INCENERITORI (Greenpeace) Che cosa sono. Che cosa producono. Che tipo di inquinanti producono. Le caratteristiche degli inquinanti
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- Emanuele Pozzi
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1 INCENERITORI (Greenpeace) Che cosa sono Gli inceneritori o termovalorizzatori, termine coniato solo nel nostro paese allo scopo di attenuare quello che nell immaginario pubblico può evocare il termine inceneritore, sono impianti di smaltimento dei rifiuti che bruciandoli ne riducono il peso ed il volume. Che cosa producono Circa 1/3 in peso dei rifiuti in entrata si ritrova a fine ciclo in forma di ceneri, ma come la fisica insegna "niente si crea né si distrugge, ma tutto si trasforma", così la parte della materia che non si ritrova in uscita viene emessa nel corso del processo sottoforma di polveri, gas e fanghi. Che tipo di inquinanti producono La formazione delle sostanze inquinanti, emesse in forma solida, liquida e gassosa da un inceneritore, dipende da diversi fattori quali: la tipologia del rifiuto trattato (composizione chimica), le condizioni di combustione e quelle operative dei sistemi di abbattimento degli inquinanti. Le sostanze chimiche emesse dal camino di un inceneritore comprendono: composti organici del cloro (diossine, furani, PCB - policlorobifenili), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili), elementi in traccia (piombo, cadmio e mercurio), acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ossidi di carbonio e centinaia di altri composti che non si riesce a monitorare. Molti sostanze si disperdono in atmosfera insieme alle polveri, alle ceneri di fondo (che si depositano alla base della caldaia durante il processo di combustione) e alle ceneri volanti (perché non trattenute dai sistemi di filtraggio aereo). L incenerimento è anche tra le principali fonti di gas serra: secondo recenti calcoli di Greenpeace (settembre 2006), a parità di energia prodotta, gli inceneritori emettono più CO2 delle centrali a carbone (940 grammi per chilowattora gli inceneritori; 900 le centrali a carbone; 530 la media per tutte le fonti). Le sostanze chimiche emesse dal camino di un inceneritore comprendono: composti organici del cloro (diossine, furani, PCB - policlorobifenili), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili), elementi in traccia (piombo, cadmio e mercurio), acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo ed ossidi di carbonio. Molti di questi composti si disperdono in atmosfera insieme alle polveri, alle ceneri di fondo (che si depositano alla base della caldaia durante il processo di combustione) e alle ceneri volanti (perché non trattenute dai sistemi di filtraggio aereo). Le caratteristiche degli inquinanti Molti composti emessi da un inceneritore sono persistenti, cioè resistenti ai processi naturali di degradazione, bioaccumulabili, perché si accumulano nei tessuti degli animali viventi trasferendosi da un organismo all'altro lungo la catena alimentare (fino a giungere all'uomo) e tossici, in quanto sono sostanze che per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea possono comportare patologie acute o croniche fino a poter determinare la morte dell'organismo esposto. Perché Greenpeace è contraria agli inceneritori Siamo contrari all'impiego di questi impianti come soluzione alla gestione dei rifiuti per una serie di ragioni, fra cui: Pongono un rischio sanitario e ambientale. Molti degli inquinanti emessi come le diossine e i furani sono composti cancerogeni e altamente tossici. L'esposizione al cadmio può provocare patologie polmonari ed indurre tumori. Il mercurio, sotto forma di vapore, è
2 dannoso al sistema nervoso centrale ed i suoi composti inorganici agiscono anche a basse concentrazioni. Nonostante i moderni sistemi di abbattimento degli inquinanti riescano a limitare le dispersioni atmosferiche, la natura della maggior parte dei composti emessi è tale da porre problemi anche a bassa concentrazione. Inoltre, essendo resistenti alla degradazione naturale, si accumulano progressivamente nell'ambiente e così gli inquinanti entrano inevitabilmente nella catena alimentare. Disincentivano la prevenzione e la raccolta differenziata. Gli inceneritori necessitano di un apporto di rifiuti giornaliero e continuo, in netta opposizione ad ogni intervento di prevenzione della loro produzione e pericolosità (principi che sono alla base della gestione dei rifiuti dell'unione europea). Inoltre, la combustione dei rifiuti disincentiva la raccolta differenziata finalizzata al recupero dei materiali contenuti nei rifiuti. Questo sistema di raccolta, che in Italia è già fortemente penalizzato da una scarsa volontà politica, non riuscirà a raggiungere gli obiettivi di legge se la gestione dei rifiuti prenderà la via della combustione. Richiedono ingenti investimenti economici. Sono impianti altamente costosi (almeno 60 milioni di euro) e a bassa efficienza che non starebbero sul mercato in assenza d incentivi finanziari, di cui questi impianti godono, attraverso il sistema dei CIP6 e dei certificati verdi. Non eliminano il problema delle discariche. Nonostante la diminuzione di volume dei rifiuti prodotti, il destino delle ceneri e di altri rifiuti tossici prodotti da un inceneritore è comunque lo smaltimento in discariche per rifiuti speciali, più costose e pericolose di quelle per rifiuti urbani. Non servono a risolvere le emergenze.. La costruzione di un impianto di incenerimento richiede diversi anni di lavoro (almeno 4-6 anni) e pertanto non può essere considerato una soluzione all'emergenza rifiuti, che invece deve essere ricercata nell approccio a monte del problema. Non creano occupazione. La costruzione e l'esercizio di un impianto determina un livello occupazionale inferiore al personale impiegato nelle industrie del riciclaggio dei materiali, siano esse pubbliche che private. In linea generale, la richiesta degli addetti nella filiera del riciclo è di circa il doppio rispetto a quei sistemi che privilegiano lo smaltimento dei rifiuti. Non garantiscono un alto recupero energetico.. Bruciare i materiali che potrebbero essere avviati a riuso, riciclaggio o compostaggio rappresenta uno spreco di risorse e di energia. L incenerimento recupera solo il 18-20% del potenziale calorifico dei rifiuti, senza contare l energia necessaria per produrre CDR (combustibile derivato da rifiuto), smaltire le ceneri, filtrare le polveri, depurare le acque, ecc. Una volta inceneriti i materiali post consumo, si crea inoltre la necessità di altra energia per estrarre e trasportare le materie prime utili a produrre nuovi prodotti di consumo. Il recupero della materia mediante riciclaggio e compostaggio permette, invece, di utilizzare più volte lo stesso materiale, ottenendo vantaggi energetici da 3 a 5 volte superiori. EFFETTI SULLA SALUTE UMANA DEGLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO DI RIFIUTI: COSA EMERGE DALLO STUDIO SU FORLI ( Questa notizia è stata tratta da: Abstract Nelle popolazioni esposte alle emissioni di inquinanti provenienti da inceneritori sono stati segnalati numerosi effetti avversi sulla salute sia neoplastici che non. Fra questi ultimi si annoverano: incremento dei nati femmine e parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, diabete, ischemie, problemi comportamentali, patologie polmonari croniche aspecifiche, bronchiti, allergie, disturbi nell infanzia. Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro: segnalati aumenti di: cancro al fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella. Particolarmente significativa risulta l associazione per cancro al polmone, linfomi non Hodgkin,
3 neoplasie infantili e soprattutto sarcomi, patologia sentinella dell inquinamento da inceneritori. Studi condotti in Francia ed in Italia hanno evidenziato inoltre conseguenze particolarmente rilevanti nel sesso femminile. I rischi per salute sopra riportati sono assolutamente ingiustificati in quanto esistono tecniche di gestione dei rifiuti, alternative all incenerimento, già ampiamente sperimentate e prive di effetti nocivi. Premessa Gli impianti di incenerimento rientrano fra le industrie insalubri di classe I in base all articolo 216 del testo unico delle Leggi sanitarie (G.U. n. 220 del 20/09/1994, s.o.n.129) e qualunque sia la tipologia adottata (a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante) e qualunque sia il materiale destinato alla combustione (rifiuti urbani, tossici, ospedalieri, industriali, ecc) danno origine a diverse migliaia di sostanze inquinanti, di cui solo il 10-20% è conosciuto. La formazione di tali inquinanti dipende, oltre che dal materiale combusto, dalla mescolanza assolutamente casuale delle sostanze nei forni, dalle temperature di combustione e soprattutto dalle variazioni delle temperature stesse che si realizzano nei diversi comparti degli impianti, come è stato descritto anche recentemente (1). Fra gli inquinanti emessi dagli inceneritori possiamo distinguere le seguenti grandi categorie: Particolato grossolano (PM10), fine (PM2.5) ed ultrafine ( inferiore al 1 micron) metalli pesanti, diossine, composti organici volatili, ossidi di azoto ed ozono. Si tratta in molti casi di sostanze estremamente tossiche, persistenti, bioaccumulabili; in particolare si riscontrano: Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nichel, Benzene,Piombo, Diossine, Dibenzofurani, Policlorobifenili, Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) ecc. Le conseguenze che ciascuno di essi, a dosi anche estremamente basse, esercita sulla salute umana sono documentate da una vastissima letteratura e nuovi effetti sono stati descritti recentemente per molti di essi ( ). Tali effetti possono essere diversi e più gravi in relazione alla predisposizione individuale e alle varie fasi della vita e sono soprattutto pericolosi per gli organismi in accrescimento, i feti e i neonati (8-9). Metalli pesanti e diossine rappresentano le due categorie più note e studiate di inquinamento prodotto da inceneritori, anche se un recente articolo (10) richiama l attenzione anche sulla pericolosità del particolato ultra fine che si origina dagli inceneritori. I metalli pesanti sono considerati un tracciante specifico dell inquinamento di tali impianti (11): anche il recente studio Patos (12) della regione Toscana che ha raccolto e tipizzato il particolato atmosferico di diverse centraline dislocate nel territorio attribuisce la maggior variabilità di metalli pesanti riscontrata a Montale, territorio rurale, proprio alla presenza di un impianto di incenerimento per varie tipologie di rifiuti. Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nickel, sono cancerogeni certi (IARC 1) per polmone, vescica, rene, colon, prostata; Mercurio e Piombo sono classificati con minor evidenza dalla IARC (livello 2B) ed.. continua >> (10 pagine in PDF) %20incenerimento%20di%20rifiuti.pdf Risoluzione ISDE Italia sull incenerimento dei rifiuti Associazione Medici per l Ambiente ISDE Italia affiliato a International Society of Doctors for the Environment INCENERIMENTO DEI RIFIUTI L Associazione dei Medici Per l Ambiente (ISDE Italia) è fortemente preoccupata in merito all incremento dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) tramite incenerimento, che si sta proponendo nel nostro paese, sia con la costruzione di nuovi impianti, sia con l ampliamento di quelli esistenti. Lo smaltimento dei rifiuti esige, innanzi tutto, una seria politica delle R come Razionalizzazione, Riduzione della produzione, Raccolta differenziata, Riciclaggio, Riuso, Riparazione, Recupero. Solo dopo aver attuato tutti i punti precedenti, si potrà eventualmente valutare correttamente la migliore tecnica impiantistica per lo smaltimento della frazione residua scelta tra i sistemi che garantiscono meglio salute umana ed ambiente (pensare al trattamento con recupero energetico dell esigua frazione residua). Solo con questa politica, oltre a ridurre i costi economici, si possono ottenere impatti ambientali e sanitari inferiori a quelli prodotti dagli inceneritori e dalle discariche. L incenerimento degli RSU è, fra tutte le tecnologie, la meno rispettosa dell ambiente e della
4 salute. E inevitabile la produzione di ceneri (che rappresentano circa 1/3 in peso dei rifiuti in ingresso e devono essere smaltite in discariche speciali) e l immissione sistematica e continua nell atmosfera per ogni inceneritore di enormi quantità di fumi inquinanti e, in particolare, di particolato fine (PM10) e soprattutto ultrafine (PM2.5 0,1): la frazione più pericolosa di tale particolato è quella costituita dalle sua frazione ultrafine, le cosiddette nanoparticelle, aggregati di diametro variabile tra 1 e 25 nanometri costituiti da centinaia o migliaia di atomi. La loro pericolosità è essenzialmente legata alla capacità di penetrare in tutti i tessuti, le cellule e i nuclei degli organismi viventi; di veicolare in essi alcune tra le sostanze (geno)tossiche e cancerogene prodotte negli inceneritori (metalli pesanti, idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, diossine e furani, ecc.) che tendono a persistere ed accumulasi per anni negli organismi viventi. Inoltre gli inceneritori contribuiscono in misura notevole all effetto serra. La combustione trasforma infatti anche i rifiuti relativamente innocui quali imballaggi e scarti di cibo in composti tossici e pericolosi sotto forma di emissioni gassose, polveri fini, ceneri volatili e ceneri residue che richiedono costosi sistemi per la neutralizzazione e lo stoccaggio. Per noi, Medici per l Ambiente, è prioritario pensare agli effetti sugli esseri umani più fragili, perché già malati, o più suscettibili come bambini, donne in gravidanza, anziani. Il rischio non è solo riferibile ad una maggiore incidenza di tumori (già segnalata), ma anche ad altre problematiche quali: incremento dei ricoveri e della mortalità per cause respiratorie e cardiocircolatorie, alterazioni endocrine, immunitarie e neurologiche. Si ribadisce che in problematiche così importanti e complesse devono sempre essere privilegiate le scelte che si ispirano al principio di precauzione, alla tutela e salvaguardia dell ambiente, consci che la nostra salute e quella delle future generazioni è ad esso indissolubilmente legata (come le drammatiche esperienze su amianto, benzene, piombo e polveri fini dovrebbero averci insegnato). L Associazione Medici per l Ambiente chiede che: Venga istituita immediatamente una moratoria sui progetti di termodistruzione (o termovalorizzazione) in corso; Venga incentivata economicamente la politica delle R ; A cura delle Autorità competenti, vi sia una efficiente ed efficace azione di verifica e controllo, in continuo, dei possibili inquinanti (al camino, aria, terra e falde acquifere) per gli impianti già in funzione e che questi controlli siano simultaneamente affiancate da rigorosi monitoraggi sanitari delle popolazioni già potenzialmente esposte; Siano istituzionalizzati i Garanti delle popolazioni che dovranno conoscere in tempo reale i risultati delle campagne ambientali, sanitarie e l andamento delle misurazioni di tutte le possibili emissioni causate dal sistema di smaltimento operante, al fine di proporre tempestive soluzioni. TUTTI GLI ESSERI UMANI SONO RESPONSABILI DELL AMBIENTE, I MEDICI LO SONO DUE VOLTE! Fonte. ISDE Inquinamento causa danni al Dna del feto Di Paola Pagliaro (
5 Uno studio sugli effetti della combustione degli inquinanti atmosferici nella città di New York rivela che i bambini nel grembo materno sono più sensibili rispetto alle loro madri ai danni provocati da tale inquinamento. Nonostante la protezione fornita dalla placenta, che riduce la dose fetale a circa un decimo della dose della madre, i livelli di danni al DNA nei neonati sono stati simili a quelli riscontrati nelle loro madri. Il macrostudio è stato finanziato dal National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), dal National Institutes of Health e dalla US Environmental Protection Agency, oltre ad una serie di fondazioni private. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Health Perspective. Questi risultati sono particolarmente importanti in quanto elementi di prova che confermano precedenti studi su topi di laboratorio, studi che avevano suggerito che il feto fosse più sensibile agli effetti cancerogeni degli stessi inquinanti rispetto agli adulti. Lo studio è stato effettuato per misurare gli effetti dell esposizione prenatale e materna alla combustione delle sostanze inquinanti, note come idrocarburi, e le conseguenze per il DNA. Gli idrocarburi sono inquinanti atmosferici cancerogeni che vengono rilasciati nell ambiente a seguito della combustione da auto, camion, autobus o motori, consumi residenziali, riscaldamento, energia elettrica, o ancora dal fumo di tabacco. Secondo i ricercatori, questi inquinanti sono in grado di attraversare la barriera placentare. Gli studiosi hanno prelevato campioni di sangue da 265 coppie di madri e neonati che vivono nella città di New York. Le madri erano tutte non fumatrici. I ricercatori hanno poi analizzato i campioni per la presenza di due importanti biomarcatori cancerogeni, che testimoniano solitamente il rischio di cancro per l organismo. Nonostante la percentuale dieci volte più bassa della dose di sostanze inquinanti per il feto rispetto alla madre, i ricercatori hanno constatato che i livelli di danni al DNA sono stati paragonabili nei neonati a quelli delle madri. I risultati di questo studio sono coerenti con quelli di un analoga ricerca condotta da ricercatori polacchi a Cracovia. Come dichiarato da Frederica P. Perera, direttore del Columbia Center for Children s Environmental Health e autore dello studio: Questi risultati sollevano gravi preoccupazioni. La suscettibilità del feto a danni al DNA da inquinamento atmosferico, comprese le emissioni dei veicoli a motore e il fumo passivo, ha importanti implicazioni per il rischio di cancro, sottolineando l importanza di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico nelle città. Donne in gravidanza e inquinamento ( In seguito a un'indagine condotta da Greenpeace su alcune donne in gravidanza, nel sangue del cordone ombelicale e nel liquido amniotico sono state rinvenute delle sostanze potenzialmente tossiche, capaci di attraversare la placenta, e che di conseguenza potrebbero mettere a rischio lo sviluppo del feto. L'obiettivo di Greenpeace è stato quello di approfondire è raccogliere nuovi dati relativi agli effetti dell'inquinamento sull'uomo, in questo specifico caso si sono esaminati nuovi dati relativi alla presenza di alcuni contaminanti ambientali nel sangue di donne in gravidanza. Le analisi, eseguite
6 presso un laboratorio olandese, hanno riscontrato nel sangue delle donne in gravidanza la presenza di ftalati, ritardanti di fiamma e muschi artificiali, impiegati quali additivi nei beni di consumo. I dati, una volta esaminati con attenzione sono stati pubblicati in un rapporto dal nome "La chimica in grembo", successivamente sono stati consegnati da Greenpeace all'ospedale Fatebenefratelli all'isola Tiberina (Roma). Vittoria Polidori, una delle volontarie che si sono sottoposte alle analisi del sangue e responsabile della Campagna Inquinamento Greenpeace, spiega che i dati raccolti sono la dimostrazione che i sistemi di controllo attuali, che dovrebbero regolamentare le sostanze chimiche potenzialmente pericolose, non sono adeguati. Quello che chiede Greenpeace è di obbligare attraverso delle leggi apposite la sostituzione dei composti dannosi per l'uomo e per l'ambiente quando sussiste la disponibilità di sostanze alternative più sicure. Questo rapporto è stato presentato in questi giorni perché presso l'unione europea è in corso la revisione della normativa sulle sostanze chimiche, definita REACH (Registrazione, Valutazione ed Autorizzazione delle Sostanze Chimiche), quest'ultima se opportunamente rinforzata potrebbe essere lo strumento giusto per la tutela dell'ambiente e dell'uomo. Purtroppo sembra che con il tempo, in seguito a numerose azioni di indebolimento da parte di potenti lobby, il testo originariamente proposto è stato man mano indebolito e oggi è una delle proposte di legge fra le più dibattute nella storia dell'unione Europea. Gli inquinanti rinvenuti nelle gestanti potrebbero avere un impatto negativo sul sistema ormonale che in determinati condizioni giocherebbero un ruolo critico nel controllo della crescita nei primi stadi di vita e quindi causare effetti irreversibili sullo sviluppo del bambino. Secondo gli esperti determinate patologie non si riscontrerebbero subito ma potrebbero insorgere solo diversi anni dopo l'esposizione chimica. Il professore Pietro Quattrocchi, presidente del Comitato Etico dell'ospedale Fatebenefratelli, spiega che iniziative come queste possono aiutare a rinforzare l'imperativo etico di coniugare la cura delle fonti della vita con la cura dell'ambiente. Il documento di Greenpeace è particolarmente importante soprattutto perché ancora una volta evidenzia l'importanza di un'azione preventiva che permetterebbe di agire prima che il danno, molte volte irreversibile, sia fatto.
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