Il diritto degli Ogm in Italia e in Europa. Produzione, distribuzione e brevettabilità

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1 Il diritto degli Ogm in Italia e in Europa Produzione, distribuzione e brevettabilità Avv. Luca Simonetti Avvocato in Roma La materia delle biotecnologie, in particolare degli Ogm, è minutamente regolata: dalle norme di origine sopranazionale (ONU, UE) alle convenzioni internazionali, dalle leggi nazionali a quelle regionali, per non parlare delle norme regolamentari. Il settore, tra l altro, non solo è in continua evoluzione, ma è profondamente coinvolto dagli sviluppi nei settori attigui: nessuna trattazione esauriente del diritto degli Ogm potrebbe trascurare materie come la responsabilità da prodotti difettosi, la sicurezza alimentare, la tutela della biodiversità o il commercio internazionale, per fare solo degli esempi. La brevità dello spazio mi costringe purtroppo a una brusca selezione. Pertanto, mi concentrerò solo sulla disciplina (comunitaria e nazionale) della produzione e distribuzione degli Ogm, dell etichettatura degli Ogm, ed infine della brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, con qualche accenno ai settori contigui e all evoluzione storica solo quando assolutamente indispensabile. La definizione di Ogm vigente oggi nella UE si trova nella Direttiva 2001/18/CE, che considera tale ogni organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale ; ma siccome questa definizione finirebbe per coprire anche tecniche tradizionali come gli incroci o gli innesti, il legislatore si affretta a specificare che la modificazione rilevante perché si dia un Ogm deve essere ottenuta impiegando alcune tecniche e non altre (tutte elencate nella Direttiva). In sostanza, l UE definisce gli Ogm non in base al prodotto finale (quello che, in concreto, può essere sano o dannoso) ma in base ai metodi impiegati per produrlo. Questa scelta è stata assai criticata ed è, inoltre, diversa dalle soluzioni adottate altrove, ad es. dagli USA, che seguono l approccio opposto (c.d. della substantial equivalence). Sta comunque di fatto che le tecniche del DNA ricombinante o la microiniezione possono dare origine a Ogm, mentre invece la fecondazione in vitro o l induzione della poliploidia no. La Direttiva 2001/18/CE regola due fattispecie di impiego degli Ogm: l emissione deliberata nell ambiente e l immissione in commercio. La prima è definita come la introduzione intenzionale nell ambiente di un Ogm o di una combinazione di Ogm per la quale non vengano usate misure specifiche di confinamento. La seconda invece consiste nella messa a disposizione di terzi, dietro compenso o gratuitamente, di Ogm. Non costituisce immissione in commercio la messa a disposizione per le attività soggette alla Direttiva 2009/41/CE sull impiego confinato di Ogm. Il sistema alla base della Direttiva è analogo per entrambe le fattispecie. Gli interessati devono effettuare una notifica all autorità competente, fornendo tutte le informazioni disponibili, nonché una valutazione del rischio ambientale. L autorità effettua una complessa istruttoria al termine della quale si giunge al provvedimento, che può essere di concessione o diniego dell autorizzazione. L autorità competente per l emissione deliberata è quella designata dallo Stato sul cui territorio avverrà l emissione, mentre per l immissione in commercio lo è quella indicata dallo Stato in cui il prodotto deve essere immesso in commercio per la prima volta. L autorità competente per l Italia è il

2 Ministero dell Ambiente. In entrambi i casi esiste un obbligo dell autorità statale a informare la Commissione UE e gli altri Stati membri circa la notifica e la propria valutazione, ma mentre per l emissione deliberata non si va oltre quest obbligo, nel caso dell immissione in commercio invece si apre una procedura di semi-concertazione che può arrivare nel solo caso in cui l autorità statale emani una relazione positiva ad una vera e propria decisione congiunta, fermo restando che in caso di impasse a decidere sono le istituzioni comunitarie. La durata dell autorizzazione all emissione deliberata è determinata nel provvedimento stesso, mentre quella all immissione in commercio non può eccedere i 10 anni. L autorizzazione all immissione in commercio può essere rinnovata per altri 10 anni con una nuova notifica. Sono previste, per entrambe le fattispecie, procedure di monitoraggio e raccolta di nuove informazioni all esito delle quali l autorizzazione può essere modificata o revocata. Una volta autorizzata a livello comunitario l immissione in commercio, gli Stati membri non possono vietarla o limitarla. Tuttavia, per la sola immissione in commercio, è prevista la c.d. clausola di salvaguardia: se uno Stato membro, alla luce di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell autorizzazione o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, ritenga che un determinato Ogm già autorizzato rappresenti un rischio per la salute o l ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l uso o la vendita sul proprio territorio. Tale provvedimento va subito comunicato alla Commissione e agli altri Stati membri, e su di esso decide definitivamente la Commissione. Di queste decisioni ve ne sono state varie; vi è stato anche un importante contenzioso, che ha permesso di definire il senso e i limiti dell istituto. Precisamente, un Land austriaco aveva sottoposto alla Commissione un progetto di legge del 2002 che, in deroga alla Direttiva 2001/18/CE, e invocando l art del Trattato (per cui si può derogare a norme comunitarie, qualora emergano nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell ambiente, con disposizioni nazionali giustificate da un problema specifico a detto Stato insorto dopo l adozione della misura di armonizzazione ), vietava l impiego di ogni tipo di Ogm sul proprio territorio. La Commissione, seguita dai Giudici comunitari, ha dichiarato il progetto non conforme al diritto dell UE: non esistevano nuove prove scientifiche sulla dannosità degli Ogm (che d altronde, se fossero esistite, avrebbero giustificato l invocazione della clausola di salvaguardia), e quanto alle asserite specificità del contesto agricolo austriaco (scarsa estensione degli appezzamenti, ventosità, ecc.) esse non costituivano ostacoli di natura sanitaria o ambientale, ma semmai problemi di natura economica, che come tali andavano risolti con regole di coesistenza (su cui v. appresso). Ma alla luce di alcuni recentissimi sviluppi, c è da chiedersi come una analoga proposta finirebbe oggi per essere giudicata. Infatti, nel luglio 2010 la Commissione ha proposto un nuovo Regolamento, che intende modificare la Direttiva 2001/18/CE introducendo la facoltà per gli Stati membri di vietare o limitare, su tutto o parte del proprio territorio, la coltivazione di varietà Ogm autorizzate, per ragioni non attinenti né alla tutela della salute né dell ambiente. Lo scopo dichiarato è quello di introdurre maggiore flessibilità a livello di Stati membri; più probabilmente, la Commissione intende consentire agli Stati di assecondare i timori dei propri cittadini riguardo agli Ogm, anche in assenza di ragioni scientificamente fondate. Ad oggi non è possibile prevedere se e come detta proposta verrà accolta. Contemporaneamente, vi è stato un ulteriore revirement anche in materia di coesistenza. La questione nasce dall art. 26-bis della Direttiva 2001/18/CE, per cui gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti. A tale scopo, la Commissione ha emanato dapprima la Raccomandazione 2003/556/CE, dove sono contenuti gli orientamenti che gli Stati membri dovrebbero seguire per regolare la coesistenza tra colture geneticamente modificate ( gm ) e non. Il principio fondamentale è quello della libertà di

3 scelta tra colture e prodotti gm e non, sia per gli agricoltori sia per i consumatori; il punto di partenza è che, essendo possibile coltivare solo Ogm la cui non dannosità per la salute e l ambiente sia già scientificamente dimostrata (dato che in caso contrario essi non sarebbero autorizzati), la materia della coesistenza attiene a mere considerazioni di ordine economico. Questo implica che le concrete misure di coesistenza, adottate per impedire la presenza involontaria di Ogm in altre colture, devono essere ragionevoli e proporzionali, devono essere fondate su dati scientifici e non devono costituire modi surrettizi di vietare in toto l uso di Ogm. Detta Raccomandazione è tuttavia stata da ultimo sostituita da un altra, la 2010/C200/01, che ha notevolmente ammorbidito la disciplina, attribuendo una maggiore autonomia decisionale ai singoli Stati membri, al fine di tutelare le specificità pedoclimatico-ambientali, o le scelte economiche, delle singole regioni dell UE. Il risultato è che sarebbe possibile, secondo la Commissione, non solo prevedere misure di segregazione miranti a ottenere percentuali di commistione involontaria inferiori alle soglie previste nelle norme comunitarie rilevanti (cioè lo 0,9%: v. appresso), ma persino giungere alla costituzione di zone in cui la coltivazione di qualunque Ogm sia integralmente vietata. La compatibilità di questo nuovo regime con quello attualmente vigente nell UE (nel quale non esiste la possibilità di limitare la libera circolazione dei prodotti gm autorizzati) appare dubbia. Con questa normativa va poi coordinato il sistema comunitario degli alimenti e delle sementi gm. In primo luogo, viene in rilievo il Regolamento n. 1829/2003/CE relativo agli alimenti e ai mangimi gm. Mentre la definizione di Ogm ivi contenuta richiama quella della Direttiva 2001/18/CE, alimenti e mangimi gm sono quelli che contengono, sono costituiti o prodotti a partire da Ogm ; a sua volta prodotto a partire da Ogm significa derivato, in tutto o in parte, da tali organismi, ma che non li contiene e non ne è costituito. Il Regolamento, si noti, non si applica anche agli alimenti prodotti con Ogm: il criterio discriminante è se nel prodotto finale sia presente materiale derivato dal materiale di partenza gm. Pertanto, i coadiuvanti tecnologici usati solo durante il processo di produzione non sono soggetti al Regolamento, né lo sono gli alimenti e i mangimi prodotti con l aiuto di coadiuvanti tecnologici gm. Ne deriva che i prodotti ottenuti da animali nutriti con mangimi gm o trattati con medicinali gm non sono soggetti al Regolamento. Si è più volte notato come la possibilità di controllare che un prodotto derivi da Ogm, pur non contenendone traccia, sia problematica. Gli alimenti gm non possono essere immessi in commercio se a) possono avere effetti nocivi sulla salute umana o animale o sull ambiente, b) possono ingannare i consumatori, ovvero c) differiscono dagli alimenti tradizionali in misura tale che il loro consumo normale sarebbe svantaggioso per i consumatori sul piano nutrizionale ; pertanto, chiunque voglia immettere in commercio alimenti gm deve ottenere un autorizzazione, dimostrando che nessuno di tali pericoli ricorre. La domanda si propone all autorità competente di uno Stato membro, che a sua volta è tenuta a informare l Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che deve informare gli altri Stati membri e la Commissione. L EFSA rende il suo parere sulla domanda e, sulla base di questo, la Commissione decide. L autorizzazione è valida in tutta l UE per 10 anni ed è rinnovabile; l alimento autorizzato è iscritto in un apposito registro. Sono previsti obblighi di monitoraggio e vigilanza e le autorizzazioni possono essere modificate, sospese e revocate. Principi analoghi valgono anche per i mangimi gm. In certi casi, l autorizzazione ai sensi del Regolamento vale anche come, e sostituisce, l autorizzazione ai sensi della Direttiva. Quanto alle sementi, esse in linea di principio rientrano nell ambito di applicazione del Regolamento n. 1829/2003/CE in quanto organismi geneticamente modificati da impiegare come sementi o altri materiali di moltiplicazione vegetale, ma lo stesso Regolamento fa salve le altre norme comunitarie sulle sementi. La materia è stata razionalizzata dalla Direttiva 2002/53/CE sul Catalogo comune

4 europeo delle varietà delle specie di piante agricole (introdotto già nel 1970 e ripetutamente modificato). Si stabilisce che una varietà vegetale gm può essere iscritta nel Catalogo comune (costituito a sua volta da un sistema di cataloghi nazionali, tenuti da ciascun Stato membro, retto dal principio del reciproco riconoscimento tra le diverse iscrizioni nazionali) purché soddisfi i requisiti di cui alla Direttiva 2001/18/CE o al Regolamento 1829/2003/CE. Una volta iscritta nel Catalogo comune, la varietà può essere liberamente commercializzata nel territorio dell UE, secondo le prescrizioni dettate, per i vari tipi di coltivazione, da altri strumenti comunitari (ad es., la Direttiva 66/402/CEE sulle sementi di cereali o la Direttiva 2002/54/CE sulle sementi di barbabietola), che tipicamente sono molto dettagliate arrivando fino a prescrivere, oltre a norme sull imballaggio e l etichettatura, anche le distanze minime da adottare nelle coltivazioni al fine di evitare commistioni con altre colture. Peraltro, resta fermo il diritto degli Stati membri di derogare a dette norme, e dunque di vietare o limitare l impiego di una data varietà, basandosi su fondate preoccupazioni per la salute, l ambiente o addirittura su ragioni di tipo economico (come la scarsa produttività della varietà gm rispetto a varietà tradizionali), previa autorizzazione della Commissione. Quanto alla disciplina della tracciabilità e dell etichettatura degli Ogm, sono da considerare ben tre diversi atti comunitari: (i) la Direttiva n. 2001/18/CE, (ii) il Regolamento n. 1829/2003/CE e infine (iii) il Regolamento 1830/2003/CE. La Direttiva stabilisce che l etichettatura e l imballaggio degli Ogm devono essere conformi ai requisiti formulati nell autorizzazione alla messa in commercio (e, in primis, dev esserci la dicitura contiene Ogm ). Peraltro, per i prodotti che contengano tracce non intenzionali e tecnicamente inevitabili di Ogm autorizzati, può essere fissata una soglia minima di presenza di Ogm sotto la quale l etichettatura non è obbligatoria; detta soglia va determinata caso per caso. Quanto poi ai prodotti destinati all elaborazione diretta, l obbligo di etichettatura non si applica alle tracce di Ogm autorizzati, non intenzionali o tecnicamente inevitabili, che siano non superiori alla soglia dello 0,9%. Il Regolamento n. 1829/2003/CE stabilisce obblighi di etichettatura ogni volta che il prodotto contenga o sia costituito da Ogm o sia prodotto a partire da (o contenga materiale prodotto a partire da) Ogm. Esiste però un esenzione, per il caso in cui il materiale contenuto nel prodotto (e che a sua volta contenga, sia costituito da o prodotto a partire da Ogm) sia presente in misura inferiore allo 0,9%, sempre che detta presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile ; in ogni caso, è possibile adottare caso per caso anche soglie inferiori. Qui il paradosso è che un prodotto derivato da Ogm ma che non ne contenga tracce (es.: miele prodotto da api gm) è soggetto all obbligo di etichettatura, mentre un prodotto che presenti tracce in misura inferiore alla soglia (es.: miele che contenga accidentalmente polline gm) non lo è. Infine, il Regolamento n. 1830/2003/CE, oltre a sancire, in materia di etichettatura, alcuni principi generali, ha introdotto un sistema di tracciabilità, in base al quale nella prima fase (cioè nel primo atto della catena di produzione e distribuzione ) dell immissione in commercio di un prodotto contenente Ogm o da essi costituito, bisogna trasmettere per iscritto al destinatario del prodotto un certo numero di informazioni, procedura che andrà ripetuta anche per ogni successivo passaggio. Queste norme peraltro non si applicano ai casi di esenzione dall obbligo di etichettatura già citati. Analoghi principi ed analoghe esenzioni sono dettati per i prodotti (alimenti o mangimi) ottenuti da Ogm. Inoltre, viene introdotto un sistema di identificatori unici. Tutta la materia, oltre ad essere di costosa applicazione, pone il problema, economicamente significativo e tuttora non risolto, della possibilità della etichettatura negativa (cioè, del prodotto che non contiene Ogm ). Tutta la disciplina su esposta ha comportato uno strisciante conflitto con altri paesi membri del WTO, manifestatosi clamorosamente nel 2003 con alcune procedure arbitrali avviate contro l UE. I

5 procedimenti in questione si sono chiusi con un accordo transattivo, ma le conclusioni del Panel del WTO erano chiaramente nel senso che la normativa UE fosse in contrasto con il Trattato SPS (secondo il quale le restrizioni al commercio sono ammissibili se mirano a tutelare la salute o l ambiente e si basano su prove scientifiche). E verosimile che i nuovi orientamenti dell UE sulla coesistenza e sulla possibilità di stabilire zone Ogm-free rinfocoleranno questo contrasto. Nel 1998, dopo un complicato iter legislativo, la UE ha emanato la Direttiva n. 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Dopo quasi dieci anni, ben sei Stati membri (tra cui l Italia) non vi avevano ancora dato attuazione, tanto da determinare una condanna per inadempimento. (L Italia ha poi provveduto a recepire la Direttiva con il D.L. n. 3/2006). Si tratta di uno strumento normativo alquanto strano, breve e preceduto da un preambolo lunghissimo. Su molti punti importanti, la Direttiva è vaga o tace. Comunque, essa stabilisce che gli Stati membri dovranno proteggere le invenzioni biotecnologiche con una tutela brevettuale. Sono brevettabili le invenzioni che (i) siano nuove, (ii) comportino un attività inventiva e (iii) siano suscettibili di applicazione industriale, anche qualora abbiano ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico. Il materiale biologico è quello che contiene informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico, ed esso può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale, a condizione però di essere isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico. Esistono peraltro numerosi esclusioni. Innanzitutto, non sono brevettabili le varietà vegetali e le razze animali, e i procedimenti essenzialmente biologici per la loro produzione. Né il corpo umano, né la mera scoperta di uno dei suoi elementi (come la sequenza totale o parziale di un gene) possono essere brevettati. Tuttavia, un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale ; in questo caso, la domanda di brevetto deve indicare concretamente l applicazione industriale. Non sono infine brevettabili le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all ordine pubblico o al buon costume: esempi ne sono i procedimenti di clonazione di esseri umani, di modifica dell identità genetica germinale degli esseri umani, l uso di embrioni umani per fini industriali o commerciali, e i procedimenti di modifica dell identità genetica di animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l uomo o l animale. La protezione derivante dal brevetto su un materiale biologico fornito di certe proprietà si estende a tutti i materiali biologici da esso derivati per riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà ; analogamente si estende il brevetto su un procedimento per produrre materiale biologico. Inoltre, la protezione derivante dal brevetto su un prodotto che contiene o consiste in una informazione genetica si estende a qualsiasi materiale in cui il prodotto è incorporato e in cui l informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione : l unica eccezione sono il corpo umano e i suoi elementi, inclusa la sequenza genica. Esiste poi il c.d. farmer s privilege: la vendita o distribuzione, da parte del titolare del brevetto o col suo consenso, di materiale di riproduzione vegetale a un agricoltore a fini di sfruttamento agricolo implica il diritto dell agricoltore a usare il prodotto del raccolto per semine successive, purché in proprio nella propria azienda. Invece, la vendita o distribuzione a un agricoltore di bestiame di allevamento o altro materiale di riproduzione di origine animale implica solo il diritto dell agricoltore a usare il bestiame in questione per uso agricolo, ma non consente la vendita nell ambito o ai fini di un attività di riproduzione commerciale. Sono previste infine delle licenze obbligatorie.

6 Ad oggi si conosce una sola sentenza della Corte di Giustizia sulla Direttiva: il recente e importante caso Monsanto v. Cefetra, che ha mostrato un atteggiamento restrittivo quanto all estensione della tutela brevettuale. Come ha proceduto l Italia? Da un lato, il nostro paese ha adottato, più o meno tempestivamente, le norme comunitarie; non mancano, peraltro, casi di dubbia conformità. Ad es., il D.Lgs.n. 212/2001 prevede, per chiunque intenda coltivare varietà vegetali gm, l obbligo di richiedere un apposita autorizzazione alla messa in coltura al Ministero per le Politiche Agricole; ma non è affatto chiaro come questa norma si coordini con la Direttiva n. 2001/18/CE e col Regolamento n. 1829/2003/CE, o con le norme in materia di libera circolazione delle sementi già iscritte nel Catalogo comune europeo. Inoltre, il nostro paese, anche per via di una non chiara ripartizione delle competenze fra autorità centrali e locali, non è a tutt oggi riuscito a dotarsi di una disciplina statale della coesistenza (anche se non sono mancate le norme regionali). D altro lato, l Italia ha manifestato un chiaro intento dilatorio e dissuasivo nei confronti di chiunque tentasse di introdurre nel nostro paese coltivazioni gm, anche se debitamente autorizzate, come dimostra, oltre alle moratorie del 2000 e alle numerose leggi regionali che vietano l uso di Ogm nella ristorazione collettiva pubblica (scuole, ospedali, ecc.), la recente vicenda per ora conclusa dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010 e dal successivo decreto del Ministero: in questo caso, il reiterato rifiuto di autorizzare la coltivazione di una varietà di mais gm già iscritta nel Catalogo comune è stato giustificato dal Ministero dapprima con la mancata approvazione dei piani di coesistenza, e, dopo che il Giudice aveva appunto negato che questa giustificazione fosse sufficiente, con la tesi che la coesistenza, date le particolari condizioni della regione interessata (il Friuli), fosse del tutto impossibile. Al riguardo, bisognerà vedere come incideranno la nuova Raccomandazione sulla coesistenza e le eventuali modifiche alla Direttiva 2001/18/CE. E comunque innegabile che le resistenze a livello politico-amministrativo ad ammettere la coltivazione di Ogm riflettano i timori di una opinione pubblica disinformata e confusa, timori tanto più difficili da spiegare in quanto alimenti e mangimi gm vengono quotidianamente importati e consumati in Italia.

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