IL BOSCO DELLE QUERCE DI SEVESO E MEDA

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1 IL BOSCO DELLE QUERCE DI SEVESO E MEDA

2 Azienda Regionale delle Foreste Ufficio Operativo di Milano Unità Operativa Organica di Milano Via Soderini, Milano Tel. +39(2) Fax +39(2) Regione Lombardia Direzione Generale Qualità dell Ambiente Pianificazione Ambientale e Gestione Parchi Gestione e Valorizzazione Parchi via Stresa, Milano pier_giorgio_panzeri@regione.lombardia.it Tel. (2) Fax (2) Autore: Mario Di Fidio Con la collaborazione di: Antonio Mambriani, Marco Rolla, Francesco Monzani, Paolo Bertolone Unità Operativa Organica di Milano - ARF Si ringrazia Paolo Lassini per i quindici anni di preziosa e costante attività dedicata alla creazione del bosco di domani 2000 Copyright Regione Lombardia Proprietà letteraria riservata. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o utilizzata sotto nessuna forma, senza permesso scritto, tranne per brevi passaggi in sede di recensione e comunque citando la fonte.

3 RegioneLombardia Azienda Regionale IL BOSCO DELLE QUERCE DI SEVESO E MEDA a cura di Mario Di Fidio

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5 PREFAZIONE Sul disastro ambientale di Seveso e Meda sono già state scritte moltissime pagine da tanti punti di vista: politici, sociologici, tecnologici, scientifici, sanitari, ambientali. Questo libro non vuole riassumere compiutamente una vicenda così grande e complessa, anche per le sue ricadute a livello internazionale, ma più modestamente raccontare la storia del Bosco delle Querce di Seveso e Meda, il quale rappresenta nello stesso tempo la cicatrice rimarginata di una terribile ferita e il simbolo della rinascita di questa terra e della sua gente laboriosa. Naturalmente si tratta di una storia particolare, che s'intreccia con quella più generale e importante, a cui - per miglior comprensione - dovremo fare i necessari riferimenti, soprattutto nella prima parte del testo. La storia vera e propria del Bosco delle Querce parte dal completamento delle operazioni di bonifica e si sviluppa fino ai nostri giorni seguendo tre percorsi paralleli: la gestione, da parte dell'azienda Regionale delle Foreste, del parco e degli impianti tecnologici e reti di monitoraggio, che esso atipicamente ospita; gli studi e le ricerche affidati ad una pluralità di istituti ed esperti, continuando in forme diverse la tradizione dell'ufficio Speciale di Seveso ed infine i progetti per il futuro, che vanno largamente al di là della dimensione, a conti fatti modesta, di quest'area verde, attorno alla quale chi si avvicina avverte un'aura speciale, che induce a pensare in grande. Il libro è destinato soprattutto agli abitanti di Seveso e Meda, maggiormente interessati a riflettere su un capitolo importante della propria storia ed ai quali si deve un'informazione essenziale, ma completa. Solo essi sono in grado di capire fino in fondo il legame tra passato, presente e futuro, dando un senso alla sofferenza di ieri, al lavoro di oggi ed alle speranze di domani. Assessore Qualità dell Ambiente Franco Nicoli Cristiani 5

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9 CAPITOLO 1 - Il Paese del Bosco delle Querce Ogni area verde, di origine naturale o artificiale, è intimamente legata al paese, ossia al territorio che la ospita, considerato nei suoi caratteri tipici di geografia fisica ed umana, di storia e di cultura. Il paese del Bosco delle Querce è la Brianza milanese, al confine settentrionale della Provincia di Milano, dove si trovano i Comuni di Seveso e Meda, a metà strada tra Milano e Como. Per capire meglio la storia del nostro parco, dobbiamo fare una breve escursione in quella - naturale ed umana - della Brianza. Dal punto di vista della geomorfologia, il Bosco delle Querce è collocato nell alta pianura diluviale, a circa 210 metri sul livello del mare, presso il margine tra l area collinosa degli archi morenici a Nord e le spianate terrazzate dei depositi fluvio-glaciali, dovuti allo smantellamento erosivo degli accumuli morenici, a Sud. Il sottosuolo dei depositi fluvio-glaciali è permeabile, con una composizione prevalentemente ghiaio-sabbiosa, povera di materiali fini limoargillosi. Tutti i terrazzi sono però ricoperti da un orizzonte pedologico arrossato, costituito da argille di alterazione, impermeabili o poco permeabili. Lo spessore di questo mantello protettivo diminuisce con l età geologica dei depositi: dai molti metri di ferretto dei più antichi terrazzi (Mindel) caratteristici del parco delle Groane ai pochi decimetri di terra bruna dell ultimo, più recente terrazzo (Würm tardivo) del Bosco delle Querce, asportati durante l operazione di bonifica (v ). Inferiormente si alternano strati di ghiaia e sabbia, conglomerati debolmente alterati e va- LAGO DI MONTORFANO 1.1 L ambiente naturale T. SEVESO CANTU MEDA SEVESO T. CERTESA CESANO MADERNO CARUGO MARIANO CABIATE Bosco delle Querce Figura Il Bosco delle Querce sorge nell alta pianura diluviale milanese, a cavaliere tra i Comuni di Seveso e Meda, lungo il torrente Certesa, che scende dal lago di Montorfano attraverso la Brianza, per immettersi nel torrente Seveso. 9

10 cuolari (ceppo) con intercalazione di materiali incoerenti e limi sabbiosi debolmente argillosi. A m di profondità c è uno strato di argilla, su cui scorre la falda freatica. Il livello piezometrico, ossia la superficie della falda, si trova a circa m. Se consideriamo l idrografia superficiale, la zona ad Ovest del Bosco delle Querce è nettamente più ricca di corsi d acqua: numerosi torrentelli scendono dall altopiano delle Groane per entrare nel torrente Seveso. Ma il corso d acqua che più ci interessa è il T.Certesa o Terrò, in quanto lambisce per un lungo tratto il perimetro del Bosco delle Querce, dopo aver drenato un vasto territorio a monte fino al lago di Montorfano, per entrare poco più a valle del Bosco nel torrente Seveso (v. fig. 1.1). Il clima del Bosco delle Querce può essere considerato di tipo moderato - continentale, con inverni rigidi ed estati calde, ma escursioni termiche che raramente superano i 20 C, ventosità limitata, umidità elevata, nebbie autunnali ed invernali, piovosità concentrata in primavera ed autunno. Le precipitazioni medie annue sono quantificabili in circa 1300 mm di pioggia. Figura Foglie, fiori e frutti della Farnia (Quercus robur), albero emblema del Bosco delle Querce, in quanto rappresentativo della vegetazione naturale potenziale di quest'area (Querco-Carpineto). La vegetazione naturale un tempo presente nella zona può essere individuata nell ambito delle latifoglie mesofile e in particolare del Querco- Betuletum insubricum, Querco-Carpinetum, Querco-Ostrietum (Helleboro-Ornetum), con buona variabilità a seconda della freschezza e composizione del terreno più o meno profondamente alterato. Le specie arboree ed arbustive presenti nei boschi residui vicini sono costituite da Farnia o Rovere ( v. fig. 1.2), Pino silvestre, Betulla, Carpino bianco, Ontano nero, Salice, Corniolo, Rovo, Biancospino, Nocciolo, Sambuco ecc. Tra la flora erbacea peculiare, importanti sono l Erica o Brugo e la Molinia. 1.2 L ambiente creato dall uomo Il paese del Bosco delle Querce è tra quelli più radicalmente trasformati dall uomo. Spesso l aspetto attuale dei luoghi è così cambiato che non è più possibile riconoscere i caratteri morfologici originari. Gli antichi terrazzi fluviali sono stati rimodellati dall agricoltura o sepolti dall urbanizzazione. I corsi d acqua sono scarsamente visibili: per lunghi tratti canalizzati e inquinati, hanno perso il corredo vegetale originario. La vegetazione naturale è quasi completamente scomparsa da vaste aree e si è rifugiata in alcune oasi superstiti, infiltrata dalla Robinia e da altre specie esotiche. Tutto ciò è avvenuto perchè ci troviamo nel 10

11 Fig Il Bosco delle Querce si trova nel cuore della più grande area metropolitana d Italia, in prossimità di due parchi storici e due parchi naturali regionali. Legenda: 1. Bosco delle Querce 2. Fosso del Ronchetto 3. Parco delle Ville 4. Parco regionale delle Groane 5. Parco regionale della Brughiera briantea 11

12 cuore della più grande area metropolitana d Italia. Se scendiamo verso Milano, l urbanizzazione si fa sempre più compatta. Se saliamo verso Como, il territorio presenta ancora aree verdi abbastanza vaste e discretamente conservate, costituite in parchi regionali (v. fig. 1.3), ma attorno a queste la città metropolitana continua ad allungare i suoi tentacoli ed ormai è arrivata a lambire la fascia pedemontana dei grandi laghi e il confine svizzero. Così come il territorio della natura è articolato dai corsi d acqua, il territorio dell uomo è articolato dalle infrastrutture di trasporto, grandi e piccole. Il Bosco delle Querce si trova pressapoco a metà dell antica strada statale dei Giovi o comasina, che collega la città di Milano, centro di confluenza del traffico proveniente da tutta Italia e dall Europa orientale ed occidentale e la città di Como, dove confluisce il traffico proveniente dall Europa centro-settentrionale. Su questo asse si sono formati molti nuclei abitati storici, tra cui quelli di Meda e di Seveso. In epoca moderna, gradualmente alla vecchia statale comasina, sempre più insufficiente, si sono affiancate altre maggiori infrastrutture di trasporto: dapprima, nel secolo scorso, la linea delle FF.SS. Milano-Monza-Meda-Como e quella delle F.N.M. Milano-Seveso-Meda-Erba-Asso e poi, nel primo Novecento, l autostrada A9 Milano-Como, dislocata ad occidente delle Groane e, negli anni 60, la superstrada Milano-Meda, tangente per un lungo tratto al Bosco delle Querce. Il Bosco è quindi facilmente raggiungibile sia per via ferroviaria, utilizzando le frequenti corse a carattere pendolare, sia attraverso la superstrada, ma con mezzi propri, poichè non esiste un collegamento diretto mediante autolinee pubbliche. Tutti i suddetti assi stradali e ferroviari hanno direzione Nord-Sud, corrispondente a quella del flusso storico di traffico. Non esiste invece un marcato collegamento Est-Ovest, di cui più recentemente si è avvertita l esigenza, con l espandersi della città metropolitana. Se consideriamo la viabilità minore, il Bosco delle Querce è accessibile da tre ingressi: quello principale sul lato Ovest da via A.Negri presso la palazzina di servizio e quelli secondari (aperti solo la domenica) sul lato Sud in via dei Vigneé presso il cimitero e sul lato Est da un cavalcavia sulla superstrada. Tutt attorno al parco si è sviluppata un edificazione recente, a carattere misto, residenziale ed artigianale, come ce ne sono tante in Brianza. Essa non fa intuire la presenza del Bosco, quasi gli fosse estranea. Ma c è una storia grande di sofferenza alle spalle e c è anche un apertura al futuro, in questo luogo carico di memorie. Il Bosco delle Querce sorge a cavaliere del territorio di Meda e di Seveso, Comuni uniti dalla geografia e dalla storia, ma con una struttura urbanistica ed architettonica differente. Essi sono pressochè equivalenti come popolazione (circa abitanti Meda e abitanti Seveso) e come superficie (834 ha Meda e 734 ha Seveso). Ma il Bosco delle Querce interessa per soli 7,81 ha Meda, essendo la parte più vasta e importante (34,95 ha) in Comune di Seveso. Meda ha caratteristiche architettoniche tipicamente cittadine, con palazzi multipiano, centri commerciali ed un edificazione complessivamente compatta attorno al nucleo storico centrale, con scarse aree verdi interne. Risalendo dal centro abitato verso Nord, dopo aver superato pochi metri di dislivello dell antico arco morenico, all improvviso si entra in un ambiente affatto diverso e di grande fascino, di cui non si intuiva la presenza camminando attraverso la città: il mondo dei boschi alternati a radure del parco della Brughiera 12

13 Fig L area del Bosco delle Querce immediatamente prima della catastrofe dell ICMESA nel L espansione urbanistica, dal centro storico di Seveso ad Ovest verso la frazione Baruccana ad Est, tendeva a saturare gli spazi ancora liberi, dove poi sarebbe sorto il parco. 13

14 briantea, che si estende per molti chilometri verso il canturino e il comasco. A Sud del centro storico, oltrepassata la Superstrada, lungo il torrente Certesa sorgono i moderni impianti sportivi di Meda, nell area dell ex ICMESA e al di là del Certesa inizia il Bosco delle Querce, che a dire il vero, in questa sua estremità settentrionale, ancora non si percepisce in modo netto come bosco, essendo fortemente interessato da strutture e infrastrutture artificiali. Seveso ha un tessuto urbano diverso da quello di Meda, più articolato e disomogeneo, e un centro storico senza una precisa struttura, con edifici bassi risalenti alla fine dell Ottocento e ai primi del Novecento. Il complesso edilizio di maggior rilievo storico e architettonico è il vecchio seminario di S.Pietro Martire, già dei Cappuccini e poi arcivescovile, da poco ristrutturato e con un parco recintato, in posizione intermedia tra il centro storico ad Ovest e il Bosco delle Querce ad Est. Ad Ovest del centro storico, sull altopiano di Seveso, si trovano due altri complessi interessanti: il parco delle Ville, che raggruppa tre ville storiche (Dho, Peruviana, Bianchi-Mariani), collegate attraverso i giardini e il Fosso del Ronchetto, oasi naturalistica dove è possibile Fig L'area del Bosco delle Querce all'epoca del Catasto Teresiano (1760). I borghi storici sono ancora ben distanziati. È già presente la fondamentale rete viaria moderna. Fig L area del Bosco delle Querce nella cartografia IGM del Subito dopo l unità d Italia, l impianto dei borghi e delle strade non è molto cambiato rispetto all epoca di Maria Teresa, ma sono comparse le ferrovie. 14

15 fare escursioni. Ancora più ad Ovest inizia il parco delle Groane, di notevole valore paesaggistico (v. fig. 1.3). L espansione urbanistica più recente di Seveso ha dapprima coinvolto le aree ad Est del centro storico, nella direzione del Bosco delle Querce, con insediamenti a carattere residenziale-artigianale ed è poi continuata al di là della superstrada, in frazione Baruccana. Senza il dramma della diossina, probabilmente anche tutta l attuale area del Bosco a Sud di via Vignazzola, già parzialmente intaccata nel 1976 da edifici poi demoliti (v. fig. 1.4), sarebbe stata destinata all urbanizzazione. L interruzione di questo processo può sembrare casuale, ma non per chi crede che nel mondo ogni evento ha anche un valore simbolico: forse in tal caso costituisce un segno affinchè l uomo corregga la direzione del suo sviluppo. 1.3 Lo sviluppo storico del territorio e dell economia Chi sale oggi in cima alle due collinette del Bosco delle Querce o guarda dalla curva della superstrada presso lo svincolo di Meda, vede dunque un panorama completamente diverso dalle aree urbanizzate ed agricole residuali circostanti: l incidente ICMESA è stato un dramma che ha spezzato la continuità dello sviluppo storico del territorio, attraverso un bosco di nuovo impianto, che richiama forme antiche, con la ricerca di specie autoctone. Viene spontaneo chiedersi com era il paesaggio della zona nei secoli scorsi, ma anche cercare un collegamento con le radici e la storia dei luoghi. I primi dati certi sull evoluzione del territorio si estraggono dalla lettura della cartografia del 1760, il cosiddetto catasto teresiano. La figura 1.5 indica l impianto viario dell epoca, rimasto sostanzialmente invariato fino ai giorni nostri, con i suoi tracciati principali in direzione Nord-Sud e secondari in direzione Est-Ovest, tra cui sono riconoscibili le attuali vie Vignazzola e dei Vigneé. Non solo i borghi di Meda e di Seveso, ma anche le frazioni di Seveso centro, S.Pietro martire e Baruccana sono nettamente separati da estese campagne. La successiva cartografia del 1888 (v. fig. 1.6) indica la comparsa delle ferrovie, ma l impianto delle strade e dei borghi è poco mutato rispetto al Settecento. Il confronto tra le due cartografie storiche ci dice chiaramente che la storia del territorio fino al Novecento è stata fortemente caratterizzata dall agricoltura, pur in presenza di numerosi nuclei urbani di una certa consistenza, che si sviluppavano gradualmente assieme alle attività manifatturiere, ospitando percentuali crescenti della popolazione.le condizioni naturali dell ambiente (suolo, clima) favorirono sin dall antichità due colture fondamentali: i cereali e la vite. Tra i cereali prevalsero inizialmente segale e miglio; solo più tardi si produsse frumento e granoturco. I rendimenti di queste colture asciutte non potevano certo essere molto remunerativi; quindi si trattava di un agricoltura povera che, associata ad una crescente densità della popolazione, fa pensare ad un prevalente autoconsumo, confermato dal grande sviluppo dei mulini locali. Già a metà del 500 i dati disponibili indicano una discreta diffusione delle attività manifatturiere (in particolare tessiture) e degli addetti ai servizi (sarti, fabbri, falegnami), in proporzioni superiori a quelle necessarie per soddisfare le normali esigenze locali. Lo sviluppo moderno sembra quindi avere radici antiche. Tra la fine del 500 ed i primi del 600 si verificarono grossi investimenti immobiliari nella campagna briantea, da parte di mercanti milanesi, con effetti di forte impulso all economia locale. 15

16 Nel 700 iniziò la stagione del gelso (v.fig. 1.7) che, quasi del tutto assente nei secoli precedenti (e oggi di nuovo scomparso), diventò il grande protagonista della campagna briantea, come già evidenzia il catasto teresiano. Il sistema agricolo locale era in grado di rispondere alla crescente domanda di seta da parte dei mercati esteri, con un forte impulso all espansione della gelsibachicoltura. Accanto all allevamento dei bachi da seta, prevalevano le colture del frumento e del granoturco. Ma anche la vite mantenne il posto di coltura largamente praticata, come attestano i toponimi locali, tra cui l attuale via dei Vigneé, che costituisce il confine meridionale del Bosco delle Querce e il reticolo degli adiacenti mappali catastali, oggi in gran parte edificati. Scarso era il bestiame, costituito prevalentemente da bovini. Il bosco, dominato da Castagni e Querce, era ancora notevolmente esteso, soprattutto nelle zone collinari, fornendo legna da costruzione e da ardere, pali per le viti, i recinti e gli edifici rurali, mentre il sottobosco dava fogliame per lo strame del bestiame stabulato. Accanto allo sviluppo dell industria tessile favorito dalla coltura del gelso, cominciò nell Ottocento ad affermarsi la lavorazione del legno, che dalla produzione tradizionale di suppellettili, attrezzi agricoli e macchine, andava gradualmente indirizzandosi verso quella dei mobili. Mentre la coltura del gelso lentamente si spegneva, divenne sempre più fiorente la lavorazione del legno, che consentì a queste laboriose popolazioni di affrancarsi dalle secolari condizioni di povertà, valorizzando nel modo più intelligente un abilità acquisita dalla lunga consuetudine del lavoro agricolo e artigianale nelle campagne. Nonostante il dramma dell ICMESA sia legato alla presenza di un industria chimica, va detto che la vocazione artigianale è tuttora molto forte nei Comuni di Meda e Seveso, a differenza dei Comuni vicini, dove il panorama manifatturiero si è ulteriormente evoluto negli ultimi anni. Numerose sono quindi le Fig Foglie, fiori e frutti di Gelso (Morus alba), pianta originaria della Cina, assai diffusa in Brianza a partire dal 700, per l allevamento del baco da seta ed oggi quasi totalmente scomparsa. Per il suo valore storico-culturale, è stata reintrodotta nel Bosco delle Querce. 16

17 si in termini restrittivi, come un mero fatto di forza maggiore o - peggio - una fuga dalla modernità ed una regressione, bensì come la ricerca di un nuovo equilibrio, attingendo alla forza che sale come una linfa dalle proprie radici, naturali e culturali, per riprendere l avventura della vita La memoria storica più profonda Fig Il bosco è legato all identità delle popolazioni di Seveso e Meda, perché da esso proviene il legno, magistralmente lavorato dai numerosi artigiani locali, come rivelano i prodotti di questa bottega di intagliatori. aziende e gli addetti nel settore del legno, dalla produzione di legname per uso cantieristico a quella di arredi finiti. Tale vocazione è confermata anche dalla presenza di due prestigiose scuole di formazione: l Ente morale Generoso Galimberti di Seveso, fondato nel 1886 e il Centro di formazione professionale di Meda. Dalla storia secolare dello sviluppo economico del paese del Bosco delle Querce possiamo dunque ricavare un altra indicazione importante e totalmente positiva: il lavoro dell uomo è cosa buona e benedetta da Dio, quando non deturpa e non avvelena il mondo, ma lo migliora, non solo con l utilità, ma anche con la bellezza dei suoi prodotti, che possiamo considerare quasi una seconda natura uscita dalle mani dell uomo, come nel caso degli oggetti spesso stupendi realizzati dall artigianato del legno e degni d essere conservati in un museo (v. fig. 1.8). Il bosco, che non solo difende l ambiente, ma produce anche il legno lavorato dall uomo, è legato simbolicamente a questa realtà positiva del lavoro umano. Il ritorno al bosco dopo una catastrofe come quella della diossina non è quindi da veder- La storia di un paese non è fatta solo di trasformazioni territoriali ed ambientali e di sviluppo sociale ed economico. C è sempre qualcosa di più profondo, che affonda le sue radici nello spirito ed in ogni luogo ha le sue manifestazioni peculiari. Per scoprirlo, non serve soffermarsi sulle grandi vicende storiche illustrate dai libri di scuola, ma si deve leggere la storia cosiddetta minore. Si scopre allora un dato singolare: l atto di nascita sia di Meda che di Seveso, ossia l evento storico fondativo e col passare del tempo avvolto nella leggenda, è in entrambi i casi drammatico e in qualche modo legato al bosco. Il Comune di Meda è più antico di quello di Seveso ed inizialmente comprendeva anche il territorio di quest ultimo, essendosi sviluppato gradualmente attorno al monastero delle monache benedettine, il quale possedeva moltissimi beni, che troviamo già elencati nella pergamena del codice diplomatico longobardo dell anno 851, con il diritto di giurisdizione o signoria in capo alla badessa. Il monastero di S.Vittore di Meda venne fondato dai venerabili Aimo e Vermondo, due fratelli della famiglia milanese dei Corii, conti di Turbigo, nel 780, in seguito ad un voto fatto alla SS.Vergine ed a S.Vittore durante una brutta avventura: mentre erano a caccia, s imbatterono in un branco di cinghiali feroci, che li avrebbero assaliti e sbranati se non si fossero rifugia- 17

18 Fig Il bosco è legato alla memoria storica locale. L illustrazione, tratta dal Codice Trivulziano, presenta la storia dei SS. Aimo e Vermondo, che, per sfuggire ad un branco di cinghiali, si rifugiano sugli alberi vicino alla cappella di S.Vittore a Meda, dove nell anno 780 fonderanno l omonimo Monastero, attorno al quale si svilupperà il Comune. ti sugli alberi (querce?) vicino alla cappella di S.Vittore (v.fig1.9) Il monastero durò un millennio, finché venne soppresso in epoca napoleonica e costituì fino all ultimo un istituzione importante, non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello civile ed economico. Per secoli il territorio di Seveso rimase alle dipendenze del monastero delle monache di Meda, finchè nel 1252 si verificò un altro evento storico fondativo: il martirio del frate domenicano Pietro da Verona. Siamo negli anni successivi alla morte di S.Domenico e S.Francesco e nell Italia settentrionale, come in Provenza, trovava ancora molti seguaci l eresia manichea, detta anche catara o albigese. Frate Pietro da Verona, grande predicatore noto in tutta l Italia settentrionale, mentre si recava da Como a Milano con un confratelllo, venne assalito in un bosco a Seveso (in località Berga) e ucciso da alcuni sicari armati dagli eretici. Il corpo è oggi sepolto nella Chiesa di S.Eustorgio a Milano. I confratelli domenicani chiesero e ottennero dal papa la facoltà di costruire e tenere in perpetuo la Chiesa e il Convento di S.Pietro Martire (poi ceduto ai Francescani e divenuto nel 1819 seminario arcivescovile), attorno al quale crebbe il nuovo Comune di Seveso. In queste due storie simmetriche è dunque presente il bosco, come la scena in cui si svolge un dramma, vissuto con sentimento religioso, che porta alla fondazione di una nuova istitu- 18

19 Fig Anche l atto di nascita di Seveso è legato ad un dramma che ha per scenario un bosco: il martirio di S.Pietro da Verona nel XIII secolo, a memoria del quale verranno costruiti la chiesa e il convento omonimi. La stampa illustra la sagra di Calendimaggio in S.Pietro Martire, che ancor oggi costituisce la festa più popolare. zione spirituale, per la promozione di un più generale processo di rinascita civile. Nel 1976 si è consumato un altro dramma, questa volta avente un ben diverso scenario, ossia l industria moderna e il bosco è stata la risposta istintiva delle popolazioni locali e delle autorità, come appello alle forze risanatrici della natura. Si può forse stabilire un parallelismo tra i cinghiali feroci, gli eretici omicidi e i moderni apprendisti stregoni dell ICMESA, a cui sfugge la mortale diossina, considerati come simboli diversi di oscure forze ostili all uomo. Conosciamo il bene che dalla tragedia della diossina è poi derivato all intera umanità; è stato scritto - forse con qualche ridondanza - che il nome Seveso identifica un preciso punto di passaggio nella civiltà industriale, la quale ha un prima e un dopo Seveso. Ma questa dimensione appare da un lato troppo grande per le popolazioni locali e dall altro troppo piccola se paragonata con l intensità della tradizione spirituale locale, perchè un vero processo di rinascita non può limitarsi alla tecnologia. Pensiamo quindi che nell evento della diossina ci sia anche un messaggio più profondo e nascosto, che meglio di altri può intendere la gente del posto, che non ha dimenticato la sua storia. 19

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23 CAPITOLO 2 - Dalla catastrofe ambientale alla bonifica 2.1 Premesse: non solo bosco Nel capitolo precedente, descrivendo il paese del Bosco delle Querce, abbiamo in un certo senso narrato la preistoria di quest ultimo. Ora dobbiamo iniziare il racconto della storia, la quale ha inizio il 10 luglio 1976, data di una catastrofe ambientale che sconvolse la vita della popolazione locale, cambiò il destino di quel territorio e influì sulla politica ambientale delle Nazioni industrializzate. Essa è nota in tutto il mondo con tre nomi: quelli di una fabbrica (l ICMESA), una sostanza chimica (la diossina) ed un Comune (Seveso), che con la sua gente fu la vittima principale. L enorme letteratura esistente sull argomento ed i limiti della presente pubblicazione inducono a riassumere molto sinteticamente una complessa vicenda, che doveva concludersi solo dieci anni dopo, con il compimento della bonifica, fornendo peraltro le informazioni indispensabili per la miglior comprensione della realtà del Bosco delle Querce, che a sua volta non è semplice. Si rifletta infatti che non soltanto quell evento drammatico è l atto di nascita del nostro parco, ma, entro certi limiti, ne segna anche la vita successiva, ben al di là dell avvenuta bonifica. Innanzitutto il Bosco oggi ospita, sotto due amene colline artificiali, le vasche dove sono stati confinati, in condizioni di sicurezza, i residui meno contaminati della bonifica. E questa una condizione atipica e probabilmente unica nel panorama mondiale, che caratterizza la gestione di un parco con componenti tecnologiche importanti e in parte anche sofisticate, come le reti di monitoraggio. Inoltre l intero ecosistema locale (aria, acqua, suolo, flora e fauna) da anni viene sistematicamente sottoposto a controlli analitici, per verificare gli eventuali residui del contaminante originario e confrontarli con il carico di fondo dell area metropolitana. Anche questa è una condizione permanente del Bosco delle Querce, che non ha paragoni con quella degli altri parchi ed ha finito per promuovere, si direbbe per trascinamento, una molteplicità di ulteriori studi e ricerche scientifiche sull ambiente e l ecosistema, per sè stessi rilevanti, pur non avendo nulla a che vedere con la diossina. Si tratta dunque di una realtà molto complessa, di cui cercheremo di cogliere i nessi fondamentali. 2.2 Il dramma del 10 luglio 1976 e le sue conseguenze L incidente ICMESA e la nube tossica L ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) era una fabbrica insediata tra la superstrada Milano-Meda e il torrente Certesa, ai confini con il Comune di Seveso, di proprietà della Società Givaudan di Ginevra, a sua volta facente capo al potente gruppo chimico Hoffmann La Roche (v. fig. 2.1). Il 10 luglio 1976, in un reattore che da qualche tempo produceva triclorofenolo, una so- 23

24 Fig Lo stabilimento ICMESA all'epoca della catastrofe. stanza chimica a sua volta utilizzata per la preparazione di erbicidi e pesticidi, l aumento improvviso e incontrollato della temperatura provocò complesse e impreviste reazioni chimiche, che portarono, tra l altro, alla formazione di una sostanza estremamente pericolosa per le sue caratteristiche di altissima tossicità, persistenza e stabilità: la diossina. La sovrapressione anomala determinata da queste reazioni chimiche provocò la rottura della valvola di sicurezza del reattore e l emissione nell atmosfera di una nube tossica, contenente una miscela di numerosi inquinanti, con una massa complessiva pari a circa kg, tra cui la diossina, la cui quantità è ancor oggi molto incerta, essendo stata valutata da 300 g a 130 kg. La nube tossica venne trascinata dal vento che, contrariamente alle condizioni tipiche stagionali, quel giorno soffiava a discreta velocità (5 m/s) in direzione Sud-Est, lungo la quale si depositò il carico inquinante, seguendo un percorso lineare di circa 6 km, che coinvolse, oltre ai Comuni di Meda e Seveso (e marginalmente Barlassina), più vicini all ICMESA, anche quelli più lontani, ossia Cesano Maderno, Desio e Bovisio Masciago (v. fig.2.2). In assenza del vento, i contaminanti si sarebbero concentrati su una superficie molto più limitata e la storia sarebbe stata diversa. Possiamo dunque affermare che i confini del Bosco delle 24

25 Fig L area contaminata dalla diossina sprigionatasi dall ICMESA il 10 luglio 1976 corrisponde al percorso della nube tossica trascinata dal vento in direzione Sud-Est. La figura rappresenta i Comuni interessati e le subaree A, B, R della mappatura realizzata subito dopo l incidente, in base al grado di contaminazione. Querce, corrispondenti a quelli dell area più inquinata nel primo tratto della nube tossica, sono stati disegnati dal vento Che cos è la diossina Poichè, come si è visto, la diossina in varia misura accompagnerà fino in fondo la nostra storia, anche se questo libro non ha finalità tecnicoscientifiche specifiche, tuttavia, per favorire la comprensione da parte del lettore, dobbiamo fornire alcune informazioni sulla natura di questo sgradito ospite, presente tra noi da molto tempo in incognito, che il dramma di Seveso ha avuto se non altro il merito di smascherare. La figura 2.3 illustra la struttura molecolare della diossina di Seveso e - vista così - non si può negare che abbia perfino una sua bellezza, peraltro perversa, perchè estranea ed ostile alla natura, di cui l uomo - che pure l ha creata - fa parte. Il nome scientifico è 2,3,7,8-TCDD, ossia tetraclorodibenzodiossina, ove i numeri indicano la posizione degli atomi di ossigeno sostituiti da atomi di cloro nei due anelli aromatici originari. La TCDD non è sola al mondo, perchè fa parte di una complessa famiglia detta delle dibenzodiossine policlorurate (PCDD) o semplicemente diossine, che, secondo il numero (da 1 a 8) e la posizione degli atomi di cloro nella mo- 25

26 Fig La struttura molecolare della diossina di Seveso (2,3, 7, 8 TCDD). I numeri indicano la posizione degli atomi di ossigeno degli anelli benzenici sostituiti da atomi di cloro. lecola, formano ben 75 isomeri. Affine alla famiglia delle diossine è quella dei furani, o dibenzofurani policlorurati (PCDF), costituita da 135 isomeri. Diossine e furani sono tutti composti tossici, ma in grado differente. Poichè ormai in vaste aree, soprattutto urbane e industriali, essi sono presenti mescolati, per poterne correttamente valutare il grado di pericolosità, è stato concepito un fattore di tossicità equivalente (TEF), che per il composto di Seveso è posto uguale a 1 e per gli altri ha valori inferiori all unità (da 0,5 a 0,001). Le concentrazioni delle singole sostanze vengono moltiplicate per i suddetti indici e poi sommate per formare un valore globale, da confrontare con i limiti di accettabilità della vigente normativa (applicati soprattutto alle emissioni nell atmosfera). Diossine e furani, oltre ad essere generati da processi chimici industriali (produzione di clorofenoli, bifenoli policlorurati, cloronaftaline, clorobenzoli), si formano anche nei processi di combustione il cui decorso non sia ottimale, ossia in difetto di ossigeno ed a basse temperature, quando sia presente cloro (come per esempio nei rifiuti di PVC). In particolare, tutti gli incendi di edifici, come nella recente guerra in Jugoslavia (1999), producono diossina. Trattandosi di concentrazioni estremamente piccole, la determinazione quantitativa richiede apparecchiature specializzate (gascromatografi), che all epoca dello incidente ICMESA non erano ancora molto perfezionate. In seguito, il limite di rivelazione si è continuamente abbassato, fino a giungere oggi a circa 0,1 ng/l, essendo il nanogrammo (ng) un miliardesimo di grammo. Per valutare la tossicità di queste sostanze, si consideri che studi sul rischio di tumore nei ratti per ingestione di 2,3,7,8 TCDD hanno consentito di definire il cosiddetto NOEL (No Observed Effect Level), ossia il livello al quale non si registrano ancora effetti, corrispondente a 1 ng per kg di peso corporeo al giorno. Estendendo questi risultati all uomo, gli esperti ritengono che si debba applicare un coefficiente di sicurezza pari a 1.000, giungendo ad una quantità assunta senza pericolo pari a 1 pg/kg.d (1 picogrammo per kg corporeo al giorno). 26

27 2.2.3 Delimitazione e destino delle zone contaminate L area interessata dalla catastrofe venne subito delimitata in modo tale da distinguere le zone ad alta, media e bassa contaminazione, da sottoporre a differenziate misure di tutela e di bonifica. La prima mappatura, a cura della Commissione Cimmino (v ), risale all agosto 1976 e fu approvata dal Consiglio regionale il 7 ottobre Tali zone (v.fig.2.2) furono contrassegnate da lettere (rispettivamente A, B ed R), presto entrate non solo negli atti giuridici, pianificatori ed amministrativi e nel gergo degli addetti ai lavori, ma anche nel linguaggio della gente del luogo. Diverso fu infatti il destino di chi abitava, lavorava o aveva interessi in una o nell altra zona e diverso fu anche il destino del territorio. Tutta la zona A, una volta evacuata la popolazione (735 abitanti), venne recintata con una rete metallica a maglia stretta alta 4 m e rivestita di vetroresina per impedire l azione dispersiva del vento e l accesso di animali anche di piccola taglia. Dopo la bonifica, tale zona fu in massima parte trasformata nell attuale Bosco delle Querce. Invece nelle zone B ed R gli abitanti vennero sottoposti soltanto alle seguenti misure precauzionali, pesanti ma transitorie: i divieti di allevare animali, coltivare prodotti vegetali, esercitare la caccia; la limitazione alla sola permanenza notturna nelle proprie abitazioni per i bambini sotto i 12 anni, le donne incinte e gli anziani (per la sola zona B); l astensione dalla procreazione; il divieto di edificazione (per la sola zona B); il rispetto del limite di velocità di 30 km/h per minimizzare il tasso di pulviscolo atmosferico. Questi vincoli sarebbero stati gradualmente Fig L articolazione della zona A in subaree a contaminazione decrescente. Le subaree da A1 ad A5 corrispondono all'attuale Bosco delle Querce. tolti nelle varie subaree, con il progredire dell azione di bonifica, fino alla completa liberalizzazione nel Complessivamente l incidente interessò una superficie di 1807 ha, con una contaminazione decrescente allontanandosi dal punto di emissione (stabilimento ICMESA) e dall asse della nube tossica, disposto in direzione Sud-Est secondo il vento dominante. Questo vasto comprensorio fu così suddiviso in base al tasso di diossina presente nel suolo, misurato in µg/m 2, ossia in milionesimi di grammo al metro quadrato: zona A (108 ha): includeva le aree con inquinamento maggiore di 50 µg/m 2, che in alcuni punti superavano i µg/m 2 ; 27

28 zona B (269 ha): includeva le aree con inquinamento compreso tra 50 e 5 µg/m 2 ; zona R o di rispetto (1403 ha), con profondità di almeno 500 m ed inquinamento inferiore a 5 µg/m 2 o nullo. Per maggior precisione, vista la forte sproporzione tra i livelli interni d inquinamento, la zona A venne a sua volta suddivisa in sette subaree a contaminazione decrescente da A1 ad A7, procedendo da Nord verso Sud (v. fig. 2.4). Le ultime due subaree meridionali (A6, A7), pari a 32 ha, distanti 1200 m dallo stabilimento ICMESA e pur inizialmente inserite nell area recintata (di maggior pericolo), ebbero un trattamento e una sorte diverse dalle altre, che di fatto le assimilò alla zona B, come indica il colore scelto per la mappa della figura 2.4. Infatti, considerata la loro rilevanza sociale (da lì veniva il 67% della popolazione evacuata), vennero messe in atto operazioni speciali di bonifica, che consentissero il ritorno degli abitanti nelle proprie case decontaminate. Nelle rimanenti subaree A1, A2, A3, A4, A5, tutti gli edifici vennero invece demoliti, il suolo scarificato e l intero territorio trasformato nell attuale Bosco delle Querce. Un eccezione fu rappresentata dallo stabilimento ICMESA, anch esso demolito e bonificato, ma per far posto ad una moderna area sportiva del Comune di Meda. 2.3 I provvedimenti normativi ed amministrativi La rilevanza della catastrofe rese necessari numerosi provvedimenti da parte dello Stato e della Regione, per risolvere i molteplici problemi giuridici, amministrativi, organizzativi, tecnico-scientifici e finanziari, che vennero sin dall inizio focalizzati in due distinti settori: la circoscrizione dell area contaminata con monitoraggio continuo della diossina e la bonifica del territorio interessato; il controllo dello stato di salute della popolazione e la valutazione clinico-epidemiologica delle conseguenze dell esposizione al rischio. Seguiremo solo il primo settore, ossia quello dei rilevamenti e della bonifica, strettamente connesso alla nascita ed allo sviluppo del Bosco delle Querce, il quale, assieme alla Fondazione Lombardia per l Ambiente, può considerarsi l erede delle attività di rilevamento e ricerca scientifica, che in termini diversi continuano ancor oggi Provvedimenti statali Con D.L. 10 agosto 1976, n.542, convertito nella legge 8 ottobre 1976, n.688 (Interventi urgenti per le popolazioni della zona colpita dall inquinamento da sostanze tossiche verificatosi in Provincia di Milano il 10 luglio 1976), lo Stato assegnò alla Regione un contributo speciale di 40 miliardi di lire per fronteggiare l emergenza. Tra gli interventi urgenti rientravano in particolare: gli accertamenti ed i controlli sull inquinamento del terreno, delle acque e della vegetazione; gli interventi di decontaminazione e di bonifica del terreno, degli stabili ed ogni altro intervento di ripristino e protezione dell ambiente. Presso il Ministero della Sanità, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 agosto 1976, fu costituita una Commissione speciale tecnico-scientifica, con il compito di studiare e proporre misure di decontaminazione, presieduta dal Presidente del Consiglio superiore di Sanità, prof.aldo Cimmino, da cui prese il nome. Essa rassegnò due relazioni sulla complessa attività svolta: nel primo triennio 1976/79 (v. BUR ) e nel successivo quinquennio (v. BUR ); si tratta di documenti che hanno ormai un valore storico. 28

29 Per sostenere le sforzo di bonifica, lo Stato intervenne ancora con la legge 2 giugno 1978, n.339, assegnando un ulteriore contributo speciale di lire 75 miliardi, a titolo di anticipazione sul risanamento dei danni patrimoniali in seguito all accertamento delle responsabilità Provvedimenti regionali La legge 688/76 prevedeva che le modalità ed i criteri degli interventi venissero determinati con leggi regionali. In attuazione di questa disposizione, la Regione Lombardia approvò la l.r. 17 gennaio 1977, n.2 (Interventi per le popolazioni della zona colpita dall inquinamento da sostanze tossiche verificatosi in Provincia di Milano il 10 luglio 1976), che definiva i programmi operativi. Alle operazioni di decontaminazione e bonifica, nonchè ad ogni altro intervento di ripristino e di protezione dell ambiente naturale, doveva provvedere, per delega della Regione, la Provincia di Milano, secondo le direttive tecniche della Giunta regionale. Il 2 giugno 1977, con Del. II/448, il Consiglio regionale approvò i programmi operativi, tra i quali il primo era dedicato ai problemi della bonifica (inclusi i controlli sull inquinamento dell ambiente e le sperimentazioni circa i metodi di decontaminazione), con la definizione degli interventi da attuarsi, dei tempi di attuazione, dei soggetti responsabili e delle somme necessarie. Il piano di bonifica era articolato in due distinti interventi, con una fase intermedia. Il primo intervento riguardava la bonifica della zona B e della parte di zona A socialmente rilevante (subaree A6, A7). Le operazioni previste erano: diserbo e defoliazione, con accatastamento della vegetazione in attesa del successivo incenerimento; decorticazione del terreno agricolo con tasso d inquinamento superiore a 15 µg/m 2 e suo trasporto e accumulo provvisorio nella subarea A6; recinzione ed isolamento del terreno agricolo con tasso d inquinamento compreso tra 5 e 15 µg/m 2 ; bonifica degli ambienti interni e dei muri esterni delle case con operazioni di aspirazione forzata e lavaggio accurato; bonifica delle pertinenze delle case con tasso d inquinamento superiore a 5 µg/m 2. La fase intermedia prevedeva: la sistemazione in condizioni di sicurezza di tutti i materiali destinati all incenerimento, con particolare riferimento a quelli deteriorabili e putrescibili; l attuazione di un piano di derattizzazione e disinfezione delle zone A, B ed R; l eventuale zappatura del terreno nella zona R e nella zona B non decorticata; il ripristino del terreno agricolo nelle aree scarificate sia delle subaree A6, A7 che della zona B, nonché delle pertinenze esterne delle abitazioni, delle scuole, delle aziende e delle fabbriche. Il secondo intervento riguardava la bonifica del territorio più contaminato, ossia la zona A (subaree A1, A2, A3, A4, A5) mediante demolizione degli edifici, decorticazione e accatastamento del terreno in condizioni di sicurezza a ridosso dello stabilimento ICMESA. Al termine di un periodo di sperimentazione, qualora metodi alternativi di smaltimento non avessero dato risultati positivi, era prevista la costruzione, nell area ICMESA, di un forno per l incenerimento della vegetazione, degli animali, dei materiali di risulta della bonifica e del terreno inquinato con grado di contaminazione superiore a 5 µg/m 2 e - se necessario - anche di quello meno inquinato, in modo tale da realizzare una totale distruzione entro il In seguito si vedrà come il piano di bonifica 29

30 Fig Una seduta della Giunta regionale lombarda presieduta dall'avv. Guzzetti (quarto da destra) dedicata ai problemi di Seveso. È presente anche l incaricato dell Ufficio speciale di Seveso, sen. Noè (quarto da sinistra). sia stato attuato, con l unica, rilevante eccezione dell inceneritore, che venne sostituito da discariche controllate per la messa in sicurezza del terreno decorticato e di tutti i materiali di risulta della bonifica. Contemporaneamente all adozione dei programmi operativi, il Consiglio regionale adottò un importante decisione organizzativa, destinata ad avere un forte influsso positivo sul rapido e felice risultato delle complesse operazioni attivate nel settore territoriale-ambientale ed in quello socio-sanitario. Al di là della capacità e dedizione con cui gli Uffici regionali (soprattutto gli Assessorati alla Sanità ed all Ambiente) e locali (Provincia e Comuni) e le Commissioni di esperti si erano prodigati nel primo anno dopo la catastrofe, si avvertiva l esigenza di una struttura organizzativa completamente dedicata, che costituisse un forte centro propulsivo dei molteplici programmi avviati. Perciò, con la l.r. 17 giugno 1977, n.27 (Norme per l attuazione dei programmi operativi di cui alla l.r. 2/27 nella zona della Provincia di Milano inquinata da sostanze tossiche), venne istituito un Ufficio Speciale decentrato della Regione, con sede a Seveso, a cui competeva assicurare la maggior tempestività e il coordinato svolgimento degli interventi e dei servizi di tutte le pubbliche amministrazioni e dei privati. A tale Ufficio venne preposto un incaricato speciale con ampi poteri, a cui di fatto corrispondeva il rango di assessore regionale (v. fig. 2.5). Con l.r. 23 luglio 1979, n.39 (Nuovi interventi 30

31 nelle zone colpite da inquinamento tossico il ) furono rafforzati i poteri dell Ufficio Speciale, che assumeva ormai quasi tutte le funzioni già delegate alla Provincia, e venne istituito un archivio generale per la raccolta, conservazione e classificazione di tutti gli atti riguardanti i programmi d intervento. L ultima legge e l unica tuttora operante è la l.r. 27 maggio 1985, n.60 (Istituzione di vincoli e destinazioni d uso nell area bonificata ai sensi della l.r. 17 maggio 1977, n.2), la quale stabilisce che, nelle aree già interessate da operazioni di bonifica e ripristino ambientale, è fatto divieto di qualsiasi attività edificatoria o di trasformazione del suolo e del sottosuolo, ad eccezione degli interventi necessari alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei manufatti realizzati nell ambito della bonifica, nonchè delle attività conservative e migliorative per l ambiente boschivo. L ultimo provvedimento amministrativo di questa fase storica è il Decreto del Presidente della Regione Lombardia n.1368 del 23 dicembre 1986, con il quale, preso atto che il programma operativo della bonifica era ormai ultimato, si provvide a chiudere l Ufficio Speciale di Seveso ed a trasferire al Settore Ambiente ed Ecologia della Giunta regionale la gestione della convenzione con l Azienda regionale delle Foreste per la manutenzione del Bosco delle Querce e dei contratti con l ISMES di Bergamo per il monitoraggio delle vasche e con la ditta Bellingeri di Seveso per la depurazione del percolato. 2.4 Gli interventi di bonifica Seguendo l ordine cronologico stabilito dal piano di bonifica, possiamo considerare separatamente i primi interventi nelle zone a minor contaminazione (B ed R) e nelle subaree A6, A7 ed i successivi nelle subaree più contaminate (A1, A2, A3, A4, A5), che costituiscono il sedime dell attuale Bosco delle Querce. Era logicamente meno difficile intervenire nelle zone meno contaminate, ma anche più urgente, vista la loro grande estensione (circa ha) e rilevanza sociale ed economica. Per alcuni anni invece ci fu incertezza e discussione (associata a studi e sperimentazioni) sull assetto definitivo della zona più contaminata Interventi nelle zone meno contaminate Nelle zone B ed R si ritenne che il basso tenore medio di contaminazione non giustificasse una soluzione radicale come l asportazione e sostituzione generalizzata del terreno, adottata invece per la zona A. Il risanamento si basò quindi in prevalenza su un programma di interventi agronomici: annualmente venivano effettuati due cicli colturali comprendenti aratura, erpicatura, semina, ecc. fino alla completa maturazione dei prodotti, i quali venivano poi trinciati e reimmessi nel suolo, secondo l antica pratica del sovescio. Si osservò che la diluizione in uno strato di cm, operata dalle arature, riduceva di almeno sei volte la concentrazione superficiale di diossina e quindi il pericolo di esposizione. Ripetute campagne di rilevamento, associate a studi e ricerche, consentirono di verificare la bonifica progressiva dei terreni, in relazione alle pratiche agronomiche ed al degrado naturale del contaminante; il contenuto di diossina in superficie scese a 1,5 µg/m 2 per la zona B ed a meno di 0,75 µg/m 2 per la zona R. Per la zona B questi lavori vennero curati dalla Provincia di Milano, nel periodo dal marzo 1978 al giugno Nella zona R operò direttamente l Ufficio speciale di Seveso, soprattutto mediante incentivi economici alla popolazione per effettuare interventi agricoli simili a quelli già descritti. Complessivamente le aree agricole 31

32 interessate furono 143 ha in zona B e 776 ha in zona R e gli orti e giardini familiari 780 in zona B e in zona R. Più complessi furono i lavori in quelle aree della zona B dove il tasso d inquinamento era superiore a 15 µg/m 2. Dopo l eliminazione dei materiali d ingombro e lo sfalcio dell erba, si provvide alla decorticazione del terreno e al riporto di un nuovo strato dello spessore di cm. Le maggiori difficoltà operative ed organizzative si verificarono per la bonifica delle subaree A6 e A7, realizzata dalla società Givaudan nel 1978, con prelievo di campioni per controllare l esito. Per il risanamento interno dei 93 edifici, si procedette all aspirazione ed al lavaggio con tensioattivi di tutte le superfici verticali ed orizzontali, effettuando ripetuti controlli mediante test di pulitura o scrostatura. All esterno venne eliminata tutta la vegetazione ed asportato il primo strato del terreno di giardini, orti ed altre superfici agricole (v. fig. 2.6), che vennero poi ripristinati ed accuratamente ricontrollati. La decontaminazione consentì di raggiungere i seguenti limiti di concentrazione dell inquinante: - ambienti interni : 0,01 µg/m 2 - muri esterni : 0,75» - pertinenze delle case : 0,75» - aree agricole : 2,5» Complessivamente il volume di terreno scarificato nella prima fase in più riprese, anche intervenendo su terreni già trattati, ma reinquinati Fig Operai con tuta e maschera protettiva al lavoro per la bonifica di una casa contaminata. 32

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