NASCITA E SVILUPPO DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE

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1 LA TRASMISSIONE BIOLOGICA DELL INFORMAZIONE PROF. ALESSANDRO VOLPONE

2 Indice 1 NASCITA E SVILUPPO DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE L INDIRIZZO STRUTTURISTICO L INDIRIZZO INFORMAZIONALE DNA COME «LIBRETTO DI ISTRUZIONI» PER LA SINTESI PROTEICA IL DOGMA CENTRALE DELLA BIOLOGIA MOLECOLARE LETTURE CONSIGLIATE di 15

3 1 Nascita e sviluppo della biologia molecolare La biologia molecolare studia e interpreta a livello molecolare i fenomeni biologici, investigando la struttura, le proprietà e le reazioni delle molecole chimiche di cui gli organismi viventi sono costituiti. La nascita della disciplina rappresenta forse l evento più importante nell'ambito delle scienze della vita della seconda metà del Novecento. Si fa coincidere generalmente con la determinazione della struttura del DNA da parte di James Watson e Francis Crick, nel Questa scienza, infatti, ricca di interesse e potenzialità si è venuta a costruire attraverso una serie di scoperte spesso indipendenti riguardanti in generale struttura e funzioni dei due acidi nucleici l'acido desossiribonucleico (DNA) e l'acido ribonucleico (RNA). Gli studiosi di storia della scienza hanno proposto due differenti ricostruzioni dell'origine della biologia molecolare, producendo al riguardo un'ampia letteratura. Secondo una prima interpretazione, le radici della biologia molecolare risiedono nello sviluppo di nuove tecnologie fisiche adatte a indagini complesse che andavano oltre gli interessi dei chimici organici, ma che sfuggivano al contempo alle possibilità dei citologi e degli istologi, a causa dei limiti dei microscopia ottica. L'origine della biologia molecolare sarebbe così lo studio di molecole colloidali e altre componenti cellulari progressivamente convertito, per mezzo dell'avanzamento tecnologico, in una indagine autonoma. Secondo un'altra interpretazione, questo approccio non rispetta la specificità della biologia molecolare, che, invece, concerne la ricerca dei meccanismi fondamentali che spieghino le caratteristiche degli organismi viventi, come la caratterizzazione della natura e del ruolo del DNA nella trasmissione ereditaria, la determinazione della struttura chimica del gene o quella dei meccanismi attraverso i quali i geni controllano la sintesi proteica. 3 di 15

4 Oggi si sottolinea che la biologia molecolare, più che una disciplina con un oggetto precipuo d interesse, è in realtà un metodo d indagine che ha rinnovato in generale la ricerca di laboratorio nelle scienze della vita, trasversalmente alle discipline, perché l investigazione sul micro-livello è ormai irrinunciabile. In quanto disciplina, o metodo d indagine, essa può essere considerata come il risultato della convergenza di due settori di ricerca che si sono rapidamente sviluppati a partire dai primi anni del XX secolo: la biochimica e la genetica. La biochimica ha mostrato l'importanza delle proteine e di altre molecole e componenti organiche nelle attività cellulari e ha dato inizio al loro isolamento e alla loro purificazione. La genetica ha evidenziato il ruolo centrale dei geni, non solo nel processo riproduttivo, ma anche in fase vegetativa: come centro organizzativo per tutte le attività cellulari. Va da sé, quindi, che caratterizzare la relazione fra i geni e le proteine sia divenuto un obiettivo comune di ricerca. riguardanti: Gli studi che hanno portato alla scoperta delle basi molecolari della vita sono quelli A. la natura chimica del gene, inclusa la struttura del DNA indirizzo strutturistico B. il meccanismo di sintesi delle proteine e la decifrazione del codice genetico indirizzo informazionale Si tratta di settori d indagine che hanno rappresentato non solo orientamenti di ricerca (biochimico e genetico), ma anche correnti di pensiero (strutturistica e informazionale), all interno stesso della biologia molecolare, che hanno finito per fondersi in un tutt uno integrato. 4 di 15

5 2 L indirizzo strutturistico La biologia molecolare strutturistica prese l avvio a partire dalla fine degli anni Trenta, con l applicazione dei metodi di cristallografia ai raggi X alle molecole biologiche, da parte soprattutto del fisico inglese William T. Astbury ( ). I raggi che attraversano le molecole sottoposte a osservazione si raccolgono formando un quadro (pattern) di diffrazione, che può essere più o meno simmetrico e costante, rivelando quindi la possibile regolarità della struttura osservata. Egli svolse indagini sulla molecola di cheratina, che fornirono al chimico strutturale americano Linus C. Pauling ( ) le basi per la scoperta delle strutture secondarie delle proteine, tra cui α-eliche e foglietti β. Seguirono altre indagini e scoperte. Principali risultati. In primo luogo, emerse una nozione di specificità strutturale, ovvero di un rapporto preciso e caratteristico fra le proprietà fisiche delle molecole e gli schemi di diffrazione. Questo poté condurre per esempio Frederick Sanger ( ) a stabilire la sequenza delle principali proteine, cioè a «sillabare» la posizione dei diversi aminoacidi (struttura primaria, a perline). Questo fu un risultato importante. Il sequenziamento delle proteine ha consentito di approfondire gli studi sulla loro funzione molteplice e variegata all interno delle cellule, approfondendo la conoscenza dei loro componenti fondamentali, gli aminoacidi, dei quali solo 20 sono quelli utilizzati dai viventi, e rappresentano quindi le lettere del loro alfabeto. Questo progresso, congiuntamente alle scoperte sul DNA, ha portato successivamente alla comprensione del meccanismo della sintesi proteica, elemento essenziale per la decifrazione del codice genetico. 5 di 15

6 In secondo luogo, gli studi strutturistici rivelarono che strutture biologiche come il DNA hanno un ordinamento regolare e una struttura essenzialmente cristallina. Particolarmente importante si rivelarono gli studi del DNA per mezzo della diffrazione ai raggi X condotti a Londra da Maurice Wilkins ( ) in collaborazione con Rosalind Franklin ( ). Questi chimico-fisici mostrarono che era tecnicamente possibile determinarne la struttura. La scoperta spinse James Watson (1928 ) e Francis Crick ( ) a intraprendere le ricerche sulla regolarità costitutiva della macromolecola. Tale filone di studio ebbe come suo risultato più grande, nel 1953, la scoperta della doppia elica del DNA. 6 di 15

7 3 L indirizzo informazionale La corrente informazionale si fa cominciare nel 1943, quando, al Rockefeller Institute of Medical Research (USA), Oswald T. Avery, medico di origini canadesi, dimostrò, in un celebre esperimento fatto insieme a Colin MacLeod e a Maclyn McCarty, che il DNA era il vettore responsabile della conversione di uno pneumococco (Diplococcus Pneumoniae) da non virulento in virulento. Il fenomeno era già conosciuto. Che nelle cellule esistesse qualche sostanza in grado di trasmettere l informazione genetica era stato stabilito in parte tra la fine dell Ottocento e gli inizi del Novecento, quando si ipotizzò pure che il materiale genetico fosse racchiuso nei nuclei delle cellule, e in particolare nei cromosomi. Mancava però l individuazione precisa della molecola capace di contenere questa informazione. Nel 1928, il biologo inglese Frederick Griffith ( ) dimostrò che i batteri sono capaci di trasferire informazioni genetiche attraverso un processo che divenne noto come trasformazione. Egli, lavorando con agenti infettivi della polmonite fulminante umana inoculati in topi di laboratorio, aveva osservato che alcuni ceppi virulenti di pneumococco uccisi mediante calore possono indurre trasformazioni in ceppi non virulenti. Si tratta di pneumococchi con due varianti. La prima variante, detta ceppo S o liscio, o ceppo capsulato, costituita di batteri produttori di colonie lisce e lucenti per la presenza di una capsula che avvolge l intera cellula, è in grado di provocare la polmonite ed è quindi patogena. La seconda variante, costituita da batteri di ceppo R o rugoso, in quanto le sue colonie possiedono un aspetto rugoso per l assenza della capsula batterica, non è in grado di indurre la malattia, cioè non è patogena. Griffith iniettò estratti di cellule morte del ceppo patogeno S in colture di cellule R. Successivamente inoculò le colture di ceppo R così ottenute nei topi e vide che essi contraevano la 7 di 15

8 malattia e morivano. Questo non avveniva, invece, quando nel topo si iniettava il ceppo R non trattato con S. Era chiaro che l aggiunta di estratto di ceppo S al terreno colturale producesse in qualche modo un trasferimento del fattore virulento. Griffith chiamò questa sostanza fattore trasformante, ma non riuscì a identificarla correttamente: egli suppose che si trattasse di materiale di natura proteica. L esperimento aprì comunque la strada a studi successivi, che non tardarono ad arrivare. Avery e collaboratori ripeterono l esperimento. Anche loro adoperarono un estratto o lisato cellulare di ceppo S, così da ottenere una soluzione nella quale fosse disciolto il materiale contenuto nei batteri virulenti. Questa volta, però, il lavoro non si limitò a un semplice riscontro del risultato, ma proseguì per cercare di individuare con precisione il vettore: doveva sicuramente trattarsi di una delle diverse classi di macromolecole biologiche presenti nei batteri (proteine, polisaccaridi, lipidi e acidi nucleici). Procedendo per esclusione, Avery e collaboratori stabilirono che doveva trattarsi di acidi nucleici. I topi, infatti, sopravvivevano quando erano trattate con tutte le biomolecole, tranne nel caso degli acidi nucleici. Pertanto, il materiale genetico doveva quindi essere racchiuso in essi. Per completare il tutto, divisero l estratto contenente l acido nucleico in due porzioni, di cui una contenente l enzima ribonucleasi (RNAsi), che degrada selettivamente l RNA, ma non il DNA, e un altra contenente la deossiribonucleasi (DNAsi), che degrada selettivamente il DNA, ma non l RNA. Osservarono così che la trasformazione dei ceppi R in S, con trasmissione della virulenza, avveniva solo nelle colture con RNAsi. Fu chiaro che il principio trasformante era sensibile alla sola DNAsi e perciò ne conclusero che il materiale genetico fosse necessariamente il DNA. Negli anni a seguire altri esperimenti mostrarono che il DNA dovesse essere il depositario dell informazione genetica, sia nella cellula procariotica (priva di nucleo) che eucariotica (fornita di nucleo). In quest ultimo caso, piccole quantità di DNA sono presenti anche all interno di 8 di 15

9 mitocondri e cloroplasti, ma solo quello contenuto nei nuclei cellulari è responsabile della trasmissione ereditaria. Prendiamo il caso dei mitocondri. Nella riproduzione animale a sessi separati, per esempio, solo il DNA nucleare dello spermatozoo penetra all interno dell ovocita, mentre il resto della cellula no, inclusi i mitocondri paterni. Perciò, al genoma della prole mancherebbe qualcosa se anche il DNA mitocondriale ne fosse coinvolto. Il DNA mitocondriale (così come quello plastidico) presiede, per via materna, e comunque in collaborazione con il DNA nucleare ricostituito nel gamete, alla sola produzione di nuovi mitocondri (o rispettivamente di nuovi cloroplasti), oltre che in parte al loro funzionamento in quanto organuli cellulari, mentre l ereditarietà dei caratteri dell organismo va attribuita precipuamente al DNA nucleare, riconosciuto come il nesso materiale pressoché esclusivo per trasferire l informazione genetica da una generazione all altra attraverso le cellule germinali. Individuata con certezza la macromolecola organica capace di veicolare detta informazione, restava da decifrarne il funzionamento. Tra i primi studiosi a ipotizzare l esistenza di un codice molecolare, incorporato nella struttura di base del DNA (e dell RNA, che ne funge da stampo, coadiutore e vettore), capace di delineare l intero programma di sviluppo dell organismo, si segnalò Erwin Schrödinger ( ), fisico tedesco noto per aver contribuito alla edificazione della teoria quantistica, nell opera Che cos è la vita (What is Life, 1944). Egli propose l integrazione dell approccio strutturistico con quello informazionale. Negli anni Trenta e Quaranta, come già ricordato, i risultati di studi di diffrazione ai raggi X svolti sul DNA lasciavano intuire che la molecola possedesse una struttura regolare. Schrödinger, allora, avanzò l ipotesi che il materiale genetico consistesse di una molecola di grandi dimensioni con struttura regolare sufficientemente stabile per poter contenere l informazione genetica; e suppose che si trattasse di un cristallo aperiodico, in quanto, pur essendo regolare, doveva avere 9 di 15

10 nello specifico componenti differenti (oggi sappiamo che esistono diverse basi azotate che si alternano nelle catene di DNA in maniera appunto aperiodica ), altrimenti tutti i viventi avrebbero avuto lo stesso corredo ereditario. Le idee di Schrödinger e di altri autori costituirono la matrice dalla quale presero forma i risultati della biologia molecolare, tendenti a integrare fra loro i risultati della fisica e della chimica con quelli genetici e informazionali della genetica. Eccone alcuni esempi nelle sue stesse affermazioni: «Il problema scrive Schrödinger è il seguente: come possono, la fisica e la chimica, rendere ragione degli eventi spazio-temporali che si verificano entro i limiti spaziali di un organismo vivente? La risposta pregiudiziale che questo piccolo libro tenterò di dare e di commentare può essere riassunta così: la ovvia incapacità della fisica e chimica di oggigiorno a dare una spiegazione di tali eventi non è affatto una buona ragione per dubitare che le due scienze possano mai spiegarli» (E. Schrödinger E., Che cos'è la vita (1944), Adelphi, Milano 1995 p. 18). Qualche pagina più avanti si legge: «Mi propongo di esporre prima di tutto quella che voi potete chiamare l idea di un fisico ingenuo relativamente agli organismi, cioè l idea che può sorgere nella mente di un fisico, il quale dopo aver imparato la sua fisica e più specialmente il fondamento statistico della sua scienza, incominci a pensare al problema della vita e al come gli organismi si comportano e funzionano, chiedendo a se stesso, coscienziosamente, se egli, con ciò che ha imparato dal punto di vista della sua umile scienza relativamente semplice e chiara, possa portare un qualche notevole contributo al 10 di 15

11 problema. [ ] Il passo seguente sarà quello di porre a confronto con i fatti biologici le sue previsioni teoriche» (ivi, p. 21). La decifrazione del codice fu avviata da Watson e Crick, ma portata avanti soprattutto da quest ultimo. Nell aprile 1953 avevano presentato il modello della doppia elica sulla rivista inglese Nature e nel maggio successivo, in un altro articolo sulla medesima rivista, già proposero l espressione «informazione genetica» e «codice». Nel decennio successivo si procedette alla decodificazione. «Si può concludere essi scrissero nell articolo menzionato che in una lunga molecola può esistere un numero molto grande di permutazioni diverse e che, di conseguenza, è probabile che la sequenza precisa delle basi sia il codice che trasporta l informazione genetica». Schrödinger: In una intervista più recente, Watson ha invece dichiarato sulla rilevanza delle ipotesi di «Più o meno nel periodo della scoperta della doppia elica Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, pubblicò il suo libretto Che cos'è la vita, che mi capitò fra le mani nella biblioteca di biologia mentre ero al terzo anno, nel Si trattò di uno di quei libri che cambiano la vita: e la mia, come quella di parecchi altri colleghi, cambiò irrevocabilmente. Schrödinger capì che l'elemento chiave dell'ereditarietà doveva essere il trasferimento di informazioni genetiche in forma di molecola di generazione in generazione» (da: Corriere della sera, 2 gennaio 2006). 11 di 15

12 4 DNA come «libretto di istruzioni» per la sintesi proteica Struttura Il DNA è un polimero con monomeri (i nucleotidi) che si susseguono in ordine lungo la molecola. Ogni nucleotide è formato da uno zucchero pentoso (desossiribosio) e da un gruppo fosfato, uguale per tutti, più una base azotata: adenina o guanina (purine), citosina o timina (pirimidine); nell RNA al posto della timina si trova l uracile. La sequenza dei nucleotidi e quindi delle basi azotate è la fonte primaria dell informazione genetica. Il DNA è come un «libretto di istruzioni» della cellula per costruire proteine: esso è scritto con un alfabeto di 4 lettere (A, G, C, T) usato per formare parole di sole 3 lettere (triplette o codoni). Ogni tripletta codifica per uno dei 20 aminoacidi adoperati dagli organismi viventi, però non direttamente, ma mediante uno stampo filamentoso di RNA (trascritto), detto messaggero. Ridondanza Essendo le lettere 4, se le parole fossero di una sola lettera, avremmo al massimo 4 parole. Se fossero formate di due lettere avremmo 4 2 =16, che però non bastano per i 20 aminoacidi. Dunque, il lavoro di Crick si attestò su 4 3 =64 parole. Perciò fu chiaro sin da subito che il codice dovesse essere ridondante (o degenerato), perché contiene più parole di quante ne servono per indicare gli aminoacidi. 12 di 15

13 In altre parole, il «libretto di istruzioni» contenuto nel DNA per la sintesi proteica esprime più triplette che codificano per lo stesso aminoacido. Sintesi proteica La sintesi proteica non si svolge direttamente sul DNA, ma attraverso l intervento dell RNA, che funge da mediatore o stampo, nonché da trasportatore degli aminoacidi che vanno a comporre la proteine (mrna o RNA-messaggero e trna o RNA transfer, addetto al trasporto di aminoacidi). La sintesi inizia con lo srotolamento del DNA processo che avviene all interno del nucleo negli eucarioti, o direttamente nel citoplasma nel caso dei procarioti. Le parti esposte del DNA iniziano a creare uno stampo filamentoso di RNA, detto messaggero. Gli RNA messaggeri (mrna) prodotti migrano nel citoplasma, agganciandosi ai ribosomi. I ribosomi sequenziano i filamenti di mrna, inserendo, mediante l aiuto di piccole catene di RNA transfer (trna) l aminoacido corrispondente a ciascuna tripletta contenuta sullo stampo. Il filamento di mrna viene dunque percorso dal ribosoma come se si trattasse di una cerniera lampo, per così dire, che, mentre scorre, incastona aminoacidi seguendo la giusta sequenza trascritta. Giunto alla fine, il ribosoma si sgancia dal filamento, che ora è costituito di soli aminoacidi e che rappresenta la proteina neoformatasi. Lo stampo di mrna, nel frattempo, si è disintegrato. Il processo di sintesi è compiuto. Seguono attività di rifinitura, come il ripiegamento della proteina filamentosa, o il raggomitolamento strutturale nel caso di proteine globulari, o l aggiunta di elementi chimici (es. minerali come il ferro, nel caso dell emoglobina detto gruppo EME); e così via. 13 di 15

14 5 Il dogma centrale della biologia molecolare Nel 1958, Crick avanzò l'ipotesi che la sequenza degli amminoacidi nelle proteine è determinata da quella dei nucleotidi nella molecola del DNA. Propose inoltre il cosiddetto dogma centrale della biologia molecolare, secondo cui l'informazione genetica fluisce dal DNA all'rna alle proteine, ma non può andare in direzione inversa. Il passaggio d informazione, a livello genetico, sembra dunque unidirezionale: procede dall interno all esterno del nucleo, e non viceversa. Il «dogma» è stato per anni considerato tale, ma la tendenza odierna procede verso un suo ridimensionamento. In primo luogo, esistono virus cosiddetti a «trascrittasi inversa»; e occorre considerare poi i prioni, che dimostrano che l informazione (in questo caso patologica) può trasmettersi per via collaterale, restando nel mero livello proteico. In secondo luogo, se è vero che l ambiente non influisce sulla duplicazione del DNA, esso ne condiziona comunque la trascrizione e l espressione. Anche di questo occorre probabilmente tener conto. 14 di 15

15 Letture consigliate Schrödinger E., Che cos'è la vita (1944), Adelphi, Milano 1995 Watson J. D. La doppia elica (1968), Garzanti, Milano di 15

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