dott.ssa Manuela Arrigucci

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1 *A cura dell Ufficio stampa Sentenza 106/2008/A II SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO composta dai seguenti magistrati: dott. Tommaso de Pascalis Presidente dott. Angelo Antonio Parente Consigliere dott. Stefano Imperiali Consigliere dott.ssa Manuela Arrigucci Consigliere dott. Cesare Vetrella Consigliere Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità in appello iscritto al n /R del Registro di Segreteria CONTRO il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale Regionale del Lazio; PROMOSSO dal Sig. G. D. - nato il xxx a xx - rappresentato e difeso dall'avv. Giulio Pizzuti, presso il cui studio legale in Roma, via Ottorino Lazzaroni, n. 19, è elettivamente domiciliato; AVVERSO la Sentenza n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004 della Sezione Giurisdizionale Regionale del Lazio; VISTI gli atti ed i documenti tutti della causa; UDITI nella pubblica Udienza del 29 gennaio tenuta con l'assistenza del Segretario, Sig.ra Laura Ricciotti - il Relatore, Cons. Dott. Cesare Vetrella; il P.M. nella persona del Vice Procuratore Generale, Dott. Antonio Galeota; e l'avv. Giulio Pizzuti, per conto del predetto Sig. D.; Ritenuto in FATTO Con Sentenza n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004 la Sezione Giurisdizionale Regionale del Lazio ha condannato il Sig. G. D., il Sig. A. P., il Sig. G. P. ed il Sig. M. M. (nella qualità di funzionari dell'inps) al pagamento, in favore del menzionato Ente,, in solido ed in parti uguali tra loro, della somma complessiva di Euro ,15, di cui Euro ,15 (più rivalutazione monetaria dalla data dell'evento dannoso, precisata in quella del 30 aprile 1994, e fino alla data di pubblicazione della stessa Sentenza, dalla quale sono dovuti anche gli interessi legali fino all'effettivo soddisfo) per il danno patrimoniale in senso stretto, ed Euro ,00 (più gli interessi legali dalla data di pubblicazione della stessa Sentenza fino all'effettivo soddisfo) per il danno all'immagine ed al prestigio arrecato al predetto Ente. Ante causam - su richiesta del P.M., contestualmente alla formalizzazione dell'invito a dedurre rivolto ai predetti interessati - il Presidente della Sez. Giurisd. Reg. Lazio con Decreto del 19 marzo 2002 ha autorizzato il Sequestro conservativo sui beni dei citati interessati. Con Ordinanza del 21 maggio 2002 il Giudice Designato ha confermato parzialmente il disposto Sequestro conservativo, revocando il sequestro autorizzato sui beni immobili del Sig. D. ed assentendo, nei limiti di un quinto, al sequestro delle somme spettanti ai medesimi interessati a titolo di indennità di fine rapporto e di trattamento pensionistico e, per il solo Sig. P., a titolo di indennità una tantum. Nel corso del giudizio di primo grado con Ordinanza n. 229/2003/R del 31 marzo/7 aprile 2003 la Sez. Giurisd. Reg. Lazio ha disposto che l'inps fornisse chiarimenti sull'esatto ammontare del danno patrimoniale subito e sulla quota di danno attribuibile al Sig. D.. L'INPS ha ottemperato alla predetta Ordinanza con note n /13555 del 26 giugno 2003 e n /13555 del 14 novembre 2003, facendo presente - in particolare - che, contrariamente a quanto si afferma nella Sentenza emessa il 12 gennaio 2001 dal Tribunale di Roma, il sunnominato non ha risarcito il danno all'inps (eccezione fatta per il recupero di un quinto sulla pensione tuttora in corso), bensì ha restituito ai corruttori le somme che costoro gli avevano consegnato. La condanna disposta con la indicata Sentenza n. 3104/2004/R è intervenuta - sulla base di due Relazioni ispettive del 4 maggio e del 23 settembre 1994 ed a seguito della Sentenza del 12 gennaio 2001 della X Sezione del Tribunale Penale di Roma di condanna degli interessati a pene detentive ed al risarcimento dei danni causati all'inps (il giudizio a carico

2 del Sig. P. si è concluso definitivamente con Sentenza della Corte di Cassazione) - in relazione al danno scaturito dal fatto che i citati funzionari dell'inps (in servizio presso le Sedi INPS di Omissis e, per quanto riguarda il Sig. D., di omissis, Via omissis) - agendo con dolo ed in concorso tra loro - hanno contribuito a falsificare, negli anni dal xx al xx, numerose posizioni assicurative con l'inserimento di situazioni contributive in tutto od in parte false, attraverso un uso abusivo e scorretto del Sistema Informatico dell'inps, causando indebiti esborsi a carico del bilancio di tale Ente ed un conseguente rilevante danno economico, diretto ed indiretto, all'istituto di cui erano dipendenti, valutato dalla Procura Regionale del Lazio in complessivi Euro ,00, di cui Euro ,00 per danno all'immagine ed al prestigio della P.A.. Avverso la riferita Sentenza, con Atto depositato il 12 aprile 2005 ha proposto appello soltanto il Sig. G. D., il quale ha provveduto a notificare il proprio gravame ai restanti soccombenti in primo grado, adempiendo, così, all'onere di comunicazione della litis denuntiatio. L'appellante ha eccepito - innanzitutto - che il Giudice di primo grado ha ritenuto irrilevanti sia la dichiarazione dell'inps (del 19 novembre 1998) di conferma della estinzione del debito da parte del (Sig.) D., sia la Sentenza del Tribunale Penale del 12 gennaio 2001 che conferma la suddetta estinzione. A quest'ultimo riguardo la difesa del ricorrente ha fatto presente che - mentre la Sentenza penale, nel condannare i quattro interessati a pene detentive ed a pagare alla parte civile il risarcimento dei danni causati, ha precisato che è escluso il solo (Sig.) D., che, come chiarito dalla parte civile, ha già risarcito il danno - la Sentenza appellata ha ritenuto - invece - che è escluso che gli effetti del pronunciamento penale si possano riferire anche alle connesse statuizioni civili, tenuto, peraltro, conto che la norma di cui all'art. 651 c.p.p. richiamata dall'interessato opera solamente in caso di Sentenze penali passate in giudicato, e che la decisione penale in questione è ancora sub iudicio, essendo in corso il processo d'appello. A parere della difesa dell'appellante la Sentenza del Tribunale Penale non definitiva, ma non appellata sul punto dall'inps, costituisce giudicato sull'avvenuto risarcimento del danno da parte del (Sig.) D. (il quale), quindi, non può essere condannato a rifondere un danno già riconosciuto come risarcito (tranne, al più, per quanto si riferisce al Sig. D.). La difesa del ricorrente ha fatto, inoltre, presente che - mentre esiste agli atti la dichiarazione (del 19 novembre 1998) della Direzione della sede di omissis dell'inps, che contiene la precisazione che la Direzione Centrale Risorse Umane/Ufficio Disciplina ha dichiarato che risultava confermata l'estinzione del suo (cioè del Sig. D.) debito personale (salvo attendere l'esito del procedimento penale a carico del Sig. D., che avrebbe causato all'istituto un danno pari a Lire ) - secondo il Giudice di prima istanza tale dichiarazione sarebbe smentita dalla nota del 26 giugno 2003 inviata dall'inps a seguito di Ordinanza istruttoria, nella quale si afferma che il (Sig.) D. non avrebbe mai risarcito l'istituto (a parte i provvedimenti cautelari attivati nei suoi confronti), ma solo i suoi corruttori. A parere della difesa dell'appellante la riferita nota del 2003 non solo è smentita dalla citata Sentenza del 12 gennaio 2001, ma afferma cose fuori logica, tenuto conto - in particolare - che non si vede per quale ragione l'inps in sede penale avrebbe dichiarato che il (Sig.) D. aveva risarcito il danno, se così non fosse stato e che non ha senso l'affermazione che le somme ricevute dal (Sig.) D. sarebbero state, in realtà, versate alle persone beneficiarie degli illeciti accrediti di contributi, osservando - inoltre - che dal momento che sul trattamento economico spettante al ricorrente è stata operata la trattenuta del quinto ed, in più, gli è stato sequestrato il trattamento di fine rapporto e la successiva liquidazione, appare del tutto ovvio che l'inps nella nota del novembre 1998 abbia dichiarato che il (Sig. ) D. aveva estinto il suo debito personale, anche perché nei confronti del (Sig.) D. sono state recuperate e vengono recuperate somme notevolmente superiori al dovuto. L'appellante ha eccepito - poi - la prescrizione quinquennale, facendo presente che, nel respingere la stessa eccezione, nel giudizio di primo grado non si è rilevato - come risulta dalla Sentenza emessa dal Tribunale Penale di Roma del 12 gennaio che, a seguito del rinvio a giudizio, soltanto per uno dei soggetti indicati nella Sentenza che si impugna (B. M. D.) è stata indebitamente erogata la pensione, per cui al più, quindi, il danno da risarcire sarebbe limitato alla posizione della Sig.ra B. M. D.. Ancora. Dopo aver ritenuto non condivisibile il fatto che la Sentenza di primo grado ha

3 stralciato la posizione riguardante i Signori P. e D. (perché ciò equivale a porre a carico del solo D. il risarcimento di danni determinati anche dagli altri convenuti ), l'appellante ha osservato che la somma di Lire detratta dal Giudice di primo grado dal residuo debito di tutti i convenuti si riferisce - come si legge anche nella Sentenza impugnata - (a) posizioni assicurative oggetto di altro giudizio di responsabilità a carico del (Sig.) D., per cui tale somma non poteva essere detratta a favore di tutti e quattro i convenuti, ma essa va detratta in favore del (solo Sig.) D.. La difesa dell'appellante ha, infine, contestato la condanna per danno all'immagine ed al prestigio dell'inps, in quanto tale condanna viene a sostanziarsi in una sanzione aggiuntiva non prevista da nessuna norma. In merito a tale partita di danno la predetta difesa ha affermato - in particolare - che l'inps è un Ente Pubblico che esercita funzioni predeterminate e necessarie, in regime di non concorrenza ed assolve necessità primarie ed inderogabili che non possono ritenersi lese e/o menomate dal comportamento scorretto dei suoi dipendenti, i quali possono essere solo soggetti ad azioni disciplinari e di recupero dei danni materiali dagli stessi arrecati. A tutto voler concedere - ha ancora sostenuto la difesa dell'appellante - non si comprende come un danno morale (più propriamente danno all'immagine ed al prestigio dell'inps ) che sarebbe stato prodotto da una molteplicità di dipendenti possa essere accollato ai solo quattro impiegati convenuti nel giudizio in questione, oltre al fatto che chi aveva il compito di vigilare per anni non si è accorto di nulla. In conclusione, la difesa dell'appellante ha chiesto: 1) di accogliere l'appello, dichiarando che il Sig. D. ha risarcito tutti i danni fin dal 18 novembre 1998, o - in estremo subordine - dal 12 gennaio 2001, ed ordinando all'inps di restituire tutte le somme trattenute, con interessi di legge; 2) di accogliere, in subordine, l'eccezione di prescrizione; 3) di escludere dal giudizio solo la posizione del Sig. B.; 4) di escludere la somma di Lire , oggetto di altro giudizio a carico dello stesso Sig. D.; 5) di escludere il risarcimento per danno all'immagine ed al prestigio dell'inps, o - in estremo subordine - ridurre congruamente la misura a carico del Sig. D.; 6) di ordinare all'inps - in via istruttoria - di produrre i conteggi in base ai quali si è pervenuti alla determinazione del danno riguardante la posizione dei Signori C., F., B., C. S., T., D. e P.; 7) di ordinare all'inps - sempre in via istruttoria - di produrre un riepilogo delle somme trattenute sullo stipendio e sul trattamento di pensione del Sig. D.. Con Atto depositato il 16 maggio 2007 la Procura Generale preso la Corte dei conti ha rassegnato le conclusioni in merito al predetto appello. Quanto al primo motivo di appello, la Procura Generale - richiamando giurisprudenza della Corte di Cassazione e delle SS.RR. in sede giurisdizionale della Corte dei conti - ha fatto presente che il risarcimento del danno avvenuto in sede penale non implica l'inibitoria dell'atto di citazione innanzi alla Corte dei conti, salvo, comunque, il divieto di duplicare la pretesa creditoria nella fase esecutiva (divieto del ne bis in idem sostanziale) ovvero di agire per la seconda volta innanzi allo stesso Giudice per pretendere la reiterazione di un titolo giuridico già definito (divieto del ne bis in idem processuale). Apprezzato il tentativo della difesa dell'appellante di rilevare alcune contraddittorietà nella motivazione della Sentenza impugnata, la Procura Erariale ha segnalato che nel caso di specie non ricorre né la duplicazione dell'azione riparatoria né la sovrapposizione delle pretese patrimoniali, ed ha osservato che eventuali detrazioni della pretesa creditoria potranno essere legittimamente invocate nella fase dell'esecuzione del titolo risarcitorio derivante dalla condanna definitiva ed irrevocabile. In merito alla eccezione di decorrenza della prescrizione quinquennale la Procura Generale ha sostenuto che la stessa non può essere accolta. Richiamata la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti e fatto presente che per il fatto dannoso non può intendersi il fatto condotta, ma il fatto evento, la Procura ha osservato che l' esordio della prescrizione ha inizio dal momento della realizzazione dell'evento, e cioè dal momento del verificarsi del danno effettivo (e non putativo), con i suoi connotati di certezza, di concretezza ed attualità patrimoniale, ritenendo, inoltre, che, quando l'esordio della prescrizione è collegato ad un fatto reato, si deve tenere conto o del

4 tempo della scoperta dell'illecito o del momento in cui l'a.g.o. ha dichiarato con Sentenza irrevocabile la responsabilità penale del reo e che il decorso del termine prescrizionale è interrotto dalla costituzione di parte civile dell'ente Pubblico danneggiato. Quanto - poi - al terzo ed al quarto motivo di appello ( Esclusione di posizioni e Deduzione della somma di Lire ), le relative censure, avanzate - a parere della Procura Erariale - con intento genericamente critico o apertamente sviante, sono da ritenere - sempre a parere della Procura - palesemente infondate e, quindi, inaccoglibili. In merito - infine - all'ultimo motivo d'appello ( danno all'immagine ed al prestigio dell'inps ), la Procura ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha ribadito, anche di recente, la giurisdizione della Corte dei conti, non solo in materia di danno erariale in senso stretto, ma anche per quanto attiene al danno conseguente alla lesione dell'immagine dell'ente Pubblico ed alla sua perdita di prestigio, affermando che la compromissione dell'immagine pubblica costituisce danno patrimoniale indiretto, determinabile con criteri equitativi. In conclusione, la Procura Generale ha chiesto il rigetto dell'appello, con la conferma della piena responsabilità dell'appellante e la condanna dello stesso alle spese per il secondo grado di giudizio. Con una Breve Nota depositata il 29 maggio 2007 la difesa del Sig. D. - dopo aver affermato che l'appellante è stato chiamato a rispondere di colpe solo in minima parte sue - ha osservato, in particolare, che gli illeciti accertati non potevano non coinvolgere, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, l'intera struttura, che, quanto meno, si è resa responsabile di omessa vigilanza, ribadendo che la Sentenza penale del 2001 non è stata appellata sul punto che esclude l'interessato dal risarcimento dei danni causati all'inps, per cui - sempre a giudizio della predetta difesa - è stato violato il principio del ne bis in idem.. Fatto presente - inoltre - che in base alla Sentenza impugnata il debito dell'appellante ammonta complessivamente ad Euro ,00 (di cui Euro ,00 per il danno diretto, corrispondente ad ¼ di Euro ,15, ed Euro ,00, per il danno non patrimoniale, corrispondente ad ¼ di Euro ,00), la difesa dell'appellante ha messo in evidenza che non è stato considerato che l'inps ha recuperato nei confronti del (Sig.) D. somme di molto superiori a quelle di cui alla condanna di primo grado, incamerando complessivamente Euro ,00, salvo errori e miglior conteggio : a) trattenendo l'intero trattamento di fine rapporto, pari a Lire (corrispondenti ad Euro ); b) operando il recupero sulla pensione, dal 1995 a tutt'oggi (nei limiti di 1/5), per un importo di Euro ,00; c) operando la trattenuta dell'intera indennità integrativa speciale, dal 1995 a tutt'oggi, per un importo di Euro 2.070,00 annue circa, per complessivi Euro ,00. In conclusione, la difesa del Sig. D. - ribadito quanto già rappresentato in ordine al danno all'immagine ed al prestigio dell'inps - ha insistito nelle conclusioni già formulate. Nell'Udienza pubblica tenuta il 29 gennaio 2008 il difensore dell'appellante ha ulteriormente argomentato a sostegno dell'accoglimento dell'appello ed ha contestato sia il danno patrimoniale in senso stretto (facendo presente - in particolare - che non si è mai riusciti ad ottenere da parte dell'inps la esatta situazione debitoria del Sig. D., per cui lascia perplesso il ripensamento di tale Ente con la nuova dichiarazione del 2003 rispetto a quella del 1998) e sia il danno all'immagine ed al prestigio dell'inps (facendo presente - in particolare - che tale danno è conseguenza del fenomeno truffaldino intervenuto all'interno dell'inps, che aveva assunto dimensioni notevoli in varie sedi - come può rilevarsi dal documento del gennaio xxx dello stesso INPS, depositato in Udienza - senza alcun intervento da parte di chi doveva vigilare). In conclusione, la difesa dell'appellante ha chiesto - in via principale - l'accoglimento dell'appello ed - in via subordinata - l'acquisizione di una perizia tecnica per accertare l'esatto danno subito dall'inps e quanto è effettivamente riferibile al Sig. D.. IL P.M., da parte sua, ha contestato - innanzitutto - l'eccezione di prescrizione formulata negli scritti dell'appellante (in merito alla quale - ha precisato - la difesa non ha fatto alcun cenno nell'odierno dibattimento) e si è opposto alla richiesta della perizia tecnica, facendo presente che in primo grado è stata già adottata una specifica Ordinanza istruttoria per accertare quanto ora viene nuovamente richiesto e mettendo in rilievo che, proprio a seguito della predetta Ordinanza, l'inps - dopo aver effettuato una apposita verifica interna -

5 ha precisato con la indicata nota del 2003 che il Sig. D. non aveva ancora risarcito il danno patrimoniale arrecato all'inps. Il P.M. ha, inoltre, osservato che il fatto che la Sentenza penale del 2001 non è stata appellata in merito agli aspetti dell'eventuale debito nei confronti dell'inps non ha alcuna rilevanza nel presente giudizio, che è chiamato a pronunciarsi su altri punti e su altri aspetti, ivi compreso il danno all'immagine ed al prestigio dell'inps, in merito al quale sono da respingere le osservazioni della difesa dell'appellante. In conclusione il P.M. ha chiesto il rigetto dell'appello sia per quanto riguarda il danno patrimoniale in senso stretto e sia per quanto riguarda il danno all'immagine ed al prestigio dell'inps, con la conseguente conferma della Sentenza appellata e con la condanna alle spese per il secondo grado di giudizio, rappresentando che, ove l'interessato ritenga di aver soddisfatto, in tutto od in parte, il proprio debito nei confronti dell'inps (cosa non dimostrata nel presente giudizio), potrà sempre farlo valere nella fase della esecuzione della sentenza di condanna. La causa è, quindi, passata in decisione. Considerato in DIRITTO I. PREMESSA La Sezione Giurisdizionale Regionale del Lazio con Sentenza n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004 ha condannato il Sig. G. D., il Sig. A. P., il Sig. G. P. ed il Sig. M. M. (nella qualità di funzionari dell'inps, in servizio presso le sedi INPS di Omissis e, per quanto riguarda il Sig. D., di omissis, via omissis) al pagamento, in favore di detto Ente, in solido ed in parti uguali tra loro, della somma complessiva di Euro ,15, di cui Euro ,15 (più rivalutazione monetaria dalla data dell'evento dannoso, precisata in quella del 30 aprile 1994, e fino alla data di pubblicazione della Sentenza, dalla quale sono dovuti anche gli interessi legali fino al soddisfo) per il danno patrimoniale in senso stretto, ed Euro ,00 (più interessi legali dalla data di pubblicazione della stessa Sentenza fino all'effettivo soddisfo) per il danno all'immagine ed al prestigio arrecato al menzionato Ente. La condanna in questione (intervenuta - come riferito in FATTO - dopo l'espletamento di un supplemento istruttorio disposto con Ordinanza n. 229/2003/R del 31 marzo /7 aprile 2003 ed il successivo adempimento fornito dall'inps con note del 26 giugno e del 14 novembre 2003) è stata disposta - come pure già riferito in FATTO - in relazione al danno scaturito dal fatto che i citati funzionari dell'inps (già condannati a pene detentive ed al risarcimento dei danni arrecati all'inps con Sentenza del 12 gennaio 2001 della X Sezione del Tribunale Penale di Roma), agendo con dolo ed in concorso tra loro, hanno contribuito a falsificare, negli anni dal 1992 al 1994, numerose posizioni assicurative con l'inserimento di situazioni contributive in tutto od in parte false, attraverso un uso abusivo e scorretto del Sistema Informatico dell'inps, causando indebiti esborsi ed un conseguente rilevante danno economico, diretto ed indiretto, all'istituto di cui erano dipendenti, valutato dalla Procura Regionale del Lazio in complessivi Euro ,00, di cui Euro ,00 per danno all'immagine ed al prestigio della P.A.. Avverso la riferita Sentenza ha proposto appello soltanto il Sig. G. D. (i cui beni, come quelli dei restanti soccombenti in primo grado, sono stati sottoposti a sequestro conservativo, confermato parzialmente dall'ordinanza del 21 maggio 2002 del Giudice Designato) con la presentazione dei seguenti motivi, specificatamente illustrati in FATTO: 1) mancata valutazione sia della dichiarazione dell'inps del 19 novembre 1998 di conferma dell'estinzione del debito da parte del Sig. D. e sia della Sentenza del Tribunale Penale di Roma del 12 gennaio 2001 di conferma della suddetta estinzione del debito, con violazione del principio del ne bis in idem ; 2) eccezione di prescrizione quinquennale; 3) esclusione dal giudizio della sola posizione assicurativa del Sig. B.; 4) esclusione della somma di Lire , oggetto di altro giudizio a carico dello stesso appellante; 5) non sussistenza del danno all'immagine ed al prestigio dell'inps. In conclusione, la difesa dell'appellante ha chiesto: a) di accogliere l'appello, dichiarando che il Sig. D. ha risarcito tutti i danni fin dal 18 novembre 1998, o - in subordine - dal 12 gennaio 2001, ed ordinando all'inps di restituire tutte le somme trattenute, con interessi di legge; b) di accogliere, in subordine, l'eccezione di prescrizione;

6 c) di escludere dal giudizio solo la posizione assicurativa del Sig. B.; d) di escludere, da quanto complessivamente dovuto, la somma di Lire , oggetto di altro giudizio a carico dello stesso Sig. D.; e) di escludere il risarcimento per danno all'immagine ed al prestigio dell'inps o - in estremo subordine - di ridurre congruamente la misura a carico del Sig. D.; f) di ordinare all'inps - in via istruttoria - di produrre i conteggi in base ai quali si è pervenuti alla determinazione del danno riguardante alcune posizioni assicurative; g) di ordinare all'inps - sempre in via istruttoria - di produrre un riepilogo delle somme trattenute sullo stipendio e sul trattamento di pensione del Sig. D.. La difesa dell'appellante ha, inoltre, segnalato che l'inps ha recuperato nei confronti del (Sig.) D. somme di molto superiori a quelle di cui alla condanna di primo grado, incamerando complessivamente Euro ,00, salvo errori e miglior conteggio. Nelle conclusioni rassegnate dalla Procura Generale presso la Corte dei conti e nella Udienza dibattimentale sono state contrastate tutte le argomentazioni e le richieste avanzate dalla difesa dell'appellante, chiedendo il rigetto dell'appello sia per quanto riguarda il danno patrimoniale in senso stretto e sia per quanto riguarda il danno all'immagine ed al prestigio dell'inps, con la conferma della piena responsabilità del Sig. D. e la condanna dello stesso alle spese per il secondo grado di giudizio. II. ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE DELL'AZIONE DI RESPONSABILITA' Premesso e richiamato quanto sopra, il Collegio ritiene di dover esaminare - innanzitutto - l'eccezione di prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità, sollevata dall'appellante anche in primo grado e già respinta in tale sede. Osservato che - così come in primo grado - tale eccezione è stata formulata ancora una volta in modo assolutamente generico e senza minimamente argomentare rispetto ai fondamentali e necessari termini temporali (come risulta del tutto evidente da quanto al riguardo riportato in FATTO), occorre mettere in rilievo che nei giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno arrecato, da parte dei dipendenti, degli amministratori e degli agenti pubblici, al patrimonio delle Amministrazioni pubbliche, la disciplina vigente è recata dall'art. 3, comma 1, lettera b), del Decreto Legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, che ha modificato la disposizione contenuta in materia nell'articolo 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Al predetto comma 1 dell'articolo 3 del D.L. n. 543/1996 sono da aggiungere il comma 2 bis ed il comma 2 ter introdotti dalla citata legge di conversione n. 639/1996, che disciplinano il periodo transitorio per l'applicazione della nuova normativa in materia. Le citate disposizioni prevedono: a) che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (comma 2); b) che per i fatti verificatisi anteriormente alla data del 15 novembre 1993 e per i quali stia decorrendo un termine di prescrizione decennale, la prescrizione si compie entro il 31 dicembre 1998, ovvero nel più breve termine dato dal compiersi del decennio (comma 2 ter, riguardante gli amministratori ed i dipendenti statali); c) e che la prescrizione si compie entro cinque anni ai sensi del comma 2 e comunque non prima del 31 dicembre 1996 (comma 2 bis, riguardante altri amministratori e dipendenti pubblici). Terminato il periodo transitorio di cui al citato comma 2 ter e 2 bis, la nuova riportata disciplina in materia di prescrizione dispone - quindi - che nei confronti dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti il diritto al risarcimento del danno si prescrive, in ogni caso, in 5 anni a decorrere dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, e che nel caso in cui vi sia stato occultamento doloso del danno la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta (comma 2). Riportata la normativa vigente in materia, occorre, poi, individuare, nel caso di specie, il dies a quo dal quale è iniziato a decorrere il detto termine prescrizionale quinquennale. Al riguardo, la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti ha ritenuto che nella fattispecie del danno di durata - che attiene al pregiudizio economico negativo nel tempo nel caso di pagamenti effettuati dalla Amministrazione Pubblica - il dies a quo del termine prescrizionale comincia a decorrere da quando si è attualizzato e materializzato detto pregiudizio economico per la Pubblica Amministrazione e, quindi, il preteso danno erariale. In termini, va richiamata la Sentenza n. 7/SS.RR./2000/Q.M. del 22 marzo/24 maggio

7 2000 delle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, in base alla quale nel caso di danno per erogazione di una somma di denaro la prescrizione comincia a decorrere dal pagamento : Ancora più di recente - ed in particolare per quanto riguarda il c.d. danno indiretto - le Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti con Sentenza n. 3/2003/QM del 30 ottobre 2002/15 gennaio 2003 hanno precisato che in ipotesi di danno c.d. indiretto il termine iniziale della prescrizione va fissato alla data in cui il debito della P.A. nei confronti del terzo danneggiato è divenuto certo, liquido ed esigibile in conseguenza del passaggio in giudicato della Sentenza di condanna della P.A. e della esecutività della transazione tra terzo e P.A.. In sostanza, in coerenza con il principio di effettività e di concretezza del danno risarcibile e tenuto conto che - come correttamente osservato dalla Procura Generale - per fatto dannoso non può intendersi il fatto condotta, ma il fatto evento, si deve ritenere - convenendo ancora con la predetta Procura - che l' esordio della prescrizione ha inizio dal momento del verificarsi del danno effettivo (e non putativo), con i suoi connotati di certezza, di concretezza e di attualità patrimoniale, sottolineando, inoltre, che quando l'esordio della prescrizione è collegato ad un fatto reato, si deve tenere conto o del tempo della scoperta dell'illecito o del momento in cui il Giudice penale ha dichiarato con Sentenza irrevocabile la responsabilità penale del convenuto, e che, in ogni caso, il decorso del termine prescrizionale è interrotto sia dalla costituzione di parte civile nel processo penale dell'amministrazione Pubblica danneggiata e sia dalla formalizzazione da parte del P.M. erariale dell'invito a dedurre nei confronti dello stesso convenuto (in termini, cfr. tra le tante, Corte dei conti: I Sez. Giurisd. Centrale d'appello, Sent. n. 40/2003, Sent. n. 80/2003, Sent. n. 329/2003, Sent. n. 348/2004, ecc. ; II Sez. Giurisd. Centrale d'appello, Sent. n. 134/2000, Sent. n. 86/2002, Sent. n. 184/2003, Sent. n. 284/2003, Sent. n. 326/2003, Sent. n. 195/2004, Sent. n. 198/2004, ecc. ; III Sez. Giurisd. Centrale d'appello, Sent. n. 38/2002, ecc.). Nella fattispecie in esame, la effettiva connotazione di tutti i predetti caratteri necessari a detti fini (e cioè - si ripete - obiettiva conoscibilità, materialità, attualizzazione ed antigiuridicità) è sorta - in buona sostanza e nella effettiva concretezza - soltanto allorché il comportamento illecito occulto dell'appellante (ed il conseguente danno), oltre ad essere scoperto, è diventato effettivo e concreto, venendo ad obiettiva, reale e concreta affermazione e conoscibilità a seguito della Sentenza penale di condanna del 12 gennaio 2001 della X Sezione del Tribunale Penale di Roma (e del suo passaggio in giudicato), con la quale il Sig. D. è stato condannato - unitamente agli altri imputati in precedenza indicati - a pene detentive ed al risarcimento dei danni all'inps per i fatti di cui è causa anche nel presente giudizio (in termini, cfr. citate Sentenze delle Sezioni Giurisdizionali Centrali d'appello della Corte dei conti). In sostanza, così come affermato dal Giudice di primo grado nella Sentenza impugnata, occorre convenire che - anche se i fatti materiali causativi di danno si sono verificati negli anni 1993/1994 -, tuttavia,: a) nel gennaio 1996 (cioè ben prima del compiersi del termine quinquennale) è intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio del convenuto nella sede penale per gli stessi fatti oggetto della vertenza contabile odierna; b) il 31 maggio 1996 è stato disposto il rinvio a giudizio; c) l'inps, Ente danneggiato, si è regolarmente costituito parte civile nel processo penale (interrompendo in tal modo il decorso del quinquennio); d) processo che si è concluso in prime cure - per il Sig. D. - con la Sentenza del 12 gennaio 2001, per la quale pende appello. Messo in rilievo ancora che la giurisprudenza costante della Corte dei conti ritiene che la costituzione di parte civile dell'amministrazione interrompe il termine di prescrizione del diritto al riconoscimento del danno; termine che decorre ex novo dalla data del passaggio in giudicato della relativa Sentenza penale, il primo Giudice (con il quale si conviene pienamente) ha concluso sul punto precisando che in ogni caso - ed a tutto voler concedere - il decorso della prescrizione non potrebbe comunque essere ripreso se non dal 13 gennaio 2001 (giorno successivo alla pubblicazione della Sentenza penale) e che, pertanto, non vi è dubbio alcuno che anche in tale ipotesi il ricorso per sequestro conservativo e contestuale invito a dedurre del Procuratore Regionale, notificato nel marzo del 2002 al convenuto (cioè solo un anno dopo) sarebbe (è) ampiamente tempestivo, come pure l'atto di Citazione (di soli tre mesi posteriore) : In relazione a tutto quanto sopra espresso, il Collegio ritiene - in conclusione - che nel

8 caso di specie il dies a quo da cui è cominciato a decorrere il termine prescrizionale non era ancora scaduto alla data dell'atto di Citazione formalizzato dalla Procura Regionale del Lazio nei confronti del Sig. D.. L'eccezione di prescrizione in esame va, pertanto, respinta. III. MERITO Risolta, in via preliminare, la predetta eccezione di prescrizione, passando al merito della causa, il Collegio, nell'affrontare la fattispecie concreta del presente giudizio, ritiene opportuno segnalare che dalle norme contenute nella vigente normativa in materia, (recata, da ultimo, dall'articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142, ora art. 93 del T.U. n. 267 del 18 luglio 2000; dall'articolo 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19; dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20; e dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639) risulta ben evidente che l'istituto della responsabilità amministrativa contabile è attualmente disciplinato da un ordinamento di settore con regole proprie e caratteristiche proprie definite dal legislatore, che non vanno considerate eccezioni alla regola generale, ma connotati suoi propri, e che vanno ad incidere sul concetto stesso di danno e di bene pubblico, che ora deve essere correttamente inteso nel significato più ampio del c.d. danno erariale, ovvero di danno patrimoniale in senso ampio, per abbracciare in sé ogni forma di lesione ad utilità economicamente apprezzabile a carico della P.A., purchè tale riconosciuta dal diritto positivo in capo ai singoli soggetti pubblici od a partecipazione pubblica. La conseguenza di tale impostazione è che la giurisprudenza della Corte dei conti deve essere ora più correttamente qualificata come preordinata alla tutela dell'interesse generale, alla conservazione ed alla corretta gestione dei mezzi economici dell'azione amministrativa pubblica, laddove nel concetto di mezzi economici sono incluse tutte le utilità protette e le risorse costituite dal danaro e da beni fisici, da diritti reali o di credito e dai diritti su ogni altra utilità rivestita di valore economico, allo stesso modo degli altri beni immateriali tutelati, comunque attribuiti ad un Ente Pubblico od a partecipazione pubblica, per la cui difesa agiscono, con l' azione di danno erariale, il Procuratore Generale ed i Procuratori Regionali presso la Corte dei conti. Al riguardo, va anche fatto presente che tale concetto di danno erariale è confortato anche dal contenuto letterale delle norme riguardanti la responsabilità amministrativa, in quanto sia quelle tradizionali e generali e sia quelle più di recente intervenute non contengono alcuna ulteriore specificazione nel tipo di danno risarcibile, facendo univocamente riferimento soltanto al danno arrecato alle Amministrazioni Pubbliche, da intendersi ora - dopo le recenti Sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili n /2003, n /2004 e n. 4511/ nella più ampia accezione del termine, con l'inclusione, cioè, anche degli Enti Pubblici Economici e delle S.p.A. e delle Società Pubbliche in genere a finanziamento ed a partecipazione pubblica in quanto utilizzatori e gestori di danaro pubblico. Entrando più concretamente nel merito della causa, il Collegio ritiene di dovere - subito - riaffermare la colpevolezza del dipendente dell'inps Sig. G. D., che con Sentenza n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004 della Sezione Giurisdizionale Regionale del Lazio è stato condannato - unitamente ai citati Sig. P., Sig. P.e Sig. M. -, a titolo doloso con il vincolo solidale ed in parte uguale con i predetti altri dipendenti dell'inps, al pagamento della somma complessiva di Euro ,15, di cui Euro ,15 per danno patrimoniale in senso stretto ed Euro ,00 per danno all'immagine ed al prestigio arrecato al citato Ente. Richiamate, in proposito, le già menzionate Relazioni ispettive dell'inps del 4 maggio e del 23 settembre 1994 e la Sentenza del 12 gennaio 2001 del Tribunale Penale di Roma, si manifesta la piena adesione alla affermazione contenuta nella indicata Sentenza di condanna appellata circa la sussistenza di un vero e proprio pactum sceleris tra i quattro dipendenti dell'inps sopra specificati finalizzato alla falsificazione delle posizioni assicurative degli iscritti INPS con inserimento di periodi contributivi mai esistiti, naturalmente dietro congruo compenso da parte degli iscritti interessati. Il Collegio deve, inoltre, rilevare che la stessa difesa del Sig. D. non contesta - ormai - la colpevolezza dell'appellante, anche se la ritiene più attenuata rispetto a quella riconosciuta dai primi Giudici, affermando, al riguardo, (nella riferita Breve Nota depositata il 29 maggio 2007 e nella Udienza dibattimentale) soltanto che il (Sig.) D. è stato chiamato a rispondete di colpe solo in minima parte sue e che gli illeciti accertati non potevano non coinvolgere, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, l'intera struttura che, quanto meno, si è resa

9 responsabile di omessa vigilanza. Premesso ciò, occorre ora esaminare separatamente le specifiche imputazioni considerate dalla Sentenza appellata dal Sig. D. con le relative contestazioni sviluppate dal predetto appellante. IIIa - DANNO PATRIMONIALE IN SENSO STRETTO Come riferito in precedenza la difesa dell'appellante ha eccepito che la Sentenza impugnata non ha valutato né la dichiarazione dell'inps del 19 novembre 1998 di conferma dell'estinzione del debito da parte del Sig. D., né la Sentenza del Tribunale Penale di Roma del 12 gennaio 2001 che conferma la suddetta estinzione, con violazione del principio del ne bis in idem, osservando al riguardo che la predetta Sentenza penale, anche se non definitiva, non è stata appellata sul punto, per cui essa costituisce - pertanto - cosa giudicata sull'avvenuto risarcimento del danno da parte del citato Sig. D., che non può essere - quindi - condannato a rifondere un danno già riconosciuto come risarcito. La difesa dell'appellante ha chiesto, inoltre, la esclusione dal giudizio della sola posizione del Sig. B. (e non anche di quelle del Sig. P. e del Sig. D.) perché, altrimenti, sarebbe posto a carico del solo Sig. D. il risarcimento di danni determinati anche dagli altri convenuti, nonché la esclusione, da quanto complessivamente dovuto, della somma di Lire riguardante la posizione del solo Sig. D., perché essa è oggetto di altro giudizio sempre a carico dello stesso appellante. Richiamato ciò, il Collegio ritiene che nel caso di specie non si è in presenza né di duplicazione dell'azione risarcitoria, né di duplicazione delle pretese di ordine patrimoniale, né di inclusione non corretta di posizioni pensionistiche irregolari. Convenendo con quanto osservato al riguardo dalla Procura Generale, va chiarito che, nel caso di risarcimento del danno in sede penale, ciò non comporta la decadenza dell'azione innanzi alla competente Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti da parte del competente Procuratore Regionale, salvo, comunque, il divieto di duplicare la pretesa creditoria nella fase esecutiva (divieto del ne bis in idem sostanziale) ovvero di agire per la seconda volta innanzi allo stesso Giudice per pretendere la reiterazione di un titolo giuridico già definito (divieto del ne bis in idem processuale) (in termini, cfr. Corte di Cassazione: Sezioni Unite Civili, Sent. n. 2614/1990; Sez. Lavoro, Sent. n. 7788/1993). Va, inoltre, chiarito che la giurisdizione del Giudice ordinario (penale e civile), la giurisdizione amministrativa (TAR/Consiglio di Stato) e le giurisdizioni della responsabilità amministrativa contabile e delle pensioni pubbliche (affidate alla Corte dei conti) sono reciprocamente indipendenti ed autonome nei rispettivi profili istituzionali, anche quando investono lo stesso fatto materiale, essendo dette giurisdizioni ciascuna autonoma e separata dall'altra (in termini, cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sent. n. 822/1999). In definitiva, si deve ritenere ius receptum che la costituzione di parte civile nel giudizio penale non preclude il diritto di azione da parte del P.M. erariale, perché - in caso contrario - l'esercizio dell'azione pubblica risarcitoria del danno all'erario pubblico (nella sua più ampia accezione) - ancorché caratterizzata dalla ufficialità e dalla obbligatorietà - verrebbe a dipendere dalla volontà della Pubblica Amministrazione danneggiata di agire o meno per proprio conto in altra sede contenziosa (in termini, cfr. Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, Sentenza n. 816/A/1992). Al riguardo va, infine, ricordato che la costante giurisprudenza della Corte dei conti ha da tempo precisato che il danno pubblico risarcibile debba avere il carattere della integralità, per cui è da dichiararsi nella sua completezza, fermo restando che eventuali detrazioni potranno legittimamente essere invocate, in tutto ed in parte, nella fase della esecuzione del titolo risarcitorio discendente dalla condanna definitiva ed irrevocabile. Sulla base delle riferite considerazioni, va anche fatto presente che le contestazioni sollevate sul punto dalla difesa dell'appellante, ora in esame, sono sostanzialmente le stesse già presentate all'attenzione del Giudice di primo grado e da questi non accolte sia perché ritenuto fuori luogo il richiamo al disposto dell'art. 651 c.p.p. (Efficacia della Sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno) atteso che la decisione alla quale fa riferimento il convenuto è ancora sub indicio, essendo, in corso il processo d'appello, e sia perché l'invocato già intervenuto risarcimento del danno all'inps indicato nella nota INPS del 1998 non sussiste, come chiarito nella (successiva) nota INPS del 26 giugno Il Collegio - preso atto che la Sentenza impugnata espressamente chiarisce ed attesta

10 che sono esclusi dalla presente indagine gli episodi che la pubblica accusa espressamente riferisce al solo (Sig.) D. come presunto unico responsabile, e per i quali è stato instaurato, e pende tuttora, apposito e distinto giudizio contabile (n. 267/R del Registro di Segreteria della Sez. Giurisd. Reg. Lazio) (pag. 25 della Sentenza appellata) - conviene con le valutazioni espresse al riguardo dai primi Giudici per tutte le questioni poste ora nuovamente dalla difesa del convenuto. Non si può, infatti, non convenire con quanto affermato nella Sentenza appellata in riferimento all'art. 651 c.p.p., sottolineando ancora che tale norma opera soltanto in caso di Sentenze penali passate in giudicato (art. 651 c.p.p.: La Sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto alla sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso ), mentre nel caso di specie la Sentenza penale richiamata dall'interessato non era passata in giudicato, essendo in corso il processo d'appello. Né si può ritenere - come sostiene, o tenta di sostenere, la difesa dell'appellante - che una parte di una Sentenza diventa irrevocabile e passa in giudicato ed altra parte resta sub indicio perché pende ancora il processo d'appello. Non si può, inoltre, non convenire con quanto affermato nella Sentenza appellata in riferimento al preteso avvenuto risarcimento del danno all'inps, perché ciò sarebbe stato affermato in una nota dell'inps del Tale Sentenza ha, in proposito, correttamente fatto presente che la riferita circostanza dedotta dall'interessato non sussiste, come chiarito nella (successiva) nota INPS del 26 giugno 2003, che perciò supera e comunque smentisce quella del 1998 citata dalla difesa. Il Collegio tiene a sottolineare a quest'ultimo riguardo che la nota del 26 giugno 2003 è stata fornita dall'inps in adempimento della Ordinanza n. 229/2003/R emessa nel corso del giudizio di primo grado proprio per acquisire elementi sull'esatto ammontare del danno patrimoniale subito dal predetto Ente e sulla quota di danno da attribuire al Sig. D.. Ebbene, con la nota del 26 giugno 2003 l'inps ha espressamente chiarito che per quanto concerne la posizione del Sig. D. è, in primo luogo, d'obbligo precisare che - contrariamente a quanto si afferma nella Sentenza emessa il 12 gennaio 2001 dal Tribunale di Roma - il sunnominato non ha risarcito il danno all'inps (eccezione fatta per il recupero di un quinto sulla pensione tuttora in corso), bensì ha restituito ai corruttori le somme che costoro gli avevano consegnato, come si evince dallo stralcio del Verbale di Udienza del 6 maggio Da tutto quanto sopra considerato - e fatto, inoltre, presente che i recuperi finora effettuati sono stati possibili sulla base del ricordato Sequestro Conservativo disposto in primo grado e che tale misura si trasforma in pignoramento soltanto a seguito di Sentenza definitiva di condanna - il Collegio ritiene, in definitiva, che la condanna inflitta dalla Sentenza appellata al Sig. G. D. per il danno patrimoniale in senso stretto (che - si ricorda - è stato disposto in solido con gli altri tre condannati) vada confermata nella sua interezza, fermo restando - come si è già anticipato - che eventuali detrazioni, adeguatamente documentate, potranno legittimamente essere invocate, in tutto od in parte, nella fase di esecuzione della presente Sentenza. IIIb - DANNO ALL'IMMAGINE ED AL PRESTIGIO DELLA P.A. Per quanto attiene alla condanna per danno all'immagine ed al prestigio della P.A. la difesa dell'appellante - come riferito in FATTO - ha affermato che una tale condanna viene a sostanziarsi in una sanzione aggiuntiva non prevista da nessuna norma, osservando - in particolare - che l'inps è un Ente Pubblico che esercita funzioni predeterminate e necessarie, in regime di non concorrenza ed assolve necessità primarie ed inderogabili che non possono ritenersi lese e/o menomate dal comportamento scorretto dei suoi dipendenti, i quali possono essere solo soggetti ad azioni disciplinari e di recupero dei danni materiali dagli stessi arrecati. La predetta difesa ha anche sostenuto che a tutto voler concedere non si comprende come un danno morale che sarebbe stato prodotto da una molteplicità di dipendenti possa essere accollato ai solo quattro impiegati convenuti nel giudizio in questione, oltre al fatto che chi aveva il compito di vigilare per anni non si è accorto di nulla. Al riguardo, si deve - innanzitutto - far presente che - secondo l'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale da tempo affermatasi - il danno all'immagine ed al prestigio della P.A. non va confuso con il danno morale (c.d. pretium doloris ), al quale la difesa dell'appellante ha fatto spesso erroneamente riferimento nella vicenda in causa.

11 Le Sezioni Giurisdizionali Centrali e Regionali della Corte dei conti hanno da tempo avuto modo di precisare che la specifica figura del danno all'immagine ed al prestigio della P.A. - quale danno ingiusto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica -, ancorché consistente nella lesione di beni di per sé inidonei a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato - costituisce sempre, nei casi in cui ne è ammessa l'azionabilità giudiziaria, interesse direttamente protetto dall'ordinamento ed in quanto tale trattasi di interesse rivestito di valore economico, alla stregua degli altri beni immateriale tutelati (cfr., in senso conforme, SS.RR. della C.d.c., Sent. n. 16/99/Q.M./1999). In merito, poi, alla riconosciuta giurisdizione della Corte dei conti in riferimento a tale specifica categoria di danno erariale, si fa rinvio alle Sentenze n. 5668/1997 e n. 744/1999 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili, che hanno espressamente riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti per tale particolare e specifico danno erariale. Le predette Sezioni Giurisdizionali Centrali e Regionali hanno anche affermato che il danno all'immagine ed al prestigio della P.A. reca sempre con sé, se non una diminuzione patrimoniale diretta (pure ipotizzabile in alcune specifiche fattispecie), sicuramente una spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, per il ripristino del prestigio e dell'immagine lesa. E' stato, inoltre, affermato che tale specifica figura di danno erariale rientra nella connotazione di danno evento e di danno patrimoniale in senso ampio ex art c.c. ed art. 2 Cost. e non si correla necessariamente ad un comportamento causativo di reato penale (fermo restando, in ogni caso, il principio della separatezza del giudizio per responsabilità amministrativa contabile rispetto a quello penale, come rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben discendere anche da un comportamento gravemente illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenalmente. A quest'ultimo riguardo, è stato precisato, altresì, che - ove non si tratti di reati penali - non tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto) o da un agente pubblico (che pure non giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.) sono causalmente idonei a determinare una menomazione di detta immagine e di detto prestigio, venendo in rilievo - a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di responsabilità amministrativa contabile) - solo i comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (anche di carattere extrapenale), purchè idonei - nella loro consistenza fenomenica - a produrre quella grave perdita di prestigio e della immagine e quel grave detrimento della personalità pubblica. Le Sezioni Giurisdizionali Centrali e Regionali della Corte dei conti hanno anche precisato che tale particolare figura di danno erariale va inquadrato nell'ambito della fattispecie del danno esistenziale (inteso quale tutela della propria identità, del proprio nome, della propria reputazione e credibilità ) e comporta sempre una diminuzione patrimoniale, per cui deve essere configurato come danno evento (e non come danno conseguenza ), che non può, pertanto, che essere quantificato, nella maggior parte dei casi, in via equitativa ex art c.c.. Sempre le predette Sezioni Giurisdizionali hanno chiarito che il danno all'immagine ed al prestigio della P.A., - che, in base al principio di immedesimazione (che porta ad identificare l'amministrazione con il soggetto che per essa agisce) deriva dagli indicati comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti (penali o extrapenali, nei termini di cui si è detto) - é, altresì, chiaramente favorito ed amplificato dal clamor fori, dalla risonanza e dalla diffusione che dell'illecito stesso ne hanno dato e ne danno la stampa e gli altri mezzi di informazione e di comunicazione, atteso che tale diffusione, quale normale corollario della vita di relazione, esprime certamente la rilevanza sociale che hanno i predetti comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti, sotto il profilo della attenzione che l'opinione pubblica ed i cittadini prestano all'esercizio delle pubbliche funzioni, per cui si deve convenire che il pregiudizio ed il discredito della P.A. - nella occasione di comportamenti ed atti gravemente illegittimi ovvero gravemente illeciti commessi nel suo ambito dai predetti dipendenti (anche di fatto), amministratori ed agenti pubblici - non è altro, in definitiva, che uno degli effetti naturali più rilevanti di un simile interesse sociale. Considerato, poi, che l'immagine ed il prestigio della P.A. hanno un peso notevolissimo nell'ambito sociale (anche perchè indici di esercizio delle funzioni pubbliche esercitate effettivamente nell'interesse della comunità amministrata ed effettivamente rispondenti ai canoni della legalità, del buon andamento e dell'imparzialità, ex art. 97 Cost. ),

12 può ben dirsi - hanno sempre precisato le predette Sezioni Giurisdizionali - che la specificazione del generale dovere di tutti i cittadini di essere fedeli alla Repubblica e di osservare le leggi (in quanto proprio dei soli amministratori, agenti e dipendenti pubblici, di adempiere le pubbliche funzioni con disciplina ed onore ex art. 54 Cost.) in larga parte è orientata proprio alla tutela dell'immagine e del prestigio della P.A.. Tale impostazione e costruzione del danno all'immagine ed al prestigio della P.A. è stata, da ultimo, condivisa anche dalle SS.UU. in sede giurisdizionale della Corte dei Conti con la Sentenza n. 10/2003/QM del 12 marzo/23 aprile 2003 emessa nel dirimere alcune questioni di massima su punti fondamentali della costruzione concettuale di tale particolare categoria di danno erariale. Con la predetta Sentenza n. 10/2003/QM le SS.UU. in sede giurisdizionale della Corte dei Conti hanno precisato, in particolare: a) che la violazione del diritto all'immagine, intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica, è economicamente valutabile, perché si risolve in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, dando luogo ad una carente utilizzazione delle risorse pubbliche ed a costi aggiuntivi per correggere gli effetti distorsivi che sull'organizzazione della P.A. si riflettono in termini di minore credibilità e prestigio e di diminuzione di potenzialità operativa ; b) che il danno all'immagine di una Pubblica Amministrazione non rientra nell'ambito di applicabilità dell'art c.c., ma è una della fattispecie del danno esistenziale, inteso quale tutela della propria identità, del proprio nome, della propria reputazione e credibilità, per cui il diritto delle Amministrazioni Pubbliche ad organizzarsi (e ad) operare in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente nei confronti dei propri dipendenti e dei propri amministrati è un diritto costituzionalmente garantito dall'art. 97 (Cost.) rafforzato dalla tutela accordata dagli articoli 7 e 10 c.c. applicabili anche alle persone giuridiche ; c) che il danno all'immagine deve essere individuato nell'ambito dei danni non patrimoniali come danno evento, e non come danno conseguenza, considerato che, poiché l' oggetto del risarcimento non può che essere una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od interessi costituzionalmente protetti, quale il diritto all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento, essendo la diminuzione o la privazione di valori inerente al bene protetto ; d) che per la quantificazione del danno in questione si può fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino del prestigio leso già sostenute, posto che si dimostrino coerenti con lo scopo perseguito, anche - e sul medesimo presupposto - a quelle ancora da sostenere, con la precisazione che in quest'ultimo caso, la valutazione equitativa ex art c.c. dovrà fondarsi su prove anche presuntive od indiziarie ; e) che, per quanto attiene l'onere probatorio della parte pubblica in ordine alle <<spese sostenute>>, la questione non permette soluzione diversa da quella che discende dall'antico brocardo dell'onus probandi incumbit ei qui dicit, che si traduce nel noto principio processuale secondo il quale l'attore prova gli elementi di fatto addotti a sostegno della domanda ed il convenuto quelli portati a sostegno della eccezione paralizzatrice o riconvenzionale, con la precisazione che essendo ammissibili anche l'allegazione di <<spese ancora da sostenere>>, quelle allegate come sostenute ma non documentate potranno comunque essere fatte valere sotto tale diverso profilo, avvalendosi, se possibile, della presunzione ; f) che l'indicazione dei parametri da utilizzare per la valutazione del danno esistenziale in discorso è elemento essenziale ai fini della determinazione del quantum della domanda attrice, con la precisazione che detti parametri vanno rimessi alla valutazione che, nella propria discrezionalità, ciascun Giudice saprà trarre dalle singole fattispecie e con la indicazione in via esemplificativa di alcuni di tali parametri, quali: 1) il rilievo e la delicatezza della attività svolta dall'amministrazione Pubblica; 2) la posizione funzionale dell'autore dell'illecito; 3) le negative ricadute socioeconomiche; 4) la presenza di un sistema concussivo idoneo a scoraggiare l'attività imprenditoriale; 5) la diffusione, la

13 gravità e la ripetitività dei fenomeni di malamministrazione; 6) la significativa rilevante compromissione dell'efficienza dell'apparato; 7) la necessità di onerosi interventi correttivi; 8) la negativa impressione suscitata dal fatto lesivo nell'opinione pubblica per effetto del clamor fori e/o della risonanza data dai mezzi di informazione di massa; g) che il predetto clamor fori e la predetta risonanza non integrano la lesione, ma ne indicano la dimensione, stando ad evidenziare gli indici di dimensione via via maggiore che il medesimo evento lesivo può assumere a seconda delle circostanze ; h) che l'importo della tangente non può fondare una valida automatica parametrazione per la quantificazione del danno, ma può concorrervi, unitamente agli altri elementi propri della fattispecie, quali, ad esempio, il ruolo del percettore all'interno dell'apparato pubblico, con la precisazione che anche i fattori soggettivi possono contribuire a quantificare la lesione prodotta e che le ipotesi di cui all'art. 133 c.p. (gravità del reato - valutazione agli effetti della pena) non operano sulla quantificazione, ma sulla riduzione del danno previamente quantificato ; i) che sussiste l'onere per l'attore di indicare le presunzioni, gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul piano probatorio ; j) che il giudice può addivenire alla liquidazione del danno all'immagine ed al prestigio della P.A. in via equitativa ex art c.c., tanto nella ipotesi in cui sia mancata interamente la prova del loro preciso ammontare, per l'impossibilità della parte di fornire congrui ed idonei elementi al riguardo, quanto nell'ipotesi di notevole difficoltà di una precisa quantificazione, con la precisazione che egli deve, in ogni caso, indicare i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento sia pure con l'elasticità propria dell'istituto e dell'ampio potere discrezionale che lo caratterizza. Al riguardo - tenuto conto che nella fattispecie del danno al prestigio ed all'immagine della P.A. non risulta percorribile il principio della restitutio in integrum - va, quindi, considerato che occorre trasformare in termini monetari una entità che per sua natura non si presta ad una semplice operazione matematica. Per la quantificazione del danno all'immagine ed al prestigio della P.A. il Collegio é chiamato, pertanto, attraverso il suo equo apprezzamento (art c.c.) a fornire una valutazione della riparazione del danno, che non è e non potrà mai essere un preciso equivalente della lesione dell'interesse colpito, ma che si configura - sul piano del giudizio equitativo di cui al citato art c.c. - come un corrispettivo non soltanto di carattere riparatorio dell'immagine lesa, che tiene conto di tutte le circostanze del caso particolare, atte a motivare adeguatamente il quantum individuato secondo equità. Il Collegio ritiene, a questo proposito, adeguatamente motivata la decisione di proporzionare il risarcimento del danno al prestigio ed all'immagine della P.A. alla gravità del fatto illecito ed all'entità del pregiudizio all'immagine ed al prestigio arrecato all'inps, sotto il profilo della negativa risonanza di detto fatto illecito sull'opinione pubblica a causa della azione diretta contro i beni immateriali colpiti, quali l'onore, il decoro, il prestigio, la correttezza, la trasparenza, ecc., e cioè l' immagine ed il prestigio. Per l'individuazione delle dimensioni del danno in parola nel senso più aderente possibile alla spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso, di cui si é detto in precedenza, soccorrono i principali criteri - elaborati dalla riportata giurisprudenza - da cui far discendere la valutazione del danno al prestigio ed all'immagine della P.A. e che - come già precisato dalla giurisprudenza maggioritaria - possono essere individuati sotto tre profili: uno oggettivo, uno soggettivo, uno sociale. Circa il criterio oggettivo, va tenuto presente che - in base ai fatti desumibili dagli atti del fascicolo processuale ed in base alle considerazioni in precedenza riportate - risulta evidente il comportamento illecito tenuto dal citato appellante (e degli altri tre convenuti nel giudizio di primo grado), nella sua (loro) attività, compiendo atti illegittimi ed illeciti e le gravissime irregolarità contrarie ai doveri d'ufficio, connotati dall'elemento psicologico del dolo, per trarne dei profitti personali. Circa il criterio soggettivo, va tenuto presente che il citato appellante (come appena detto e come più volte indicato) era - all'epoca dei fatti illegittimi ed illeciti in questione - un dipendente dell'inps, che - in quanto tale - aveva accesso al sistema informatico del predetto Ente. Il Sig. D. (e gli altri tre convenuti nel giudizio di primo grado), nella indicata qualità, non ha (hanno) osservato i più sacri doveri ed obblighi inerenti il proprio status, ed, in

14 particolare, - come già evidenziato - quello di svolgere la indicata attività legata da rapporto di lavoro e di servizio con la Pubblica Amministrazione con comportamenti trasparenti, prestando la propria opera con lealtà, onestà e diligenza. L'appellante - al fine di garantire non consentiti vantaggi a sé stesso - con i gravissimi fatti illegittimi ed illeciti commessi ha offeso innanzitutto l'onore, il prestigio e l'immagine dell'inps (al quale, come si é detto, nella predetta qualità, era legato da rapporto di lavoro e di servizio) ed ha dimostrato, in tal modo, indifferenza e disprezzo, sia verso il predetto Ente e sia verso la P.A. in generale. Circa, infine, il criterio sociale, va tenuto conto della negativa impressione e ripercussione suscitate nell'opinione pubblica locale dai fatti dolosi del Sig. D., favorite dal clamor fori conseguente al processo penale tenutosi in merito ai fatti dolosi in questione e sia al clamor conseguente alla diffusione ed alla amplificazione che del fatto ne hanno dato gli organi di stampa. Tale negativa ripercussione - che, non potendo essere in alcun modo ignorata, costituisce uno degli aspetti più rilevanti per valutare la dimensione del danno al prestigio ed all'immagine della P.A., - ha avuto riflessi innegabili verso i cittadini romani (diretti utenti dei servizi erogati dalle indicate sedi INPS di omissis e di omissis), potendosi - ed a ragione - sviluppare, per tali vicende, un senso di sfiducia nei confronti, non solo dei servizi erogati dalle strutture dell'inps, ma anche - di riflesso - di tutta la Amministrazione Pubblica, recependo dette vicende in termini di totale sfiducia nei confronti delle strutture pubbliche. Né può essere ignorato, a tale riguardo, che trattasi, nella fattispecie, di un settore pubblico, con il quale i cittadini hanno contatti giornalieri per i tanti vari aspetti previdenziali ed assistenziali che ad esso fanno capo. Il sapere che nell'ambito di tale delicato settore vi sono soggetti autori di illeciti, come quelli in esame (falsificazione di numerose posizioni assicurative con l'inserimento di situazioni contributive in tutto od in parte false, attraverso un uso abusivo e scorretto del Sistema Informatico dell'inps), indubbiamente determina una notevole sfiducia dei predetti cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione e dello Stato in genere, in un settore (quello previdenziale ed assistenziale) che dovrebbe rispondere, invece - come la Comunità si attende, e pretende, - con prestazioni di indiscutibile correttezza. Tale ripercussione negativa genera, inoltre, ulteriori ed innegabili riflessi verso gli altri operatori pubblici, ipotizzandosi anche una offesa indiretta (e quindi un grave perturbamento morale ) nei confronti di coloro che - legati da rapporto di convenzione o di ufficio o di servizio o di impiego o di lavoro con la Pubblica Amministrazione - hanno svolto e svolgono il loro dovere di operatori pubblici con coscienza, con onestà, con correttezza, con diligenza, con professionalità, con efficienza e con trasparenza. Si può ritenere, infatti, che i gravi fatti illegittimi ed illeciti dei dipendenti pubblici (come quelli in esame) e la risonanza certamente negativa di tali fatti - recepita nei termini di totale sfiducia nella Amministrazione Pubblica (nei termini in precedenza indicati) - determinano una vera sofferenza morale ed una vera sensazione dolorosa nei predetti operatori pubblici, che svolgono il loro dovere nei termini di correttezza e trasparenza appena detti, avvertendo anche nei propri confronti il dispregio della Comunità, che dai riferiti fatti illeciti dolosi é portata a perdere la fiducia riposta nelle Pubbliche Istituzioni. In sostanza, il negativo riflesso del comportamento doloso del Sig. D. (e degli altri tre convenuti nel giudizio di primo grado) comporta - sotto il profilo del danno all'immagine ed al prestigio della P.A. - anche un vero e proprio danno sociale, e cioè un danno che deteriora ed offusca l'immagine delle Amministrazioni Pubbliche, che, per definizione, devono possedere, diffondere e difendere valori di onestà, correttezza, trasparenza e legalità. In definitiva, in base ai tre criteri sopra illustrati (oggettivo, soggettivo e sociale, e, quest'ultimo nei suoi riflessi negativi verso l'opinione pubblica della Comunità, e cioè dei cittadini, diretti utenti dei servizi resi dall'inps, e verso gli stessi operatori pubblici, che svolgono il loro dovere con scienza e coscienza ), il Collegio condivide e considera equo (ai sensi dell'art c.c.) la quantificazione operata per tale danno erariale dalla Procura Regionale del Lazio e definita dalla Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio nella Sentenza appellata in Euro ,00, in parti uguali ed in solido tra i quattro convenuti in precedenza citati, non ritenendo - peraltro - di fare uso, nella fattispecie, del potere riduttivo. IV - CONCLUSIONI GENERALI In conclusione, per tutte le argomentazioni e le considerazioni che precedono, il Collegio a) rigettata l'eccezione di prescrizione dell'azione di responsabilità;

15 b) accertata l'esistenza del danno patrimoniale in senso stretto in questione e del danno all'immagine ed al prestigio dell'inps nella loro ontologica consistenza e verificato l'elemento psicologico del dolo in capo al convenuto, ritenuto responsabile (insieme ad altri tre convenuti nel giudizio di primo grado) dei danni erariali in precedenza indicati; c) valutato non necessario disporre, per i motivi esposti, ulteriori accertamenti istruttori, né di integrare il contraddittorio; d) confermato il Sequestro Conservativo autorizzato dal Presidente della Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio con Decreto del 19 marzo 2002, confermato parzialmente dal Giudice Designato con Ordinanza del 21 maggio 2002; e) e considerate assorbite ogni altra eccezione, argomentazione e deduzioni formulate dalle parti; ritiene di dover respingere l'appello proposto dal Sig. G. D. e di confermare, pertanto, la Sentenza della Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004, fermo restando - come già detto - che eventuali detrazioni, adeguatamente documentate, potranno legittimamente essere invocate, in tutto od in parte, nella fase di esecuzione della presente Sentenza Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza. P. Q. M. LA CORTE DEI CONTI II Sezione Giurisdizionale Centrale d'appello definitivamente pronunciando R E S P I N G E l'appello, iscritto al n /R del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. G. D. contro la Sentenza della Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004 e, per l'effetto, C O N F E R M A la citata Sentenza n. 3104/2004/R del 23 settembre/22 dicembre 2004, della Sezione Giurisdizionale Regionale per il Lazio, L I Q U I D A a favore dello Stato, le spese del presente grado di giudizio - che seguono la soccombenza nei termini specificati in motivazione - nella misura, alla data della pubblicazione della presente Sentenza, di Euro 233,92 (duecentotrentatre/92) a carico del predetto Sig. G. D.. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 29 gennaio Depositata in Segreteria il 31 marzo 2008

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