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1 Fig. 71 Cartagine Questo mito dimostra che Cartagine nasce come città importante, fondata dalla principessa di Tiro con l apporto del tesoro del tempio di Melqart. Per diversi secoli Cartagine mantenne un legame forte con Tiro e inviò regolarmente la decima come tributo poiché c era la volontà di mostrarsi figlia di Tiro. L elemento indigeno non venne mai completamente integrato, vi fu sempre la distinzione fra l origine orientale della città e i libici. Nel territorio di Cartagine abbiamo l abitato, con tracce dell VIII a.c. nella piana costiera, racchiusa alle spalle da una serie di colline che nella prima fase vengono destinate alle necropoli (VIII-VI a.c.). La stessa tipologia di urbanizzazione avvenne a Cagliari con l abitato situato nella zona di Santa Gilla e la necropoli nella collina di Tuvixeddu. Le colline di Cartagine sono Byrsa, Junòn, Duimèt e Dermech. L abitato arcaico è stato scavato da diverse missioni tedesche (sovrintendente fu Rakob). Presenta un impianto ortogonale di vie perpendicolari che precede di vari secoli l impianto greco. Le case sono semplici e i muri sono rozzi, con zoccolo in pietrame brutto cementato con malta di fango e pavimenti in terra battuta. Gli scavi presentano strati sovrapposti e gli archeologi, quando scavano questa tipologia, si trovano davanti a strutture difficili da interpretare perché i vari muri si incastrano fra loro. A scavo effettuato, per valorizzare l area si deve decidere come conservare la struttura e bisogna far cadere la scelta su cosa mettere in evidenza. Dopo aver scelto la fase che si vuole rendere fruibile si ricoprono le altre e il visitatore si troverà davanti una zona ben evidenziata relativa ad un determinato periodo. Durante gli scavi sono stati individuati materiali mediterranei sia di produzione che di importazione. I materiali eubòici e nuragici mostrano la collaborazione fra questi e i tiri. In periferia ci sono gli impianti artigianali per la lavorazione della ceramica, dei metalli e del pesce che sono tenuti lontani dall abitato per questioni di scorie, calore, gas, rumori e odori. Questo stesso sistema è diffuso nel mondo mediterraneo e punico, e ancora oggi vediamo che tutte le società cercano di costruire le zone industriali lontano dal centro abitato. 215

2 Col passare del tempo l abitato si allarga e va ad occupare le aree delle necropoli arcaiche, che precedentemente erano occupate dal quartiere artigianale. Le necropoli si spostano verso l esterno e le più recenti sono infatti all estrema periferia degli abitati. Fig. 72 Cartagine Intorno al V a.c. l abitato si sviluppa verso sud e arriva fino all area del tophet; successivamente l espansione interessa anche le altre direzioni. La città arcaica, ubicata in prossimità della costa, è stata scavata da varie equipe di tedeschi (Rakob, Neemayer) e da una missione olandese con a capo Dauteck. Gli scavi hanno operato in ampie aree andando ad intaccare la stratigrafia in profondità. Per rendere fruibili i vari strati si è pensato di ricostruire i vari periodi andando a ricoprire gli scavi con pietrame di vari colori per evidenziare i vari periodi (ad esempio l area di Magone). In pratica ogni livello ha pietrisco di diverso colore. Anche a Nora hanno fatto una ricostruzione simile. In tutti gli scavi di Cartagine sotto gli strati bizantini, romani e punici sono venute fuori strutture più antiche: lacerti mediterranei e materiali vari che mostrano già dall VIII a.c. un commercio intenso con i nuragici e con i greci. L impianto urbanistico ortogonale è collegabile con l area sui colli nella quale si trova la Byrsa che in età arcaica era occupata da numerose tombe. La Byrsa nel V a.c. viene raggiunta da un quartiere artigianale, sono visibili infatti tracce di impianti metallurgici con scorie di lavorazione, frammenti di fornace e tuyer. Nel II a.c. la zona è raggiunta dall urbanizzazione. Secondo le fonti la Byrsa era la sede dell acropoli. Appiano racconta che i romani nel 146 a.c. conquistarono la città combattendo casa per casa e distruggendo tutto. Considerato che i cartaginesi avevano perso già due guerre contro i romani dobbiamo ritenere che ebbero le capacità per risollevarsi e riorganizzare un economia fiorente. Dopo l abbandono degli ultimi cartaginesi avvenuto in seguito alla sconfitta nella III guerra punica, Roma decise di spianare la Byrsa per edificare il nuovo foro della città, proprio per romanizzare l area. In età Augustea si decise di ristrutturare la città e Cartagine divenne la città più importante 216

3 dell Africa. Quando i romani tagliarono la sommità della collina per ampliare l area della Byrsa, gettarono i detriti a valle, ricoprendo con uno strato alto sette metri che sigillò le strutture puniche, quelle dell ultima fase dell urbanizzazione. L ambiente abitativo è quindi ben conservato. Le strutture puniche più recenti sono state usate solo per circa 50 anni, e oggi possiamo studiare la tipologia dell edilizia popolare di quell epoca. Una missione archeologica francese ha scavato la zona e sotto tonnellate di detriti è stato ritrovato il quartiere cartaginese della Byrsa. Secondo Appiano le case erano alte fino a sei piani con alzato in mattoni crudi e soffitti in legno. Le case presentano una pianta caratteristica: si affacciano su una corte centrale interna dalla quale prendono luce, aria e acqua grazie alle cisterne nelle quali confluiva l acqua piovana che veniva canalizzata. L ingresso è collegato alla corte attraverso un corridoio. La fronte della casa, quella sulla strada, era occupata da alcuni vani che generalmente erano destinati alle attività economiche, dunque aperti al pubblico o agli animali. Gli ambienti interni al pianterreno erano quelli di vita: cucina e locali per vivere, mentre la notte si andava nei piani alti per dormire. Le case erano costruite su uno zoccolo in pietra grossa e alzato in mattoni crudi cementati con malta di fango. I muri erano intonacati con calce, anche per garantire che l acqua piovana non si infiltrasse nelle camere. Gli alzati probabilmente erano progressivamente più sottili perché dovevano reggere un peso minore. Le scale mostrano la presenza della zona notte. La copertura del tetto con lastre di pietra a doppio spiovente convogliava l acqua piovana in canalette che la indirizzavano poi verso la cisterna. Lo smaltimento delle acque reflue avveniva con dei canali che confluivano nella strada dove lo scarico era assicurato da pozzetti. Ogni casa aveva la sua cisterna realizzata con intonaco idraulico e spigoli stondati per una più agevole pulizia. Se vi era un banco roccioso sotto la casa veniva scavato un vano per ottenere la cisterna, altrimenti si scavava il terreno e si costruiva un muretto con blocchetti, a loro volta rivestiti in argilla. Le cisterne erano chiuse con lastre a piattabanda e avevano un pozzetto per attingere l acqua. L intonaco con il quale si rivestiva l interno della cisterna era grigio perché era costituito da malta, inerti e piccoli carboncini per aumentare l impermeabilizzazione. In alternativa si utilizzava il cocciopisto, materiale utilizzato anche per il tipico pavimento punico. Per ottenerlo si miscelavano degli inerti, calce e frammenti di ceramica che sono quelli che danno il colore rosato. Le strade, ortogonali, erano in terra battuta e per recuperare la pendenza presentano scale, quindi non erano percorse da carri. Le fonti parlano di una Cartagine del II a.c. in forte declino ma i riscontri archeologici, a partire dalle strutture portuali, descrivono una realtà completamente diversa e mostrano una città fiorente. Attorno alla città bassa si sviluppano le necropoli. Le più arcaiche sono quelle di Byrsa, Dermech, Duimès, Santamonica e Odeòn. Come per Tharros, Ibiza e Cagliari, la necropoli è quella che è stata depredata per prima perché proprio in questi luoghi si trovano materiali integri e spesso pregiati. Soprattutto nel corso del 1800 gli scavi avevano ideali differenti da quelli odierni: si cercavano materiali esotici, c era un gusto antiquario, l archeologia era una specie di caccia al tesoro. Un personaggio importante a Cartagine era Padre Delacr, un sacerdote che alla fine dell Ottocento ha scavato centinaia di tombe ma, non essendo archeologo, decontestualizzava i reperti per cui oggi è difficile ricostruire i contesti. Verso la metà del 1800 sulla Byrsa è stata impiantata una 217

4 cattedrale, governata dai padri bianchi e Delacr era uno di questi. La Tunisia era colonia francese e l archeologia era indirizzata soprattutto dal governo francese, per cui gli italiani non parteciparono agli scavi; solo intorno al 1970 qualche missione si è occupata di scavi negli strati romani. Purtroppo i metodi di scavo erano poco sofisticati e per portare alla luce i sarcofagi si sbancavano i fianchi delle colline, determinando la distruzione di molte tombe; abbiamo recuperato molti materiali ma si è persa completamente la possibilità di ricostruire i contesti perché sono stati smontati tutti gli ambienti che portavano all imbocco della camera. Se la tomba si trovava a 5 metri di profondità si procedeva allo smontaggio di tutto ciò che si trovava sopra. Fig. 73 Cartagine, la Byrsa Oggi l area è urbanizzata ed è difficile vedere tombe, tranne che nella zona della Byrsa. Altro studioso importante è Paul Gockler, francese, che scavò moltissimo ma morì prima di riuscire a pubblicare i ritrovamenti. Ci restano i suoi appunti di scavo del 1915 nei quali si notano disegni, corredi, maschere, gioielli, bottoni, amuleti e tanti altri dettagli che purtroppo non è possibile riconoscere con certezza proprio a causa della mancata pubblicazione di un testo che riordinasse gli appunti. In origine le tombe della Byrsa si trovavano sul piano di calpestio ma lo spianamento fatto dai romani le ha coperte con tonnellate di terra e oggi le troviamo in profondità. Gli scavi del 1900 erano eseguiti a trincea con la terra disposta nei fianchi. Uno dei tipi più antichi è la tomba a fossa, scavata nel terreno. Mentre in tutto l Occidente in età arcaica e fino al VI a.c. il rituale di sepoltura è l incinerazione, a Cartagine fin dalle prime attestazioni funerarie vediamo il prevalere dell inumazione. Non sappiamo ancora il motivo di questa particolarità. Forse l influenza dell elemento indigeno, che praticava appunto l inumazione, spiega questa caratteristica, ma i libici deponevano i defunti in posizione fetale e ricoperti con ocra rossa mentre le tombe cartaginesi mostrano scheletri generalmente in posizione supina con le braccia lungo i fianchi o sul petto. Tra le tombe più antiche troviamo anche qualche incinerazione secondaria accompagnata dal corredo, forse si tratta di individui ancora legati alla tradizione della 218

5 madre patria. Troviamo in queste tombe oggetti di gusto orientale e perfino degli avori. La copertura delle tombe è realizzata con lastre giustapposte, a schiena d asino. Fig. 74 Stele con simboli: falce lunare, disco solare, Tanìt, idolo a bottiglia, trono Un altro tipo di sepoltura diffuso è quello della tomba a camera. Non sono come quelle di Ibiza, scavate nella roccia, ma simili alle spagnole, costruite al fondo di una grande fossa, soprattutto le più antiche. Dal V a.c. invece vengono direttamente scavate nella roccia anche a Cartagine. Le più profonde raggiungono i 30 metri. Sono simili a quelle di Cagliari e prevedono un pozzo verticale con imbocco di forma rettangolare. Sulle pareti lunghe, nei bordi, ci sono delle sporgenze laterali (riseghe) e specie di gradini (pedarole) che consentivano la discesa agli addetti all inumazione. La bara era invece calata con delle funi. Alla base c era la camera con la deposizione. Non sappiamo bene a cosa servissero le riseghe dei pozzi perché le tombe venivano riempite e le sporgenze non hanno una funzione pratica. Nei casi più semplici ad ogni pozzo corrisponde una camera, ma a volte abbiamo più camere sovrapposte, aperte nel lato breve del pozzo, che era rettangolare. All interno possiamo trovare sarcofagi monolitici in marmo con copertura a lastre o a cassone con tetto spiovente di tipo greco. Sopra le tombe venivano messe delle lastre a schiena d asino per reggere la forte spinta provocata dalla terra di riempimento. A volte il soffitto era realizzato in legno pregiato ma nulla si è conservato. Un altro tipo è la tomba a cassone, costituita da blocchi in pietra e lastre poste a coltello a formare il cassone. Anche queste sono al fondo di grandi fosse e ospitavano inumazioni. In alcune tombe tarde troviamo dei sarcofagi di tipo greco, con cassone parallelepipedo e coperchio a doppio spiovente conformato come un timpano, come il frontone del tempio greco. 219

6 Due sarcofagi che si distinguono fra gli altri, pur essendo anch essi a cassone monolitico, presentano sul coperchio un personaggio maschile e uno femminile, forse due sacerdoti. Quello maschile ha la mano alzata in segno di saluto, o di benedizione, come quelli di Ahiram di Biblo. Il personaggio femminile presenta una veste particolare con tracce di policromia blu, nera, gialla e arancio. Come la rappresentazione della divinità nella Cueva d es Cuyeram, mostra ali ripiegate sul corpo che nel mondo punico distinguono l iconografia di Iside. Si è ipotizzato che la tomba sia di una sacerdotessa di una divinità femminile, raffigurata nei suoi abiti cerimoniali. In superficie le tombe erano segnalate da stele funerarie che presentano una nicchia, un edicola, nella quale è rappresentato un personaggio, una divinità. Si nota spesso l influenza greca con colonne ioniche e altri elementi iconografici caratteristici. Essendo i pozzi riempiti, quindi invisibili dalla superficie, in molti casi ci sono cippi o stele funerarie che indicano la presenza delle tombe. Fig. 74 Tophet Cartagine Uno dei contesti più importanti di Cartagine è il tophet. Fu scoperto casualmente nel 1921, è stato sottoposto a numerosi interventi di scavo mai pubblicati in modo esaustivo. A Cartagine, diversamente al consueto posizionamento a nord degli abitati, il tophet è ubicato a sud, a Salammbò, vicino ai porti. I tophet sono un fenomeno della zona centrale mediterranea: li troviamo in Tunisia (Cartagine e Suss), in Sicilia (Mozia, Lilibeo e Solunto) e in Sardegna (Cagliari, Nora, Sant Antioco, Monte Sirai, Tharros). Sono completamente sconosciuti in Oriente, a Cipro, a Ibiza e in Spagna. Si pensa quindi ad una influenza culturale antica di matrice cartaginese, precedente alla conquista armata. Quello di Cartagine fu scoperto nel 1921 da un cercatore di pietre che vendeva le stele agli antiquari. Due appassionati (Icard e Gielly) lo seguirono negli spostamenti e scoprirono i luoghi dai quali il cercatore prelevava i materiali. Nella zona si succedettero numerosi studiosi che indagarono la parte dell area compresa tra le strade. Ancora oggi ignoriamo l esatta estensione del tophet perché l area è fortemente urbanizzata e non è stata ancora completamente 220

7 scavata. La stratigrafia si presenta complessa. Vi è una successione, alta vari metri, di strati che contengono migliaia di stele e urne ma non c è una separazione netta fra le fasi in quanto il tophet è stato frequentato senza soluzione di continuità, con continui scavi per collocare altre urne. Ciò costituisce un problema perché un sito rimaneggiato determina l incomprensione degli strati. Il primo scavo fu di Icard e Gielly nel 1922, successivamente l indagine fu svolta da Lapeyre e Carton, poi Cintas e infine, negli anni Settanta, fu il turno di Stager, Lo scavo del 1922 fu fatto con delle lunghe trincee che scoprivano la distesa di urne e stele. Migliaia di manufatti furono portati alla luce ma non si riuscì ad abbinare le stele alle varie urne. Alcuni articoli pubblicati in quegli anni cercarono di spiegare la stratigrafia ma i contrasti fra i due appassionati e le autorità tunisine causarono l interruzione degli scavi. Quando non c era più spazio si ricopriva con terra lo strato esistente e si sovrapponevano altre stele e altre urne. La datazione accettata dagli studiosi è quella dell americano Kelsey che scavò, pochi anni dopo Icard e Gielly, con l inglese Harden, esperto nella datazione delle ceramiche. La datazione delle stratigrafie antiche segue un metodo che si basa sulle ceramiche, poiché le monete sono utilizzate solo in tempi più recenti (dopo il V a.c.), il vetro fu introdotto in età romana e il metallo poteva essere rifuso. La maggior parte dei contenitori domestici e funerari era in ceramica, e si rompeva facilmente, soprattutto se doveva essere riscaldata col fuoco. L argilla è un materiale che riscaldato a certe temperature diventa indistruttibile nel tempo ed era alla portata di molte famiglie dell epoca. La datazione dei cocci avviene su base comparativa, nel senso che negli ultimi 200 anni l archeologia ha documentato delle sequenza cronologiche relative che hanno portato ad individuare delle successioni temporali e dei luoghi di origine della produzione e delle decorazioni. Il confronto fra contesti indica la cronologia. Comparando i materiali del contesto si può dedurre quando si è formato lo strato perché i materiali più recenti sono l indizio della datazione. I materiali antichi si definiscono residuali. La cronologia relativa è quella che dice che uno strato viene prima di un altro, la cronologia assoluta determina la datazione dello strato, il periodo. I vari studiosi che si alternarono a Cartagine hanno proposto datazioni leggermente differenti. Harden nel 1925 distingue tre strati principali: Tanìt I, Tanìt II e Tanìt III. Il primo strato, Tanìt I, presenta le più antiche urne, quelle del VII a.c., che si trovano scavate nella roccia o entro ciste litiche, nello strato più basso. Non ci sono stele, solo poche urne protette da cumuli di pietre o in cavità della roccia. Datato intorno al VII a.c. si caratterizza per l assenza di monumenti lapidei. Lo strato Tanìt II, VI-IV a.c., vede tante stele e cippi. L ultimo strato si data al 150 a.c., data della distruzione di Cartagine da parte dei romani, e vede la presenza di un numero enorme di urne e stele, ma di diverso tipo. Negli anni Trenta un sacerdote, Lepeyre, scavò un terreno di proprietà di Carton che morì poco dopo l acquisto della proprietà e non poté pubblicare gli scavi. 221

8 Fig. 75 Cartagine Meglio documentato è lo scavo del Cintas che fece due campagne. La prima, nel 1944, venne effettuata nella parte nord, in un area dove la stratigrafia non era completa, mancavano gli strati più bassi perché il tophet aveva raggiunto la zona estrema del temenos (nome del recinto sacro che chiude il tophet). Lo studioso individuò il muro di recinzione costituito da una serie di lastre, quindi conosciamo il limite nord del santuario, mentre ignoriamo i limiti degli altri punti cardinali. Nella seconda campagna, quella del 1946, individuò una struttura alla quale diede il suo nome, la Cappella Cintas. Si tratta di un edificio con una cameretta centrale circondata da muretti di piccole dimensioni che la dividono da altri piccoli vani. C era un deposito di fondazione che presentava materiali arcaici particolari, molto diversi fra loro, sia di importazione greca che locali. Cintas, basandosi sulle fonti classiche e sulla tipologia di un anfora, pensò ad una fase antica di fondazione di Cartagine e ipotizzò il XII a.c. ma studi recenti hanno dimostrato che quell anfora cicladica ritrovata, è del 750 a.c. Comunque questo edificio è un unicum nei tophet e ancora non siamo in grado di interpretarlo in maniera certa. Sempre Cintas ha individuato un breve tratto del temenos del tophet, costituito da una serie di lastroni piazzati verticalmente. Dopo il Cintas operò lo Stager che negli anni Settanta, a seguito di un appello dell Unesco che coinvolse molte missioni internazionali (tedesche, danesi, inglesi, italiane, americane, polacche e francesi), iniziò gli scavi a Cartagine e accettò la distinzione in tre fasi proposta da Harden. A oggi sono state pubblicate solo una parte delle stele e mostrano diverse tipologie. Stager riprende la stessa stratigrafia del Cintas con Tanìt I, II, III, ma con datazioni differenti divise in nove sottogruppi. Tanìt I ha poche urne deposte in piccole cavità, datate a.c. Tanìt II a.c. vede la comparsa dei cippi con stele a trono. Tanìt IIb VI-III a.c. ha cippi con stele a sommità triangolare e edicola. Tanìt III arriva al 146 a.c. 222

9 Fig. 76 Utica Altri esempi sono le stele costituite da un edicola o dal frontespizio di un tempio con all interno la raffigurazione della divinità. Le stele ad edicola presentano divinità sia aniconiche (betilo o idolo a bottiglia), che iconiche, con figure antropomorfe, più spesso femminili, vestite o nude. Non sappiamo se volessero rappresentare templi, ma dal VI al IV a.c. ci sono edicole che presentano elementi architettonici che rimandano all Egitto: sul basamento ci sono pilastri (non colonne) sormontati da una trabeazione con sopra una modanatura sgusciata a gola egizia come coronamento. Nell architettura templare punica si riprendono i caratteri egiziani ma nelle stele manca l aggetto frontale (che però viene ripreso lateralmente). Sopra le modanature ci sono delle semplici fasce o serpenti, simboli solari egiziani come urei discofori con in testa un disco solare (fregi ad urei), simboli astrali come falce lunare o sole alato Tutte le stele e i cippi erano tridimensionali e si trovavano nel secondo strato del tophet, in Tanìt II. Verso il IV a.c. c è un cambiamento della tipologia con l introduzione di stele che perdono la tridimensionalità e mostrano una lavorazione a bassorilievo o un incisione solo sulla faccia a vista (Tanìt III). Abbiamo semplici lastre suddivise in registri, sormontate da un timpano con acroteri (elementi greci). Nei registri troviamo iscrizioni, fregi, animali, segni di Tanìt, caducei e altri simboli come sole alato, capitelli ed elementi vegetali. Il bètilo, la pietra sacra, è rappresentata come un pilastro con sommità tronca o arrotondata. Può essere singolo o associato (diadi o triadi betìliche) e a Soùssa ci sono 5 bètili affiancati. Altro simbolo femminile è la losanga, raro ma non a Cartagine. Le figure maschili si rifanno al mondo iconografico orientale, quelle femminili al mondo egizio. 223

10 Fig. 77 Cartagine A Cartagine abbiamo anche notizie di un tempio di Eshmun ma non ci sono tracce. Solo le fonti ne parlano ma quando la Byrsa fu spianata dai romani questo tempio fu distrutto completamente. Un altra fonte, Appiano, ci parla di un tempio di Apollo (il Reshef punico) saccheggiato dai romani al momento della presa della città. Sul tetto c erano foglie d oro. I tedeschi hanno forse individuato questo tempio ma si tratta di poche tracce. La ricostruzione proposta dalla missione tedesca mostra un edificio con pronao, cella e penetrale (in un piano più basso) diviso in tre ambienti. Nei vani più interni sono state trovate una serie di crètule o bulle, palline di argilla cruda utilizzate per sigillare i documenti, che si sono conservate solo perché i romani bruciarono l edificio, causando l indurimento della pasta. All epoca i templi avevano una funzione sacra accompagnata da quella economica, da quella amministrativa e di archivio. I documenti ufficiali erano conservati nei templi e a Cartagine tutto il materiale scrittorio (papiri egiziani) veniva scritto, arrotolato, legato con cordicelle e sigillato con le cretule. Sono manufatti che presentano su una faccia l elemento iconografico (navi, palmette, decorazioni) e sull altra un dorso di scarabeo, simbolo solare egiziano. Ogni sigillo era impresso con gli scarabei (anelli o timbri) tutti differenti fra loro, di proprietà delle famiglie delegate a governare le città. C erano varie scene con Iside che allatta Orus o con altre immagini. Le cretule del tempio di Cartagine portano impressa una doppia immagine (all esterno il segno del sigillo e all interno quello del papiro). Le cretule erano conservate nei templi, insieme ai documenti. 224

11 A sud della città ci sono i porti. Uno rettangolare esterno, utilizzato come struttura mercantile, e uno circolare, più interno, con funzioni militari e all interno un isolotto per l ammiragliato. I romani riuscirono a far breccia nelle mura di fortificazione adiacenti le strutture portuali. Il porto militare poteva contenere quasi 200 navi. Nel III a.c. venne realizzata un importante opera con i due nuovi porti. L archeologia ha fornito dati opposti a quelli delle fonti che parlano di una Cartagine fiaccata dai romani. Intorno al 150 a.c. il porto poteva contenere quasi 200 navi da guerra e la città doveva essere ricchissima. Catone aveva dunque ragione quando nei discorsi al senato di Roma avvertiva che Cartagine era potente e bisognava preoccuparsi. Sia nell isolotto che nella parte perimetrale del porto c era un colonnato con degli spazi che permettevano di portare a secco le navi nella stagione invernale. Sono rimaste tracce di opere murarie e scivoli lignei. Anticamente c era un porto lagunare arcaico, ubicato in quello che oggi è lo stagno di Tunisi, a sud della città. Scavi recenti hanno dimostrato l esistenza di un canale scavato che andava dallo stagno fino ai piedi della Byrsa. Non sono ancora state fatte indagini approfondite ma si è scoperto che il canale venne interrato e furono costruiti i due nuovi porti. Il porto militare era chiuso con catene ed era accessibile solo da quello rettangolare. Bisogna tener conto che la navigazione d altura era un attività esclusivamente estiva, pertanto durante la stagione fredda le navi erano tirate in secca negli appositi spazi ricavati nelle strutture. L edificio dell ammiragliato era composto da una parte bassa con i vani per le barche e una parte alta per i militari. Le fortificazioni arcaiche sono state indagate dagli scavi tedeschi che hanno individuato due muri riferiti alla cinta antica. Nel V a.c. venne impiantato un nuovo sistema composto da una serie di torri, unite da bastioni, che circondava la città, soprattutto sul lato a mare. Negli anni Cinquanta sono state individuate delle trincee con palizzate, interpretate come una difesa realizzata con materiali deperibili, lignei. Cartagine, era difesa da una fossa regia per proteggersi da eventuali attacchi delle popolazioni indigene, i berberi libici, che avevano una propria identità culturale. Questi subirono l acculturazione punica ma mantennero anche la propria connotazione. Quando Cartagine, nella colonizzazione di Sicilia e Sardegna, trasferisce parte della popolazione libica nei nuovi territori, solo i rappresentanti sono cartaginesi doc. Nella cultura punica sarda interagiscono, quindi, elementi tiri e libici che si integrano ai locali. I Tophet Si tratta di santuari caratteristici dell area mediterranea centrale. Sono assenti in Libano, Spagna e Ibiza. Li troviamo in Tunisia (Soùsse e Cartagine), Sicilia (Mòzia, Solùnto e Lillibèo) e Sardegna con Tharros, Sulci, Monte Sirai, Nora, Cagliari e Bithia. In Africa di età neo-punica, dopo la prima distruzione di Cartagine, abbiamo una proliferazione di tophet. Sono santuari a cielo aperto in cui l elemento preponderante non è l edificio, anche se a volte può esserci. Il tophet è sempre circondato da un temenos, all interno del quale c è la deposizione di urne in ceramica e stele in pietra. Generalmente si trova a nord dell abitato in una posizione periferica e non viene mai spostato: qualora si dovessero fortificare le città si arriva a modificare il percorso delle mura per non spostare il tophet. Le urne contengono le ceneri di fanciulli, infanti, agnelli e capretti e, sporadicamente, uccelli. I bambini potevano essere feti o neonati ma a volte si 225

12 arrivava fino ai tre-quattro anni. Le urne sono sempre vasi in ceramica di diversa forma ma dobbiamo intendere l urna come elemento di una funzione e non come vaso. È sempre dedicato a due divinità: Baal Ammon e Tanìt, attestata come manifestazione di Baal, che lo affianca a partire dal V a.c. per poi soppiantarlo. Il primo è una divinità dinastica minore attestata raramente in oriente ma a Cartagine acquista importanza e spesso è accompagnata dalla divinità femminile. I greci lo identificano con Krono e i romani con Saturno, quindi è una divinità ancestrale, cioè deriva dai remoti antenati. Anche Tanìt è una divinità orientale che raramente è attestata in Libano, ma in Occidente diviene la più importante insieme ad Astarte. Nelle interpretazioni greca e latina era assimilata a Era o Celèstis (Giunone). Prima del tophet di Cartagine sono stati individuati quello di Nora, precisamente sulla spiaggia orientale della città nel 1889, e quello di Mozia, in Sicilia, ma non furono interpretati come santuari, si pensò a semplici necropoli ad incinerazione. Solo a Cartagine vennero eseguite analisi osteologiche sui resti e ci si rese conto che si trattava di bambini. Gli studiosi ipotizzarono che si trattasse di sacrifici umani, come quelli documentati nella Bibbia. Non bisogna dimenticare che i primi archeologi erano semitisti che si formarono sulla Bibbia e quindi pensarono ai sacrifici celebrati in oriente vicino a Gerusalemme e menzionati in alcuni brani delle Sacre Scritture. Ci sono diversi passi che parlano di tophet e di figli che vengono offerti agli dei con il passaggio dentro il fuoco. Il rito era condannato da Dio ma ci si rese conto che i tophet vicino a Gerusalemme di cui parlava la Bibbia, nel Deuteronomio e nel libro dei Re, potevano essere gli stessi. È evidente che i mediterranei non li chiamavano così, è stata una nostra associazione. Fino agli anni Ottanta, dalla lettura delle fonti classiche (Diodoro, Plutarco, Platone, Tartulliano), si è pensato ad un rituale con sacrificio di bambini a Krono (Baal-Ammon o Saturno) in caso di grave pericolo per la popolazione ma questa ipotesi è stata confutata dal Moscati che evidenzia importanti elementi: le analisi istologiche hanno mostrato la presenza di feti, mettendo in dubbio la teoria del sacrificio; altro elemento è l interpretazione delle fonti classiche perché non si trattava di usanze ma di casi di particolare pericolo: pestilenze, guerre e quindi uccisioni in situazioni eccezionali. Anche nella Bibbia si parla di fatti occasionali e non di uccisioni rituali ripetute. Ad esempio nel Deuteronomio è scritto: e persino bruciavano al fuoco per i loro Dei i figli e le figlie loro ; o ancora non deve trovarsi in te chi fa passare nel fuoco il figlio o la figlia sua ; oppure dal libro dei Re: camminò per la strada dei re d Israele e fece perfino passare per il fuoco il suo figliolo secondo gli abominevoli rituali delle genti che il Signore aveva cacciate davanti ai figli d Israele. Un rituale dunque non accettato da Dio ma voluto da una divinità estranea. Vicino a Gerusalemme c è un luogo chiamato Tophet, è nominato ad esempio nel libro dei Re: Lì farò il Tophet, nella valle di Ben Innom, e nessuno faccia più passare per il fuoco i propri figli in onore di Moloch ; e ancora Geremia: costruiscono un altare di Tophet nella valle di Ben Innom per bruciare i propri figli nel fuoco, ma io non ho comandato né mai mi venne in mente perciò verrà il tempo, dice il Signore, che non si chiamerà più tophet né valle di Ben Innom ma Valle dell eccidio, e si seppelliranno nel tophet per mancanza di posto. Geremia: Hanno eretto un altare per bruciarvi col fuoco i loro figli in olocausto a Baal, cose tutte non comandate da me, né mai venutemi alla mente, 226

13 perciò ecco che vengono i giorni, dice il Signore, che questo luogo non si chiamerà più Tophet ne Valle di Ben Innom, ma Valle della strage. Quindi Tophet non è un nome generico ma il nome di un luogo in cui si svolgeva un rito pagano, non voluto da Dio, che prevedeva il sacrificio di far passare i figli nel fuoco. Nel momento in cui hanno trovato a Cartagine queste urne con centinaia di bambini incinerati, hanno attribuito il luogo a quello di cui parlava la Bibbia, un tipo di santuario simile a quello documentato in oriente. Questa teoria del sacrificio umano dei primogeniti alle divinità è andata avanti e ancora Barreca nel 1980 la porta avanti ma le fonti classiche non parlano in maniera esplicita di sacrifici umani di bambini, ma di sacrifici di persone per placare l ira delle divinità solo in caso di condizioni di pericolo ed eventi drammatici: pestilenze o nemici fuori dalle mura. Dice Gaudesio: c era l usanza presso gli antichi, in caso di grave pericolo, che i capi della città o della popolazione, per evitare la distruzione di tutto, facessero sacrificio dei più cari dei loro figli, come riscatto per i demoni vendicatori. Quelli che erano prescelti venivano sgozzati nel corso di un rituale cerimoniale misterioso. Ē un toponimo preciso, riferito ad una valle presso Gerusalemme dove i Fenici si diceva "passassero per il fuoco" i bambini. Dalla valle di Ben Innom (come si dice nel Vecchio Testamento) il tofet passerà, nella letteratura storico-archeologica, ad indicare tutti i santuari simili rinvenuti successivamente in area occidentale. Naturalmente ciò fornì il pretesto per stigmatizzare questa usanza da parte degli israeliti, i quali fecero di tutto per proibire tale rito. In realtà il termine "passare per il fuoco" è stato sempre strumentalizzato per porre in cattiva luce i fenici, mentre con tutta probabilità si tratta di un rito di passaggio, del "salto" di un fuoco da parte di un bambino, accompagnato da un adulto, il quale con questa "prova" accedeva a tutti gli effetti tra i membri attivi della comunità. Si tratta di una straordinaria analogia col fuoco di S.Giovanni al solstizio d'estate. È simile a quando si salta un falò in spiaggia, retaggio di un antico rituale di passaggio all'età adulta. Come si può facilmente vedere la questione dei tofet investe l'archeologia, la storiografia, l'esegesi biblica, l'antropologia, le tradizioni culturali. Secondo Moscati nei tophet c erano i resti di sacrifici di quei bambini non ancora passati attraverso il rito di introduzione nella comunità (battesimo e circoncisione). Non facevano ancora parte del mondo degli adulti e non potevano essere sepolti con loro. Dovevano essere purificati col fuoco e sepolti a parte, in apposite urne, e in qualche caso si sacrificava alle divinità qualche piccolo animale. Un gran numero di iscrizioni ritrovate nei tophet riportano delle formule rituali sempre uguali: denominazione dell oggetto offerto alla divinità (stele, dono), denominazione del rito (molch), il verbo della dedica o del dono, il nome e la genealogia dell offerente, la divinità (Baal- Ammon o Tanìt) e il motivo dell offerta, che si concludeva con la frase: perché ha ascoltato la sua voce. Questa formula viene poi cambiata mettendo prima il nome della divinità. Ad esempio: STELE DI MOLCH OFFERTA AL SIGNORE BAAL AMMON CHE HA DEDICATO SULL ALTARE (tizio) FIGLIO DI (caio) FIGLIO DI (sempronio) PERCHE HA ASCOLTATO IL SUONO DELLA SUA VOCE, cioè perché ha esaudito la richiesta, la preghiera. 227

14 Ad oggi non sappiamo se ogni stele sia legata ad un urna in particolare, ne se le offerte erano rituali periodici. Sono in pietra locale, tenera (arenaria o tufo), rappresentano cippi (le più antiche) o piccoli tempietti con all interno la rappresentazione della divinità. In letteratura, dividiamo i monumenti votivi in cippi e stele funerarie. Il cippo semplice è una pietra aniconica non molto lavorata dove prevale l altezza sulle altre dimensioni e rappresenta direttamente la divinità. È posto come segnacolo per individuare la fossa, infissa nel terreno o posta sopra un basamento in pietra. A volte i cippi sono montati su basi attraverso incastri. Queste basi sono costituite da un plinto tronco piramidale, sormontato da un listello rettangolare con sopra una gola egizia, (un elemento lapideo aggettante egizio acquisito dai punici). Alcuni cippi possiedono elementi simbolici come quello di Tanìt ma non conosciamo l evoluzione di questo segno. Lo troviamo in contesti funerari, sacri, abitativi e altri, quindi un segno con molti significati. Fra i cippi più antichi abbiamo quelli che rappresentano un trono, (stele trono e cippi trono), a volte evocato da una semplice sgusciatura che separa la spalliera dalla seduta, altre volte con i braccioli e con il simbolo divino aniconico al centro. In questi casi, cioè quando una pietra sacra si trova sul trono, parliamo di betilo (casa del Dio). In qualche caso un idolo a bottiglia sostituisce il betilo. Nell ambito del VI a.c. possiamo trovare i cippi trono posti su basamento. Il trono può essere affiancato da due bruciaprofumi. Questi monumenti sono documentati in pochi siti: Cartagine, Mozia, Solunto e Tharros. Le zone più importanti del territorio cartaginese sono il Cap Bòn e il litorale (Sael), che hanno restituito strutture puniche dalle quali siamo risaliti alla fisionomia dell area in età antica. Le città più importanti sono Utica e Sousse. Il sito principale di Cap-Bon è Kerkouàne, munito di fortificazioni con torri costiere che servivano per gli avvistamenti. Altri siti importanti sono: Ràs Fortàss, Ràs ad- Drèk e Kelìbia. Oltre questi abbiamo santuari e necropoli. Kerkouàne È la città meglio conservata perché alla metà del III a.c. c è stata la distruzione e si è conservata come cristallizzata. Mohamad Fantar ha eseguito gli scavi ma ha pubblicato solo la struttura e non i cocci. Fondata nel VI a.c. è un centro libico che subisce un forte influsso cartaginese. Venne distrutta due volte: nel 310 a.c. da Agatocle e nel 255 a.c. da Attilio Regolo che interruppe definitivamente la vita della città. Le fortificazioni mostrano mura con due porte di ingresso, a oriente e occidente, e varie torri. Le strutture sono state scavate solo in alcuni punti e mostrano una fase antica con pietre strutturate a spina di pesce. L alzato è stato ricostruito per consentirne una migliore fruizione e presenta tecniche costruttive con alzati in mattoni crudi. L architettura abitativa era regolare, organizzata per insule ma l impianto delle strade non è perfettamente ortogonale. Il nucleo più antico vede, come nella Byrsa, case con diversi spazi che si affacciano su una corte centrale, nella quale ci sono delle vasche vicine alla cucina. Le coperture sono piane, realizzate con materiale deperibile, forse assi di legno. Le sale da bagno (vasche) presentano delle tubazioni per essere riscaldate dalle cucine e hanno una struttura sofisticata con bordi a sedere. Il santuario è organizzato su due nuclei collegati da uno stretto ingresso, uno per i sacerdoti e l altro per i fedeli. Davanti all ingresso ci sono due pilastri a spigolo e l aula presenta diversi 228

15 ambienti. Sul fondo ci sono due basamenti con edicole e in alcuni ambienti si notano residui di produzione coroplastica: manufatti di argilla, un forno, una vasca di decantazione e un tornio. Fig. 78 Kerkouane La produzione degli ex-voto era, quindi, interna al santuario e acquistabile in loco, pertanto i fedeli non dovevano portarla con loro. Le due necropoli importanti di Kerkouane sono: Giebel-Mleja e Areg el-gazuan. Le due varianti funerarie sono a dromos e a pozzo. Il dromos consente una discesa graduale verso la tomba e naturalmente la presenza di un tipo esclude l altro. Tuvixeddu, Cartagine, Lilibeo, Monte Luna e Villamar hanno moduli a pozzo con riseghe e pedarole. Quelli a dromos sono a Solunto, Monte Sirai, Sant Antioco e Tharros. Non sappiamo perché gli abitanti dei siti preferissero uno o l altro tipo, inoltre le tombe a dromos, stranamente, non sono documentate a Cartagine. Nel dromos si può verificare che i gradini occupino tutto il lato del dromos nella parte breve, oppure entrambi, ma non quello lungo. All interno della camera, a volte, ci sono dei banconi con strutture idonee a ospitare sarcofagi oppure fosse scavate nel pavimento con inumati in posizione supina o fetale con intorno il corredo funerario. Le interferenze religiose fra indigeni e cartaginesi, quindi, non impedivano il normale svolgersi della vita. L archeologia documenta anche un sarcofago ligneo con una rappresentazione femminile sul coperchio, come a Santa Monica: la dama di Kerkouàn. La documentazione di Giebel-Mleja è ricca di pitture funerarie, realizzate in ocra rossa nelle pareti della fossa, stranamente non documentata a Cartagine. A Cagliari abbiamo tombe a fossa come a Cartagine e pitture funerarie come a Giebel-Mleja. In Tunisia abbiamo delle specie di domus de janas chiamate Hanùt (o hanuanèt), contemporanee alle tombe puniche. Sono ipogeiche ma si possono aprire sul piano roccioso o nella parete. Le hanuanèt presentano pitture ricchissime con figure di caccia e animali, riportati ad una influenza punica, ma non sappiamo se i libici dipingono quando i punici avevano già eseguito le loro opere subendone il fascino o avvenne il contrario. Il fregio a losanga della tomba 5 di Giebel-Mleja è libico, lo troviamo infatti anche nella ceramica berbera. Nella parete di fondo è rappresentata la città dei morti e in una nicchia c è Tanìt. Sui due lati c è un mausoleo con un altare e un gallo, forse rappresentazione allegorica del defunto, che è in viaggio verso la città dei morti. Ē un ipotesi di Fantar ma qualcuno pensa ad una 229

16 rappresentazione della necropoli con la collina di Gieben-Mleja così come si presentava sopra la necropoli: un area curata, con una serie di strutture simili a cappelle di famiglia, legate ai sepolti. A volte sul prospetto dell ingresso troviamo delle iscrizioni sul defunto, come a Tharros. Fig. 79 Gieben-Mleja, la tomba 5 dipinta La Sicilia L isola è importante per tutta l area centro mediterranea, sia dal punto di vista politico che da quello culturale. A differenza della Sardegna c è la presenza dell elemento greco. Vi è anche una componente indigena dell interno, a sua volta distinta in tre gruppi etnici che continuano a svilupparsi dopo l arrivo dei coloni greci e fenici, avvenuto nell VIII a.c.: gli Elimi ad ovest, i Sicani al centro e i Siculi ad est. Secondo Tucidide i primi a giungere furono i fenici di Tiro che con l arrivo dei greci si ritirarono nella costa occidentale alleandosi con gli elimi e dando vita alle tre città principali: Mozia-Lilibeo, Palermo e Solunto. L incontro fra le genti fu importante sia per la crescita delle rispettive culture, sia per l aspetto militare. Ogni popolo possiede proprie convinzioni religiose e divinità e l influenza fu forte. Le città si svilupparono in maniera diversa rispetto alla situazione africana e sarda. Abbiamo poche città, tutte sulle coste, ed un entroterra controllato dagli Elimi che comunque mantennero buoni rapporti con i fenici fino al 241 a.c., quando la Sicilia passò sotto il controllo romano. Oltre le città principali, altri centri di cultura mediterranea sono Selinunte, colonia greca che ha subito 150 anni di controllo cartaginese, Erice, centro indigeno, Monte Adranone e Pizzo Cannìta dove sono stati ritrovati due sarcofagi antropoidi, influenzati dal mondo greco. Dal V a.c. le città ebbero un rapporto conflittuale con le città rivali greche, soprattutto Siracusa. 230

17 Fig. 80 Mozia, muro di cinta Mozia É la città che ha restituito le tracce più antiche. Si trova sull isolotto di San Pantaleo, localizzato nello stagno di Marsala, ed è separata dalla costa da uno specchio d acqua molto basso, circa 1.5 m, che consentiva una buona difesa da eventuali attacchi navali esterni, offrendo allo stesso tempo ai residenti la possibilità di rifornirsi velocemente di ciò che serviva per la vita quotidiana. Quindi un isola protetta dai bassi fondali e vicinissima alla costa. Fu scavata agli inizi del Novecento ma è ancora indagata e ospita i vigneti dai quali si produce il Marsala, il famoso vino liquoroso siciliano. Il sistema fortificato circondava l intera isola ed era stato impiantato intorno al 550 a.c. e visto che i rapporti fra levantini e indigeni sono sempre pacifici, non troviamo strutture fortificate antecedenti questo periodo. Chi riusciva a raggiungere l isola, con difficoltà visti i bassi fondali, era controllato ed eventualmente attaccato dall interno delle fortificazioni. Ci sono quattro porte nei quattro punti cardinali, ma quella a est non è stata ancora individuata. Il centro venne distrutto nel 397 a.c. da Dionigi di Siracusa e gli abitanti si spostarono nella costa fondando la città di Lilibeo. Le fortificazioni vivono 4 fasi costruttive e sono state scavate soprattutto a nord dell isola. 231

18 Fig. 81 Mozia, l isola La fase più antica presenta un muro semplice con uno zoccolo in pietrame non squadrato, cementato con malta di fango, e alzato in mattoni crudi. A distanza regolare, ogni 20 m, ci sono delle torri di guardia aggettanti rettangolari alte 12 m che comprendono 2 ambienti. Gli scavi della Ciasca, negli anni Settanta, hanno documentato i mattoni crudi protetti da un altro paramento murario. Nella seconda fase, sempre nel VI a.c. viene costruito un altro muro, addossato al precedente, che diminuisce l aggetto delle torri. La terza fase, nel V a.c., vede paradossalmente una tecnica costruttiva militare greca, il nemico principale dei cartaginesi. I greci avevano armi d assedio comprendenti arieti e minatori, pertanto l aspetto militare fu quello percepito prima dai residenti: dovevano difendersi e impararono velocemente le tecniche del nemico. Costruivano con blocchi isodomi messi in opera a secco con disposizione di testa e di taglio per raddoppiare la consistenza e la resistenza allo sfondamento. Le mura inglobano la prima fase, mentre la fase centrale viene riempita. L ultima fase, sempre nel V a.c., integra brevi tratti di fortificazioni con scheggioni messi in opera con malta di fango e ci sono grandi torri quadrangolari per rinforzare alcuni punti delle mura. La porta sud è in corrispondenza del bacino del Cothon e all esterno dell area furono ritrovati dei merli crollati. Questi elementi lapidei di forma centinata, che misurano circa un metro, hanno fatto ipotizzare il coronamento della struttura. Elementi di questo tipo sono rari e i ritrovamenti si limitano a 4 siti: Mozia, Tharros, Lilibeo e in Gallia. 232

19 L abitato è stato scavato solo in piccola parte e non ne conosciamo l estensione. Dopo la distruzione, avvenuta nel 397 a.c. ad opera di Dionigi, Mozia ha continuato a vivere perché i suoi abitanti, che si trasferirono sulla terraferma costruendo una rocca inespugnabile, continuarono a frequentare l isola. Greci e romani non riuscirono mai a conquistarla e solo alla fine della II guerra punica, con la resa di Cartagine, la città passò sotto il controllo romano. Inizialmente la sistemazione dell abitato, ipotizzata dall archeologo inglese Taylor, era ortogonale e poi si sarebbe raccordata con l andamento delle fortificazioni dell isola che seguivano la forma della costa, quindi un passaggio da ortogonale a radiale. Tuttavia recenti scavi hanno dimostrato che l impianto originale era molto frastagliato e non certo ortogonale. La porta nord è stata scavata da Withaker agli inizi del Novecento. La struttura è costituita da un lungo corridoio suddiviso in due parti e sbarrato da tre porte consecutive che costituivano una difesa dall esterno. Gli inglesi hanno scavato la porta nord trovando due saccelli, di cui rimangono solo le fondazioni. Quello a destra, rettangolare di 5 x 7 m, aveva addossato ad uno dei muri 4 anfore infisse nel terreno legate ad una offerta o ad un culto indigeno. Fu identificata anche una grande quantità di ciotole e scodelle. L altro saccello attualmente è di forma quadrata ma in antico era rettangolare, più piccolo. Gli scavi nell area hanno riportato alla luce alcuni frammenti di capitelli: uno dorico e alcuni angolari fogliati. Si è ipotizzato che la struttura della prima fase avesse un aspetto greco, mentre nella seconda fase, nel V a.c., fosse stata sistemata con elementi di tipo orientale. Forse gli stessi moziesi, in occasione dell attacco di Dionigi di Siracusa, hanno raso al suolo la struttura per evitare che fosse utilizzata dal nemico. Non conosciamo la funzione dei saccelli ma considerato che sono fuori dalle porte, in una zona di contatto con l esterno attraverso una strada che porta verso la costa, si è pensato ad un punto in cui c era l incontro fra gli abitanti dell isola e quelli della terraferma, forse una guardiola per riscuotere i dazi doganali. La parte centrale dell abitato fu scavata da Tusa e mostra strutture arcaiche molto semplici. In una di queste, forse un magazzino, furono trovate una serie di file di anfore da trasporto vuote, (casa delle anfore). La vecchia casa padronale di Withaker è stata musealizzata e al suo interno si trovano molti materiali scavati nelle stratigrafie. In occasione del rifacimento del pavimento del capannone costruito per la produzione del vino sono state individuate tracce della frequentazione moziese. Gli ambienti e i materiali sono visibili attraverso passerelle che hanno salvaguardato l impianto originale. 233

20 Fig. 82 Mozia, muro a telaio L edificio abitativo più importante è la casa dei mosaici, scavata da più studiosi. Si trova a sud del villaggio, vicina alle fortificazioni. È costituita da un nucleo di rappresentanza, a nord, e una serie di strutture relative alla vita e allo stoccaggio delle derrate alimentari, a sud. La casa è su due livelli a causa del declivio verso il mare. Nella parte alta, quella di rappresentanza, c è una corte, (un peristilio), con un pavimento decorato con ciottoli di fiume neri, bianchi e grigi che formano dei mosaici raffiguranti la lotta di un leone con un toro e un grifone alato che attacca un cervo. Il mosaico è un unicum nel mondo punico e gli studiosi hanno problemi di datazione: Acquaro parla del VI a.c., Tusa lo data al momento della distruzione della città, agli inizi del IV a.c. In questo caso si accetta l influenza dei mosaici macedoni ed ellenistici come quelli documentati a Pella nello stesso periodo. C è da considerare che sono stati scavati materiali del V a.c. al di sotto del piano di calpestio, pertanto la datazione più probabile è quella del Tusa. La necropoli arcaica dell VIII a.c. si trova nella parte settentrionale dell isola. Attualmente è a ridosso delle fortificazioni ma in origine non era così perché l impianto è precedente alla costruzione delle fortificazioni, infatti l archeologa Ciasca ha trovato delle tombe sotto le torri. I primi scavi sono di Withaker ma negli anni Sessanta Tusa ha scavato alcune sepolture individuando 162 tombe, quasi esclusivamente ad incinerazione con deposizione secondaria. Sopra lo strato di roccia vi era mezzo metro di terra, asportato durante lo scavo, nel quale erano scavate le fosse per porre la cista litica costituita da lastre in pietra poste verticalmente, oltre quella sul fondo. All interno della cista ci sono l urna e i materiali di corredo. Negli scavi è stato riportato alla luce un vaso antropomorfo e altro materiale con elementi greci che consentono una datazione puntuale (intorno a sequenze di 25 anni), al contrario di ciò che avviene per i materiali mediterranei, molto più conservativi nello stile. La necropoli arcaica finisce nel VII a.c. ma Mozia continua a vivere fino al 397 a.c. La necropoli più recente si pensava fosse sulla terraferma (per risparmiare spazio utilizzabile), infatti gli scavi hanno mostrato una strada, sommersa da mezzo metro d acqua, larga fra i 7 e i

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