovrapposizioni posteriori, ci ha fotografato il sistema di vita di un clan di cacciatori. Essi usavano, come detto, l ossidiana sia per le armi sia per gli altri oggetti di uso quotidiano, ma si servivano anche di strumenti in osso, perfettamente lavorato, oltre che collane realizzate con conchiglie accuratamente forate. Importanti sono i frammenti di ceramica ritrovati dai quali e- merge una tecnica particolare di decorazione, la quale si effettuava sull impasto crudo tramite un arsella rugosa, detta Cardium Edule, i cui bordi seghettati si prestavano facilmente ad imprimere sul vaso decori vari; questa ceramica prende il nome di Cardiale. È difficile oggi immaginare il sistema di vita dei neolitici antichi, possiamo però ipotizzare come si svolgesse. La popolazione sarda, molto scarsa, aveva a disposizione immensi territori dai quali poteva trarre il fabbisogno per il quotidiano, il nucleo principale della società era la famiglia (clan) con tutti gli ascendenti e discendenti in vita; le donne oltre ad accudire la prole si curavano della fabbricazione delle suppellettili di uso quotidiano e della cucina, la dieta costituiva senz altro il problema da risolvere ogni giorno a cui si faceva fronte con la grossolana primitiva agricoltura e con la raccolta di molluschi, marini e terrestri e con la caccia, esclusiva del sesso maschile. L allevamento fu pratica usuale solo molto più tardi ed i protosardi dovevano vagare per il territorio per procurarsi le prede. Forse in questi spostamenti essi sfruttavano anfratti e caverne per passare la notte, diverse per convenzione dalle residenze che potevano, in quel periodo essere miste, ossia caverne rese abitabili con muretti, separazioni in pelli, palificazioni, o in embrionali stazioni all aperto con rozze capanne di frasche. La grande mortalità creava dei nuclei giovani, tutti atti ai lavori e alle fatiche, allo stesso tempo privava il clan della saggezza degli anziani. È difficile teorizzare l organizzazione sociale, ma questa doveva esistere e forse derivava dalle occupazioni dei membri e dalla loro importanza. 31

32 Il cacciatore che esercitava un attività essenziale per la sopravvivenza della comunità, costituiva l apice di questa teorica piramide, la donna con le sue attività altrettanto essenziali, forse era posta allo stesso livello, infatti la preparazione dei cibi, delle vesti, la cura dei piccoli era basilare in quei primi passi di organizzazione. Il disegno indica la stratigrafia con i vari strati che indicano i differenti periodi a iniziare dal più recente Di notte nei momenti di riposo, riuniti intorno al fuoco, la luna dominante e luminosa con lo sfondo di mille luci in un cielo immenso dovevano apparire come un miracolo e qualche stella cadente costituiva un evento soprannaturale con nessuna spiegazione se non l opera di un entità al di sopra di tutto e più forte di tutti: Dio. Fu così che la coscienza religiosa incominciò ad affermarsi e fu materializzata prendendo come simbolo il mistero della procre- 32

33 azione che i primitivi non sapevano spiegarsi: nacque di conseguenza il culto della dea madre rappresentata in manufatti litici, in un primo tempo e poi fittili. La coscienza religiosa diede senz altro un impulso moderno a quelle genti in quanto credere in uno o più dei (monoteismopoliteismo) presuppone una vita ultraterrena e quindi una esigenza di tumulare i morti ed un culto dei defunti. Questa scoperta fondamentale dei neolitici portò ad una diversa concezione della vita terrena, che favorì l introduzione di nuovi manufatti con fini essenzialmente religiosi. I vasi d uso quotidiano si differenziano notevolmente da altri d uso religioso; i primi si presentano di fattura più semplice e grezza mentre i secondi sono più ricercati nelle forme e lavorati ad impressione o ad incisione su pasta semicotta o a crudo. Appaiono dei simboli tipici della coscienza religiosa come cospargere i defunti di ocra rossa per allontanare gli spiriti maligni e deporre gli stessi in posizione fetale, in modo che rinascano nella seconda vita terrena nel modo giusto. Credere in un Dio che ha creato e che governa il mondo influì sicuramente sulla forma sociale neolitica portando ad una gerarchia sociale, antesignana delle caste, dove ogni individuo del clan ubbidiva ad un capo, che rappresentava il collegamento tra il terreno e l ultraterreno. Quanto detto è provato da un reperto importantissimo ritrovato in un anfratto presso il rio S Adde (Macomer), chiamato dagli studiosi la Venere di Macomer ; questo manufatto litico in basalto scuro, alto circa 15 cm. riproduce una figura femminile la cui grossolana fattura induce a pensare ad un adattamento di una pietra la cui forma naturale si avvicinava a quella ritrovata. Il viso prominente, con rappresentazioni di occhi puntiformi, richiama ad un genere geometrico in antitesi con i glutei, scolpiti con tecnica arrotondata e alla grossolana rappresentazione delle gambe fra cui emerge un pube certamente sproporzionato che però può rappresentare il motivo centrale e quindi più importante del manufatto che si ricollega alla concezione religiosa do- 33

34 ve la nascita veniva considerata un segno dell entità suprema: la Dea Madre. Per concludere, si può dire che quell antico scultore abbia voluto mettere in evidenza gli attributi femminili, accennando semplicemente senza rifinire le altre parti della figura. Purtroppo la datazione di questo reperto è incerta, essendo stato ritrovato in un sito già visitato da tombaroli e quindi confuso nei vari strati con rimescolamenti di materiali. Collegato direttamente a questa nascente concezione religiosa è l altro reperto della grotta Verde di Alghero dove in un vaso cardiale furono rappresentate delle facce umane stilizzate. Altri reperti ascrivibili al Neolitico antico furono ritrovati nel promontorio della Sella del Diavolo, tra cui un frammento cardiale con impasto grossolano ed un altro con residui di incrostazione di pasta gessosa bianca. Ma per i popoli del Neolitico antico la modernità voleva dire ossidiana, che costituì il vero trapasso tra il Paleolitico e il Neolitico. L ossidiana, minerale vulcanico effusivo vetroso, si prestava facilmente alla laminazione e alla scheggiatura, si crearono così dei manufatti che si dimostrarono efficaci, specialmente per la caccia, potendo ottenere degli spigoli taglienti e delle punte a- cuminate e resistenti. Altro fattore importante era la velocità di esecuzione dei prodotti e la grande abbondanza di minerale reperibile in vicinanza del monte Arci, antico vulcano spento: una svolta ulteriore, dopo l agricoltura, la coscienza religiosa e l allevamento che consentì ai neolitici di sganciarsi velocemente dal periodo Paleolitico che ormai poteva considerarsi decisamente superato. L uso della ossidiana accentrò lo sviluppo neolitico nell oristanese dove sorsero stazioni all aperto e insediamenti numerosi: l arte della lavorazione dell ossidiana si perfezionò e si diffuse in tutta l isola, i- niziò presumibilmente l uso dello scambio e le prime forme di commercio accelerando il sistema della specializzazione che consentì di possedere strumenti e manufatti, suppellettili, senza 34

35 bisogno di costruirli o plasmarli direttamente e contribuì quindi alla diffusione in tutto il territorio di medesimi strumenti e delle relative concezioni tecniche. Con le stelle i luoghi di produzione dell ossidiana nell Europa antica Alcuni sostengono che il commercio dell ossidiana ebbe uno sviluppo mediterraneo, consentendo esportazioni nel continente ed innescando un periodo di scambi materiali (baratto tra vari popoli); vari sistemi di datazione dell ossidiana hanno determinato gli anni in cui un reperto è stato staccato dal nucleo originale, arrivando a determinarne l età; un altro procedimento identifica i giacimenti di origine teorizzando in questo modo che l ossidiana sarda venne esportata nella Francia Meridionale, in Liguria e soprattutto in Corsica. Si può affermare, comunque, che i neolitici sardi discendenti dalla prima generazione dei più antichi popoli immigrati avesse- 35

36 ro modi di vita, credenze, sistemi abitativi comuni e, nonostante supposte divisioni tribali, una sorta di omogeneità che facilitò la nascita delle culture medioneolitiche che costituirono la base culturale autoctona la cui evoluzione, con apporti decisivi megalitici, si concretizzò con il periodo nuragico. Neolitico Medio ( a.c.) Cultura di Bonu Ighinu. Molte scoperte nel campo dell archeologia avvengono per caso e gli studiosi, senza dubbio, alcune volte si trovano davanti a manufatti la cui incerta posizione nel ritrovamento ne confonde sia la datazione che l origine. Non di rado il classico colpo di fortuna contribuisce insperatamente a far luce su un determinato periodo. Così avvenne con la scoperta del sito di Cuccuru S Arriu presso Cabras, dove alla fine degli anni 70 vennero alla luce una serie di tombe scavate nell arenaria. In altri siti, la frequentazione umana per vari secoli e le sovrapposizioni culturali, rendono difficili interpretazioni scientifiche attendibili; ma in questo caso il ritrovamento intatto degli ipogei consentì datazioni sicure e collocazione culturale certa. Il nome a questa cultura fu dato da un sito poco fuori il comune di Mara, nei pressi della chiesa del Buon Vicino (Bonu Ighinu) nella grotta chiamata la bocca del pipistrello dove vennero alla luce reperti sicuramente da ascrivere a una cultura medioneolitica, utensili in osso finemente lavorati, statuine femminili litiche a tutto tondo. Anche in questa grotta eponima, varie frequentazioni si ebbero nel corso dei secoli soprattutto della cultura posteriore di Ozieri, rappresentata in uno strato superiore. Gli archeologi constatarono che la grotta fu usata a scopo di culto e per sepolture e doveva necessariamente trovarsi nelle vici- 36

37 nanze un villaggio o un altro sito usato come abitazione. Fu così che da ricerche in una grotta poco distante chiamata Fillestru vennero alla luce una serie di strati intatti che arrivavano fino al Neolitico antico. Dea Madre La cultura di Bonu Ighinu ebbe una discreta diffusione nell isola e fu caratterizzata da una ceramica rifinita con motivi incisi. L importanza del credo religioso e quindi di una nascente spiritualità, fanno pensare ad una continua evoluzione del pensiero con l affermazione decisiva della credenza soprannaturale. La pinguità delle statuette ritrovate riconducono all opulenza come simbolo di abbondanza e di fertilità. Questi idoli vennero ritrovati dentro le tombe ipogeiche di Cuccuru S Arriu, insieme ad altri corredi, frecce, vasi fittili. 37

38 Il culto dei morti si manifestò così per la prima volta nell isola e ci permette oggi di ricostruire, sebbene sommariamente, il culto dei morti dei protosardi di Bonu Ighinu. La chiesa di Bonu Ighinu (Mara- Ss) che dà il nome alla cultura Le tombe usate erano del tipo a forno, scavate nel terreno verticalmente con un cunicolo d accesso e la camera mortuaria più ampia, il tutto coperto da lastre di pietra. Dai vari ritrova menti, emerge chiaramente la credenza in una seconda vita do po la morte. Plastico della tomba a forno di Cuccuru S Arriu (Cabras-Or) Questa credenza dovette condizionare la breve vita terrena di quei popoli antichi, perché credere nell aldilà provocò dei comportamenti atti ad ottenere e conquistare la seconda vita e ad uniformarsi a idee religiose con regole fisse che costituiscono la guida comportamentale per l esistenza; tutto ciò portò quei sardi a una crescente attività sociale e ad una organizzazion 38

39 gerarchica che è la base per qualunque comunità. Cultura di Ozieri ( a.c.) La cultura di Ozieri o di S. Michele prende il nome dalla grotta eponima naturale situata in comune di Ozieri. L attribuzione ai ritrovamenti archeologici di uno stesso stile riguardante un determinato periodo con diffusione generalizzata nel territorio, dà luogo a una cultura; di solito il primo luogo di rinvenimento di tale stile artistico e di vita rimane ad indicare l intera cultura. Nel caso della cultura di S. Michele, la più importante in assoluto del periodo neolitico, molti dubbi e tesi contrapposte non contribuiscono a chiarire la sua origine ed evoluzione. Parrebbe che questa cultura sia la evoluzione autoctona della precedente di Bonu Ighinu e che nel corso dei secoli abbia subito anche l influenza di culture e concezioni esterne che hanno modificato notevolmente la sua essenza originale. Per avere quindi un quadro più chiaro, è conveniente dividere questa cultura in tre fasi: Fase autoctona o inferiore Fase costante o media Fase allogena o superiore. Nella prima fase o autoctona che è difficile delimitare temporalmente, si ebbe la continuazione naturale della cultura di Bonu Ighinu, rafforzando le concezioni religiose e del culto dei morti. 39

40 Con la fase costante, ascrivibile al periodo medio, si raggiunse la diffusione generale nell isola del modo di vita e delle concezioni religiose. Gli stessi ideali, le stesse credenze, la stessa arte civile e funeraria, unite alle stesse tradizioni ci pongono di fronte a una nazione. La dea madre stilizzata della cultura di San Michele Nella fase allogena, l arrivo di nuovi immigrati con nuove idee e modi di vita modificarono la cultura originaria, che si differenziò da luogo a luogo dando origine a fenomeni artistici e architettonici locali, anche se ascrivibili alla stessa cultura. Il sistema di vita con l affermarsi dell agricoltura è il fatto predominante e decisivo di questo periodo, la caccia, prima essenziale, diventa collaterale e gli uomini se ne servono per integrare la propria dieta, gli animali domestici sono ormai entrati in modo consistente nell economia domestica. L agricoltura, anche se ancora arcaica, concede tanti alimenti e tante varietà. Le esigenze di coltivazione portano all invenzione di strumenti di lavoro sempre più sofisticati e rifiniti che entrano nell uso comune, macine pestelli raschiatoi e vasi appositi per impieghi diversi diventano indispensabili. Incominciano a sorgere i villaggi, con capanne di frasche e si sviluppa una vita comune con le stesse esigenze, dove la famiglia diventa clan e tribù ed è regolata da leggi codificate dalla tradizione. Vivere in villaggi, in modo stabile quindi, favorisce la specializzazione del lavoro e l uso del baratto. 40

41 Nascono probabilmente le prime caste di artigiani dediti alla costruzione di manufatti ceramici e di utensili in pietra e ossidiana abilmente rifiniti e di armi per la difesa e per la caccia, Vaso di San Michele dipinto di ottimo pregio artistico tutto ciò presuppone una organizzazione gerarchica che regoli la società tenendo conto che la natura dei luoghi, dove gli ozieresi vivono, influisce sul loro sistema di vita per cui coloro che risiedono nelle zone montuose usano ancora le caverne, rese però abitabili e confortevoli, dedicandosi prevalentemente alla pastorizia. La caccia rimane, ancora dominante nei luoghi scoscesi e lo spostarsi continuamente impedisce il sorgere di comunità stabili. Quindi nelle zone dell interno (futura Barbagia) Gerrei, Gallura, altipiani centro occidentali, veniva praticata assiduamente la pastorizia e il nomadismo limitato, la vita pertanto era più dura che nel resto dell isola e le esigenze forse minori. In questi luoghi era necessario che ognuno si adoperasse per costruirsi gli oggetti di uso comune, che risultarono mediocri nella fattura, mancando la specializzazione e quindi la professionalità. 41

42 Gli abitanti delle pianure, come detto, conducevano invece una vita più comoda tipica della civiltà urbana odierna. Ricostruzione ideale di un villaggio del-a cultura di Ozieri - San Michele I villaggi ozieresi si diffusero nel Campidano e furono costruiti in dolci rilievi o collinette (Cuccuru e Coddus), formati da numerose capanne dal diametro medio di 4-5 metri costruite con frasche e pali lignei di cui oggi naturalmente non rimane alcuna 42

43 traccia se non un fondo annerito segno di frequentazione umana. Le zone acquitrinose sono preferite, soprattutto al Sud, il villaggio di San Gemiliano a Sestu e di Su Coddu a Selargius, ci indicano delle genti dedite anche alla pesca e alla raccolta di molluschi. Altri agglomerati urbani sono sparsi un po in tutta l isola. I principali sono: Serra Is Araus S. Vero Milis Puisteris Mogoro Conca Ilonis Cabras Fenosu Palmas Arborea S. Elia Cagliari M. Zara e M. Occadiri Monastir Turiga Senorbì S arriorgiu Villaperuccio Gruttacqua S. Antioco Sa Mandara Samassi M. D Accoddi Sassari Oltre ai villaggi sopra elencati, una ventina di grotte naturali furono abitate dalle genti di S. Michele, queste le più importanti: Grotta verde Alghero M. Malore Thiesi Filiestru Mara Bue Marino e Su Anzu Dorgali Gonogusola Oliena Bocca del pipistrello Mara San Bartolomeo Cagliari Oltre alla grotta eponima di S. Michele. Queste grotte naturali, oltre a servire per residenza stabile venivano usate, nella zona più interna, per seppellire i defunti. La pianta della grotta veniva divisa in più vani con strutture litiche, per creare veri e propri ambienti. L inumazione dei defunti nel luogo di vita normale rappresenta forse in modo palese la 43

44 credenza nella seconda vita, da rivivere nel luogo della vita precedente. La grotta di San MIchele nei pressi di Ozieri (Sassari) dove sono stati trovati i primi reperti attribuiti alla coltura a cui ha dato il nome Pian piano, la caverna fu abbandonata e le genti si raccolsero in agglomerati di capanne, per condurre una vita in comune. Nel periodo allogeno o superiore, l immigrazione di nuove genti e di nuove idee, modificarono sostanzialmente il modo di vita delle genti isolane di quel periodo. Il quadro S. Michele si arricchì di nuove metodologie e la pietra, diventò pian piano, il materiale più usato nella costruzione delle abitazioni. Tutto ciò si evince dagli scavi stratigrafici che consentono di i- dentificare le varie culture secondo la sovrapposizione dei resi- 44

45 dui litici, fittili e organici; lo strato S. Michele si presenta alquanto ricco di reperti di varia natura e di varia produzione che indica un livello di vita decente e organizzata. I villaggi sparsi nelle pianure e nella alture, invece, non hanno lasciato altra traccia se non il fondo della capanna, riconoscibile solo dagli esperti. Ma un attento studio e scavo del terreno hanno permesso di scoprire avanzi di alimentazione e una lunga serie di strumenti della vita quotidiana. In qualche capanna, l abbondanza di reperti fittili, ha fatto pensare ad una bottega di un artigiano, in un altro caso, l abbondanza di rifiuti malacologici (avanzi di molluschi), ha indotto a pensare ad una discarica collettiva. Poiché nessun villaggio ha mostrato segni di fortificazioni, la vita doveva essere tranquilla e senza lotte tra tribù ed è lecito immaginare un unica etnia consolidata nei secoli e diffusa nel territorio. Fino ad oggi, sono stati effettuati scavi regolari solo nelle stazioni all aperto di Su Coddu-Selargius e Serra Is Araus-S. Vero Milis. In questi siti si è avuta conferma stratigrafica della sovrapposizione degli strati S. Michele a quelli Bonu Ighinu, che attestano come le culture siano interdipendenti ed in successione cronologica. Gli altri ritrovamenti sono invece casuali e non danno una collocazione temporale del quadro S. Michele, in specie per il momento allogeno, che quindi è ancora da determinare, non essendo chiara l influenza del megalitismo importato, sulla tecnica e- dilizia e sulle rappresentazioni classiche come i menhirs. Mentre per le stazioni all aperto lo studioso non ha a disposizione reperti strutturali che lo agevolino nella ricerca, nell orizzonte funerario, l abbondanza di questi reperti ha permesso studi approfonditi che ci danno un quadro evolutivo affidabile di questa cultura. Certo, gli scempi causati dai tombaroli in molti casi, hanno precluso indagini temporali e collocazioni antropiche certe, tuttavia 45

46 il quadro S. Michele oggi si presenta abbastanza chiaro, nonostante molto rimanga ancora da scoprire. Come nella cultura di Bonu Ighinu, l uomo è affascinato dal mistero della vita e dai fenomeni naturali. La Dea Madre dalla quale ha inizio la vita è il centro della concezione religiosa. Il contributo dato dal sesso maschile alla generazione è considerato marginale e dipendente; l uomo lavora, combatte, prega, per rendere la donna e quindi la Dea, sicura nell assolvere il suo compito soprannaturale e terreno allo stesso tempo. La coesione e la forza di vita, provengono a quelle genti da una convinzione escatologica certa. Alla morte, infatti l anima e il corpo rinascono, frequentano gli stessi luoghi e usano le stesse cose lasciate prima della morte. Questa forte concezione permea gli uomini dando orizzonti ultraterreni definiti che condizionano la vita in tutte le sue espressioni; la Dea Madre ovvero la donna è il centro della religiosità, non una concezione monoteistica ma un pensiero demiurgico dove l attrice dei destini dei vivi si serve di entità marginali per portarli a compimento. Emerge così la palese subalternità del Dio Toro rappresentante la virilità necessaria religiosa che ricalca la precedente cultura e che viene rappresentata con idoli cruciformi stilizzati, di concezione egea, ma senza rilievo di attributi che sono insiti nel personaggio Dio e non hanno bisogno di essere evidenziati. Questa prima idea religiosa viene disattesa nella fase allogena. Nuove idee e nuove concezioni di vita, portate da altre popolazioni, radicano negli autoctoni comportamenti, forse più materiali, facendo scadere la centralità teologica della Dea Madre a favore del culto della virilità e quindi dell uomo. Questa concezione si materializza in modo evidente con l erezione di monoliti prima semplici poi tendenti all antropomorfismo, palese consacrazione dell uomo, visto ora come artefice della vita terrena e ultraterrena e con chiaro significato apotropaico. 46

47 I menhirs di Laconi, ancora non precisamente attribuiti temporalmente, ma ascrivibili teoricamente a una cultura sub-ozieri o Monte Claro confermano la proiezione religiosa dell orizzonte Ozieri anche se, ipoteticamente, collocati posteriormente. In seguito, questo nuovo modo di concepire la religione ponendo al centro l Uomo-Dio, sarà la base per il culto del Sardus Pater, la materializzazione della forza in un simbolo che ci fa capire anche la realtà di vita dei neolitici. La tranquillità e la pace fra le varie tribù o clan dovevano essersi bruscamente interrotte, poiché il modello religioso primitivo riflette sempre una esigenza di vita, è facile intuire come la forza e la virilità fossero le qualità che in quel preciso momento storico, servivano per superare le contingenze identificabili in lotte intestine e contro altre popolazioni. L esigenza di difendersi può aver anche favorito una maggiore coesione fra tribù della stessa stirpe e allo stesso tempo una ammirazione massima per i capi guerrieri. Tutto ciò può spiegare l erezione dei menhir antropomorfi del Sarcidano, con chiari significati guerrieri. L erezione di un monumento, essenzialmente religioso come quello di Monte d Accoddi rientra in questa mentalità ed esigenza di arrivare al Dio e farsi sentire più da vicino, idea diffusa in tutto il Medio Oriente e anche nelle Americhe. Il Bastione di M. D Accoddi, infatti, pur essendo l unico nel bacino del Mediterraneo, è un modello sfruttato nei secoli a partire dalla torre di Babele arrivando allo Zigurat e alle piramidi americane. Un luogo di culto comune dove avvenivano anche dei sacrifici per ingraziarsi il Dio e ottenere quanto richiesto. Il culto dei morti e le Necropoli Ciò che distingue questa grande cultura dalle altre è il culto dei morti: le Domus de Janas, tombe ipogeiche classiche di questo periodo, raggiungono una notevole diffusione in tutta l Isola. 47

48 La necropoli neolitica di Montessu (Villaperuccio- Cagliari) con tombe ipogeiche che la fantasia popolare ha chiamato Domus de Janas (casa delle fate) Le grotte artificiali del tipo orizzontale, scavate nella roccia anche granitica, ebbero una diffusione generale; costituite anche da molte camere, potevano avere la funzione di sepolcri e di templi. Ricostruzione della tomba ipogeica plurucelulare di Santu Pedru (Ss) 48

49 Erano precedute da un lungo corridoio (dromos) all aperto, che conduceva ad una prima camera destinata ad atrio, sulla quale si affacciavano le celle sepolcrali. Pranu Muteddu (Goni - Ca) necropoli neolitica con tomba scavata in un megalite Interno du una tomba con la riproduzione del tetto a doppia falda a imitazione delle civili abitazioni 49

50 Tombe complesse, rispetto alla semplicità delle precedenti di Bonu Ighinu, ma chiaramente da queste ultime derivate e rese più importanti e monumentali. Petrogliffi scolpiti nelle tombe di San Michele Che rappresentano la forza taurina Costruite, quasi sempre, su un anfiteatro naturale, costituivano delle vere necropoli, come quella di Montessu in territorio di Villaperuccio, Sant Andrea Priu presso Bonorva, Santu Pedru vicino a Olmedo. Contrariamente ai defunti di Bonu Ighinu, quelli di Ozieri venivano deposti con inumazione secondaria, con i corpi che venivano prima fatti scarnificare e poi deposti. Il sepolcro era meta di visite da parte dei parenti e assumeva le caratteristiche di sacralità e può considerarsi allo stesso tempo un luogo sacro dedicato agli Dei che avevano il gravoso compito di difendere gli estinti e favorirne la rinascita. 50

51 Il Megalitismo sardo. Ad iniziare dalla cultura di Ozieri a.c. il Megalitismo, originario della Bretagna, si diffuse anche nell isola. Le costruzioni con grandi pietre (megaliti) sorsero rapidamente in tutta l Europa differenziandosi da luogo a luogo. Il dolmen di Birori (Sassari) I Menhirs e i Dolmens, primi esempi di monumenti megalitici, sono presenti in tutto il continente e nelle isole maggiori mediterranee nella forma originaria bretone dalla quale sono derivate anche forme locali più complesse. I Menhirs (Men = pietra, hir = diritta) si trovano in Sardegna nella forma singola (pietre in fitte) e nella forma complessa chiamata allignement. Pranu Muteddu, altopiano presso Goni, è l esempio più importante di allineamento megalitico a custodia di un luogo di culto e di una tomba scavata in un grande masso portato da un altro luogo. L arte megalitica consisteva essenzialmente nella esecuzione di costruzioni in pietre enormi appena sbozzate, dietro la sicura regia di ingegneri sacerdoti. Il luogo dove venivano inumati i 51

52 defunti diventava un luogo sacro, quindi di culto e univa i vivi ai morti, quasi un contatto tra il terreno e l ultraterreno. Le tombe venivano circondate da una serie di pietre come un recinto, forse inviolabile, che veniva riempito di terra così da formare un tumulo. A guardia del sito sacro venivano collocati dei Menhirs come simbolo apotropaico. Gli allineamenti di Laconi, scoperti negli anni 70 in una zona un tempo coperta da una rigogliosa foresta, oggi distrutta da un catastrofico incendio, posero agli studiosi vari interrogativi. Ricostruzione del dolmen Sa Coveccada (Mores - Ss) Mentre ai Menhirs singoli ritrovati qua e là nell isola, si attribuì un valore apotropaico, più difficile appare il significato degli allineamenti. Queste sentinelle litiche, in fila indiana, tracciano una strada per giungere alla necropoli, quasi sempre situata nel lato Sud. La forma originale tradizionale è arricchita da tratti scolpiti di chiaro segno antropomorfo. Nessuno ci vieta di supporre che il numero dei monoliti ritrovati possa essere di gran lunga inferiore all originale allineamento. Se attribuiamo ai menhirs anche il significato di rappresentare il defunto, ne deriva che per ogni morto un menhir veniva colloca- 52

53 to, fino alla capienza della necropoli che poi diventava solo luogo di culto. Risalendo questi monoliti alla cultura di Ozieri-Abealzu Filigosa; nelle quali si usava seppellire i defunti nelle Domus de Janas, si potrebbe teorizzare l uso dei Dolmen per i defunti d alto rango o di particolare casta. Menhir antropomorfi di laconi Ciò può essere avvalorato dal fatto che le incisioni dei menhirs presentano, almeno a Laconi, una stilizzazione di armi che verosimilmente potrebbero rappresentare dei guerrieri. Traspare dalle incisioni il sesso maschile della rappresentazione litica, ciò sarebbe molto strano considerando il culto della Dea Madre, profondamente radicato in quelle genti. Anche il simbolo fallico, caratteristico nei menhirs, appare raramente nelle stilizzazioni di Laconi, quindi, la tesi del monumento rappresentante il soggetto potrebbe essere plausibile. 53

54 Le varie altezze, riscontrabili nei monoliti ritrovati, potrebbero indicare la diversa statura sociale dei defunti. Le stele di Laconi sono importanti anche per l antropomorfismo che questi protosardi hanno espresso con le incisioni. La rappresentazione del viso è ottenuta con lo schema a T, in alcuni casi gli occhi sono ricavati con dei fori nella pietra. L incisione che affascina maggiormente è la stilizzazione dell uomo ottenuta in modo elementare ma espressiva, con la testa rivolta verso il basso, con chiaro significato di morte, che ritroviamo anche in altri graffiti risalenti allo stesso periodo. Poiché molte stele contengono la raffigurazione dell uomo capovolto, considerando che questa è quasi sempre associata alla incisione di un pugnale a doppia lama, se ne arguisce che il soggetto rappresentato potesse essere morto in battaglia. I Menhirs di Laconi costituiscono un salto di qualità collocabili posteriormente ai monoliti fallici, da questi derivati, ma con diversi significati, segno di una maturazione delle credenze primitive e di una trasposizione ideale ed emotiva del culto del defunto che, forse per la prima volta, veniva ricordato attraverso un simbolo che lo rappresentava. Gli altri Menhirs presenti nell isola sono di modeste dimensioni ed in maggioranza rappresentano la donna, con raffigurazione dei seni e l uomo con abbozzo dell organo genitale. Indubbiamente, questi antichi abitatori dell isola consideravano la fertilità e la nascita una fortuna ed un mistero. Avere molti figli voleva dire disporre di più braccia per la caccia, per il lavoro dei campi e più voce in seno alla tribù dove il numero era anche forza. La nascita in quanto incomprensibile era un mistero ed un miracolo allo stesso tempo, ciò giustificò il ruolo della donna e la sua rappresentazione in manufatti litici e fittili coevi al fenomeno megalitico. Il culto della Dea Madre e l erezione dei monumenti simboleggianti gli organi genitali sono in diretta relazione con la concezione e le credenze di questi antichi progenitori. 54

55 Il Dolmen (da Men = pietra, Dol = tavola), tavola di pietra, è anch esso presente nell isola e costituisce l embrione da cui si svilupperà l arte funeraria nuragica. I neolitici sardi avevano sempre seppellito i morti in tombe ipogeiche dette a forno (cultura di Bonu Ighinu), fosse scavate nel terreno consistenti in un vano di accesso ed una camera di 2 metri circa di diametro, dove veniva deposto il defunto con alcune suppellettili, vasi, frecce, statue, Dea Madre. Con la cultura di Ozieri le tombe ipogeiche vennero scavate su fianchi di colline (domus de janas) e consistevano in un ampio corridoio d ingresso (dromos) e in varie camere dove i morti venivano deposti accompagnati dai soliti corredi. Nel periodo tardo Ozieri si incominciò la inumazione in dolmen e appunto a sé stante sta la cultura dei circoli megalitici di Arzachena dove il dolmen veniva circondato da grandi massi (così come a Pranu Murteddu) e poi ricoperto di terra (tumulo) con a sentinella il solito Menhir. La cultura di Arzachena non viene inserita dagli studiosi come stadio evolutivo di altra cultura ma è indubbio che possa essere una diversificazione locale di un fenomeno generale. Il dolmen quindi nella forma più semplice (due pietre verticali e una orizzontale a copertura), entra a far parte integrante della cultura funeraria sarda con tutte le evoluzioni che ne deriveranno nel periodo nuragico. Dal dolmen semplice si passò ai dolmen complessi (alleè couvertes o tombe a galleria) usando monoliti di grandi dimensioni dal peso di svariate tonnellate. Le costruzioni megalitiche comportarono una organizzazione del lavoro complessa, possibile solo con la partecipazione di tutta la tribù. Il reperimento dei grandi massi, lontani decine di chilometri, il loro trasporto al sito prescelto, il sollevamento e l assemblaggio, sono il segno inconfutabile di una società gerarchica e autorevole, dove il lavoro coatto doveva avere un ruolo predominante. 55

56 Allo stesso periodo risalgono anche alcuni villaggi fortificati, con possenti mura di cinta, segno evidente di divisioni tribali o di pericolo d invasione di popoli dal mare. L altare di Monte D Accoddi (Ss) In Sardegna esiste un monumento megalitico, unico nel suo genere, a pianta rettangolare, che non trova riscontri nel Mediterraneo, paragonato da molti studiosi allo Zigurat mesopotamico: l altare di Monte D Accoddi, presso Sassari. Purtroppo le distruzioni dei secoli successivi e l uso di adoperare le grandi pietre per nuove costruzioni hanno contribuito alla distruzione del sito che oggi risulta di difficile lettura. Con tutto ciò, regolarmente vengono alla luce manufatti e costruzioni megalitiche, il che fa supporre che ancora molto sia custodito gelosamente dalla terra. 56

57 L ETÀ DEL RAME O CALCOLITICO A.C. Anche in Sardegna l importazione dell uso di utensili di rame rappresentò un fenomeno tecnico che ebbe grandi ripercussioni sociali e culturali. Tabella delle culture dell Età del Rame Naturalmente l uso della pietra rimase maggioritario per molti decenni e i manufatti in metallo conquistarono il primato quando si constatò la loro robustezza e la facilità della loro costruzione. L Età del Rame o Calcolitico, fu un periodo di transizione 57

58 confuso, con immigrazioni di popoli e grandi spostamenti antropici. La caccia ai giacimenti e alle miniere fu il tema predominante di tutte le genti del bacino del Mediterraneo e dell Asia; si cercarono assiduamente delle nuove terre mentre l agricoltura e l allevamento raggiungevano notevoli risultati, favorendo la stanzialità. Classico vaso di Monte Claro La ricchezza voleva dire rame, per questo i popoli erano disposti a qualunque sacrificio per impossessarsene. La Sardegna non possedeva grossi giacimenti di rame, ma le genti che cercavano il materiale non potevano saperlo e sbarcavano sull isola alla sua ricerca. La cultura che seguì Ozieri è chiamata Abealzu - Filigosa da due tombe scoperte in queste località, la prima vicino a Osilo e la seconda vicino a Macomer. Una cultura di transizione che si fa risalire a a.c. ed è rappresentata da una ceramica grossolana e senza decori, segno palese di una decadenza culturale in atto. 58

59 Unica novità è rappresentata dalla ceramica con vasi che assumono la forma di bottiglie con collo allungato di chiara derivazione italica e con influssi della cultura di Gaudo e Ribaldone. Fra il 2500 e il 2000 a.c. un altra cultura sembra affermarsi nell isola: la cultura di Monte Claro. Questa cultura prende il nome dal luogo del primo ritrovamento, avvenuto in una collina, ora situata al centro di Cagliari. Tipiche di questo stadio culturale sono le tombe ipogeiche verticali e ceramiche con largo collo e con decorazioni a linee parallele verticali e orizzontali. La tecnica ceramica e le tombe con fattura completamente diverse dalle precedenti, fanno pensare ad uno stanziamento di popoli stranieri che costruirono anche villaggi fortificati, temendo forse, altre immigrazioni o per difendersi dagli indigeni. Tra il 2000 e il 1800 a.c. subentrò la cultura chiamata del vaso campaniforme che si diffuse in tutta l isola. Diffusione delle genti del vaso Campaniforme I vasi hanno la forma di una campana rovesciata e sono decorati con motivi geometrici impressi orizzontalmente; è una cultura 59

60 comune a tutta l Europa nella quale si diffuse partendo probabilmente dalla Spagna. Una cultura importata da un popolo che rimane misterioso, che si è stanziato in tutta Europa con una capacità di adattamento eccezionale. La Sardegna, intanto, andava pian piano assorbendo altri popoli e altre culture che si fusero con quelle locali, creando il substrato etnico e culturale che porterà alla nascita della grande cultura nuragica. Dopo il vaso campaniforme l isola ebbe un nuovo periodo di crisi rappresentato dalla cultura di Bonnannaro, a.c., dove le ceramiche assunsero forme stilisticamente mediocri e impasti grezzi, senza alcuna decorazione. Il sistema di vita e la competizione dovevano aver spinto quei popoli alla ricerca dell essenziale per la sopravvivenza, scartando il superfluo che non serviva per la loro misera esistenza. Tutte queste culture sono temporalmente difficili da determinare, in quanto alcune convissero mescolandosi tra loro e rendendo ardua una loro precisa collocazione territoriale. Tutte però contribuirono, nonostante alcune loro peculiarità, a porre le basi per un futuro tecnico e culturale senza eguali che ha già incominciato a muovere i primi passi ma che esploderà nel 1500 a.c.: il periodo nuragico. Cultura di Abealzu-Filigosa, ( a.c..) Prende il nome da due siti in comune di Osilo (Abealzu) e in comune di Macomer (Filigosa); temporalmente la prima sembrerebbe leggermente precedente alla seconda. La successione di questa cultura a quella di S. Michele è documentata negli ipogei longitudinali con il ritrovamento di reperti pertinenti in strati superiori, quindi più recenti. 60

61 Tomba ipogeica di Abealzu (Osilo- Ss) Tracce di questa cultura si sono ritrovate in almeno 25 località, soprattutto nella Sardegna Settentrionale e dimostrano un impoverimento decisivo della cultura S. Michele. In Abealzu-Filigosa si nota, negli insediamenti civili, una prima esigenza di difesa, come a dimostrare il pericolo di nuove immigrazioni o minacce che quelle genti prevedevano. Tipico di questa cultura è l affermarsi del megalitismo rappresentato dalle Allé couverte e della usanza di arricchire le tombe con petrogliffi antropomorfi di stile particolare quindi specifici che si differenziano nettamente dalla precedente cultura. Traspare da questa usanza, lo spirito guerriero, forse necessariamente acquisito. 61

62 La ceramica, dopo il grande momento artistico e stilistico di O- zieri-s. Michele, scade improvvisamente sia come fattura che come decorazione che scompare quasi completamente. Appare l anfora con doppia ansa, tipica e distintiva di questa cultura, mentre la colorazione nera diventa classica nonostante la scadente rifinitura dell oggetto, le decorazioni vengono sostituite dalle impressioni a crudo con motivi punteggiati ma non sono rare le decorazioni graffite a cotto. L industria litica rimane prevalente anche se la produzione in ossidiana diminuisce notevolmente con una apparizione timida degli strumenti metallici. Cultura di Monte Claro, ( a.c.). Il ritrovamento, nel 1905, di reperti nella collina di M. Claro, ora al centro di Cagliari, ha dato il nome a questa cultura. Pian piano si scoprirono altri siti M. Claro in tutta l isola, nei quali si notò un adattamento territoriale, un mutare cioè con l esigenza di vita dell ambiente locale e della sua economia. E- merge anche una presa di distanza dal mare, quasi a temere pericoli di lì provenienti; la vocazione M. Claro sembra essere di pianura o pedemontana, rarefatta nelle zone montane propriamente dette. Le grotte vengono ancora usate sia per abitazione sia come sepolcro, sebbene marginalmente, i villaggi appaiono nelle zone pianeggianti in special modo nel Campidano. Vicino a Cagliari notevoli sono gli insediamenti: S. Gemiliano a Sestu, Su Coddu a Selargius, Basciu e Serra a Quartu S. Elena, Monte Zara e Monte Olladiri a Monastir. Le capanne con base litica erano costruite in frasche e pali e non ci sono rimasti che i cosiddetti fondi, poco studiati e che non fanno trasparire la tecnica costruttiva del sopraelevato, chiaramente scomparso. 62

63 Di particolare interesse è l insediamento di Monte Baranta, presso Olmedo (SS), dove il villaggio era difeso da una fortificazione megalitica che dominava la pianura sottostante e difendeva l insediamento; due ingressi situati a Nord e Sud portavano ad un grande spiazzo ellittico. Le sepolture di M. Claro si presentano varie e diversificate comprendendo grotte naturali (Tanit a Carbonia), Disegno di una tomba Monte Claro ritrovata a Cagliari grotte artificiali (Cuccuru-Craboni a Maracalagonis), piccole costruzioni racchiuse in tumulo (Santu Luxori a Barumini); le tombe ipogeiche cagliaritane si mostrano più sofisticate: schema tricamerale con pozzo di accesso con un defunto per camera chiuso nel vano da un muro in pietre, (Via Basilicata, Monte Claro, Sa Duchessa). Il dolmen appare come sepoltura, forse nella sua forma più semplice trilitica, successivamente sfruttato dalle genti Bonnannaro e nuragiche con ristrutturazione in forma di tombe di giganti. Il rame è più abbondante della cultura Abealzu-Filigosa, ma la tradizione litica permane ed è ancora maggioritaria. Sembra ritornare in modo massiccio l ossidiana e la selce con strumenti di uso comune e le teste di mazza e le macine che stanno a dimostrare la vocazione agricola. Appaiono le armi di rame rappre- 63

64 sentate da particolari pugnali fogliati a losanga (inclinazione nelle due facce). La ceramica si presenta, anch essa, articolata e differenziata nei territori con peculiarità locali specialmente nell ornato. Nell arte sepolcrale Sa Duchessa-Via Basilicata-Monte Claro, i vasi ritrovati presentano scanalature verticali ed orizzontali chiaramente incise od impresse, di foggia media con materiali depurati e ottenuti, forse, con una rudimentale ruota vasaria. Nel resto della Sardegna, pur variando la materia prima per l impasto, si nota la stessa tendenza a scanalare, nonostante la provenienza da luoghi dei vivi, presenti forme più varie in quanto legate ai molteplici usi domestici. Tra gli oggetti di ornamento collane in conchiglie e in vaghi ricavati da ossa di animali che denotano un senso della creazione riducendo materiali, non tradizionali, alla necessità. L arrivo di immigrati, alla ricerca forse dei metalli, provocò nelle genti M. Claro il bisogno della difesa, mentre la scoperta di moderne tecniche artistiche e l assimilazione di nuove concezioni costruttive, con l inserimento delle nuove etnie, crearono il substrato su cui si poggerà il popolo nuragico. Cultura del Vaso Campaniforme, ( a.c.). Un popolo, proveniente dalla Penisola Iberica, si diffuse in tutta Europa tanto da guadagnarsi il soprannome di Zingaro della preistoria ; la tipica forma della sua ceramica a campana rovesciata, lo fece identificare come genti del vaso campaniforme. Questo popolo è avvolto nel mistero, ignote sono le cause del suo pellegrinare che lo portò in ogni angolo d Europa riuscendo ad affermare l arte originale ceramica e forse nuove idee ed un nuovo sistema di vita. Alcuni mettono in dubbio la natura iberica e mediterranea di quelle genti ascrivendola a popolazioni semitiche trapiantate in Spagna. 64

65 I campaniformi giunsero anche in Sardegna dove sono stati riconosciuti 37 siti riconducibili alla loro cultura, ancora molto limitata numericamente e di gran lunga inferiore alla precedente di M. Claro. Due tipici vasi campaniformi I reperti provengono da siti tombali in maggioranza e scarsamente da insediamenti abitativi, nonostante la scarsità dei ritrovamenti, la statistica ci suggerisce la prevalenza stanziale nel lato nord-occidentale dell isola, scarseggiando nel cagliaritano e solo con qualche insediamento nel Sulcis-Iglesiente. Si ha il sospetto che i campaniformi non si integrarono con i sardi autoctoni, ma rimasero emarginati, formando delle piccole comunità, che poco influirono sul divenire del pensiero e dell arte. La diversità, ormai appurata, del modo di seppellire i morti, u- sando preferibilmente inumazioni singole con deposizioni primarie (il defunto viene sepolto integro all atto della morte) o deposizioni secondarie (il defunto viene fatto scarnificare natu- 65

66 ralmente o per combustione, poi i suoi resti vengono sepolti), confermano la supposizione di autonomia culturale di quelle genti. Appaiono punte di frecce costruite con ossidiana locale, ma con fattura equiparata e simile ad altra francese, si usano i paracorda che impediscono alla corda dell arco di creare danni al polso (brassard), realizzati con piastrine in pietra. Le armi in metallo ramineo sono abbondanti, caratteristico è un pugnale immanicato dalla lama ricurva. I campaniformi, come nel resto d Europa, anche in Sardegna, fabbricarono, con grande fantasia, oggetti ornamentali in vari materiali, tra i quali collane di vario tipo e foggia, ritrovate nelle poche tombe a loro attribuite. Qualche oggetto in rame e argento ad uso personale o domestico dimostra la ricerca dell estetica e conferma una modernità culturale dove il voluttuario e la vanità entrano nella forma mentale di quelle antiche genti. La ceramica rimane la loro arte distintiva, con l originalità delle creazioni con forme angolari o arrotondate che richiamano la campana rovesciata e che presentano decorazioni eseguite prima della cottura, con bande orizzontali alternate a disegni geometrici. 66

67 IL PERIODO NURAGICO a.c. Misteriosamente all alba dell Età del Bronzo, nel 1800 a.c., in Sardegna fiorì una grande civiltà che fu chiamata nuragica dal simbolo che la rappresentava: il nuraghe. Espressioni caratteristiche del periodo nuragico I nuraghi, grandi opere megalitiche, furono costruiti in tale numero da modificare l aspetto del paesaggio dell isola e ancora oggi queste costruzioni, sebbene consunte dal tempo, dominano sui territori quasi incutendo timore reverenziale ai viandanti. La civiltà nuragica mosse i primi passi con la cultura di Bonnannaro, considerata decadente e dall arte grezza, ma vero ponte con le civiltà neolitiche di grande spessore come Bonu Ighinu e Ozieri e quelle eneolitiche (del rame) di Monte Claro e Campaniforme. 67

68 La cultura nuragica, nonostante apporti esterni, può essere considerata un fenomeno propriamente sardo e nasce dalle acquisizioni culturali e di pensiero dei periodi precedenti. Molti parlano di nuovi popoli immigrati nell isola e di leggende che vorrebbero artefici dei nuraghi genti arrivate nell isola portatrici di nuove tecniche costruttive, ma, come sempre, la realtà è più banale e più semplice della fantasia. La tecnica megalitica nuragica non può che essere nata dal perfezionamento di quella importata migliaia di anni prima e originaria della Bretagna. Col passare del tempo si acquisì l esperienza e si perfezionarono i modi di costruire e la necessità poi aguzzò l ingegno. Il protonuraghe di Bruncu Madugui (Gesturi- Ca) Nella prima fase nuragica si edificarono delle costruzioni che gli studiosi chiamano protonuraghi, formate da un corpo, spesso ellittico, con delle gallerie cieche all interno che conducono, tramite una gradinata, alla piattaforma esterna superiore. Lo scopo di queste costruzioni grossolane e primitive poteva essere di difesa: chiudendo l ingresso con un grande masso, dall alto si lanciavano sassi e olio bollente per scacciare gli aggressori. Il 68

69 nuraghe Bruncu Madili o Madugui, sulla Giara di Gesturi, è un esempio di queste costruzioni chiamate anche nuraghi a galleria. Ricostruzione ideale di un protonuraghe Il nuraghe per antonomasia, diffuso in migliaia di esemplari (circa settemila quelli giunti fino a noi), è quello a Tholos; una torre tronco-conica edificata mediante grandi massi, grossolanamente squadrati e via via più piccoli fino a concludersi con una pseudocupola. Non vogliamo entrare nella disputa che divide da tempo molti studiosi sulla destinazione di queste costruzioni, se cioè fossero state erette per scopi religiosi o per scopi difensivi (tesi più accreditata), basta ammirarle per quello che riescono a trasmetterci, in quanto la sensazione non ha bisogno di essere codificata per essere interpretata. Dai nuraghi monotorre, eretti su colline o su zone panoramiche e dominanti, col palese scopo di osservazione, ai nuraghi complessi composti da torri secondarie, ai cosiddetti villaggi nuragici; questo è lo sviluppo edilizio che nel corso dei secoli si è andato via via perfezionando, arrivando ad opere tecnicamente e stilisticamente quasi perfette. 69

70 La radice Nur sta ad indicare cumulo di pietre cavo e da qui la parola derivata Nuraghe che ha dato il nome alle civiltà. Il nuraghe Asoru (San Vito - Ca) La Sardegna tra il 1800 ed il 500 a.c. era autonoma ed indipendente, non essendoci nessuna prova di dominazioni straniere, si può parlare solo di influenze e di scambi commerciali, forse saltuari, senza intaccare ed influire sugli usi e costumi locali ormai consolidati; i fenici dal IX secolo a.c. presero a frequentare l isola creando degli scali costieri ed insediandosi lungo le coste, ma per molti secoli furono tollerati, segno di uno stanziamento pacifico. Un nuraghe monotorre presso Perfugas (Ss) 70

71 L isola costituiva forse una nazione, con un unica cultura, tradizioni, lingua. Mancava probabilmente una unità politica, non esisteva cioè un unico stato ma tanti staterelli, governati da sovrani o da un consiglio formato dagli anziani. Ricostruzione del Nuraghe trilobato di Santu Antine (Ss) La vita dei nuragici non doveva essere semplice nonostante la specializzazione dei mestieri tipica delle società evolute; esiste- 71

72 vano i falegnami, i muratori, i conciatori, gli armieri, i vasai per cui ci si poteva dedicare alla caccia e alla pastorizia barattando i prodotti senza aver bisogno di costruirli come nel Paleolitico. Gli insediamenti della popolazione erano situati preferibilmente nelle zone montuose, forse per meglio difendersi, vicino a corsi d acqua o a sorgenti e la vita era dura così che a quarant anni una persona era già vecchia, sempre se avesse avuto la fortuna di giungervi, cosa rara peraltro. Cappanna chiamata Pinneta ancora visibile nelle campagne sarde forse simile a quelle nuragiche di migliaia di anni fa I nuragici vivevano in capanne fatte di massi e con copertura lignea; ma da zona a zona variavano i modi costruttivi, alcune comunità montane sembra vivessero ancora in caverne ma rese confortevoli da rivestimenti in legno e sughero. I nuragici costituivano comunità chiuse e tendevano all autoprotezione riunendosi, prima in clan, poi in villaggi di modeste dimensioni molti dei quali addossati ad un nuraghe, forse per protezione. 72

73 Nei villaggi di Barumini, Genna Maria, Orrobiu, per fare alcuni esempi, nati intorno ad un nuraghe composto polilobato considerato residenza del sovrano, per questo motivo chiamato regia, vi risiedevano non più di quattrocento persone; piccole comunità che è difficile classificare come autonome o appartenenti ad un piccolo stato. I nuraghe pentalobato Arrubiu presso Orroli (Ca) La divisione politica poteva essere del tipo tribale, quindi frammentata e senza un peso militare tale da soggiogare altre tribù vicine. Molti villaggi di povera gente, erano invece costituiti da capanne di legno e frasche e nulla ci è rimasto dato il materiale degradabile. L economia di sussistenza era imperniata sull allevamento, con una scarsa agricoltura non agevolata dal territorio montuoso, con gli uomini dediti alla caccia e alla pastorizia e le donne impegnate ad accudire i bambini e la casa, ma con potere decisionale così da far supporre un matriarcato, ereditato dalle tradizioni neolitiche. 73

74 I nuragici non usavano la scrittura, anche se la conoscevano sicuramente dopo i primi contatti con i fenici. Gli archeologi non hanno ritrovato nessun reperto che ci dia la prova di una scrittura nuragica: ma non è da escludere che i nuragici usassero scrivere su tavolette di legno che difficilmente avrebbero potuto conservarsi per giungere fino a noi? E una ipotesi che almeno ci lascia un dubbio destinato probabilmente a rimanere tale. Plastico che risostruisce il Nuraghe quadrilobato di Barumini (Ca) Le tribù o clan dovevano essere altamente organizzate e di ciò si ha conferma dalla costruzione dei nuraghi complessi eseguiti in vari secoli seguendo forse una idea originale. Così Barumini, il cui mastio risale al 1500 circa a.c. fu continuato con la costruzione delle torri secondarie, delle muraglie, modificato, ristrutturato varie volte nel corso di centinaia di anni. Forse si sfruttava il lavoro coatto che, data la complessità della costruzione, doveva essere diretto da personale competente e 74

75 rimane un mistero come facesse quel popolo a trasportare massi di centinaia di tonnellate per decine di chilometri e sollevarli fino a 30 metri di altezza. La loro religiosità traspare dai petrogliffi ritrovati e dai simboli apotropaici (amuleti contro i cattivi spiriti), i primi chiariscono il concetto di virilità che si esprime con la forza che ha sempre impressionato i popoli primitivi, requisito, questo, ritenuto fondamentale: il forte riesce ad imporsi facilmente sugli altri e può procurarsi facilmente il cibo. Ricostruzione del villaggio nuragico di Tiscali (Dorgali - Nu) La divinizzazione della forza veniva rappresentata col toro, immagine ricorrente nella iconografia nuragica con numerosi bassorilievi. 75

76 Il betilo era un altro simbolo maschile e proveniva dalla tradizione neolitica dei Menhirs, assumeva la funzione di guardia e custodia e veniva collocato spesso nelle tombe dei giganti a protezione dei morti. Tomba dei giganti a stele centinata di Coddu Vecchiu (Arzachena Ot) I betili nuragici sono di misure ridotte e pare rappresentino anch essi la forza, ma più spirituale che fisica, quindi adatta a cacciare i cattivi spiriti. Anche l acqua veniva divinizzata sebbene non si abbia una sua iconografia, ma i grandi pozzi sacri dimostrano la devozione verso questo elemento, indispensabile quanto raro. I bronzetti nuragici, usati come ex voto e deposti nei pozzi sacri o in appositi cerchi di pietre davanti alle tombe dei giganti per ottenere delle grazie o dei miracoli, rappresentano oltre a un e- 76

77 sempio di arte di ottimo livello, anche una devozione verso un Dio nel quale si crede ciecamente e nel quale si ripongono tutte le speranze. Ricostruzione di una tomba dei giganti con betilo apotropaico, sedili per i visitatori e pozzetti per le offerte Oltre i bronzetti nuragici, solo di recente si sono scoperte delle statue in pietra alte oltre due metri, chiamate statue dei Monti Prama dal luogo vicino a Cabras dove si sono ritrovate. Queste statue, in arenaria, sembrerebbero delle copie di bronzetti, certamente posteriori e potrebbero rappresentare il trasformismo dei betili arrivati a forme umane con fattura altamente artistica a tutto tondo. I monumenti funerari nuragici, chiamati dalla fantasia popolare tombe dei giganti, sono in realtà delle tombe collettive dove venivano deposti i defunti e per la loro lunghezza fanno pensare all ultima dimora di un gigante. Le prime tombe vengono chiamate dolmeniche, in quanto costituite da un riadattamento di 77

78 Dolmen preesistenti con la costruzione di un monolite anteriore chiamato stele centinata e con l aggiunta di ortostati (lastre di pietra) con sviluppo curvilineo per formare uno spazio anteriormente al sepolcro (esedra). Tomba dei giganti a filari litici Sa Domu e S orku con betilo all ingresso (Quartucciu - Ca) La tomba presentava quasi sempre, un betilo posto nell esedra ed era meta di pellegrinaggio da parte dei parenti dei defunti che trovavano posto in sedili di pietra situati appositamente nel perimetro anteriore delle tombe. Nella prima fase oltre ai Dolmen, vennero trasformati in tombe dei giganti, le Domus de Janas (tombe ipogeiche orizzontali) con la realizzazione della stele direttamente scolpendola nella roccia. Col passare dei secoli la stele centinata scomparve sostituita da una trave litica che sovrastava il pertugio d ingresso. Questa tipo di tomba è chiamata a filari litici e presenta nella parte posteriore un abside, mentre il corpo principale non ha più la copertura in lastre di pietra ma a navetta rovesciata, ottenuta con l uso di massi sempre più piccoli partendo dalla base. Come già detto, in queste tombe si trovano non di rado dei pozzetti nei quali venivano deposti ex voto. 78

79 In certe zone della Sardegna si seppellivano i morti in cavità rupestri dette tafoni e ciò è comprensibile in quanto gli usi non potevano avere una omogeneità regionale, data anche la probabile frantumazione politica. Plastico che ricostrisce un pozzo sacro Altri mirabili monumenti che quel popolo ha edificato che ci lasciano stupiti per la perfezione raggiunta, sono i pozzi sacri che possono essere considerati veri e propri templi, in quanto destinati ad accogliere i credenti che veneravano la Dea Acqua. 79

80 Il tema architettonico dei cinquanta pozzi sacri scoperti è comune; la sorgente veniva protetta da un muro e creato uno spiazzo anteriore con sedili per le onoranze e recipienti per le offerte. Quando la sorgente era profonda si costruivano numerosi gradini per raggiungerla, come nella tomba di Cuccuru Nuraxi presso Settimo, dove la gradinata di accesso alla vena d acqua scende per venti metri. Il pozzo di S. Cristina presenta invece i gradini in trachite talmente ben squadrati da far pensare ai visitatori che si tratti di una ricostruzione recente. Il pozzo sacro de Su Tempiesu in territorio di Orune è invece l unico che abbia conservato le parti in superficie e presenta un tetto a doppia falda, con pietre finemente squadrate. Le credenze diffuse nel popolo nuragico sono confermate dai santuari nuragici destinati, data la loro grandezza, a tutte le tribù o agli stati, a prescindere dalla situazione politica; il santuario di S. Vittoria a Serri, che si estende per ben tre ettari e comprende oltre il pozzo sacro, un tempio ipetrale (all aperto) e una costruzione protetta da uno spesso muro chiamato recinto delle feste che misura 50x70 metri è la più importante in assoluto. Dentro il recinto i pellegrini potevano riposarsi sotto una tettoia e cibarsi usando appositi tavoli di pietra mentre nel lato opposto si trovavano dei box dove si vendevano cibi e bevande. La religione stava certamente al di sopra delle divisioni, per cui in quel luogo ci si dimenticava dei rancori e dei torti e si pensava solo ad onorare gli dei. Oltre ai santuari a pozzo si conoscono altri sei edifici sacri di pianta rettangolare con un grande recinto ovoidale, chiamati templi a Megaron. Difficile dire a chi fossero dedicati e chi si onorasse; la loro architettura si colloca in un tardo nuragico e, pur misteriosi, ci fanno comprendere ancora una volta la religiosità consolidata di quel popolo. Come il periodo giudicale, il nuragico rappresenta un momento di autonomia nazionale senza influenze o dominazioni politiche 80

81 di altri popoli, nel quale l arte ed il pensiero si sono manifestati liberamente raggiungendo livelli notevoli per quel periodo. La ceramica nuragica. La produzione vasara nuragica si è evoluta nel tempo mutando continuamente nei 1300 anni della sua esistenza ( a.c.). 2 tipici vasi nuragici Dalle ceramiche grezze ed essenziali di Bonnannaro si passò a quelle con decorazioni a pettine e con nervature tipiche del XV- XII secolo a.c. Tra il 1200 e il 900 a.c. importazioni di manufatti micenei si affiancarono alla ceramica a pettine sempre più raffinata. Dal 900 fino alla scomparsa della cultura nuragica nel 500 a.c., la ceramica geometrica sostituì quella a pettine, sebbene non totalmente ed i manufatti raggiunsero un alto grado artistico e tecnico. Naturalmente la ceramica si differenziava a seconda della sua destinazione; la produzione a scopi religiosi risulta eccellente sia come impasto sia come decorazione, mentre 81

82 quella di uso comune si presenta più rustica ed essenziale con decorazioni più rare o più semplici. Il periodo nuragico è il primo nella preistoria a venire studiato tramite le tipiche costruzioni e non solo attraverso la ceramica che, però, rimane importante in quanto ci chiarisce il divenire di un popolo con le sue esigenze, la sua religiosità e la sua arte. I Bronzetti. La civiltà nuragica è conosciuta, in tutto il mondo, per le mirabili costruzioni megalitiche che sorgono qua e là nell isola, ma anche per quelle piccole opere d arte chiamate bronzetti. Navicella nuragica Fino ad oggi ne sono stati ritrovati circa 500, in maggioranza nei pozzi sacri di Abini a Teti e S. Vittoria a Serri, dove gli adoratori della dea acqua li avevano ben fissati, tramite colate di piombo, alle rocce quale pegno per ingraziarsi la dea e per chiedere qualche grazia. La funzione di queste miniature bronzee era infatti quella di ex voto paragonabile alla candela che il cristiano accende in 82

83 chiesa con la speranza che le sue richieste a Dio vengano e- saudite. Certo, nei pozzi e nelle tombe dei giganti si sono trovati altri oggetti in bronzo con la stessa funzione, come asce, cestelli, vasetti, pugnali, ma il sistema di costruzione delle miniature è diverso dagli altri manufatti ottenuti per colata su matrice, i bronzetti, infatti, venivano creati col sistema della cera persa, metodo complesso che richiedeva una manualità e precisione fuori dal comune. Il metodo consisteva nel creare l oggetto con la cera ottenendo così un esemplare in questo materiale. A questo esemplare si applicava poi l argilla e il tutto veniva cotto. Naturalmente la cera si scioglieva lasciando all interno della terracotta la forma uguale al modellino in cera. 83

84 A questo punto veniva colato sulla forma così ottenuta, il bronzo liquido che assumeva la stessa forma del modellino di cera; bastava poi rompere la terracotta per osservare il bronzetto. Un procedimento complicato che da più parti si è sicuri sia stato importato dai fenici e usato poi dai nuragici. La data di esecuzione dei bronzetti è purtroppo molto incerta, anche se la tesi più accreditata li fa risalire alla fine del IX secolo a.c. Anche se i nuragici copiarono la tecnica dai fenici, si può affermare che diventarono forse più bravi dei loro maestri, creando forme e modelli di alta qualità che indubbiamente sono originali poiché si differenziano notevolmente dalle figurine semite. I fenici usavano infatti raffigurare i personaggi in marcia o stanti con le gambe ben chiuse mentre i manufatti nuragici presentano figure stanti ma con le gambe larghe. La produzione sarda fu esportata anche in Etruria dove alcuni bronzetti sono emersi in tombe databili tra il IX e il VII secolo a.c. Le navicelle votive sembrano più tarde, forse fine del VII secolo e sono la rappresentazione dell idea del viaggio eterno unito all idea dell offerta votiva tramite il fuoco a cui la navicella, con funzione di lucerna, era destinata. Gli stili dei bronzetti finora ritrovati possono essere raggruppati in tre correnti: quella di Monte Arcosu, quella di Abini- Teti e quella Barbaricina. 84

85 La corrente di Monte Arcosu (Uta) è caratterizzata dalla forma geometrica con teste cilindriche, grandi occhi e corpo stilizzato e rigorosamente geometrico; questo tipo di manufatto sembra rappresentare l aristocrazia e la nobiltà, fuori da un contesto normale della popolazione e della vita semplice. Anche il tipo Abini-Teti non si discosta molto dallo stile descritto anche se le figure sembrano più orientali e ricercate e si discostano dallo stile rigido geometrico. Diversa in tutto è la produzione del tipo barbaricino, che appare più popolare e più reale con figure di persone e animali che richiamano la vita di tutti i giorni e per questo variano notevolmente come fattura, nascendo dallo stato d animo del loro autore e non seguendo altro canone che la pura realtà. E se i Nuragici fossero stati abili navigatori? Spesso torna di attualità l affascinante ipotesi che i nuragici fossero abili marinai dediti alle peregrinazioni nel Mediterraneo, alla guerra di corsa e alla aggressione dei popoli rivieraschi. La scoperta da parte di uno studioso israeliano di una costruzione megalitica a tholos in piena Palestina, ha ridestato l'entusiasmo dei sostenitori di questa ipotesi che, se accertata, costringerebbe a riscrivere la storia dei popoli del bacino del mare che i romani chiamavano Nostrum. Indubbiamente la presenza di un nuraghe, in un territorio controllato dall'egitto dei Faraoni, non può che far pensare ad un insediamento dei protosardi in quelle zone che, per meglio controllarle, furono addirittura fortificate. Al momento non è stato ritrovato alcun reperto che possa condurre ad una data certa, ma vogliamo ipotizzare che la costruzione sia databile intorno al XIII sec. a.c., periodo durante il quale, la storiografia ufficiale, riporta l'invasione dei popoli del mare provenienti da est e diretti ad ovest. In quel secolo fu distrutta la Troia omerica mentre gli Ebrei si affrancarono dagli egizi e guidati da Mosé si diressero verso la 85

86 terra promessa. Ci fu inoltre la invasione dei Dori che costrinse i protogreci alla prima migrazione che li vide stabilirsi nell'asia minore ed in zone sicure lontane dal pericolo e dalla madrepatria. L'Egitto dovette, già secoli prima, soccombere sotto i colpi di un popolo misterioso chiamato Hyksos, formato probabilmente da varie etnie, che si affacciò ai suoi confini improvvisamente ma che altrettanto repentinamente sparì senza lasciare alcuna traccia. L'invasione dei popoli del mare è invece documentata in alcune tavolette ritrovate a Tell El- Amarna ed in iscrizioni nel tempio di Karnak, di Medinet Habu e nei papiri di Harris, dove si narrano le gesta di Faraoni artefici di grandi imprese militari, menzionando un popolo guerriero chiamato SHRDN che vocalizzato si traduce Sharden ovvero Shardana. Questo popolo è anche indicato come proveniente dalle isole e viene definito alleato contro gli Ittiti nella battaglia di Kadesh, avvenuta nel 1285 a.c., mentre più tardi è ricordato come nemico brutale in grado di minacciare ed invadere il territorio egiziano. I Shardana facevano parte di una coalizione composta, tra gli altri, anche dai libici e possedevano una potente flotta che però fu respinta dal faraone Mernephtah nel 1229 a.c., alle foci del Nilo, mentre tentavano di entrare in territorio egizio risalendo il fiume; si riversarono poi sulle coste della terra di Canaan saccheggiando, distruggendo e creando duraturi insediamenti. Se ciò fosse realtà e se i Shardana fossero i nuragici, questa notizia confermerebbe l'attendibilità del ritrovamento del presunto nuraghe e consentirebbe di affermare che i popoli del mare provenivano anche da occidente conquistando l'oriente ed importandovi arte, cultura e forse la lingua. Sarebbero da rivedere, secondo questa ipotesi, i ritrovamenti di ceramiche micenee rinvenute nel nuraghe Antigori presso Sarroch e dei pani di rame di Serra Ilici (Nuragus) poiché, probabilmente, si tratterebbe di importazioni dirette dei Shardana e 86

87 non il frutto di scambi commerciali con occasionali visitatori dell'isola. Questa ipotesi farebbe crollare anche la ormai accettata colonizzazione fenicia della Sardegna e confermerebbe l'esatto contrario: Furono i nuragici gli occupanti la terra di Canaan diffondendovi la propria cultura, la lingua e l'arte dei bronzetti. L'alleanza con i libici fu forse determinante per quel supposto popolo di guerrieri navigatori che poté così giovarsi di un appoggio notevole da parte di un esercito esperto nella terraferma, che pressava da vicino l'impero egiziano. Ci piacerebbe che tutto ciò che abbiamo raccontato fosse vero, perché come sardi ne saremmo felici, ma il dovere di obiettività ci costringe a fare doverose meditazione e ragionamenti e considerare aspetti reali che derivano da reperti che finora sono venuti alla luce in Sardegna. La cosa più evidente è la mancanza della scrittura in un popolo che avrebbe dominato genti che possedevano quell'arte; è certo possibile che l'uso di materiale deperibile come il legno possa aver fatto scomparire i documenti contenenti iscrizioni; non risulta poi da incisioni su pietra, manufatti, bassorilievi o altri reperti nessuna cultura marinara dei nuragici anzi, è evidente, la vocazione montanara e pastorale che è in antitesi con l'arte dei navigatori che non si sentono legati al territorio e geneticamente hanno bisogno dell'ignoto e fanno della propria vita un eterno peregrinare. Certo, si può pensare anche ad un ritorno dei fenici che da dominati diventarono dominatori; nelle città sarde a loro attribuite, risalenti all'ottavo-settimo secolo a.c. sono evidenti i segni di precedenti insediamenti nuragici, che se si trattasse dei Shardana, potrebbero indicare l'affermazione di genti prima soggette e poi padrone per dei motivi che al momento ci sfuggono, ma che si potrebbero ricercare nel fatto che un popolo marinaro è sempre debole nella terraferma e deve stare lontano, proprio per la sua vocazione, dalla propria patria dando la possibilità a genti 87

88 importate coattivamente di cogliere occasioni favorevoli e rovesciare la situazione. Gli unici indizi che possediamo sui Nuragici presunti marinai sono i bronzetti raffiguranti delle navicelle, indubbiamente delle opere d'arte ottenute con il sistema della cera persa, risalenti probabilmente al VII sec. a.c., ben cinque secoli dopo la presunta invasione dei Shardana del Mediterraneo, la battaglia contro gli egizi e la conquista della terra di Canaan. Ben poca cosa e nulla di probante per poter asserire che i sardi furono degli abili navigatori e dei guerrieri in grado di minacciare il potente Egitto e di guadagnarsi una fama tale da essere arruolati nella guardia personale dei Faraoni. Quanto sopra e ciò che dai dati attualmente a disposizione e- merge, trascurando facili entusiasmi che sono sempre difficili da reprimere e augurando che, nel più breve tempo possibile, ritrovamenti certi ed incontestabili possano indicare che i Nuragici, come ipotizzato, non siano altri che i Shardana. Sarebbe una conferma che quanto tramandato dagli egizi sia da riferirsi ai nostri antichi progenitori: ne saremmo fieri e saremmo costretti a riconoscere che certe ipotesi che, spesso possano apparire fantasiose, creano scetticismo ed incredulità proprio perché sono delle verità auspicate e per questo ritenute troppo belle per essere vere. I Giganti di Mont'e Prama Nel 1974, nel Sinis in comune di Cabras (Oristano), un contadino e il suo aratro furono protagonisti di un ritrovamento iportante che ancora oggi è velato da mistero. Quell aratro infatti fece portare alla luce un testa in pietra scolpita a tutto tondo unica nel suo genere ritrovata in Sardegna. Gli scavi che seguirono quasi subito e poi nel 1979, portarono alla luce oltre 5 mila reperti, che come un gigantesco puzzle, furono sistemati in casse e custoditi nel Museo Archeologico di Cagliari per essere studiati e assemblati. Tra le teste e i betili anche numerosi modelli di Nuraghi tutti da interpretare. Una cosa era certa: si trattava di statue 88

89 alte oltre due metri e per questo l appellativo I Giganti dei Monti Prama seguì logicamente anche se non se ne conosceva la loro destinazione. Le statue ritrovate nel Sinis e ricomposte esposte nel museo Archeologico di Cagliari Quel luogo fu scelto da tante genti antiche per stabilirsi e fin dal neolitico si susseguirono le frequentazioni che hanno lasciato tombe a forno della cultura di Bonu Ighinu, pozzi sacri, tombe dei giganti e decine di nuraghi. La data a cui appartenevano queste statue fu subito difficile da scoprire e si ipotizzò una forbice tra il decimo e il nono secolo a.c. Un periodo quindi dove i contatti con altri popoli si facevano intensi come la conoscenza di altre culture e altre tecniche. Ma queste mirabili statue furono sicuramete create da artisti autoctoni che forse fecero te- 89

90 soro di conoscenze del passato e applicarono anche nuove tecniche che arricchirono il loro talento e per questo arrivarono a un espressione artistica originale. Mont e Prama (Cabras- Or) Visione parziale degli scavi Quelle statue vennero forse collocate in quel luogo, ritenuto sacro, dove riposavano probabilmente anche delle alte personalità per renderlo importante e austero come si conviene oggi a un Mausoleo. Un ingresso monumentale con grandi statue che segnavano l ingresso solenne di una necropoli quindi. Una necropoli guardata e protetta da un nuraghe complesso che comprendeva un area rettangolare e una a serpentina al cui lato correva una strada lastricata con ai lati delle lastre a coltello a delimitarla e a conferirle una indubbia sacralità. 90

91 La similitudine con i bronzetti può far pensare a una loro imitazione e quindi a una evoluzione di quelle piccole opere d arte che sempre rappresentavano qualcosa di gradito alle divinità. Un guerriero ritrovato a Mont e Prama 91

92 Quindi riprogettati in grandi dimensioni e scolpiti in pietra a tutto tondo per essere schierati in un luogo sacro come una necropoli. Questo per proteggerla e per ingraziarsi gli dei che così sarebbero sempre stati presenti idealmente in quel luogo dove riposavano i grandi personaggi e i propri cari. Ma poi quelle stature vennero distrutte, e ridotte in pezzi senza un motivo apparente che sia stato spiegato. Un mistero che avvolge quei giganti e che, senza una datazione certa, è difficile da spiegare se non con congetture senza prove e quindi sempre facili da smentire. Ora quelle mirabili statue dopo oltre tre decenni dal ritrovamento sono state ricomposte ed esposte nei musei di Cabras e Cagliari a testimonianza della grande maestria delle genti nuragiche e del mistero che le avvolge. Modellini di nuraghe da Mont e Prama 92

93 Quelle statue sono nate come per incanto da una massa di 5200 reperti dal peso di 10 tonnellate che nel laboratorio specializzato di Li Punti (Sassari) qualificati studiosi hanno trasformato in preziose statue antropomorfe la cui valenza e data dalla loro visione e dalla austerità che incutono nel solo osservarle. Insieme a quelle statue guerriere sono stati ricomposti anche dei modelli di nuraghi sempre in pietra, che forse vogliono significare le comunità di appartenenza come dei gagliardetti ante litteram quasi a mettere una firma e un legame su quelle grandi opere d arte che per adesso costituiscono l unico grande gruppo scultoreo realizzato nel periodo protostorico in Italia e nel Mediterraneo centro-occidentale. 93

94 I FENICI X SECOLO A.C. I Fenici che i greci chiamavano Phoinikes per la loro abilità nel colorare i tessuti (Poinix = rosso porpora) erano un popolo semita, come gli ebrei, originario del sud dell Arabia. Si stanziarono anticamente nella terra chiamata allora Canaan che più o meno coincide con l odierno Libano, stretta tra il deserto e il Mediterraneo, passaggio obbligato verso nord e la Siria e a Sud verso l Egitto. Cartina geografica dei viaggi fenici con gli scali La terra di Canaan era allora famosa per i maestosi pini e cedri necessari per le costruzioni navali di cui i fenici diventarono abilissimi, consentendogli di pellegrinare per mare alla ricerca di nuovi mercati per le loro mercanzie e affermandosi come esperti navigatori, unici tra i popoli semiti. I fenici, che definivano se stessi cananei, non costituirono mai uno stato unitario ma erano divisi in tante città Stato, non di rado in guerra tra loro. 94

95 Biblo, Sidone, Berito, Tiro e Arwad erano le città più importanti, strette tra il Regno Assiro, Hittita ed Egiziano, non ebbero nessuna possibilità di affermarsi verso l interno costrette perciò a cercare i mercati lungo il Mediterraneo occidentale e orientale. Nel 1200 a.c. il Mediterraneo fu invaso dai Popoli del Mare ed anche i fenici ne subirono le conseguenze con la distruzione delle loro città. La Stele di Nora nella quale appare per la prima volta la parola Sardegna (terza riga dall alto) 95

96 Passato quel pericolo le città risorsero e dopo una prima supremazia di Sidone tra il 1100 ed il 1000 a.c., tanto che nel Vecchio Testamento l intero popolo è chiamato sidoneo, Tiro prese il sopravvento raggiungendo grande prosperità con i traffici marittimi. Ricostruzione ideale di nave fenicia anche se i rematori, per questioni di costi armatoriali, non venivano usati nelle spedizioni commerciali La minaccia espansionistica assira diede l impulso decisivo alla ricerca di nuovi mercati in occidente. Fondarono Gadir (Cadice) e Utica arrivando fino a Tarsisk (Tartesso) oltre le colonne d Ercole dove esistevano grandi giacimenti metalliferi. Fu così che toccarono le coste sarde creando i primi rudimentali scali. C è da chiedersi se ebbero il consenso dei nuragici, considerando che Sulki per esempio era circondata da 20 nuraghi ed un villaggio, Tharros fu edificata nel luogo dove sorgeva un villaggio e alcuni nuraghi, così Bithia e Nora dove si nota ancora un pozzo sacro. 96

97 Una concessione degli autoctoni con relativo pagamento di un Canone? Oppure gli scali occuparono dei territori già abbandonati dai nuragici che, dato i pericoli provenienti dal mare preferirono stabilirsi nell interno? Interrogativi che purtroppo non avranno mai risposta. Museo di Beirut: nave fenicia a vela quadra Le navi fenice partendo dalle città della terra di Canaan, caricavano prodotti di poco peso e volume ma di grande valore: artigianato in vetro, oro, argento, stoffe e prodotti del legno. Le navi, normalmente non troppo grandi per limitare il rischio dei predoni, si muovevano a vela alla velocità di 6/8 Km l ora e regolarmente non contenevano rematori che avrebbero aumentato notevolmente i costi armatoriali. Navigavano dall alba al tramonto, 10 ore circa, lambendo le coste e accostando per ripararsi la notte o in caso di burrasca. A terra avevano quindi bisogno di scali attrezzati per il ricovero e le risorse alimentari. Possiamo immaginare le peripezie di quei viaggi, ritardati per giorni o per mesi dalla mancanza di vento favorevole o dal mare 97

98 agitato; si è calcolato che il viaggio di andata e ritorno si compisse in un anno. La religione fenicia si basava sul Dio Baal, chiamato anche El (il Dio per antonomasia) e nonostante la numerosa schiera di Dei del Pantheon, questi venivano considerati come emanazioni dello stesso Dio che quindi assumeva fisionomie diverse. Una epigrafe decifrata recita: Baal e Tanit, ha udito. L uso del singolare chiarisce la concezione chiamata enoteistica o submonoteistica la quale si fonda su un Dio che si presenta con aspetti diversi. I fenici furono anche dei temuti predoni Il credo fenicio consentì di mutuare dei venerati da diversi popoli come l egizio Bes, il greco Pigmalione, che diventò Pumay, il cipriota Sasm e tanti altri. 98

99 Per semplificare le operazioni commerciali i fenici utilizzarono il sistema di scrittura in uso nella città siriana di Ugarit, composto da 30 suoni, portandolo a 22 consonanti che risultarono più versatili e meno complicate. Con il loro pellegrinare questo sistema fu diffuso nel bacino del Mediterraneo e adottato dai greci che lo chiamarono alfabeto dalle loro prime due lettere (alfa e beta). 99

100 Già nel IX secolo a.c. raggiunsero la Sardegna ed ebbero probabilmente i primi contatti con le popolazioni autoctone. Nel corso dei due secoli successivi, le sporadiche frequentazioni della Sardegna divennero rotte stabili con la conseguente costruzione di sicuri approdi lungo le coste. Caralis, Nora, Bithia, Sulci e Tharros furono i primi approdi che diventarono vere città, in un primo tempo sotto la giurisdizione ed il governo fenicio. I popoli nuragici forse prevalentemente stanziati all interno dell isola, non videro subito questi stranieri come dei nemici, ma li considerarono, così come gli etruschi più tardi, utili per ottenere mercanzie e manufatti in cambio di minerali e prodotti della terra che fino ad allora avevano avuto poco valore. 100

101 Con l espansione dei traffici fenici nel Mediterraneo, le città sarde diventarono indispensabili per i rifornimenti alle navi che sostavano per poi proseguire verso la Spagna e la Francia o verso la terra di Canaan. Piantina del Monte Sirai con insediamenti nuragici e fenici I fenici per proteggere i propri scali, occuparono una fascia di sicurezza nell entroterra per una profondità di circa 20 Km, mentre i nuragici divisi in tanti staterelli e probabilmente distratti da guerre intestine, non affrontarono subito la situazione e permi- 101

102 sero ai semiti di rafforzare l occupazione dell entroterra con la costruzione di acropoli come Monte Sirai, Pani Loriga (Santadi) a protezione delle città di Solki, Bithia e Nora, la fortificazione di Tharros con possenti mura ed un probabile presidio armato nella zona di S. Sperate-Monastir e Settimo S. Pietro. L acropoli fenicia di Monte Sirai vista dall alto (Carbonia Ca) 102

103 Ricostruzione dell acropoli di Monte Sirai (Carbonia Cagliari) A questo punto gli ex approdi improvvisati diventarono vere e proprie città Stato, con una forte presenza militare di occupazione. I primi fenici, abili commercianti, lasciarono il posto ai fenici dominatori e militarmente organizzati pronti forse a incrementare i propri possedimenti con ulteriore penetrazione verso l interno. Intorno al 600 a.c. le popolazioni nuragiche reagirono, forse con la forza della disperazione, cercando di battere il nemico e cacciarlo dall isola. Nonostante le divisioni e l improvvisazione, i nuragici riuscirono a infliggere notevoli sconfitte ai fenici probabilmente con una antesignana tattica di guerriglia, evitando scontri decisivi ma attaccando e dileguandosi rapidamente. Sta di fatto che i fenici chiesero aiuto a Cartagine, colonia da loro fondata nel 814 a.c. circa e che rapidamente assunse un ruolo determinante nel Mediterraneo ed i cartaginesi interessati accolsero di buon grado l invito. In tanti anni i fenici non riuscirono, nonostante il loro alfabeto consonantico, i loro tessuti porpurei e la loro cultura, a civilizzare le popolazioni isolane che chiuse in se stesse e arroccate sui monti non assimilarono mai facilmente usi e costumi d altri. 103

104 Fu forse per questo che la Sardegna nei 350 anni circa di influenza fenicia dal 900 al 550 a.c., tenne la propria organizzazione pastorale non aprendosi e non modernizzandosi, rimanendo così indietro rispetto ai tempi e avviandosi inesorabilmente verso un buio futuro di colonia e di schiavitù da parte di popoli che trassero la propria forza dall unità. Le fortificazioni di Monte Sirai Due importanti reperti ritrovati dagli archeologi, databili al X- XI secolo, hanno dato la certezza della frequentazione fenicia: la stele ed il frammento di Nora. Nella stele di Nora è individuabile la parola Sardegna, ed è la più antica iscrizione dove appare questo nome. Ma la prova inconfutabile della permanenza fenicia in Sardegna ci è data dal Tophet di Sulci (S. Antioco), che dimostra l esistenza intorno all VIII sec. a.c. di una comunità stabile. I fenici furono abili artigiani ed è probabile che l arte dei bronzetti sia stata diffusa in Sardegna proprio da questo popolo. Col passare dei decenni le comunità, ormai inserite nel territorio si consolidarono, costruendo le acropoli di M. Sirai e Pani Loriga, le quali avevano il compito di difendere le città costiere di Sulci - Bithia - Nora. I nuragici intanto stavano a guardare, non minacciati direttamente nelle loro residenze nell interno dell isola. 104

105 Gli indubbi scambi commerciali tra i due popoli da sporadici diventarono continuativi ma senza un inserimento reale e reciproco che fonde le genti diverse. Cartina dell espansione fenicia in Sardegna 105

106 Ognuno occupava il proprio territorio guardando l altro da lontano ed i nuragici in un primo tempo non avendo propensioni marittime, non si sentivano minacciati né militarmente né politicamente. Le città fenice diventarono col tempo sempre più floride, lucrando sulle coste dalle navi in transito che portavano mercanzie dalla Spagna e dal sud della Francia barattate con materie prime locali. Le comunità fenice nell isola dopo tre secoli persero ogni legame con la loro terra d origine e sentendosi legate al territorio, anche per l incremento demografico, furono costrette a penetrare verso l interno per creare altri spazi vitali. Nel VI secolo a.c. si insediarono nella zona di S. Sperate- Monastir per consolidare il territorio di Caralis; a Bosa e a S. Caterina di Pittinurri per rafforzare quello di Tharros. Fondarono forse altre colonie a Olbia e Sarcopos (Muravera) ma non se ne ha la certezza; fatto sta che il consolidamento in atto preoccupò i nuragici che ora vedevano in pericolo le loro terre ed i loro villaggi. La reazione fu forse, frammentaria non essendoci un unico esercito nuragico, ma ugualmente efficace. Oggetto di probabili attacchi di sorpresa, i Fenici si trovarono in difficoltà e rimasero, forse, trincerati nelle loro città e fortezze non potendo rifornirsi di cibo e altri generi di prima necessità. Questa situazione durò senz altro parecchi decenni e le notizie furono riportate, dalle navi in transito a Cartagine, che intanto era diventata una vera potenza. Situazione ghiotta per una città che aveva delle mire espansionistiche e che non perse l occasione. I cartaginesi arrivarono nell isola per appropriarsene e non è da escludere che combatterono anche contro i fenici. Alcune fonti escludono che genti di stirpe fenicia combattessero contro altri fenici, ma ciò pare non logico in quanto le generazioni sarde erano ormai da considerarsi autoctone, neanche il ricordo degli antenati forse rimaneva in quelle genti stanziate nell isola da almeno 400 anni. 106

107 Quindi una vera invasione, quella dei cartaginesi tesa a colonizzare l isola sottomettendo sia i fenici che i nuragici. Le principali città fenicio puniche. Le città fenicio puniche che la storia ci ha tramandato e che gli scavi ancora in corso stanno faticosamente riportando alla luce, hanno evidenziato la sovrapposizione romana, con costruzioni civili, terme, teatri, mentre degli edifici fenici-punici riemergono poche e insignificanti tracce. Nora. La città di Nora, il cui sito fu scavato con una certa regolarità negli anni cinquanta, sorgeva in una lingua di terra divisa in due tronconi che si protraeva sul mare, il promontorio a sud viene chiamato Sa punta e su Koloru (il capo del serpente), quello a est punta di Coltellazzo. La dislocazione delle terme romane attualmente emerse si discostano dal sito fenicio poiché la linea costiera è arretrata nel tempo di circa 90 metri, per cui rimangono sommerse tutte le antiche strutture portuali. È impossibile identificare, allo stato attuale, le tracce del primo insediamento fenicio di cui sono stati ritrovati solo frammenti ceramici, mentre di quello punico si è localizzato il tophet, circa 30 metri a nord dalla chiesetta di S. Efisio; la necropoli, invece, si trova nei pressi dell ingresso attuale agli scavi. La città fenicia e poi punica doveva essere più piccola di quella romana e, da quanto rilevato, il sito era prima abitato dai nuragici, ne è segno evidente un pozzo sacro nei pressi delle terme a mare e un nuraghe su un dolce rilievo; pietre nuragiche sono poi state riutilizzate per la costruzione di alcuni edifici. Non è appurato se i fenici si insediarono sul sito già abbandonato o se scacciarono con la forza gli indigeni. Il nome Nora deriverebbe da una radice prefenicia Nor o Nur e la città sarebbe 107

108 stata fondata da genti provenienti dalla penisola Iberica guidate da Norace. Due epigrafi ritrovate, la stele di Nora ed il frammento di Nora, non fugano i dubbi sulla data dell insediamento, nonostante nella prima figuri la parola Sardegna in alfabeto semitico, mentre la traduzione del testo restante è ancora controversa. Di età punica sarebbero le fondazioni del tempio di Tanit, l edificio chiamato fonderia e i resti di fortificazioni sulla punta di Coltellazzo e alcuni muri costruiti con la tecnica a Telaio. Nora punica doveva essere la città più importante della Sardegna e la più opulenta con il porto frequentato da numerose navi mercantili che commerciavano con la città. I resti che ora il visitatore può ammirare sono romani e rivelano tutta l importanza della città sotto i latini, con ville signorili, teatro, anfiteatro, terme e acquedotto; da Nora si dipartiva infine la strada più importante del meridione. L apice dello sviluppo e della dimensione edilizia di Nora è databile al II secolo d.c., mentre la sua decadenza iniziò con il dominio del mare da parte dei Vandali nel 456 circa; la città fu completamente abbandonata intorno al 750, subito dopo le prime incursioni musulmane. Tharros. Il nome Tharros sarebbe da ricondurre alla radice Tarr di origine mediterranea e il sito rappresenta una stazione importante della strada Caralis-Turris Libissonis all altezza dell innesto che conduceva a Forum Traiani (Fordongianus), baluardo di confine sotto i cartaginesi. Le rovine di Tharros sono ubicate su Capo S. Marco, promontorio all estremità della penisola del Sinis, dove si ergono due collinette, su Muru Mannu e della torre di S. Giovanni. Il sito appare frequentato da genti nuragiche di cui rimangono le rovine di un villaggio e del nuraghe Baboe Cabizza sulla punta estrema del capo. Il luogo era particolarmente felice anche per i protosardi che sfruttavano le risorse ittiche dello stagno, non 108

109 senza pensare ad eventuali nemici provenienti dal mare che dal nuraghe dovevano essere avvistati. Tharros (Or) - Il tempio con le fiinte colonne Gli scavi non hanno rivelato nessuna distruzione delle opere nuragiche per cui si deve pensare ad un abbandono del luogo prima dell arrivo dei fenici, databile alla fine dell VIII secolo a.c. Il Tophet fu edificato sui resti del villaggio nuragico, nella collina de Su Muru Mannu mentre la necropoli riemerge nei pressi della Torre vecchia; con l arrivo cartaginese l insediamento assunse l aspetto urbano con possenti mura e la costruzione del tempio monolitico e di quello di Capo S. Marco. Anche Tharros si arricchì grazie alle merci provenienti dalla penisola Iberica, dall Africa e dall Etruria che crearono le basi per una vita opulenta della popolazione. 109

110 Con la conquista romana nel 238 a.c., Tharros fu uno dei centri che appoggiò la resistenza di Ampsicora per poi cadere nelle mani latine che la forgiarono a loro immagine facendone una città importante, incrementandone la vocazione mercantile e rinnovandola sotto il punto di vista edilizio. Si edificarono terme, si lastricarono le strade, si costruì l acquedotto ed il Castellum Acque che dimostrano l importanza urbana raggiunta dalla città. Anche Tharros subì una crisi economica con il dominio marittimo dei vandali che dal 456 imperversarono sul mare impedendo qualunque attività mercantile. Con le incursioni musulmane la città ebbe altre conseguenze negative ma resistette, pur nella incipiente crisi economica; fu capitale del giudicato di Arborea fino a quando gli Uffici Statali furono trasferiti ad Oristano alla fine dell XI secolo. Tharros fu pian piano abbandonata coi suoi ruderi usati come cava poi, inevitabilmente, la sabbia la ricoprì completamente nascondendola agli occhi dei viandanti. Tra il 1838 e 1842 il re Carlo Alberto finanziò degli scavi e inviò a Torino tutto ciò che fu ritrovato nelle tombe puniche e romane portate alla luce. Nel 1851 un nobile inglese, lord Vernon, visitò decine di tombe puniche alleggerendole del loro contenuto che inviò in tutta Europa e specialmente al British Museum. Nel 1852 bande di cercatori di tesori depredarono decine di reperti vendendoli in tutta l Europa. Le autorità intanto stavano a guardare. Sulci. La città di Sulci fu edificata nel lato orientale dell isola di S. Antioco, sulle rive della laguna, con il porto protetto dai venti nord occidentali e meridionali e doveva costituire un rifugio sicuro per le imbarcazioni. La città fenicio punica e romana giace sotto l odierno abitato e sarà difficile riportarla alla luce. 110

111 L insediamento semitico risale, forse, alla metà dell VIII secolo a.c., di ciò se ne ha la prova dopo il ritrovamento, nel tophet, di un vaso proveniente da Pithecusa (Ischia), facilmente databile che ci dà la certezza che intorno al 730 a.c. Sulci fosse un centro vitale. Il tophet con le sue urne funerarie ci rivela l importanza della città confermata dall edificazione di un acropoli, situata a Nord del castello Sabaudo e dalle possenti mura di cinta inserite nel baluardo roccioso naturale. Sant Antioco (Ca) il tophet Nell isola di S. Antioco sono presenti ruderi di nuraghi, tombe dei giganti e di un villaggio e sembra confermato, anche in questo caso, l abbandono prima dell arrivo dei fenici. Con i romani la città subì un adattamento edilizio e l acropoli fu trasformata in luogo sacro con annesso tempio. Importante appare la necropoli ipogeica di età punica situata sul colle ove si erge il castello sabaudo; la necropoli fu usata anche dai romani che deponevano dentro le cavità urne contenenti le ceneri dei cremati. 111

112 Il monumento romano più importante di Sulci è Sa Presonedda, un piccolo sepolcro con sembianze di mausoleo con struttura piramidale che ricopre la camera sepolcrale. A Sulci sono presenti catacombe cristiane che furono costruite adattando ipogei punici a camera e che risultano perciò irrazionali nella loro pianta. Negli anni 80 è stato individuato un anfiteatro romano a sudest dell acropoli di cui rimane il muro che recingeva la piattaforma di base, essendo scomparse le sovrastrutture in materiale deperibile, probabilmente lignee. Anche Sulci subì la sorte delle altre città fenicio-puniche, fu infatti abbandonata progressivamente dal 456 in poi, a causa delle scorrerie dei vandali prima e dei musulmani più tardi. Bithia. Edificata nella Baia di Kia sul promontorio ove sorge la torre, con estensione verso ovest, ai margini di una baia che dava rifugio alle imbarcazioni dal mare aperto e tumultuoso. Nel 1933 una violenta mareggiata liberò dalle sabbie la necropoli fenicio punica, rendendo evidenti le sovrapposizioni romane oltre un edificio monumentale. Gli scavi eseguiti hanno riportato alla luce un grande tempio punico ed una iscrizione con la menzione del nome della città: Bitan. La città si estendeva seguendo l andamento della costa e si insediava marginalmente all interno; per questo il mare l ha pian piano erosa e coperta di sabbia. Il tophet fu rinvenuto sopra l attuale isoletta de su cardulinu che d estate è collegata alla costa da una lingua di sabbia. La frequentazione romana è ampiamente attestata con il ritrovamento di monete e ristrutturazioni edilizie. Caralis. Il primo probabile scalo fenicio è da localizzare nello stagno di S. Gilla ben protetto dai venti e dalla strettoia di la Scaffa. 112

113 Il tophet è stato individuato nella zona di S. Paolo; ma la linea costiera della laguna modificatasi nel tempo, nasconde forse il vero centro urbano probabilmente ubicato sotto l attuale stazione ferroviaria, con la piazza del mercato adiacente alla zona di piazza del Carmine. La data della sua presunta fondazione è incerta poiché, non di fondazione si tratta ma di evoluzione, del primitivo scalo in centro urbano. L aspetto di città Calari lo raggiunse con i cartaginesi che costruirono lungo la costa, tralasciando le zone collinose, dandole un aspetto esteso in lunghezza Tenditur in longum come scrisse il poeta romano Claudiano. La città quindi era composita, formata cioè da più frazioni, S. Elia, S. Avendrace, Bonaria per fare alcuni nomi. La collina di Castello fu forse utilizzata dai punici per la costruzione di una acropoli mentre la necropoli principale dominava la città dal colle di Tuvixeddu. L arrivo dei romani consacrò Caralis vera città con foro, templi, acquedotto, terme, porto, magazzini, anfiteatro. Il tessuto urbano conquistò le colline dove vennero edificate ville signorili con giardini e pareti riccamente dipinte, mentre il popolo viveva nella suburra, ubicata alle spalle del porto. Il colle di Castello rimaneva probabilmente un acropoli così come nel periodo punico. Dopo il periodo vandalico e bizantino, le prime incursioni musulmane del 705 d.c. e la crisi economica causata dal mancato arrivo di navi con mercanzie, Caralis fu lentamente abbandonata a favore di S. Igia, che edificata in una zona sopraelevata circondata dallo stagno di S. Gilla, dava ottime garanzie di difesa. Il nome Caralis, trasformato per metatesi medioevale in Calari, rimase al giudicato ma la città scomparve completamente e per sempre. 113

114 CARTAGINE PRIMA DOMINAZONE DELLA SARDEGNA A.C. I Fenici, forse assediati nelle loro città sarde dai nuragici, chiesero aiuto ai Cartaginesi, che in breve tempo inviarono nell isola un esercito. Correva il 560 a.c. ed i sardi con la loro tattica di guerriglia riuscirono a respingere i punici comandati da Malco (= RE). La città di Cartagine era stata fondata dai fenici nel 814 a.c., non lontano dalla odierna Tunisi, ed in breve tempo diventò una potenza egemone nel Mediterraneo. Dopo il primo tentativo infruttuoso di conquistare l isola, i punici riuscirono ad impadronirsene nel 535, sebbene parzialmente e vi rimasero circa 270 anni. Quartucciu (Ca): Pill e Matta, tomba a forno punica 114

115 Al contrario dei fenici, questi cercarono di assoggettare tutto il territorio, trovando come baluardo insormontabile le montagne e le bande nuragiche. Quartucciu (Ca): Pill e Matta, primio piano dello scheletro Vista l impossibilità di conquistare il centro dell isola, impervio e tutto sommato improduttivo, i cartaginesi si attestarono ai confini della futura Barbagia creando avamposti nella linea Laconi-Isili-Goni-Sedilo-Neoneli-Zerfaliu-Orotelli-Lei-Borore- Bonorva-Monte Leone Rocca Doria. Nelle zone sotto il loro controllo instaurarono un sistema amministrativo giudiziario in stretta dipendenza dalla madrepatria. Mentre i fenici gestirono autonomamente le città sarde, definite città Stato, i cartaginesi dominarono la Sardegna con funzionari inviati da Cartagine, l isola diventò quindi una vera e propria colonia. Fulcro del dominio punico rimasero le città già fenice: Caralis, Nora, Bithia, Sulci, Tharros, Othoca, Cornus, che vennero fortificate e punicizzate, con l imposizione di una cultura estranea e per questo male assimilata, almeno in un primo tempo. Le città erano amministrate da due Plenipotenziari chiamati Sufeti, che governavano in nome e per conto di Cartagine, politicamente, amministrativamente e militarmente. 115

116 L economia dell isola fu indirizzata coattivamente verso l agricoltura e migliaia di ettari furono disboscati per lasciar posto alla coltura del grano e dei cereali. Antas - Fluninimaggiore (CI) il tempio romano costruito su quello punico L esercito cartaginese formato da mercenari si serviva anche di indigeni per ingrossare le proprie fila. I sardi autoctoni, arroccati nelle montagne centrali, continuarono ad erigere nuraghi e tombe dei giganti e a seguire le credenze religiose degli avi ed indubbiamente la cultura nuragica si evolse in modo autonomo, racchiusa in valli inaccessibili e in siti montani inespugnabili; si potrebbe così teorizzare una Sardegna libera, con una nazione unita, almeno per combattere l invasore. In quel lontano periodo iniziò la dicotomia decisiva che differenziò il Campidano e la pianura ad economia agricola e le zone montagnose ad economia pastorale. Gli scambi fra le due comunità non furono certo notevoli, ma il semplice contatto portò di sicuro alla reciproca conoscenza dei relativi usi e costumi. Il fiero popolo nuragico, iniziò così il cammino verso l isolazionismo economico, culturale, religioso, che lo portò nei 116

117 secoli futuri a diventare un isola nell isola, l emarginazione, purtroppo, costò tanto in termini di emancipazione. Da allora ogni conquista del genere umano arrivò sempre tardi agli autoctoni barbaricini, che si trovarono svantaggiati in tutti campi rispetto agli invasori. Cagliari: Un grotta ipogeica scavata dai cartaginesi forse come riserva idrica e riutilizzata dai romani I punici, forse per facilitare l integrazione, trasferirono nell isola popolazioni iberiche a loro soggette. Arrivarono anche nobili dalla madrepatria che soprintendevano a delle vere e proprie fattorie, volte essenzialmente alla produzione di cereali. Come è immaginabile, dalla seconda generazione, i sardi, volenti o nolenti, diventarono punici, perdendo la cultura originaria e considerando i barbaricini banditi e sottosviluppati. La religione punica, era incentrata sulla divinità primaria chiamata BAAL (lo Zeus Greco). A Baal si affiancò una Dea, di concezione cartaginese, TANIT, che rappresentava la manifestazione femminile di Baal e non una divinità diversa. 117

118 I fenici ed i cartaginesi, credevano che il loro Dio avesse bisogno di essere ringraziato e rinvigorito col sangue sacrificale, per poter meglio provvedere a dispensare la gioia e la salute agli uomini. Da questa credenza si fa derivare l uso del sacrificio di adolescenti di età non superiore ai 6 mesi, i quali venivano uccisi e poi cremati e le ceneri conservate in urne e raccolte in un luogo sacro chiamato Tophet. Una stele ritrovata nel tophet di Sant Antioco I Tephatim (Plurale di Tophet) furono ritrovati nelle città fenicio-puniche di Nora, Bithia, Sulci, Tharros etc. Questo sacrificio veniva chiamato Molk e pare vi venissero immolati i figli dei nobili come a significare l alto onore del gesto. 118

119 Nei Tephatim sardi sono state ritrovate centinaia di urne contenenti ceneri che ci hanno fatto immaginare scenari drammatici di orrendi olocausti. Pur non conoscendo il modo esatto in cui questa credenza veniva praticata, si possono fare alcune considerazioni: le 5000 urne trovate a Tharros, coprono un periodo di 500 anni circa, il che ci porta ad una media di 10 all anno. Se consideriamo l alta mortalità naturale degli adolescenti e il fatto che in parecchie urne le ceneri contenute fossero di animali, si può affermare come questa usanza fosse, in termini quantitativi, irrilevante e insignificante. I cartaginesi, oltre alla semplice deposizione in urna contenente le ceneri, presero l abitudine di porvi accanto delle stele, per ricordare probabilmente il defunto invocando la divinità a protezione. Vago di collana cartaginese ritrovato a Olbia 119

120 I punici usavano anche delle tombe ipogeiche con Dromos (corridoio) di accesso o a pozzo verticale. Ricostruzione del porto di Cartagine In periodo tardo i cartaginesi abbandonarono la pratica dell incenerazione ed iniziarono a deporre il defunto su un giaciglio funebre accompagnato da scarabei con chiaro intento apotropaico, (oggetti che scacciano i cattivi spiriti). Nonostante la dominazione assoluta punica, si ebbero contatti commerciali con greci ed etruschi attirati dalle materie prime che le miniere offrivano; i rapporti furono senza dubbio frequenti, come i ritrovamenti di manufatti stanno pian piano dimostrando. Oltre ai pochi scambi con i popoli anzi accennati, la Sardegna rimase saldamente legata alla potenza dominatrice, che tendeva a cancellare ogni tradizione passata. A quel periodo risalgono, forse, le più grandi distruzioni del patrimonio archeologico esistente, specialmente nel Campidano. Opere megalitiche, tombe dei giganti, nuraghi, vennero sistematicamente distrutti, per poter sfruttare le pietre che li componevano e costruire fortificazioni e altre opere militari. 120

121 In molti luoghi, i cartaginesi preferirono insediarsi per convenienza, su costruzioni esistenti, così alcuni siti sono stati salvati per puro caso e ci sono giunti con sovrapposizione al Neolitico/Nuragico preesistente. Con i cartaginesi iniziò anche un urbanesimo antesignano, crescendo le città a dismisura a scapito delle campagne dove regnava il lavoro coatto e, da dove, liberi cittadini scappavano per cercare gli agi urbani. In due secoli e mezzo abbondanti, i punici riuscirono a cancellare una nazione, a distruggere una economia, sebbene primitiva, a spogliare l isola del patrimonio boschivo e a oscurare lingua e tradizioni millenarie. Si può affermare che iniziò nel 535 a.c., con la venuta dei punici, il fenomeno di impoverimento intellettuale-culturale e autocto- 121

122 no e si interruppe il processo in corso dal Neolitico, di unità etnica e di comune cultura che favorirono la nascita delle culture di Bonu Ighinu, S. Michele, Abealzu Filigosa, M. Claro, Bonnannaro e nuragica, nate con l apporto di elementi esterni che però contribuirono a consolidarle. Un riconoscimento è dovuto a quelle genti che indomite e fiere, continuarono a vivere libere tra i monti conservando le antiche 122

123 tradizioni culturali e religiose e che per secoli saranno costrette a vivere emarginate e perseguitate da tutti i dominatori del momento. Ricostruzione delle catacombe di Sant Antioco (Ca) Costruite dai cartaginesi per le loro tombe Niente da rimproverare quindi, se tutt oggi, a 150 anni dall unità d Italia, vengono additate ancora come chiuse in se stesse e senza fiducia nelle istituzioni; pagano il pedaggio per aver voluto vivere libere per difendere la loro Sardità e stanno pagando anche per noi che abbiamo chinato il capo e ci siamo sottomessi a questo e a quel padrone diventando stranieri nella nostra terra. I sardi dei territori in mano ai cartaginesi erano costretti a pagare esose tasse o a lavorare, forse in modo coatto, nelle miniere pubbliche od in terreni demaniali per produrre ricchezza da portare a Cartagine. 123

124 Nei casi più fortunati il loro lavoro era dovuto ai proprietari terrieri, rigorosamente punici, in cambio di pochi soldi e di qualche libagione. Fu così che nel 368 a.c. il popolo si ribellò, subendo dure repressioni e punizioni esemplari che fiaccarono ogni desiderio di protesta. Leeoni punici ritrovati a Sant Antioco risalenti forse al VI secolo a.c. Nel 348 i cartaginesi controllavano la situazione così saldamente che intimarono ai romani di commerciare con la Sardegna solo in presenza di Araldi e Scribi punici. I sardi liberi, abbandonati, i fortilizi di Barumini, Orrobiu, Genna Maria, rivelatisi insufficienti a fermare gli eserciti mercenari punici, si trincerarono oltre le terre controllate dai cartaginesi costruendo fortificazioni rozze ma adatte allo scopo. 124

125 Una di queste fortificazioni è ancora visibile nell altopiano di Campeda contrapposta ad una più rifinita costruzione di confine punica. Tharros (Oristano): tempio punico delle semicolonne doriche Quando i cartaginesi conquistavano la Sardegna nel 509, a Roma si passava alla repubblica dopo aver scacciato l ultimo re, Tarquino il superbo. I romani tentarono di espandere il loro territorio nell Italia meridionale ed entrarono in contatto con le città della Magna Grecia che gli avevano chiesto aiuto per difendersi dalla minaccia dei sanniti e degli altri popoli appenninici già nemici dei romani. Cartagine e Roma non avevano avuto fino ad allora motivi di contrasto, anzi i rapporti potevano definirsi ottimi non essendoci interessi contrapposti economici o politici. 125

126 Con i nuovi territori meridionali ed il controllo delle città marinare di Napoli e Taranto, Roma iniziò a guardare verso il mare per sviluppare la propria economia. L intesa tra le due potenze si andò così deteriorando, anche perché i punici non vedevano di buon occhio la protezione romana dei loro nemici tradizionali greci. Nel 264 a.c. i mamertini, mercenari campani al servizio del tiranno di Siracusa Gerone che intendeva riunificare i greci di Sicilia, si ribellarono e occuparono la città di Messina da dove imponevano dazi di passaggio alle navi in transito nello stretto e temendo l attacco di Gerone chiesero aiuto ai cartaginesi che però subito dopo, per varie ragioni, furono costretti a lasciare la città. Temendo un ritorno dei punici, i mamertini chiesero ai romani di intervenire e Gerone stesso si mise al loro servizio temendo di perdere il potere. Scoppiò una lunga guerra romano/punica che si combatté per terra e per mare dove i romani, grazie ai consigli degli esperti marinai greci, dotando le navi di rostri e ponti mobili per l abbordaggio chiamati corvi, ottennero lusinghieri successi. La guerra interessò anche la Sardegna ed i latini sconfissero i punici in una battaglia navale nei pressi di Olbia, sbarcando anche a Sulci occupandola. Dopo la nota sconfitta di Attilio Regolo i romani batterono la flotta punica nella battaglia delle Egadi nel 241 a.c., la Sicilia diventò così la prima provincia romana. Il colle e la necropoli di Tuvixeddu. La sua posizione prospiciente lo stagno di Santa Gilla e a lato dell insediamento punico poi romano con centro in piazza del Carmine, lo fece preferire quale luogo sacro dove poter conservare i corpi dei defunti. Assunse così la dignità di necropoli, venerato quanto le stesse tombe che custodiva, terreno sacro che aveva l alto compito di 126

127 conservare i resti umani e prepararci alla seconda vita ultraterrena. La necropoli di Tuvixeddu (Cagliari) Già con i Fenici il colle doveva ricoprire una qualche funzione religiosa, ma risalente a quel periodo IX sec. - VI sec. a.c. nulla è emerso; furono quindi i Cartaginesi a dare la destinazione funeraria che poi i Romani continuarono. Le tombe che oggi attirano l occhio dell occasionale visitatore, furono scavate con cura artigianale e presentano l andamento orizzontale, quelle ricavate sui costoni rocciosi e, l andamento verticale, quelle in pianura, l ingresso preceduto da un breve corridoio portava alla cella vera e propria dove veniva deposto il defunto con i corredi rituali. Nelle tombe verticali un profondo porro a pianta quadrata e rettangolare precedeva la camera sepolcrale il cui ingresso, come nel tipo precedente veniva chiuso da una lastra di pietra, per a- 127

128 gevolare il lavoro dei necropoli su due lati del porro venivano ricavati degli incavichiamati pedarole che consentivano l appiglio ai piedi con le gambe divaricate e la discesa senza uso di scale. Plastico della tomba dell Ureo di Tuvixeddu (Cagliari) I Punici usavano in un primo tempo, il rito della incinerazione che veniva effettuato direttamente nella tomba, nella quale veniva acceso il fuoco dopo aver deposto il defunto, e in questo caso viene chiamata busta. Se la cremazione avveniva in altro luogo le ossa venivano normalmente conservate in urne e poi deposte nella tomba. In epoca più tarda i Cartaginesi abbandonarono la pratica dell incinerazione e usarono la deposizione primaria, con il corpo deposto integro. La tomba più importante della necropoli, quella dell Ureo oggi sigillata del tipo verticale, ci ha restituito degli affreschi parietali tra i quali il mitico serpente alato egizio che dà il nome alla tomba, maschere gorgoniche (donne che pietrificavano tutti coloro che osavano guardarle), e magnifiche palmette stilizzate. Nel lu- 128

129 glio 1997, per un caso fortuito, mentre venivano rimossi dei detriti e delle sterpaglie sul crinale guardante via Sant'Avendrace sono venuti alla luce dei reperti posti evidentemente in posizione superficiale. Ricostruzione della tomba dell Ureo - Tuvixeddu (Cagliari) Dopo un più attento esame del sito sono state scoperte ben 32 tombe molte delle quali sovrapposte ad altre, che vanno dal quinto secolo al primo secolo a.c. Le tombe puniche hanno restituito un grande numero di reperti, oltre a diversi tipi di deposizione, quella detta busta, in urna in anfora; nei primi due casi si tratta di corpi incinerati il loco (busta) o fuori sito ed i resti raccolti in urne; in alcuni casi, per lo più defunti in giovane età, una capiente anfora serviva a contenerne il corpo che poi veniva deposto in una fossa (Enchytrismos). Sullo stesso sito sono emerse anche delle tombe a fossa romane risalenti al II - I secolo a.c., sovrapposte o affiancate a quelle puniche di cui forse se ne ignorava la presenza, al momento dello scavo, ma che veniva riconosciuta solamente la sacralità del luogo. Con i Punici iniziò lo sfruttamento del colle anche come miniera di materiale da costruzione e come riserva i- 129

130 drica con l uso di numerose cavità presenti ocon la costruzione di nuove. Figura 1 Nel periodo romano le pendici del colle furono sede di tombe (Atilla Pomptilla) monumentali o di colombari (camere funerarie scavate nella roccia con nicchie sulle pareti alte a contenere urne con ceneri dei defunti), mentre la zona pianeggiante sulla sommità più usato per le sepolture in tombe a fossa. Anche i Romani usarono la collina per le loro esigenze idriche e oltre a sfruttare le cavità costruirono scavandolo nella roccia, un canale oggi ancora evidente, che aveva il compito di rifornire l acqua, proveniente da Villamassargia, alla città tramite stazioni di decantazione, dislocate lungo il percorso e grandi cavità per la 130

131 conservazione e l uso del colle fu abbandonato gradualmente e i tombaroli iniziarono, la loro scellerata opera distruttrice fin quando le tombe più accessibili furono completamente depredate. Intanto con l arrivo dei Vandali e dei Bizantini la città di Caralis perse il ricordo di quel luogo, poiché altri sistemi in tumulazione entrarono in uso, ma con l abbandono della città, a causa delle incursioni musulmane a partire dal IX sec. d.c. e la costruzione della città di Santa Igia il colle divenne di nuovo importante in quanto ai suoi piedi si sviluppò il borgo di Sant'Avendrace abitato da pescatori e da lavoratori che non potevano risiedere entro le mura della città giudicale. Nel 1258 Santa Igia fu distrutta ed il colle, impotente, fu costretto ad assistere alla tragedia dei cittadini che cercavano scampo con la fuga. A metà Ottocento, l uomo con la sua cecità, prescindendo dagli interessi storici e artistici che ne fanno il primo del regno animale disinteressato dal valore della necropoli e del suo immenso patrimonio, decise di demolirla poiché le pietre ed il cemento avevano in quel momento un valore talmente alto che il sacrificio di quei ruderi era una posta, forse anche di poco conto, rispetto al lucro che si sarebbe ricavato. Il colle fu così perforato e smembrato e le cavità furono fatte saltare, le sue viscere traforate da immense gallerie; l aspetto originale fu così per sempre cancellato con la creazione di valli artificiali e profonde voragini dalle quali le migliaia di metri cubi di pietrame asportato andavano ad ingrossare le riserve di materie di materie prime pronte ad essere trasformate in cemento ed in tintinnanti soldoni. La Via Sant'Avendrace che intanto diventava un quartiere e le case ai piedi del colle incorporarono le antiche tombe romane che diventarono magazzini, cantine, depositi per attrezzi. Nel 1822 Alberto Della Marmora salvò per caso la Grotta Della Vipera, ormai minata e pronta a saltare per fare posto alla costruenda Carlo Felice, tra gli sguardi attonici degli ingegneri e delle maestranze che si chiedevano che importanza potesse avere quella insignificante cavità dove i soliti buontemponi avevano scolpito delle frasi in latino e greco. 131

132 LA SARDEGNA ROMANA 238 A.C D.C. Quando i Romani nel 238 a.c. sbarcarono in Sardegna, la trovarono ormai Punicizzata ad eccezione della parte più interna. I romani arrivano a Caralis L amministrazione della cosa pubblica era affidata ai Sufeti, i quali rispondevano del loro operato direttamente alla Madrepatria, Cartagine. La classe dirigente tutta rigorosamente punica lasciava poco spazio agli indigeni, che accettando la sottomissione trovavano 132

133 spazio solo nell esercito mercenario per guadagnarsi il classico tozzo di pane. Le legioni romane, invece, formate da cittadini della repubblica prima e dell impero poi, erano caratterizzate da una ferrea disciplina e da motivazioni nazionali che ne facevano un formidabile mezzo di offesa. Non trovarono molta resistenza quando misero piede nell isola, anzi i residui dell esercito cartaginese si sfasciarono quasi subito e i mercenari isolani andarono a rifugiarsi nelle montagne, ingrossando le schiere di quelle genti che i romani chiamavano Barbari e la terra da loro abitata Barbaria: la futura Barbagia. Nel 227 a.c. la Sardegna, unitamente alla Corsica, fu dichiarata provincia e governata dal primo pretore con poteri civili e militari. Scoppia la seconda guerra Punica. Annibale Barca subito dopo essere diventato comandante dell esercito Cartaginese, nel 219 a.c. assediò la città iberica di Sagunto alleata dei Romani, conquistandola e distruggendola. Senza attendere la reazione romana, Annibale con un esercito stimato in uomini e circa 40 elefanti, varcò le Alpi e si presentò, inatteso nel suolo latino, sconfiggendo i Consoli Publio Scipione e Tiberio Sempronio Longo nelle battaglie del Ticino e della Trebbia. L esercito Punico, nonostante le grandi perdite subite nella marcia massacrante e durante il valico delle impervie Alpi, fu rinforzato notevolmente dagli apporti dei Galli che passavano di buon grado dalla sua parte. Mentre si addentrava nel suolo che i Romani avevano occupato nel nord Italia, l esercito si ingrossò sempre più, segno del malcontento delle popolazione che avevano conosciuto i metodi dei padroni romani che vennero sconfitti ancora in una battaglia, considerata importantissima, presso il lago Trasimeno, aprendo le porte ad Annibale della strada per Roma che ormai rimaneva senza protezione. 133

134 Ma, per quei motivi che definiamo irrazionali ed imprevedibili, il generale cartaginese decise di puntare verso sud, forse per rinforzare ancor più le sue schiere con l apporto delle popolazioni italiche meridionali. Ciò non avvenne e le popolazioni del centro sud non passarono con i punici, rimanendo fedeli a Roma, palesando, in questo caso, l efficacia della politica di latinizzazione accolta favorevolmente dai popoli meridionali. I Romani vistosi perduti, con un ultimo sforzo, radunarono un esercito con alla testa i Consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo ed affrontarono Annibale nei pressi di Canne. Ripercussioni in Sardegna della sconfitta Romana. Le legioni Romane subirono a Canne nel 216 a.c. una sconfitta, forse irrimediabile, perdendo uomini tra i quali 80 Senatori e lo stesso Console Lucio Emilio Paolo, Annibale non aveva ormai nessun ostacolo e poteva dirigersi tranquillamente verso Roma che non avrebbe potuto opporre alcuna resistenza. Ma l esercito Punico, dopo tre anni di campagne e di marce for- 134

135 zate in un territorio ostile, era in quel momento molto indebolito e Annibale, forse con ragione, prima di affrontare la battaglia decisiva e forse un lungo assedio sotto le mura dell Urbe, volle far riposare i suoi soldati ed attendere rinforzi che suo fratello Asdrubale stava radunando in Spagna. Fu così che il generale si fermò a Capua, in attesa ed in ozio, dando insperato tempo e nuove speranze ai già rassegnati Romani, mentre le notizie della crisi latina arrivavano in Sardegna giungendo a coloro che aspettavano l occasione propizia per ribellarsi. La città di Cornus, ancora indipendente, ma timorosa della minaccia Romana, colse la palla al balzo e incominciò ad organizzare una forza di attacco da lanciare sui nemici attestati ai margini della pianura del Campidano e, secondo le notizie, in crisi e decisamente impediti a ricevere rinforzi per la situazione precaria in cui versavano i territori continentali presidiati dai Cartaginesi che controllavano anche il Tirreno con la loro flotta. Tentativo di rivolta in Sardegna: Ampsicora Situazione quanto mai favorevole che Ampsicora, forse a capo della comunità di Cornus, sardo punicizzato e grande proprietario terriero con l aiuto di Annone, ricco cittadino, probabilmente Punico trapiantato, cercò di cogliere al volo, mandando ripetuti messaggi a Cartagine per richiedere un pronto intervento in Sardegna sostenendo che l esercito romano di presidio, poco numeroso, non avrebbe opposto alcuna resistenza significativa. Era il 215 a.c. e Ampsicora, confidava anche sulla sollevazione delle città meridionali già in mano romana e di tutte le popolazioni che ormai ne avevano conosciuto l esosità fiscale e non aspettavano altro che una occasione propizia per scuotersi dal giogo. Ampsicora, insofferente ad un eventuale dominio latino della sua città, forse con notevoli interessi e non solo ideali da difendere, trovò terreno fertile anche in altri maggiorenti e nobili locali che vedevano un futuro non certo rosa per i propri possedimenti e le proprie prerogative, ormai consolidati che i Ro- 135

136 mani non avrebbero senz altro conservato, imponendo la loro filosofia fiscale che prevedeva tasse per tutti e specialmente per i più ricchi non cittadini della Repubblica. Ampsicora cerca aiuti presso i Sardi Pelliti In attesa di un contingente Cartaginese, Ampsicora decise di cercare aiuti al di là del confine che divideva la Sardegna punicizzate da quella autonoma che i Romani chiamavano già Barbaria. I sardi pelliti erano trincerati nella Barbaria 136

137 Non era certo facile convincere i bellicosi capi barbaricini conformati statualmente ma divisi in piccoli reami o principati, spesso in lotta tra loro. Ma la pericolosità di un invasione romana, le cui intenzioni venivano confermate dall ormai consolidato presidio di Olbìa, vera testa di ponte che minacciava i territori storici Sardo-autoctoni, gli fece decidere per l intervento. La missione di Ampsicora non dovette essere semplice poiché l atavica diffidenza dei sardi vestiti di pelli, poneva seri ostacoli all intervento contro gli avversari comuni che, tutto sommato, non avevano tentato ancora di invadere i territori montani, loro tradizionale roccaforte e, fin quando il pericolo non fosse stato palese difficilmente quelle genti sarebbero intervenute in massa oltre i loro confini poiché abituate più a difendersi che ad attaccare. Cartagine decide l intervento La situazione favorevole fu decisiva per l intervento di forze cartaginesi in Sardegna, i punici radunarono un corpo di spedizione il cui comando fu affidato ad Asdrubale detto Il Calvo che aveva l obbiettivo di raggiungere Cornus e unirsi ad Ampsicora per combattere contro i Romani e tentare di rimpossessarsi dell Isola. La forza Punica era formata da diecimila fanti e forse cinquecento cavalieri trasportati da circa cinquanta navi da guerra e da carico. Roma viene informata della situazione nell isola Il Senato apprese, non senza stupore, la situazione esplosiva nell'isola che stava degenerando sempre più, comunicata con tempestività da messaggeri giunti dopo numerose peripezie nell Urbe. La condizione precaria dei soldati romani in Sardegna era aggravata dall aria insalubre (Malaria) che colpiva, con alte temperature, i militari ed i funzionari statali costretti a rimane- 137

138 re indisponibili per molto tempo, fiaccati nel corpo e nello spirito. Il Senato dispose l invio di una Legione (5000 uomini) al comando di Tito Manlio Torquato che già conosceva l isola ed il suo territorio e quindi dava tutte le garanzie per un esito positivo della missione. A bordo di una flotta formata da cinquanta navi da guerra e una decina da trasporto, il corpo di spedizione, non senza difficoltà, arrivò a Caralis e si affrettò a sbarcare ed a organizzarsi per il trasferimento verso l interno. La flotta Cartaginese parte per la Sardegna Anche la flotta Punica salpò dall Africa, ma contro ogni logica, invece di puntare direttamente verso le coste sarde, forse per e- vitare scontri fortuiti con unità romane, costeggiò l Africa con rotta verso ovest, poi si diresse a nord raggiungendo il centro del mar di Sardegna per convergere poi ad oriente e raggiungere Cornus. Ma una improvvisa tempesta deviò la rotta della flotta che fu letteralmente sbattuta nella direzione opposta, mandandola sulle isole Baleari dove riuscì ad approdare con molti danni e con la perdita di numerosi uomini imbarcati. La spedizione fu costretta alla sosta forzata per la riparazione dei danni e per rimpiazzare le vettovaglie perdute durante il fortunale. I Romani marciano verso Cornus Tito M. Torquato, intanto, riuscì a formare con i regolari di stanza nell isola quattro legioni forti complessivamente di ventimila soldati e milleduecento cavalieri e si affrettò a marciare verso Nord attraverso il Campidano. L intento era quello di precedere l arrivo dei Cartaginesi che, si sapeva, in difficoltà temporanea ma che al più presto avrebbero fatto rotta verso Cornus. I Romani evitarono, per essere più celeri, di trasportare le macchine da guerra, così avrebbero raggiunto più velocemente la città nemica, se fosse stato necessario le avrebbero costruite sul 138

139 posto, considerata l abbondanza del legname a disposizione nei boschi. Tragitto della flotta cartaginese Le legioni schierate in fila, a tappe forzate, evitando centri abitati, macinarono miglia su miglia, fermandosi solo la notte per un breve riposo, la mattina all alba la marcia riprendeva. I carri con i rifornimenti chiudevano la lunga teoria, mentre la cavalleria faceva da battistrada guidata personalmente da Tito M. Torquato. Giunto il contingente ai piedi delle montagne oltre Tharros, nei pressi di una zona paludosa, si accinse al taglio degli alberi per costruire le macchine necessarie per l attacco alla non lontana città di Cornus. I Cornensi informati dell arrivo dei Romani decidono l attacco. I messaggeri portarono la notizia dell arrivo dei nemici in città e, data l assenza di Ampsicora, prese in mano la situazione Iosto suo figlio che, radunato l esercito decise che bisognasse cogliere 139

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