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1 LA POSSIBILITÀ DELL ESERCIZIO DI UNA NUOVA IMPRESA E DI UN EVENTUALE NUOVO FALLIMENTO DEL SOGGETTO GIÀ FALLITO Una famosa vexata quaestio del nostro diritto fallimentare è, senza ombra di dubbio, la possibilità di un nuovo esercizio dell impresa commerciale da parte dell imprenditore fallito nel corso della procedura fallimentare. Ad onor del vero, l argomento ha suscitato non poche polemiche in passato, soprattutto nei primi anni seguenti all emanazione della nostra legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), ma, data la spigolosità delle argomentazioni, il dibattito non si è mai sopito, sia all interno della dottrina che della giurisprudenza. Lungi dall idea di voler in questa sede ripercorrere le tappe di un annosa polemica, è nostra intenzione fare un quadro della situazione, soprattutto in concomitanza alle recenti prese di posizione dell esecutivo in carica, il quale vuole assolutamente chiudere la legislatura provvedendo anche all emanazione della tanto auspicata riforma delle procedure concorsuali. Cercheremo pertanto di ricostruire l attuale quadro normativo, affiancandovi le posizioni della migliore dottrina e le conclusioni della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità. Punto obbligato di partenza della nostra analisi è sicuramente l art L. fallimentare, il quale precisa i beni non compresi nell acquisizione a fallimento. Al numero 1) sono indicati i beni ed i diritti di natura strettamente personale, la cui esclusione è giustificata proprio dallo stretto collegamento con la personalità del fallito: ciò, infatti, rende la loro natura e funzione preminente rispetto al valore economico. Si badi che non ci si trova di fronte semplicemente ad una rilevanza a livello sentimentale del resto anche meritevole di considerazione all interno di un ordinamento giuridico moderno e democratico bensì ad una particolare valutazione etica e sociale, in base alla quale diventa riprovevole spogliare un individuo di alcuni particolari oggetti. Sono pertanto esclusi, per il carattere non patrimoniale, quei diritti personalissimi relativi alla posizione giuridica del soggetto nell ordinamento (quali lo stato di cittadinanza, di famiglia, di riconoscimento di prole ecc.); rientrano, invece, nella massa fallimentare quelli relativi all immagine, all ingegno, ecc., che, specie in alcuni casi, hanno un valore economico (potenziale o attuale) anche notevole. Sempre per la pregnante connessione all affettività e moralità vanno esclusi anche quei diritti potestativi come la revoca per indegnità di una donazione. Infine, benché possano essere influenzati da considerazioni delicate e personali, viene acquisito il diritto ad accettare eredità o donazioni, per le quali l art. 35 L. fallimentare prevede solo una valutazione degli organi fallimentari, di carattere, però, esclusivamente economico. Nell ambito dei rapporti personali non oggetto dello spossessamento provocato dal fallimento, menzione particolare merita la determinazione della parte da lasciare al fallito per il mantenimento suo e della famiglia di quanto il fallito guadagni con il suo lavoro: i limiti di tale importo sono fissati autonomamente dal giudice delegato, senza che la norma prescriva espressa necessità di parere degli altri organi. Autorevole dottrina 2 ritiene che il termine mantenimento sia corrispondente a quello di alimenti, per cui non dovrebbero esserci apprezzabile differenza sostanziale. A nostro modesto parere, invece, non sembra corretto dare uguale significato a termini differenti (tra l altro utilizzati in senso diverso dal codice civile e dalla giurisprudenza), che sono collocati in due norme della stessa legge. Inoltre, sul piano giuridico e morale, vi è una sostanziale diversità tra i beni di un patrimonio 1 Art. 46 R.D. n. 267 del 1942: Non sono compresi nel fallimento: 1. i beni ed i diritti di natura strettamente personale; 2. gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia; 3. i frutti derivanti dall usufrutto legale sui beni dei figli ed i redditi dei beni costituiti in patrimonio familiare, salvo quanto è disposto dagli arttt. 170 e 326 del c.c.; 4. i frutti dei beni costituiti in dote e i crediti dotati, salvo quanto è disposto dall articolo 188 del c.c; 5. le cose che non possono essere pignorate per disposizioni di legge. I limiti previsti nel numero 2 di questo articolo sono fissati con decreto del giudice delegato. 2 De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 240; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1974, p

2 ormai assoggettato alla realizzazione della garanzia a favore dei creditori, ed il denaro che il debitore continua faticosamente a guadagnare con il suo lavoro (autonomo o subordinato), la cui funzione, dignità e tutela è espressamente riconosciuta dalla Costituzione 3. Per la sottolineata funzione costituzionale del guadagno derivante dall attività lavorativa, non ci sembra poi condivisibile l affermazione che, in mancanza di determinazione del giudice, si verifichi l acquisizione totale della somma da parte dell ufficio fallimentare: anzi, riteniamo che, in tal caso, il fallito possa trattenere interamente la somma, in attesa della determinazione del giudice che, ovviamente lo stesso fallito dovrà aver cura di informare 4. Inoltre, secondo il prevalente orientamento 5, sarebbe da escludere che a titolo di alimenti possano concedersi somme necessarie per spese mediche, interventi chirurgici e simili: tale esclusione appare, ad onor del vero, ingiustificata ed iniqua nel caso in cui v è un persistente sforzo lavorativo del soggetto, tanto che la mancanza di cure potrebbe portare persino all interruzione di tale rendita, certo con conseguenze non favorevoli per la stessa massa dei creditori. Naturalmente, anche in questo caso, si impone una valutazione equilibrata del giudice, la quale tenga conto delle concrete necessità del fallito e dei sussidi terapeutici non troppo dispendiosi, nell ambito del diritto alla salute, tutelato a livello costituzionale 6. L art. 46 continua l elencazione dei beni non compresi nel fallimento, che, a parte quanto detto, sono costituiti, oltre che dai beni non pignorabili per disposizione di legge (n. 5), dai frutti di beni con destinazione familiare (quali, ad esempio, i frutti derivanti dall usufrutto legale sui beni dei figli) e dai redditi dei beni costituiti in patrimonio familiare, salvo quanto disposto dagli artt. 170 e 326 c.c. (n. 3), nonché dai frutti dei beni costituiti in dote e dai crediti dotali, salvo quanto è disposto dall art. 188 c.c. (n. 4). Prescindendo da un analisi approfondita di tali disposizioni, ci limitiamo ad osservare che, in seguito alla nascita normativa del fondo patrimoniale, viene meno il patrimonio familiare (tra gli istituti, analogia a parte, non v è coincidenza). L effetto essenziale rimane che essi sono assoggettabili all esecuzione solo per i crediti sorti nell ambito delle obbligazioni contratte per i bisogni della famiglia ed, in tali limiti, nel fallimento non determinano per i relativi creditori alcun privilegio sostanziale, rimanendo acquisiti alla massa 7, fermo restando la specifica destinazione. 3 Art. 36 Cost.: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. 4 Nel primo caso, De Martini, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, p. 160; Andrioli, Il fallimento, p. 403, (che, ravvisando un rapporto tra il debitore e il curatore, ritiene che questo si liberi versando in tal caso gil emolumenti al primo e ritiene che la regola fallimentare, all opposto di quella ex art. 545 c.p.c., sia quella che gli assegni siano compresi, salvo che per Ia parte esclusa dal provvedimento, conclusione che non ci sembra armonizzarsi con il dettato normativo in quanto l art. 46 stabilisce che non sono compresi nel fallimento..., a parte l identità di funzione dei beni nelle due norme); Cass., 13 novembre 1964 n. 2738, in Giur. It., 1965, I, 1, p. 578; nel secondo senso, Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, che osserva che per l art. 44 la regola è l esclusione dallo spossessamento e ritiene che l esclusione valga anche per i crediti da lavoro cessato; su tale ultimo punto contra Cass. n del 1964, e conf. De Ferra, Una particolare categoria di beni sopravvenuti, in Temi, 1959, p Si è ritenuto che la norma deroghi alla disciplina fissata per i pubblici dipendenti dal T.U. 5 gennaio 1950 n. 180 e art. 2 L. 18 maggio 1968 n. 315, in materia di pignorabilità degli stipendi: Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, cit., p. 287; Cass., 10 luglio 1968 n. 2399, in Giur. it., 1969, I, 1, 497; contra, Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, p Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, op. cit., p. 782; Provinciali - Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1988, p. 218; contra, Celoria - Pajardi, Commentario della legge fallimentare, Milano, 1963, p. 747; De Ferra - Guglelmucci, Commentario della legge fallimentare, Zanichelli, Bologna, p. 154; Trib. Napoli 22 ottobre 1982, in Fallimento, 1983, p Art. 32 Cost.: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può i n nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. 7 Per la riconosciuta differenza tra i due istituti secondo un orientarnento giudiziario non opererebbe per il fondo patrimoniale l esclusione dell indicato n. 3 ed i beni sarebbero aquisibili alla massa, andando a costituire una massa separata destinata ai pagamento dei debiti sorti nell interesse della farniglia: Trib. Catania 2 giugno 1986, in Giur. It., 1986, II, p. 740, con nota di Abramo; Trib. Catania 31 maggio 1987, in Giur. comm., 1987, II, 267, con nota di Auletta. Per Satta, Diritto fallimentare, aggiornato da Vaccarella e Luiso, Padova, 1990, p. 146, l esclusione sussiste solo per i precedenti patrimoni familiari, mentre i beni del fondo patrimoniale per diversa sua natura, sono acquisibili, fermo restando la destinazione al pagamento delle obbligazioni familiari. V. Provinciali -Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, op. cit., p

3 Fatte queste premesse, vogliamo ritornare al nostro quesito iniziale, ovverosia l ammissibilità o meno di un nuovo esercizio dell impresa commerciale da parte dell imprenditore fallito nel corso della procedura fallimentare. La domanda è di non facile risoluzione e ciò giustifica autorevoli orientamenti contrastanti. Abbiamo avanti ricordato che al fallito rimane (con le poche limitazioni personali) la possibilità di esercitare qualsiasi professione o mestiere ed in forma autonoma o subordinata. Se questo è un dato ormai pacifico, emergono altre considerazioni, di carattere sia giuridico che aziendalistico. In primo luogo, giova osservare che, per gestire un impresa, sono di regola necessari consistenti mezzi economici per l acquisto o la locazione di macchinari, che verrebbero distolti dalla naturale destinazione di soddisfare i creditori precedenti. Inoltre si presenta l ulteriore e conseguente analoga questione relativamente alle somme ricavate dalla gestione: sono da considerare somme destinate a soddisfare la massa creditoria, oppure possono essere utilizzate per potenziare la nuova attività? La problematica da ultimo citata è, ovviamente, meno rilevante per un attività lavorativa diversa di modeste dimensioni, in quanto i mezzi operativi sono di valore economico più limitato. In ogni caso, comunque, sia in presenza di attività autonoma che subordinata, vale il principio in base al quale il fallito può trattenere per se solo quanto necessario per il mantenimento della famiglia, mentre spetta al curatore la somma eccedente tale limite. è chiaro che, in una siffatta impostazione, peraltro chiaramente esplicitata dalla legge, non rimane alcuno spazio per destinare somme di denaro eccedenti il fabbisogno familiare al potenziamento ed al rafforzamento dell azienda. Le stesse perplessità, da un punto di vista prettamente aziendalistico, spingono verso una risposta negativa al nostro quesito iniziale: invero, appare oggettivamente impossibile ipotizzare una nuova gestione sul mercato da parte di imprenditore fallito, che già non gode della necessaria fiducia e, conseguentemente, manca della possibilità di ricorrere a finanziamenti, nonché di quel pur modesto capitale che assicura attività operativa e riserva per le varie emergenze. Passando ad un esame più specificamente normativo, giova partire dal dato peraltro pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza - che il fallito non perde la capacità di agire. Tenendo presente tale punto, giova ricordare che a differenza di quanto accadeva nell art. 551 codice di commercio del 1860, nel codice di commercio del 1882 e nella legge vigente nulla si dice in proposito. Tale silenzio veniva così ritenuto dai sostenitori della tesi ammissiva 8 come una vera innovazione legislativa, che legittimava il fallito ad una nuova impresa commerciale. A nostro modesto parere, tale parere, pur autorevole, non può essere condiviso, in quanto, com è stato osservato 9, la tendenza legislativa italiana è stata sempre contraria all ulteriore attività commerciale del fallito; pertanto, qualora si fosse trattata di un innovazione, tale scelta del legislatore avrebbe dovuto trovare più sicura manifestazione. Appare pertanto più corretta l affermazione 10 secondo cui il diritto vigente ha posto il fallito in una condizione inconciliabile con la facoltà di esercitare un attività imprenditizia commerciale. Tanto lo si deduce dall intero sistema della legge fallimentare: in particolare, ci si può specificamente riferire alle norme che dispongono lo spossessamento patrimoniale, l inefficacia degli atti dispositivi successivi al fallimento (che non rientrino nella sfera strettamente personale), nonché la già richiamata incapacità del legale rappresentante della società ad amministrare altra società. La questione della possibilità di esercitare una nuova impresa (già delicata con riferimento all imprenditore commerciale individuale) assume aspetti ancora più complessi per l imprenditore sociale. 8 Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, op. cit., pp. 370, 811; Andrioli, Fallimento, in Enc. Dir., XVI, p. 406; Ferrara, Il fallimento, Milano, p. 300; Satta, Diritto fallimentare, op. cit., p Brunetti, Diritto fallimentare, Roma, 1932, p Azzolina, Il fallimento e le altre procedure, Torino, 1961, p

4 D altra parte non vediamo come potrebbe ritenersi una soluzione diversa per quest ultimo sia sul piano tecnico giuridico, sia su quello della legittimità costituzionale, con riferimento agli artt e Cost. Peraltro, a tal proposito è da ricordare che ormai è pacifica la sopravvivenza alla dichiarazione di fallimento non solo della società (essendo detta dichiarazione solo un caso di scioglimento ex art c.c.), ma degli stessi organi societari, che continueranno ad esercitare le loro funzioni nei limiti ristretti consentiti dalla gestione del curatore (basti pensare alla richiesta di concordato fallimentare) 13. Le difficoltà specifiche per la società sussisterebbero già per l utilizzazione della denominazione: invero molto spesso essa, anche in virtù dell avviamento, ha un valore economico non indifferente, che il fallimento deve acquisire. Ovviamente, non è da escludere a priori che tale valore potrebbe essere pregiudicato da un ulteriore gestione da parte della ditta fallita. Altre problematiche vanno ad aumentare i dubbi sulla possibilità di una seconda gestione di impresa da parte dell ente societario dichiarato fallito. In particolare, basti pensare alla necessità di ricapitalizzazione, all incapacità ad amministrare ex art c.c., che costringerebbe probabilmente a nominare nuovi amministratori per la nuova impresa. Facendo tesoro delle considerazioni esposte in precedenza, riteniamo di dover esprimere un parere contrario alla possibilità di detto esercizio d impresa da parte di un fallito; tale conclusione negativa è del resto proposta da autorevole dottrina 14, anche se, come precedentemente detto, sul tema si registrano posizioni contrarie. A conclusione della nostra trattazione riteniamo opportuno richiamare le principali osservazioni che provengono da autorevoli esponenti dell orientamento da noi non condiviso. Innanzitutto, viene generalmente ammesso che la gestione in questione non potrebbe essere ottenuta con un azienda di proprietà del fallito, proprio per i principi normativi da noi sopra richiamati, che imporrebbero l immediata acquisizione all attivo fallimentare dei beni costituenti l azienda. La gestione, dovrebbe, quindi, attuarsi con mezzi operativi di terzi messi a disposizione del fallito (con o senza corrispettivo), ma, anche in tal caso, si presentano notevoli ostacoli per l inevitabile problematica relativa al ricavo di gestione. Potrebbe ammettersi (per la parte di profitto che superi le necessità familiari) un investimento nell impresa del denaro ricavato o questo dovrebbe devolversi alle finalità del fallimento? Inoltre, come regolare i pagamenti fatti dall imprenditore nella gestione tenendo conto dell accennato principio dell inefficacia? Per eliminare le precedenti contraddizioni, dottrina contraria alla nostra conclusione propone di ricorrere al comma 2 dell art. 42 L. fallimentare 15, considerando in tal modo le spese di gestione come passività incontrate per l acquisto e la conservazione dei beni 16. Sinceramente, l ipotesi sembra alquanto azzardata: più che di passività, in un azienda si hanno dei costi, sui cui esiti positivi (i ricavi) aleggia un alea di incertezza che, francamente, non sembra essere presente nello spirito dell art. 42 su richiamato. 11 Art. 3 Cost.: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all organizzazione economica e sociale del Paese. 12 Art. 41 Cost.: L iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata fini sociali. 13 Sul punto v. Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, Napoli, 1966, p Candian, Non altro fallimento in costanza dell attuale, in Temi, 1956, p. 457; Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, p. 571; Bianchi D Espinosa, L attività commerciale del fallito, in Giust. civ., 1956, I, 1214; Bonelli, Del fallimento, Milano, 1923, I, p. 369; Mazzocca, Manuale di diritto fallimentare, op. cit., p Art. 42 R.D. n. 267 del 1942: La sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento. Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l acquisto e la conservazione dei beni medesimi. 16 Ferrara, Il fallimento, op. cit., p. 300; contra: Andrioli, Fallimento, op. cit., p. 403; Satta, Diritto fallimentare, op. cit., pp. 201 e ss.. 4

5 Affermare, poi, che il fallito potrebbe rivolgersi a schemi associativi (anche per mascherare la sua diretta gestione), non elimina sostanzialmente la problematica e pone in evidenza la possibilità di manovre in contrasto con la necessità di trasparenza, sempre più avvertita anche nel campo dei rapporti commerciali. Autorevole dottrina, a tale proposito, sottolinea che tale sistema si presta ad abusi, complicazioni e gravi intralci al fallimento in corso 17. La suddetta conclusione è del resto appoggiata da altro insigne esponente, secondo il quale il fallito non è in condizione di formarsi un patrimonio su cui possano fare affidamento i creditori successivi ai fini del soddisfacimento e non può disporre dei beni acquistati senza rendersi colpevole del reato di bancarotta fraudolenta: per questi motivi, pertanto, il fallito non può essere sottoposto ad un nuovo fallimento 18. Di opposto parere è, però, chi ritiene che finché il fallito non incide nei diritti dei creditori concorsuali, è padrone di fare quello che crede e anche di seminare nuove azioni a danno dei terzi 19. Questa conclusione ci pare non tener conto del principio di buona fede e degli interessi generali dell economia, la cui considerazione è, invece, tra le finalità di carattere pubblicistico essenziali, alle quali si ispira il legislatore fallimentare. Per quanto riguarda la posizione della giurisprudenza, bisogna registrare che la Corte di Cassazione sembra implicitamente aver seguito la tesi che esclude il divieto con la Cass., S.S.U.U., 10 dicembre 1993 n e richiamando quella n del 1989, in materia di apertura di conto corrente da parte di un fallito. La Suprema Corte ha infatti stabilito (in contrasto con la Cass. n del 1988) che qualora il fallito, dopo la dichiarazione di fallimento, abbia esercitato una nuova attività di impresa, rispetto alla quale in astratto è dato alla curatela di acquisire, oltre che i singoli beni aziendali, l azienda nel suo complesso (in modo che la massa consegue anche l avviamento) ovvero gli utili dell impresa, l acquisizione è necessariamente limitata agli utili netti, non potendo essere acquisiti anche i ricavi che sono stati inseriti nell esercizio dell impresa, per i quali chiaramente sussiste il rapporto di inerenza richiesto dal comma 2 dell art Questa sentenza pare affermare la possibilità di un impresa del fallito piuttosto teorica, essendo legata la sua sopravvivenza alla volontà o meno di una sua acquisizione da parte del curatore del fallimento. Tuttavia, a livello puramente aziendalistico, ci riesce estremamente difficile riuscire a comprendere come una tale azienda possa svilupparsi se ogni utile venga acquisito dal precedente fallimento. Non possiamo fare a meno di osservare che la decisione prende in considerazione la nuova impresa più come dato di fatto oggettivo, senza soffermarsi a riconoscere e motivarne esplicitamente la legittimità, limitandosi soprattutto a stabilire gli effetti dell attività commerciale intrapresa dal fallito e l applicabilità o meno del comma 2 dell art. 42 L. fallimentare all instaurato rapporto di conto corrente 21. In conclusione, ribadiamo la nostra convinzione contraria all ammissibilità dell esercizio da parte del fallito di una nuova impresa. Più che mai, poi, escludiamo la possibilità di una seconda dichiarazione di fallimento che, ancor più sicuramente, riteniamo in contrasto con i principi basilare allo stato della nostra legislazione, vale a dire: 1: a fallire è l imprenditore e non l impresa; 2: nel corso della stessa procedura, non può dichiararsi due o più volte il fallimento dello stesso imprenditore. Domenico Lamanna Di Salvo Dottore Commercialista Revisore Contabile Docente presso la Libera Università di Bolzano 17 Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, op. cit., p Ferrara, Il fallimento, op. cit., pp. 297, 284, Satta, Diritto fallimentare, op. cit., p Cass. 10 dicembre 1993 n ; in giurisprudenza a favore della seconda impresa: Trib. Venezia 3 febbraio 1989, in Fallimento, 1989, p. 1140; contra Trib. Roma 29 maggio 1959, in Giust. civ., 1959, I, p. 2230; più problematica Cass. 4 luglio 1956 n. 2430, in Giust. civ., 1956, II, p. 641; Cass. 24 marzo 1962 n. 607, in Giust. civ., 1962, I, p La detta sentenza, con riferimento poi alla stipulazione del contratto di conto corrente, aggiunge che i pagamenti ed i versamenti all uopo eseguiti dal fallito costituiscono atti dell esercizio dell impresa, opponibili al fallimento anche della banca presso cui il conto corrente è stato aperto in quanto presentato il carattere di passività incontrate dal fallito per il conseguimento dell utile. 5

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