sovietica; ma l'effetto della scissione era di portare lo scontro all'interno stesso del movimento operaio, fra socialisti e comunisti.

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1 Capitolo 14 Da una guerra all'altra: crisi sociali e regimi fascisti ( ) Alla fine della guerra c'erano molti nuovi Stati nel mondo. Quelli nati dallo scioglimento dell'impero austriaco (Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia); quelli derivati dalla distruzione dell'impero turco (l'iraq, la Palestina, l'arabia sotto l'influenza inglese, la Siria sotto il controllo francese), la stessa Turchia, in cui una rivoluzione guidata da Kemal Ataturk aveva deposto il sultano e proclamata la repubblica; quelli staccati dal vecchio impero russo (Estonia, Lettonia, Lituania e Finlandia, tutti intorno al Mar Baltico); infine, l'irlanda cattolica (Eire), cui l'inghilterra aveva dovuto concedere l'indipendenza dopo lunghe lotte sanguinose. Tutti questi stati erano deboli, avevano confini incerti e una difficile situazione interna: ognuno di essi avrebbe quindi finito per sostituire un elemento di incertezza per gli equilibri internazionali e un pericolo per la pace mondiale. Ma molto più incerta e pericolosa era la situazione sociale dei grandi Paesi che avevano preso parte alla guerra, e specialmente di quelli europei. Disoccupazione e miseria. All'uscita dal conflitto, l'europa intera era in preda ad una gravissima crisi economica. Le enormi spese militari e le distruzioni di ricchezza dovute alla guerra avevano impoverito Stati prima assai prosperi; la chiusura delle industrie impegnate nella produzione di materiali bellici aveva comportato il licenziamento di un gran numero di operai. I disoccupati si contavano quindi a milioni, proprio mentre tornavano dai fronti i combattenti, ai quali era stato promesso il benessere dopo la vittoria, e che invece si trovavano a loro volta disoccupati e in preda alla miseria. In questa situazione, aumentò rapidamente la forza dei partiti socialisti e dei sindacati, che organizzavano la protesta delle masse operaie e contadine contro l'aumento dei prezzi, la disoccupazione, la fame che colpivano i quartieri popolari delle grandi città industriali. Lotte e successi del movimento operaio. L'esempio della rivoluzione russa si faceva sentire dovunque: in ogni Paese, le masse popolari lottavano ormai non solo per migliorare il proprio livello di vita, ma per la creazione di regimi socialisti, a direzione operaia. In nessun Paese al di fuori della Russia la rivoluzione socialista riuscì a vincere: ma nel biennio le lotte popolari strapparono ovunque importanti concessioni, come l'aumento dei salari, la riduzione a 8 ore della giornata lavorativa, il riconoscimento ufficiale dei sindacati, l'assistenza per i lavoratori vecchi e malati. Scissione fra socialisti e comunisti. Questi grandi successi da una parte rafforzavano il movimento socialista e sindacale, d'altra parte lo indebolivano. Lo indebolivano prima di tutto a causa di una scissione: mentre partiti socialisti e sindacati tendevano ad accontentarsi dei benefici sociali conquistati, nascevano i partiti comunisti, fondati dalla III internazionale, che lottavano invece per estendere in tutti i Paesi la rivoluzione sovietica; ma l'effetto della scissione era di portare lo scontro all'interno stesso del movimento operaio, fra socialisti e comunisti. Biennio rosso e «ritorno all'ordine». Le lotte e i successi del «biennio rosso» ( ) indebolivano il movimento dei lavoratori anche per un'altra e più pericolosa ragione. Alla fine della guerra, tutti i Paesi europei erano retti da governi autoritari e spesso reazionari, che si erano strettamente legati - per le stesse esigenze belliche - ai gruppi dirigenti militari e ai capitalisti che controllavano le banche e le grandi industrie. Questa alleanza fra governi, eserciti e capitalisti temeva naturalmente la crescita del movimento dei lavoratori, sia per le conquiste sociali che esso era riuscito a strappare, sia - soprattutto - per il pericolo, che sembrava imminente, di nuove rivoluzioni comuniste sul modello russo. Si attendeva quindi il momento opportuno per «riportare l'ordine» con ogni mezzo. Non appena, a partire dal '21, questo momento sembrò arrivato, sia per il logoramento del movimento operaio a causa delle sue stesse divisioni, sia per una certa ripresa economica (resa possibile soprattutto grazie ai prestiti che gli americani concedevano ai Paesi europei), governi, eserciti e capitalisti non esitarono a imporre, anche con la violenza, questo ritorno all'ordine. Il processo ebbe forme diverse nei vari Paesi; l'italia fu il primo a farne le spese, che furono tragiche. 1. Il regime fascista in Italia All'inizio del 1919, l'italia è in preda a una crisi gravissima: l'enorme sforzo sostenuto per la guerra - rispetto al quale i vantaggi ottenuti con la vittoria appaiono irrisori - l'ha messa in ginocchio. Il bilancio dello Stato, che era in pareggio prima della guerra, ha ora un passivo di 23 miliardi di lire (per allora, una cifra immensa); i prezzi sono aumentati di quattro volte dal 1913 al I contrasti sociali esplodono con violenza nelle campagne e nelle città. Lotte nelle campagne. Ai soldati-contadini era stata promessa, in cambio dei loro sacrifici al fronte, la distribuzione delle terre dopo la vittoria. Ma la promessa non viene mantenuta, e milioni di contadini, soprattutto al Sud, reclamano che essa sia rispettata, e intanto occupano i grandi latifondi. Al Nord i braccianti della Valle Padana organizzano scioperi memorabili: chiedono aumenti di salario che salvino dalla fame le loro famiglie; per proteggersi dalla disoccupazione stagionale (di solito essi vengono licenziati durante l'inverno) impongono ai proprietari terrieri l'obbligo di assunzioni permanenti di un numero fisso di contadini («imponibile di mano d'opera»). Socialisti e sindacati. Nelle città, grandi scioperi operai e manifestazioni di massa chiedono aumenti salariali, giornata di otto ore, previdenza sociale per vecchi e malati. Alla testa di questi movimenti è il partito socialista, con i sindacati e le organizzazioni cooperative che esso controlla. Il partito dichiara di avere come obbiettivo la presa

2 rivoluzionaria del potere, sull'esempio russo; ma, al contrario dei bolscevichi, non fa nulla per organizzare la rivoluzione. Da una parte, si affida alle lotte spontanee degli operai e dei contadini; dall'altra, secondo la tradizione socialdemocratica, si preoccupa soprattutto di rafforzare, attraverso le elezioni, la sua rappresentanza in Parlamento. Il partito cattolico. Accanto ai socialisti, altre forze si organizzano nella società italiana. Viene fondato, nel 1919, il partito cattolico, che si chiama partito popolare: esso ha molto seguito soprattutto nelle campagne e fra la media borghesia delle città. Questo partito, che ha nel suo programma la stretta obbedienza alla Chiesa cattolica, è ugualmente avverso ai liberali (ai quali non perdona l'atteggiamento anticlericale e ostile al Vaticano) e ai socialisti (di cui teme le tendenze rivoluzionarie). Tipica forza moderata, di «centro», il partito popolare finirà per appoggiare da una parte le lotte sociali dei contadini, dall'altra con l'allearsi alla destra per fronteggiare i pericoli rivoluzionari. I nazionalisti e l'impresa di Fiume. Altre forze in via di formazione sono pericolose per il futuro della società italiana. Ci sono i nazionalisti, che raccolgono consensi fra gli excombattenti, soprattutto fra gli ufficiali che; tornati dal fronte, non vedono riconosciuti i loro meriti, trovano un paese molto diverso da quello della propaganda di guerra (molto più simile a un paese sconfitto e in preda al disordine sociale che ad una grande potenza vittoriosa), temono che la pressione socialista finisca per distruggere i loro privilegi borghesi. I nazionalisti parlano di «vittoria tradita» per colpa della debolezza dei governi liberali, della necessità di uno Stato forte (contro le agitazioni popolari) e aggressivo verso l'esterno: sull'onda della vittoria, l'italia deve diventare uno Stato autoritario e imperialista. Nel settembre del '19 essi danno una prova del loro programma: una spedizione di excombattenti, contro gli ordini del governo ma con l'appoggio segreto dei comandi militari, e comandata dal poeta Gabriele d'annunzio, occupa la città istriana di Fiume, che il trattato di pace aveva assegnata alla Jugoslavia. L'impresa di Fiume dimostra la debolezza del governo ed esalta l'ondata reazionaria, nazionalista, imperialista, che sta conquistando strati della piccola borghesia (impiegati statali, commercianti, medi proprietari terrieri) esasperata dal rapido impoverimento causato dall'aumento dei prezzi e timorosa delle prospettive di rivoluzione operaia e contadina. I fascisti. Approfittano di tutto questo i Fasci di combattimento, una piccola formazione di ex-combattenti fondata a Milano nella primavera del 1919 da Benito Mussolini (che era stato espulso nel 1914 dal partito socialista perché favorevole all'entrata in guerra dell'italia). I fascisti hanno un programma confuso, molto simile a quello dei nazionalisti, che contiene rivendicazioni sociali ma che è soprattutto centrato sulla necessità di ristabilire l'ordine agendo anche con la violenza contro il movimento operaio e socialista. L'occupazione delle fabbriche. Lo scontro sociale raggiunge il punto culminante nel Di fronte a un grande sciopero dei metalmeccanici, che chiedono non solo aumenti salariali ma maggiori poteri di controllo sulle fabbriche attraverso le commissioni interne, elette dagli operai, gli industriali rispondono con la serrata, cioè chiudendo i cancelli delle fabbriche. Centinaia di migliaia di operai si trovano così senza lavoro: essi rispondono con l'occupazione delle fabbriche. Il movimento nasce al Nord ma si estende rapidamente in tutto il Paese: nel settembre del 1920 le maggiori fabbriche d'italia sono occupate dagli operai, che ne assumono direttamente la gestione e riprendono la produzione. Nelle classi dominanti si diffonde la grande paura: la rivoluzione bolscevica sembra alle porte. Il governo liberale di Giolitti non interviene, contando che il movimento si esaurisca da solo. Infatti, ne il partito socialista ne i sindacati osano sviluppare l'occupazione verso esiti rivoluzionari; la resistenza operaia, priva di organizzazione e di direzione politica, si estingue lentamente. Verso la fine dell'anno, l'occupazione delle fabbriche si chiude con una sostanziale sconfitta, anche se con qualche successo salariale. Ma la grande paura ha lasciato il segno: le classi dirigenti sono pronte a raccogliere la lezione. Il vecchio Stato liberale non sembra più sufficiente a proteggere i loro interessi; vanno cercate soluzioni politiche più forti. Si forma un grande blocco, che comprende i latifondisti meridionali (che vedono le loro terre occupate dai contadini poveri), i proprietari terrieri del Nord (agrori), i cui interessi sono minacciati dalle lotte dei braccianti, i grandi industriali: queste forze sociali hanno i loro appoggi nei comandi dell'esercito, nell'apparato statale, nei partiti borghesi. Per guadagnarsi il consenso dell'opinione pubblica, esse acquistano i maggiori giornali. E decidono di passare al contrattacco impiegando le organizzazioni più decisamente anti-socialiste: i nazionalisti e soprattutto i Fasci. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, gli industriali e gli agrari finanziano e appoggiano l'organizzazione di Mussolini, che si sviluppa rapidamente e si da un inquadramento militare. Gli uomini sono reclutati fra gli excombattenti, gli studenti, la piccola borghesia delle città, i piccoli proprietari delle campagne; le armi vengono concesse sottobanco dai comandi militari e dei carabinieri; il denaro, abbondante, viene dalle casse degli industriali e degli agrari. Terrorismo fascista. Nel 1921 i fascisti agiscono su due fronti. Il primo è quello dell'attacco armato alle organizzazioni sindacali e socialiste. Nelle campagne essi assaltano e bruciano le sedi delle cooperative e delle leghe dei braccianti, feriscono e spesso uccidono i capi sindacali dei contadini, con spedizioni improvvise e violente che polizia e carabinieri non solo non contrastano ma spesso sostengono. Nelle città, i fascisti attaccano le manifestazioni operaie, invadono le sedi socialiste, incendiano le tipografie dei giornali socialisti come L'Avanti! di Milano. Di fronte a questa offensiva, che distrugge la struttura organizzativa del movimento dei lavoratori, la resistenza dei socialisti è debole: il partito rifiuta la lotta annata (perché teme di venir messo fuorilegge dallo Stato) e si limita a chiedere ai suoi militanti di non rispondere alle provocazioni fasciste. La scissione comunista. Esso è del resto indebolito da una grave scissione; al congresso

3 di Livorno del gennaio 1921 la minoranza di sinistra, diretta da Bordiga, Gramsci e Togliatti, è uscita ed ha fondato il Partito comunista italiano. Il partito comunista, che aderisce immediatamente alla III Internazionale di Lenin, accusa i socialisti di debolezza e di rifiuto della prospettiva rivoluzionaria. Esso getterà le basi di un lavoro organizzativo di lunga durata, ma intanto non è in grado di organizzare la resistenza al fascismo (anche perché cade nell'illusione di una rivoluzione a breve scadenza, e non vede nel fascismo, bensì nello Stato liberale, il nemico principale). In questa situazione politica, i tentativi di resistenza popolare spontanea alla violenza fascista vengono facilmente stroncati dalle squadre armate di Mussolini (e, se è necessario, dai carabinieri). Alleanza tra fascisti e liberali. Vittorioso sul terreno dello scontro sociale, il fascismo ottiene nel '21 anche un successo politico. I liberali di Giolitti accettano di formare, per le elezioni del '21 una lista unica con i fascisti, denominata «blocco nazionale». Essi si illudono di poter usare i fascisti come uno strumento per bloccare l'avanzata socialista e poi di sbarazzarsene. Il risultato è invece quello di portare in parlamento un grosso numero di deputati fascisti, e soprattutto di far capire alla borghesia, che si sente minacciata, che i fascisti e non i liberali, sono l'ultimo baluardo di fronte alla pressione delle classi operaie e contadine Nel 1922 i fascisti possono dunque contare sull'appoggio del governo liberale, degli alti comandi militari, degli industriali e degli agrari; lo stesso Vaticano li considera con simpatia, per il loro ruolo anti-socialista e anti-comunista. Gruppi sempre più considerevoli di borghesi e di cattolici si staccano (soprattutto nelle città di provincia e nel Sud) dai vecchi partiti liberali i e dal partito popolare per aderire al fascismo. Nell'agosto del 1922, l'ultimo tentativo del movimento dei lavoratori contro il fascismo fallisce: uno sciopero generale si conclude senza alcun risultato, nella stanchezza e nella rassegnazione delle masse popolari, provate da duri anni di lotta e prive di direzione politica. La marcia su Roma. In ottobre, Mussolini decide di tentare una grande prova di forza: da tutta Italia, le «camicie nere» (cioè le squadre fasciste armate) marceranno su Roma per conquistare con la forza il potere. A Roma siede un debole governo liberale, presieduto da Facta, un seguace di Giolitti. L'unico modo per arrestare i fascisti sarebbe quello di proclamare lo stato d'assedio, che consentirebbe di schierare l'esercito contro le camicie nere; ma Facta si decide solo all'ultimo momento, il re Vittorio Emanuele III si rifiuta di firmare il decreto, perché simpatizza col fascismo; i generali, del resto, non sono affatto disposti a sparare contro i fascisti. Il 28 ottobre, la «marcia su Roma» è compiuta e Mussolini entra trionfalmente a Roma. Invece di resistere, re e governo si arrendono: Facta si dimette il re da a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. Il colpo di stato fascista ha vinto; inizia in Italia un regime che comincerà con la soppressione della libertà e finirà con il portare il Paese alla guerra e alla rovina. Il governo di Mussolini. I primi provvedimenti del nuovo governo danno subito un'idea degli interessi che questo rappresenta. Viene soppresso il blocco dei fitti, agevolando i grossi proprietari di case; vengono abolite le tasse sui prodotti di guerra e sulle azioni industriali, nell'interesse delle grandi industrie e delle banche; vengono diminuiti i salari operai; sono abolite le concessioni di terre ai contadini e soppresse tutte le conquiste del braccianti secondo i desideri degli agrari. Le opposizioni sono perseguitate, la repressione è violenta: si costituisce, con le vecchie camicie nere, la milizia fascista, una specie di corpo speciale di polizia agli ordini diretti di Mussolini, con il compito di distruggere qualsiasi resistenza al nuovo regime. In un'atmosfera di intimidazione e di violenza, si svolgono nel 1924 nuove elezioni che danno al «blocco nazionale» la maggioranza assoluta al Parlamento. Assassinio di Matteotti. Un celebre deputato socialista, Giacomo Matteotti, denuncia pubblicamente gli imbrogli, le sopraffazioni, le violenze che hanno impedito agli elettori socialisti di votare regolarmente e hanno permesso la vittoria fascista. Pochi giorni dopo il suo discorso in Parlamento, Matteotti è rapito e ucciso da una squadra fascista. Ora tutte le opposizioni, dai socialisti ai liberali e ai popolari, si rendono finalmente conto del pericolo fascista; esse abbandonano il Parlamento e chiedono al re di deporre Mussolini. Ma è troppo tardi; nonostante l'opinione pubblica condanni il delitto, il re, l'esercito, le classi dirigenti non abbandonano il regime fascista. Nel gennaio del '25, Mussolini dice alla Camera: «Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, ebbene io sono il capo di questa associazione!». Contemporaneamente, annuncia una serie di provvedimenti che danno inizio alla vera e propria dittatura fascista. Dittatura e regime fascista. Tutti i partiti e i sindacati sono soppressi; i maggiori giornali passano sotto il controllo diretto del governo; si istituisce un Tribunale speciale incaricato di processare i nemici del regime, con pene fino a quella di morte; si aboliscono tutte le cariche elettive (non ci saranno più, nelle città, sindaci eletti dal popolo, ma «podestà» nominati dal governo). È ormai finita, in Italia, la democrazia liberale. Incomincia il regime fascista, destinato a durare vent'anni e a concludersi nella sanguinosa catastrofe della.seconda guerra mondiale. Regime significa che il partito fascista controlla l'intera società, a tutti i livelli: esso si identifica con lo Stato, di cui i suoi uomini occupano tutti i centri di direzione; dirige la scuola, la cultura, la stampa (nulla può essere pubblicato o insegnato senza l'approvazione del partito); inquadra i giovani, gli studenti, i lavoratori nelle sue organizzazioni di massa (le «corporazioni» che prendono il posto dei sindacati). Al vertice del regime sta un'oligarchia composta dai massimi capi del partito, dai padroni delle grandi industrie (Agnelli, Pirelli, Falck, Cini, Volpi, Donegani), dai grandi agrari. Sotto di loro, una fitta rete burocratica di funzionar! dello stato, del partito, della polizia che esercita un controllo minuzioso e oppressivo su tutti gli aspetti della vita nazionale. Ma, per sopravvivere, per isolare le opposizioni che si organizzano lentamente, il regime ha bisogno di allargare il consenso, di rendersi cioè

4 gradito a larghi strati della popolazione. Il concordato con la Chiesa. Da questo punto di vista, è decisiva la conciliazione fra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica: un patto, firmato l'11 febbraio 1929 da Mussolini e dal papa Pio XI, che poneva fine a un conflitto fra i due poteri che durava ormai da sessantenni e che aveva contrapposto lo Stato liberale e il Vaticano fin dai tempi della breccia di Porta Pia. Con questo Concordato, lo Stato italiano riconosceva la piena sovranità del Papa sulla Città del Vaticano; faceva del cattolicesimo la religione ufficiale dello Stato '(rinunciando così al grande principio liberale della libertà religiosa per tutti); introduceva nella scuola l'insegnamento della dottrina cattolica; dava effetti legali al matrimonio religioso (il matrimonio in chiesa non doveva cioè essere ripetuto in municipio). Mussolini «uomo della Provvidenza». In cambio di queste concessioni, e anche in cambio della garanzia anti-socialista rappresentata dal fascismo, il Vaticano concedeva il suo pieno appoggio al regime, abbandonando il partito popolare che era invece restato antifascista. Pio XI stesso definiva Mussolini «un uomo inviato dalla Provvidenza» per salvare l'italia; d'ora in poi, alle cerimonie e alle iniziative del regime non sarebbe mai mancata la presenza e il sostegno del clero cattolico. In questo modo, il fascismo si guadagnava la simpatia di grandi masse cattoliche, che, specie nelle campagne, erano profondamente legate alle indicazioni dei loro sacerdoti. Era un primo, decisivo successo. Altri ne sarebbero seguiti. Bonifiche e «battaglia del grano». Verso il mondo rurale, il fascismo segue la politica di aumentare la piccola proprietà familiare, il sogno dei contadini di ogni tempo: non certo a spese della grande proprietà, ma rendendo coltivabili nuove terre grazie a vasti lavori di bonifica (famosa quella delle Paludi Pontine a sud di Roma, sul cui territorio furono installate migliaia di famiglie laziali, venete, lombarde). Si sviluppa anche la «battaglia del grano»: è lo sforzo diretto a rendere l'italia autosufficiente per quanto riguarda la produzione di cereali (autosufficienza, raggiunta nel 1933, che ha anche lo scopo di garantire il pane alla nazione in caso di conflitto). La «battaglia del grano» aiutò i contadini a incrementare la produzione; ma essa ebbe effetti a lunga distanza negativi, perché privilegiò la produzione di cereali a scapito del molto più redditizio allevamento di bestiame (se oggi l'italia è costretta a importare grandi e costose quantità di carne, lo si deve anche alla scelta che fu allora operata a vantaggio del grano). Diminuzione dei salari e piena occupazione. Verso il mondo industriale e la classe operaia, la politica fascista seguì due linee ben distinte. Da una parte, ci fu una costante tendenza alla diminuzione dei salari, per incrementare i profitti delle aziende (la principale funzione delle «corporazioni» era proprio quella di impedire gli scioperi e di bloccare i salari: nel 1938, il salario operaio valeva come potere d'acquisto circa un terzo in meno che nel 1921). Dall'altra parte, però, si garantì un minimo di assistenza sociale a tutti i lavoratori dell'industria e soprattutto si eliminò la piaga della disoccupazione, garantendo un posto di lavoro (anche se mal pagato) a tutti. L'IRI. Per ottenere questo importante risultato, il governo fascista seguì due indirizzi complementari. In primo luogo, venne fondato l'iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Attraverso l'iri, lo Stato assumeva direttamente la proprietà e la gestione delle aziende in difficoltà, che lasciate a se stesse avrebbero dovuto chiudere e licenziare i lavoratori. Si è detto che il principio dell'iri era quello di «socializzare le perdite e privatizzare i profitti», cioè di lasciare ai proprietari privati i guadagni delle industrie floride, e di addossare invece allo Stato (cioè alla comunità nazionale che paga le tasse) le perdite di quelle in crisi. Questo è indubbiamente vero; l'iri, tuttavia, serviva a proteggere i lavoratori dalla disoccupazione e a diminuire gli effetti delle crisi economiche sull'industria italiana. Il secondo indirizzo seguito dal governo di Mussolini per incrementare la produzione industriale e eliminare la disoccupazione fu quello di un massiccio aumento delle spese militari, e quindi di un grande sviluppo dell'industria bellica: se ne avvantaggiarono soprattutto aziende come la FIAT, la Pirelli, la Montecatini (chimica). Propaganda militare e impresa d'etiopia. Questo aspetto militare era essenziale per il regime; un punto centrale della sua propaganda consisteva nell'affermazione che finalmente il fascismo stava facendo dell'italia una grande potenza, rispettata e temuta all'estero, dopo le tante umiliazioni subite sotto i governi liberali. Per sostenere questa propaganda, Mussolini aveva bisogno di una grande impresa militare in campo coloniale. Così nel 1935 venne invasa l'etiopia, ultimo Stato indipendente dell'africa. Vi fu impiegato un grande esercito di quasi mezzo milione di soldati: la conquista dell'etiopia doveva anche costituire una vendetta per la sconfìtta di Adua. In un anno, la conquista fu completata; il re d'italia assunse il titolo di imperatore d'etiopia (o Abissinia). La conquista della grande colonia africana (un territorio non molto ricco di risorse naturali) presentava molti vantaggi per il regime. Prima di tutto il prestigio interno e internazionale; poi la possibilità di dar lavoro a coloni contadini, a impiegati e funzionari dell'amministrazione coloniale, alle aziende tornitrici di materiale militare. Le «sanzioni» e l'alleanza con la Germania. Ma l'impresa africana ebbe anche un contraccolpo negativo, destinato ad avere gravissime conseguenze. L'Inghilterra, che fino ad allora aveva considerato con benevolenza il regime fascista (come baluardo contro la temuta rivoluzione «bolscevica»), cominciò ora a temere la sua aggressività e il suo espansionismo coloniale; essa fece dunque votare dalla Società delle Nazioni la condanna dell'italia e il divieto di venderle materiali di importanza strategica. Questo isolamento internazionale, politico ed economico, costrinse l'italia ad avvicinarsi sempre di più alla Germania nazista e a legarsi alla sua politica di guerra. Un primo, tragico

5 effetto di questo avvicinamento alla Germania fu l'adesione alle teorie tedesche sull'antisemitismo, che diede luogo alle leggi razziali del 1938 con cui iniziava anche in Italia la persecuzione degli ebrei. Antisemitismo e persecuzione degli ebrei. Nella propaganda nazista e fascista, gli ebrei venivano indicati come una razza inferiore, nemica della religione e del progresso; si diceva che essi facessero parte di un complotto internazionale, legato sia alla Russia comunista sia alle democrazie occidentali, per distruggere i regimi «nazionali» in Germania e in Italia. Le menzogne infami propagandate contro gli ebrei miravano a rovesciare su di essi le difficoltà interne ed esterne del regime, facendone un «capro espiatorio»; purtroppo, esse facevano una certa presa negli ambienti della piccola e media borghesia, invidiosa delle brillanti posizioni economiche e intellettuali che gli ebrei avevano conquistato nella società italiana. Per fortuna in Italia l'antisemitismo non fu mai così profondamente diffuso come in Germania e lo stesso regime fascista non perseguitò gli ebrei con la stessa violenza di quello nazista. Tuttavia a partire dal 1938 gli ebrei vennero progressivamente espulsi dagli impieghi pubblici e dall'insegnamento (l'italia perse così alcuni dei suoi più brillanti scienziati, come Enrico Fermi, uno dei fondatori della fìsica nucleare e degli inventori della bomba atomica, che fu costretto a emigrare in America). Gli ebrei furono isolati nei ghetti, si vietarono loro i matrimoni con cittadini italiani di altra religione, vi furono spesso «spedizioni punitive» con pestaggi, devastazioni, furti legalizzati dei beni degli ebrei. Pur con queste difficoltà, il regime fascista conobbe verso il 1938 il suo periodo di maggior forza. La propaganda del regime investiva ogni settore della vita sociale. «Libro e moschetto». L'Italia veniva presentata come erede legittima dell'antica Roma e pronta a ripeterne le imprese imperiali. Per i ragazzi delle scuole la parola d'ordine era «libro e moschetto»: essi dovevano studiare duramente e al tempo stesso ricevevano, in camicia nera, una istruzione premilitare, che doveva prepararli a diventare i futuri soldati dell'impero. Alle famiglie si chiedeva di mettere al mondo molti figli (la «campagna demografica»): nuove braccia per l'agricoltura, per popolare le colonie africane, per l'esercito fascista: qui, la parola d'ordine era di arrivare a 8 milioni di baionette. La donna fascista doveva essere «l'angelo del focolare»: accudire cioè alla casa e alla famiglia sempre più numerosa, rinunciando ad ogni attività esterna, produttiva e sociale, per la quale, si diceva, le donne non erano adatte.. Cultura di regime. In campo culturale, il regime rifiutava di importare la cultura straniera, specie inglese, francese e americana; non si traducevano libri e non si proiettavano film di provenienza estera, col risultato di provincializzare la cultura italiana, di isolarla dalla grande circolazione internazionale delle idee. La stampa, la radio, il cinema erano messi al servizio della propaganda di regime; per aumentare il proprio prestigio in campo culturale, il fascismo avviò la pubblicazione di una grande opera, l'enciclopedia italiana, diretta dal filosofo Giovanni Gentile; ma gli articoli di maggior interesse culturale erano controllati personalmente da Benito Mussolini, che assunse in quegli anni il titolo di Duce del Fascismo (dalla parola latina dux, capo). Verso la guerra. Nonostante l'apparente solidità di questi anni, molte ragioni spingevano il regime fascista verso la catastrofe. La spinta imperialista (già dimostrata con l'impresa d'etiopia), i grandi programmi di riarmo per contrastare la crisi economica, l'alleanza con una potenza aggressiva come la Germania nazista: tutto questo spingeva inesorabilmente l'italia verso la guerra. Intanto, l'opposizione al regime si riorganizzava, in Italia e all'estero: il partito comunista lavorava tra gli operai delle grandi città, gruppi socialisti e liberali, organizzati nel movimento «Giustizia e libertà», raccoglievano gli antifascisti emigrati all'estero e si radicavano fra gli intellettuali in Italia. A nulla servirà la repressione fascista, che imprigiona il comunista Antonio Gramsci (morto in carcere nel 1937) e nel 1937 fa uccidere a Parigi Rosselli, uno dei dirigenti di «Giustizia e Libertà». 2. La grande crisi economica americana del 1929 e le sue conseguenze Nel decennio fra il 1920 e il 1929, gli Stati Uniti conoscono uno sviluppo economico senza precedenti nella storia. Le grandi città si trasformano in selve di grattacieli, le strade si affollano di automobili, la via del benessere e dell'arricchimento facile sembra aperta a tutti. Non c'è disoccupazione, i salari aumentano, molte strade portano alla ricchezza: la speculazione in borsa (i valori delle azioni aumentano in modo rapido e ininterrotto); lo spettacolo (c'è in questi anni un vero fanatismo di massa per il cinema, lo sport - boxe, baseball -, la musica jazz); e anche la delinquenza, che si sviluppa altrettanto rapidamente dell'attività economica. Proibizionismo e gangsterismo. Nel 1920, una legge ispirata dai rigidi principi morali della religione protestante aveva proibito la fabbricazione e la vendita delle bevande alcooliche (whisky, birra ecc.): è il proibizionismo. Ma nella ruggente società americana degli anni '20 la domanda di divertimento, di vita notturna, di alcool è altissima: e c'è chi è pronto a soddisfarla. Si formano grandi organizzazioni criminali, le gangs, che assicurano il contrabbando la fabbricazione clandestina, lo spaccio degli alcoolici. Queste organizzazioni realizzano guadagni favolosi, e spesso godono della complicità della polizia, in cui molti sono i corrotti al servizio dei banditi. Spesso in lotta fra loro per il controllo dei quartieri in cui spacciare la loro mercé preziosa, giungono a dominare intere città: è il caso della celebre gang di Al Capone. Quando finalmente il proibizionismo verrà abolito, le grandi bande si spostano su altri terreni altrettanto lucrosi: lo spaccio della droga, le scommesse clandestine, ecc. Nonostante la sua gravita, il fenomeno delle gangs si integra bene nel quadro dello sviluppo americano di questi anni. Quello che conta è il raggiungimento rapido della ricchezza ad ogni costo: il «modo di vita americano» (alti guadagni, alte spese, spregiudicato spirito di iniziativa)

6 sembra giunto alle soglie dell'età dell'oro. Ma dietro la sfavillante vita notturna delle grandi città, le frenetiche speculazioni di borsa, il rapido accumulo di grandi ricchezze, c'è una realtà più difficile. Monopòli, catene di montaggio, produttività. Lo sviluppo della produzione (grandi quantità di merci a prezzi relativamente bassi) era stato dovuto a diversi fattori, non privi di pericoli. Prima di tutto la concentrazione dell'attività produttiva nelle mani di poche, grandissime aziende (trusts o monopòli): solo 200 imprese controllavano la metà della produzione. Queste aziende disponevano di enormi capitali e potevano quindi applicare su larga scala i nuovi ritrovati della tecnica alle lavorazioni industriali: nelle fabbriche facevano il loro ingresso le macchine a ciclo continuo, la catena di montaggio, l'organizzazione scientifica del lavoro operaio. Tutto questo aumentava la produttività (a parità di lavoro, e quindi di salario, ogni operaio, grazie alle macchine, produceva una maggior quantità di mercé); quindi espandeva la produzione e faceva diminuire i costi. Decine di migliala di aziende piccole e medie, che non erano in grado di sostenere la concorrenza dei giganti industriali, erano quindi costrette a chiudere. Intanto, i profitti delle imprese aumentavano molto più dei salari (nel decennio tra il '21 e il '29, i profitti aumentarono del 76, i salari solo del 30). All'inizio, la generale prosperità sociale nascose questi fenomeni di lento impoverimento di vasti strati popolari (anche nelle campagne avvenivano processi dello stesso tipo). Se il sindacato protestava contro l'insufficiente crescita dei salari, esso non aveva la forza di opporsi al potere dei grandi trusts; nei casi di lotte più dure, si ricorreva alla repressione senza scrupoli (nel 1927, vennero impiccati gli operai di origine italiana Sacco e Vanzetti, sotto la falsa accusa di aver compiuto una rapina; in realtà perché avevano organizzato scioperi operai). Crisi di sovraproduzione. Alla fine, quello che sembrava uno sviluppo meraviglioso quanto illimitato si interruppe bruscamente. Ci fu una crisi di sovraproduzione: la produzione era cresciuta più in fretta della capacità di acquisto delle masse (proprio perché i trusts avevano preferito tenere bassi i salari per aumentare i propri profitti). I magazzini cominciarono a riempirsi di merci invendute; qualche industria chiuse i battenti; per le strade cominciarono a sfilare i disoccupati. Chi, in grande o in piccolo, aveva partecipato alle frenetiche speculazioni di borsa, cominciò a temere un rapido deprezzamento delle azioni industriali; ci fu dunque una corsa alla vendita, che cominciò nel famoso «giovedì nero» di Wall Street (la Borsa di New York), il 24 ottobre Crollo della borsa e catastrofe economica. Il valore delle azioni crollò in pochi giorni; per gli speculatori era la rovina. Centinaia di migliaia di famiglie videro polverizzati i loro risparmi, investiti in azioni; decine di banche fallirono; vennero quindi a mancare i prestiti alle industrie che già erano in difficoltà. Per l'intero sistema americano fu il tracollo: in tre anni, la produzione diminuì del 40, i salari del 60; nel 1932, il Paese, che era stato il laboratorio mondiale dello sviluppo capitalistico, la vetrina del «modo di vita americano», si trovava con 13 milioni di disoccupati, con le campagne e gli enormi quartieri popolari delle città in preda alla miseria, con una generale incertezza sul futuro. Gli Stati Uniti esportano la crisi. Ancora più gravi furono gli effetti della crisi americana sull'economia mondiale. L'economia europea, e soprattutto quella tedesca, si era lentamente ripresa dopo la guerra soprattutto grazie ai prestiti americani; l'industria europea aveva potuto collocare i suoi prodotti sul mercato americano in rapidissima espansione. Ma ora gli Stati Uniti si facevano rimborsare i prestiti, ritiravano i capitali che avevano investito all'estero, chiudevano le loro frontiere ai prodotti europei. In pochi mesi, tutto questo scatenò in Europa una gravissima crisi economica: 20 milioni di disoccupati, crollo del commercio mondiale, rapido impoverimento dei lavoratori. Gli Stati Uniti erano abbastanza ricchi e potenti per uscire, sia pur faticosamente, dal disastro; furono, come vedremo, proprio gli Stati europei a pagare il prezzo più alto della crisi. Il «New Deal» e Roosevelt. La risposta americana alla crisi fu una grande svolta politica ed economica, un nuovo patto nazionale (detto «New Deal»), che iniziò nel 1932 con l'elezione a presidente di Franklin D. Roosevelt. Con Roosevelt si erano schierate le forze democratiche, progressiste, sindacali degli Stati Uniti. La loro idea fondamentale era questa: non si poteva più permettere che il sistema capitalistico si sviluppasse senza controllo, seguendo soltanto la legge del massimo profitto e degli interessi privati. Era ormai provato che questo tipo di sviluppo conduceva inevitabilmente alla catastrofe. Occorreva, invece, non cambiare il sistema capitalistico ma regolarlo. E quest'opera di regolazione poteva essere condotta solo dal potere politico, cioè dallo Stato. Così il governo di Roosevelt intervenne con forza nell'economia americana, riuscendo a condurla fuori dalla crisi. Un severo sistema fiscale permise allo Stato di accumulare grandi risorse; queste vennero spese in grandi lavori pubblici (edilizia, creazione di fonti di energia elettrica, irrigazione agricola) che gradualmente permisero di ridurre la disoccupazione. Rilevanti spese militari aiutarono la ripresa dell'attività industriale. Il padronato industriale fu costretto a contrattare i salari con i sindacati, che ripresero tutta la loro influenza, e ad aumentare gradualmente le retribuzioni dei lavoratori. Tutto questo permise un aumento del potere d'acquisto delle masse dei consumatori, e quindi una ripresa complessiva dell'economia americana. Verso il 1938, l'america di Roosevelt non era più quella dei folli anni '20, ma aveva ricostruito su basi più solide la sua potenza economica e aveva migliorato la sua coesione sociale, aveva insomma ritrovato fiducia in se stessa. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti, che avevano espresso la loro ferma opposizione ai regimi fascisti europei in nome dei valori della democrazia e della libertà, erano di gran lunga la maggiore potenza della terra. Ripercussioni della crisi in Europa. In Europa, come abbiamo detto, le risposte alla

7 crisi furono di diverso tipo. La Russia sovietica e l'italia fascista, le cui economie erano fortemente controllate dallo Stato, ne uscirono relativamente indenni. In Francia e in Inghilterra le risposte furono più o meno simili a quella americana: intervento dello Stato per la regolazione dell'economia, spese pubbliche, riforme sociali, riarmo. In Francia, in particolare, venne eletto nel 1936 un governo di «Fronte popolare», composto da socialisti, comunisti e radicali. Questo governo- il primo dell'europa occidentale di cui facesse parte un partito comunista - ebbe breve durata per i dissensi sorti all'interno del Fronte; le riforme sociali che esso iniziò lasciarono tuttavia una traccia profonda nella vita francese. I Paesi dove il capitalismo era più debole, e dove la crisi incideva più pesantemente, presero invece la via della dittatura militare reazionaria, mediante la quale le classi dirigenti facevano pagare tutto il costo della crisi alle masse popolari. Questa fu la via presa, a partire dal 1932, da Austria, Ungheria, Romania, Jugoslavia, Bulgaria, Grecia (ma già dal 1926 dittature militari governavano in Spagna, Portogallo, Polonia). Gli effetti più tragici, e destinati ad avere conseguenze catastrofiche sull'intera storia del mondo, si ebbero tuttavia in Germania, come vedremo nel prossimo paragrafo. Il Giappone aggredisce la Cina. Fuori d'europa, intanto, si veniva sviluppando il nuovo, aggressivo imperialismo giapponese. Il Giappone aveva dato prova della sua forza nella guerra con la Russia del Governato con poteri assoluti dall'imperatore, e diretto da un'oligarchia di militari e di grandi capitalisti legati all'industria bellica, il Giappone non aveva cessato di rafforzarsi militarmente durante tutta la prima guerra mondiale. Quando la crisi americana mise in pericolo il suo sviluppo economico, esso prese decisamente la via dell'aggressione imperialistica. Nel 1931 attaccò la Cina, impiegando per la prima volta in modo massiccio le armi più moderne, dai carri armati all'aviazione d'attacco; nel 1936 il Giappone controllava tutta la Cina orientale, dal cui sfruttamento coloniale traeva le risorse per sviluppare ulteriormente il suo potenziale industriale e militare. La minaccia dell'aggressivo imperialismo giapponese si estendeva ormai su tutta l'asia e, nel Pacifico, entrava direttamente in urto con gli interessi americani. Al Giappone servivano alleati europei, ed esso li avrebbe trovati nell'italia fascista e nella Germania nazista. 3. Il dominio nazista in Germania La storia della Germania sconfìtta dopo la guerra è difficile e tormentata. Il governo socialdemocratico. All'indomani della sconfìtta, aveva preso il potere nella nuova repubblica tedesca un governo formato dal partito socialdemocratico e dai dirigenti sindacali: fatto piuttosto strano, questo governo aveva l'appoggio dei capi militari, della burocrazia statale formatasi nel vecchio impero di Guglielmo II, dei grandi industriali. Questo appoggio era dovuto in realtà a parecchie buone ragioni. In primo luogo, la socialdemocrazia tedesca era assai più legata allo Stato e alla sua restaurazione che agli ideali del socialismo (lo aveva dimostrato approvando l'entrata in guerra e sostenendola durante tutto il suo corso). Poi, si preferiva lasciare che fosse un governo socialdemocratico a firmare la pace, le cui condizioni erano umilianti per la Germania sconfìtta: al momento opportuno, le forze di destra avrebbero-sempre potuto accusare il governo socialdemocratico di tradimento della patria e dell'esercito, e sostituirlo con uno più gradito. Repressione delle insurrezioni comuniste. C'era infine la cosa più importante: fra gli operai tedeschi era forte l'influenza comunista, e movimenti rivoluzionari, ispirati alla rivoluzione russa d'ottobre, dilagavano in Germania, fino a costituire, nell'inverno del 1918, «repubbliche sovietiche» a Berlino e a Monaco. Era allora essenziale isolare i comunisti, mettendo contro di loro la maggioranza dei lavoratori legata al partito socialdemocratico e ai sindacati; nessuno meglio di un governo socialdemocratico, con l'aiuto dell'esercito, avrebbe potuto reprimere i moti rivoluzionari. Il progetto riuscì. La maggioranza degli operai non comprese, in quei mesi drammatici, perché si dovesse fare la rivoluzione quando i socialdemocratici erano già andati pacificamente al governo, e quindi non appoggiò i comunisti. Nel gennaio del 1919, il governo socialdemocratico represse nel sangue la rivoluzione comunista di Berlino, facendone fucilare i capi, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht; nel maggio, venne schiacciata la «repubblica sovietica» di Monaco. La repubblica di Weimar. Nel 1919 venne approvata, a Weimar, la costituzione della repubblica tedesca: con questa costituzione, la Germania diventava lo Stato più democratico d'europa. Gli anni della repubblica di Weimar rappresentarono, per merito del governo socialdemocratico, un periodo di straordinaria fecondità in tutti i campi della vita culturale, di libertà di pensiero, di dibattito politico. I socialdemocratici non riuscirono tuttavia a trasformare in profondità le strutture della società tedesca (che restava dominata da un blocco formato da grande industria, esercito e apparati burocratici di Stato), ne ad imporre un vero controllo sociale e statale sull'economia. Inflazione e miseria. Così è impossibile evitare una prima gravissima crisi economica, che esplode nel 1923: l'inflazione arriva alle stelle (il pane, il tram, il caffè costavano milioni di marchi), i disoccupati si contano a milioni. Questo significa la miseria soprattutto per i ceti a stipendio fisso, che non viene adeguato all'inflazione, come gli impiegati statali. Intanto, la Germania deve pagare enormi somme in oro come debiti di guerra alle potenze vincitrici, soprattutto alla Francia. In queste circostanze cresce, in vasti strati della piccola e media borghesia, l'odio verso il governo socialdemocratico, visto come responsabile della crisi e della pace vergognosa; cresce anche lo spirito di rivincita contro le potenze nemiche che affamano la Germania. Questo risentimento porta, nel 1925, all'elezione a presidente di un vecchio militare reazionario, il maresciallo Hindenburg.

8 Il partito socialdemocratico e i sindacati sono indeboliti, sia a sinistra (per la violenta polemica che continua ad opporli ai comunisti, che non perdonano loro le stragi del 1919), sia a destra (perché i gruppi industriali e militari si sono ormai riorganizzati dopo la catastrofe del 1918). Essi non sono più necessari per garantire la ricostruzione dello Stato; nel 1930 vengono definitivamente espulsi dal governo e sostituiti dai partiti di destra. Il nazismo di Hitler. Si fanno sentire pesantemente, in questo momento, gli effetti della crisi americana (l'economia tedesca dipendeva largamente dai prestiti statunitensi). È di nuovo la miseria: 6 milioni di disoccupati, impoverimento dei ceti medi, disgregazione sociale, disordine e rabbia. In questa situazione, si fa strada il movimento «nazionalsocialista» (cioè il nazismo) guidato da Adolf Hitler. Le sue parole d'ordine sono in parte simili a quelle del fascismo italiano: la colpa della crisi è dei socialdemocratici e dei comunisti, dei sindacati operai con i loro scioperi; occorre uno Stato forte e autoritario, che sia in grado di riportare «ordine e lavoro» in Germania. Nazionalismo, antisemitismo e razzismo. I nazisti lanciano poi parole d'ordine di un esasperato nazionalismo, che riscuotono grande successo: la Germania deve vendicare l'umiliazione subita a Versailles dopo la guerra, deve tornare una potenza militare mondiale, conquistare lo «spazio vitale» di cui il suo popolo ha bisogno. Insieme al nazionalismo, l'antisemitismo: gli ebrei fanno parte di un complotto mondiale in cui capitalisti e comunisti sono alleati per sfruttare e umiliare il popolo tedesco. L'antisemitismo si basa su un'assurda teoria razzista: esiste una razza superiore, gli «ariani» (cioè i popoli germanici e anglosassoni), che ha diritto di dominare sulle «razze inferiori», appunto gli ebrei, gli slavi, i latini, gli africani e gli.asiatici. Con questa linea, il nazismo conquista vaste simpatie nei ceti medi esasperati dalla crisi (impiegati, bottegai, piccoli proprietari terrieri, intellettuali); ma soprattutto, esso si guadagna il sostegno della grande industria interessata sia a una sconfitta definitiva del movimento operaio, sia ad una ripresa accelerata delle spese per gli armamenti: entrambi obbiettivi primari del nazismo. Insieme con i lauti finanziamenti industriali, esso riceve l'appoggio dei capi militari, della burocrazia statale, della polizia, che erano rimasti fedeli al modello di stato autoritario dell'epoca guglielmina. Terrorismo nazista. Si scatena così una campagna terroristica ancora più violenta di quella lanciata dai fascisti nel '21: centinaia di migliala di nazisti (le «camicie brune») incendiano sedi sindacali e dei partiti di sinistra, devastano negozi e abitazioni degli ebrei, uccidono dirigenti politici e militanti operai. Nel gennaio del 1933, maresciallo Hindenburg nomina Hitler capo del governo; prosegue intanto la campagna terroristica, cui si aggiunge una massiccia propaganda nazista attraverso la radio, il cinema, i giornali. Nel febbraio del '33 i nazisti incendiano il Reichstag, la sede del parlamento tedesco, addossandone la colpa ai comunisti: questo permette di incarcerare migliaia di militanti di sinistra, dando il colpo di grazia all'opposizione operaia (sempre divisa del resto dalla lotta fra socialdemocratici e comunisti, che considerano i primi non migliori dei nazisti). Dittatura di Hitler. Le elezioni del marzo 1933 danno a Hitler la maggioranza assoluta. Egli scioglie i partiti, i sindacati, il parlamento, e si proclama dittatore (Fùhrer = duce) della Germania. Di qui in poi, il regime nazista segue, nello sforzo di consolidare il suo dominio sulla Germania, due strade parallele: quella della repressione delle opposizioni e quella dell'estensione del consenso. Campi di concentramento. La prima strada porta alla distruzione sistematica (effettuata dalle SS, «squadre di sicurezza», cioè la polizia politica) dei partiti di sinistra e delle organizzazioni dei lavoratori: non meno di socialisti e comunisti finiscono nei campi di concentramento nazisti. Continua intanto la persecuzione degli ebrei, che si trasformerà progressivamente in un vero sterminio di massa (a differenza che in Italia, la persecuzione degli ebrei gode in Germania anche di un certo consenso popolare). Il regime costringe ad emigrare anche molti fra i maggiori intellettuali tedeschi, come lo scrittore Thomas Mann, il fisico Albert Einstein, il poeta Bertold Brecht. La seconda strada, quella del consenso, porta innanzitutto il nazismo a stipulare, sull'esempio italiano, dei «concordati» con le Chiese cattolica e protestante, che gli assicurano l'appoggio di gran parte del clero. Lavori pubblici e riarmo. C'è poi un effettivo miglioramento del livello di vita delle grandi masse dei lavoratori. Questo miglioramento viene ottenuto prima di tutto eliminando la disoccupazione: lo Stato incrementa la produzione spendendo enormi somme nei lavori pubblici (nasce in questo periodo la grande rete autostradale tedesca) e soprattutto nel riarmo intensivo (a partire dal 1935 metà delle spese pubbliche sono per gli armamenti; nel '39 questa.somma raggiunge i 2/3 del bilancio dello Stato). Le spese pubbliche indebitano pesantemente lo Stato; ne ricavano grandi profitti le grandi industrie, specie quelle che lavorano per gli armamenti come le acciaierie Krupp. Ma aumenta anche, come si è detto, il livello di vita popolare; il regime nazista lancia in questi anni «l'auto per il popolo», la Volkswagen. Il Terzo Reich. La politica di riarmo (in completa violazione del trattato di pace di Versailles) è accompagnata da una massiccia propaganda nazionalista e guerrafondaia. Hitler proclama la nascita del Terzo Reich ( = impero) tedesco, dopo quello di Carlo Magno e quello di Bismarck. Esso prevede un «nuovo ordine» mondiale, in cui alla Germania spetti quel ruolo che Guglielmo II non era riuscito a conquistare: il ruolo di potenza dominatrice rispetto alle «razze inferiori» che abitano l'europa orientale, come gli slavi, di baluardo contro il bolscevismo russo, di nazione-guida per tutta l'europa,

9 dove Francia e Inghilterra si sono ormai «corrotte». Verso la guerra. Questa propaganda nasconde reali esigenze del regime nazista: di procurarsi fonti di materie prime e mercati di esportazione per la sua industria, mano d'opera straniera a basso costo (le «razze inferiori» slave e anche latine), fertili terre orientali da assegnare ai suoi contadini e ai grandi proprietari prussiani. Come nel 1914, la Germania nazista esige insomma nuovamente una correzione a suo favore degli equilibri mondiali. Gli enormi armamenti di cui va dotandosi la spingono inesorabilmente verso una nuova guerra, al fianco dell'italia fascista e dell'imperialismo giapponese. 4. La guerra di Spagna Un sinistro presagio di guerra venne a tutto nel mondo, nel 1936, dalla vicenda di Spagna. In questo Paese era al potere una coalizione reazionaria, sostenuta dalla vecchia e potente aristocrazia terriera, dai comandi dell'esercito, dalla gerarchia della Chiesa cattolica. Nelle città industriali e nelle campagne, poverissime, era forte l'opposizione socialista e anarchica; ma una serie di insurrezioni erano state soffocate nel sangue con l'aiuto di truppe coloniali marocchine, comandate dal generale Francisco Franco. Le elezioni del 1936 diedero però la maggioranza a un Fronte popolare, formato, sull'esempio francese, da socialisti, comunisti, repubblicani e anarchici. Il nuovo governo proclamò la repubblica e avviò immediatamente la riforma agraria, distribuendo ai contadini poveri le terre dei nobili latifondisti. Questo bastò a provocare la ribellione dell'esercito, i cui comandanti erano appunto strettamente legati ai latifondisti: nel luglio, i reparti ribelli comandati da Franco si impadroniscono di metà del paese, mentre nell'altra metà (attorno a Madrid e Barcellona) resistono le truppe rimaste fedeli al governo repubblicano. Inizia così una lunga e sanguinosa guerra civile, che si trasforma però immediatamente in una prova di forza a livello internazionale fra i regimi fascisti d'italia e di Germania e i loro oppositori. Intervento italiano e tedesco. A sostegno della dittatura militare guidata da Franco, il governo italiano invia soldati (arruolati, come «volontari», tra i contadini poveri del mezzogiorno d'italia); la Germania manda potenti squadroni di carri armati e di aerei. I generali tedeschi fanno in Spagna le prime prove della «guerra lampo» che stanno progettando: un terribile bombardamento aereo distrugge la cittadina di Guernica. La Russia e i volontari antifascisti. A fianco della Spagna repubblicana accorrono migliaia di volontari antifascisti da ogni parte d'europa: gli italiani, esuli in Francia, vanno al fronte con la parola d'ordine «oggi in Spagna, domani in Italia»; nasce qui il primo nucleo armato della resistenza antifascista italiana. Si costituisce una Brigata internazionale comandata dal dirigente comunista italiano Luigi Longo. L'Unione Sovietica invia consistenti aiuti militari ed economici alla Repubblica. Ma questa è indebolita da gravi difficoltà. Manca, intanto, l'appoggio dell'inghilterra e della Francia, anche se questa è governata dal Fronte popolare: queste potenze esitano ad impegnarsi nel conflitto spagnolo perché temono di irritare i regimi fascisti di Germania e d'italia, spingendoli ad una nuova guerra mondiale; e perché non vogliono schierarsi a fianco di un governo, come quello spagnolo, di cui fanno parte i comunisti e che è sostenuto dall'odiato regime sovietico. Mentre Franco può dunque appoggiarsi su potenti alleati come Germania e Italia, la repubblica è isolata, a parte la lontana Unione Sovietica. Contrasti fra anarchici e comunisti. Essa soffre poi di contrasti interni: mentre gli anarchici vorrebbero portare fino in fondo la rivoluzione (espropriando le terre e le industrie), e mobilitare tutto il popolo contro l'aggressione fascista, i comunisti preferiscono sospendere le riforme sociali, e lasciare la condotta della guerra in mano al governo centrale. Nel 1937, il governo repubblicano, guidato dai comunisti (forti dell'appoggio diretto dell'unione Sovietica) scatena la repressione contro gli anarchici; intanto la polizia segreta russa perseguita, su ordine di Stalin, i trotskisti spagnoli. Ancora una volta, la tragica divisione all'interno delle forze democratiche e di sinistra le indebolisce di fronte al nemico comune. Nonostante l'eroica resistenza delle truppe repubblicane e della Brigata internazionale, nel 1939 le truppe di Franco entrano a Madrid. È il crollo della repubblica: nasce in Spagna un nuovo regime fascista, che scatena una feroce repressione. La guerra civile costerà alla Spagna un milione di morti e mezzo milione di persone costrette all'esilio. La dittatura di Franco. Il regime di Franco, unico tra i fascismi europei, sopravviverà alla seconda guerra mondiale (nella quale si mantiene neutrale), e durerà fino al 1976, anno della morte del dittatore. Esso ha mantenuto la Spagna in condizioni di spaventosa arretratezza sociale, economica e culturale, da cui si sta ora lentamente riprendendo per entrare nuovamente a far parte dell'europa democratica. A nessuno comunque sfuggì in quegli anni che la guerra di Spagna costituiva il preannuncio e la prova generale di uno scontro di dimensioni assai più vaste: l'aggressività dei regimi fascista e nazista non si sarebbe certo fermata a Madrid. La debolezza mostrata in Spagna dalle grandi potenze europee, come la Francia e l'inghilterra, invece di placare quella aggressività, non avrebbe fatto che incoraggiarla. Presto il mondo intero ne avrebbe fatto le spese. 5. Cultura e società tra la prima e la seconda guerra mondiale L'aspetto certamente più nuovo della vita culturale dopo la prima guerra mondiale è la diffusione del cinema. Per la prima volta nella storia moderna, nasce una forma di spettacolo che non è riservata ai pochi frequentatori di teatri nelle grandi città.

10 Il cinema. Il cinema raggiunge tutti gli strati sociali, i paesi più sperduti; prima muto, poi - a partire dagli anni '30 - accompagnato da una colonna sonora con parole e musiche, il film racconta a milioni di persone in tutto il mondo le sue vicende di avventura, di amore, di guerra; spesso anche di politica e di protesta sociale. Il grande centro mondiale del cinema è in America, a Hollywood; qui si producono migliaia di film, si lanciano i grandi divi, lavorano alcuni dei maggiori artisti cinematografici (basterà ricordare Charlie Chaplin, il famoso Charlot, Orson Welles, John Ford). Ma il cinema conosce anche una straordinaria fioritura nella Russia rivoluzionaria, dove operano grandi registi come Eisenstein e Pudovkin, e nella Francia del Fronte popolare, dove registi come Renoir e Carne girano film memorabili. La radio e lo sport. Il cinema non è l'unica forma di spettacolo e di comunicazione culturale di massa; ha in questo periodo uno straordinario successo anche la radio, che diffonde dovunque notizie, commedie, musica da ballo, e di cui i regimi fascisti si servono in misura massiccia per la loro propaganda a tappeto. L'altra grande forma di spettacolo popolare, che raggiunge a sua volta milioni di spettatori in tutto il mondo, è lo sport. Sorgono dovunque - con una diffusione che ha un precedente solo nei circhi dell'impero romano- gli stadi del calcio (in Europa), del baseball (negli Stati Uniti), le piste per le corse automobilistiche (da Indianapolis a Monza), i velodromi per le gare ciclistiche (il Vigorelli di Milano, il Parco dei Principi a Parigi). I giri ciclistici d'italia e di Francia, raccontati in tutte le case dai radiocronisti, entrano nella leggenda sportiva. Anche lo sport è motivo di propaganda politica: la vittoria dell'italia ai campionati del mondo di calcio del 1934 da prestigio al regime fascista, come lo svolgimento a Berlino delle Olimpiadi del 1936 è l'occasione per un trionfo propagandistico del nazismo (macchiato però dalla vittoria nei 100 metri del negro americano Owens, una smentita alle teorie naziste sulle «razze inferiori» che devono essere sottomesse alla razza pura dei bianchi «ariani»). Se questi sono gli aspetti più diffusi della cultura di massa, straordinarie novità si verificano anche nel campo della produzione artistica e intellettuale. La nuova cultura. La guerra aveva distrutto il senso di sicurezza, di stabilità, di ottimismo nei destini dell'uomo, che era tipico della società europea fra Otto e Novecento. Tutte le vecchie certezze erano crollate; si avvertiva acutamente il senso di un futuro incerto, pieno di conflitti, di grandi possibilità creative come di tragici pericoli. L'uomo non appariva più il dominatore sicuro della natura e della storia, ma come un essere limitato, in preda a un destino oscuro, difficile; l'esistenza appariva ora come un rischiò, un tavolo da gioco in cui si poteva vincere o perdere. La cultura elabora questa situazione sociale cercando forme nuove, compiendo nuove esperienze che rifiutano le forme chiuse e immobili del passato e esplorano nuove possibilità di comprensione della realtà e di espressione umana. La psicanalisi. Si ha in questo periodo il grande sviluppo della psicanalisi, una delle maggiori conquiste scientifiche del nostro secolo, fondata dallo psicologo austriaco Sigmund Freud (nato a Vienna nel 1856, morto nel 1939 a Londra dove si era rifugiato per sfuggire, in quanto ebreo, alle persecuzioni naziste). Secondo la nuova teoria, l'uomo non è soltanto un essere razionale, come voleva la tradizione; la sua vita psicologica è determinata da conflitti oscuri e profondi, che si formano fin dall'infanzia e di cui non siamo consapevoli. Questa zona profonda è l'inconscio, che si esprime nei sogni: l'interpretazione dei sogni è dunque una via per comprendere i conflitti psicologici che condizionano l'attività razionale e l'esistenza sociale dell'uomo, determinando a volte dei blocchi insuperabili (nevrosi). Solo portando in luce, attraverso la terapia psicanalitica, quanto altrimenti resta nascosto, l'uomo può liberarsi di questi blocchi; con questo egli non riesce certo a diventare un essere puramente razionale, ma almeno una persona consapevole dei problemi psicologici che influenzano la sua esistenza e il suo comportamento. Le scoperte psicanalitiche esercitano una profonda influenza sulla letteratura di questo periodo. Grandi scrittori come il tedesco Thomas Mann, il francese Marcel Proust, l'inglese James Joyce, il cecoslovacco Franz Kafka, l'italiano Luigi Pirandello, danno della condizione umana una rappresentazione complessa, tormentata, contraddittoria; lo stesso fa, in filosofia, il pensatore tedesco Martin Heidegger, il fondatore dell'esistenzialismo. La pittura astratta. Esperienze analoghe si sviluppano nella pittura. L'arte non vuoi più limitarsi a imitare fedelmente la realtà, a riprodurre il mondo esterno (un compito che viene lasciato alle nuove tecniche della fotografia e del cinema). Si tratta piuttosto di esprimere forme, colori, sensazioni, che rappresentano l'esperienza soggettiva che l'artista ha del mondo; che costituiscono cioè qualcosa di più vero, sul piano psicologico, della realtà stessa. Questo sforzo di comunicare attraverso l'arte esperienze profonde è comune alla grande scuola dell'arte astratta francese (di cui sono capiscuola pittori come Picasso, Braque, Matisse), all'espressionismo tedesco, al surrealismo. Anche in musica, si abbandonano le armonie classiche, decade la grande tradizione ottocentesca del melodramma. Si tentano, con la dodecafonia di Schonberg, nuove forme di espressione musicale, più tormentata e complessa, più aperta alle nuove esperienze culturali. L'architettura razionalista. Più a contatto con le esigenze sociali, e soprattutto con i programmi di riforme tanto del governo socialdemocratico tedesco quanto del New Deal di Roosevelt negli Stati Uniti, l'architettura segue invece vie diverse. Essa rifiuta l'idea, dominante prima della guerra, che il compito dell'architettura sia quello di decorare, di abbellire gli edifici senza preoccuparsi della loro funzionalità. La nuova architettura, che si sviluppa in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, vuole soprattutto essere razionale: la bellezza di un edifìcio dipenderà dalla sua funzionalità, cioè dalla sua capacità di rispondere agli scopi per i quali è stato progettato. Le forme dei nuovi edifici sono lineari, luminose, senza fronzoli inutili, eleganti proprio per la loro razionale semplicità.

11 È questa l'architettura democratica, di tendenza socialista, che dominerà gli stili costruttivi durante tutto il nostro secolo. Al suo opposto c'è l'architettura dei regimi fascista, nazista e staliniano: qui si tende invece a realizzare edifici pesanti, monumentali, che costituiscono con le loro pietre altrettante testimonianze propagandistiche della potenza e del prestigio del potere dittatoriale che li ha costruiti (quasi come le piramidi dell'antico Egitto). Nel complesso, la cultura degli anni fra il 1920 e il 1940 raggiunge livelli intellettuali, conquiste artistiche, forme di consapevolezza critica, che resteranno decisivi anche per i decenni successivi. Cultura e libertà. Odiati e perseguitati dai regimi dittatoriali, molti intellettuali europei furono costretti, negli anni bui che precedettero la seconda guerra mondiale, a lasciare i loro Paesi e a rifugiarsi in Francia, in Inghilterra e in America. Ma anche la loro libera voce, il loro coraggio intellettuale, la loro consapevolezza critica, furono armi importanti per sconfiggere quei regimi durante la prova terribile che il mondo attraversò fra il 1939 e il 1945.

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