Prof. Ing. ALBERTO BUCCHI LA STORIA DELLE STRADE

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1 Prof. Ing. ALBERTO BUCCHI LA STORIA DELLE STRADE Relazione tenuta presso la Scuola di Ingegneria e Architettura della Università di Bologna il 11 dicembre

2 INTRODUZIONE Delle strade si possono dare diverse definizioni. Tuttavia ritengo che la strada propriamente detta nasca, in linea generale, nel momento in cui un gruppo sociale conclude il suo processo di insediamento e di controllo su un certo ambito territoriale. L avvento dell homo sapiens attorno a anni fa accelera la diffusione migratoria e la scoperta del primo mezzo di trasporto: la slitta, trainata da buoi, cani e poi cavalli. Con la slitta non era ancora iniziata la storia della strada, ma la slitta, cominciando la vicenda dei trasporti terrestri, va considerata la progenitrice del carro, nella linea evolutiva culminata con l invenzione della ruota.la ruota costituisce un salto di civiltà nella storia dell uomo, realizzando il moto rotatorio. L applicazione delle ruote alla slitta ha come primo riferimento archeologico il tempio di Inama nella bassa Mesopotamia, dove alcune tavolette, risalenti al a.c., ne riportano uno schizzo esplicito. L evoluzione della ruota dalla forma massiccia alla geometria a raggi, fino al suo svincolarsi dalla solidarietà con l asse attraverso il mozzo, si sviluppa nel secondo millennio a.c. estendendosi dalla valle dell Indo all Egitto. I ritrovamenti nelle tombe dei re e dei notabili di queste regioni ci hanno tramandato interi carri funebri a testimoniare il concetto di prestigio connesso al nuovo veicolo. La ruota, oltre a rappresentare il primo passo nella rivoluzione tecnologica dei trasporti, impose l avvento di due nuove tematiche: la creazione della strada e l addomesticamento del cavallo. Tali eventi caratterizzeranno nei secoli successivi la vita dell umanità e lo sviluppo della civiltà. I Persiani, essendo il loro impero esteso su gran parte del Vicino Oriente, dovettero affrontare organicamente il problema delle strade, essenziali per consentire ad eserciti e funzionari un rapido collegamento con il potere centrale. Ciro il Grande ( a.c.), fondatore dell impero, promosse la costruzione di una razionale rete viaria. Piste in terra battuta ed a volte anche lastricate congiungevano varie località della Persia. La più lunga (detta Via Regia) univa la capitale Susa in Iran a Sardi nella Turchia Occidentale superando una estesa di km che i corrieri impiegavano 20 giorni per percorrerla. Nel tratto tra Susa e Babilonia, sotto il dominio di Dario il Grande ( a.c.), le condizioni delle piste battute consentivano ai corrieri a cavallo di percorrere fino a 160 km al giorno con cambi di monta ogni 25 km. Tutte le strade erano dotate di stazioni di posta e di locande che erano sorvegliate da guarnigioni militari per rendere sicuro il transito e fare manutenzione. Due secoli dopo Alessandro Magno ( a.c.) realizzò il suo immane cammino di conquista dalla Macedonia e quindi dal Mediterraneo, fino all Oceano Indiano ed ai piedi dell Himalaya, utilizzando le strade costruite dai Persiani. L impero persiano si colloca quindi come punto di arrivo della primitiva civiltà stradale nonché quale punto di partenza per il successivo impero romano, che proprio sulle strade fondò l organizzazione ed il controllo del territorio. Nell antichità si trovano contrastanti testimonianze di strade in relazione alle comunità allora dominanti. Consideriamo le tre civiltà che maggiormente hanno inciso sul bacino del Mediterraneo: l egiziana, la greca e la romana. Gli egiziani ed i greci non hanno fatto molto nel settore delle strade. Gli egiziani hanno lasciato debolissime tracce di strade non perché fossero un popolo che non si muoveva e che non aveva scambi commerciali, ma principalmente per due 2

3 motivi : Il primo è determinato dal fatto che la civiltà, e quindi anche gli scambi, si sono sviluppati fondamentalmente lungo l asta del fiume Nilo. Il secondo è derivato dalla circostanza che, allontanandosi dal grande fiume, si incontrano terreni desertici che offrono buone condizioni di percorribilità. Una innovazione tecnologica molto interessante introdotta dagli egiziani e riscontrata nelle zone urbane, è costituita dalle prime applicazioni di materiale bituminoso utilizzato per fissare strati superficiali di mattoni di laterizio. Anche i greci, all infuori di lastricati in prossimità delle città, non hanno lasciato significative tracce di strade, in quanto essi hanno sviluppato la loro civiltà all interno dei loro insediamenti o l hanno esportata via mare. LE STRADE ROMANE Tra le antiche civiltà Roma fu la prima e l unica ad ideare e sostenere con continuità una politica stradale per quasi otto secoli dal 300 a.c. fino alla caduta dell Impero Romano d Occidente (476 d.c.). I Romani restano i più grandi costruttori di strade che la storia annoveri, raggiungendo con la rete delle consolari, nel periodo dell imperatore Domiziano, un insieme di 372 arterie maestre per una estensione di quasi km ( miglia romane). La storiografia più recente aumenterebbe ancora questa estensione. Nella penisola italiana, le strade romane seguirono i tracciati di vie più antiche come la via Salaria, di origine etrusca che congiungeva le coste del Tirreno a quelle dell Adriatico; la via Claudia Valeria raggiungeva le regioni dei Marsi e degli Equi; la Campania era attraversata dalla via Latina e dalla via Appia, costruita nel 312 a.c.. L Italia del Nord era collegata a Roma tramite la via Flaminia del 220 a.c., la via Aurelia del 241 a.c., la via Cassia e la via Clodia; la via Emilia fu costruita nel 187 a.c.. Anche fuori dalla penisola italiana i Romani tracciarono nuove strade o riadattarono vecchie vie già esistenti nei territori conquistati. Tutto il bacino del Mediterraneo era costeggiato da una lunghissima via lungo la quale si articolavano gli assi provinciali: da Cartagine verso Limbesi e Sitifis; da Antiochia verso Palmira, Trebisonda e la Mesopotamia, ed anche in direzione dell Asia Minore e della Siria. Parallelamente alla via costiera che congiungeva Antiochia all Egitto, venne costruita all interno una strada importante che metteva in comunicazione Palmira con Petra. La via Egantia congiungeva l Italia a Tessalonica. Altre strade partivano da Aquilea e valicavano le Alpi per raggiungere le province Danubiane. A queste vie si aggiunsero quelle tracciate nella Bretannia, in Francia, in Germania e in Spagna con lunghe diramazioni anche nelle regioni occupate dai barbari. Roma divenne padrona del mondo allora conosciuto in virtù delle sue strade che consentivano di controllare i vasti territori conquistati. Le strade imperiali, estese su tre continenti, costituivano il supporto fondamentale all espansione della potenza e della cultura civilizzatrice, riducendo i vincoli di spazio e tempo tra genti differenti e lontane. Roma, consapevole del valore fisico, istituzionale e civilizzatore delle sue strade le celebrava anche. Augusto (23 a. C.- 14 d. C.), il primo imperatore, aveva fatto erigere nel Foro Romano il miliarium aureum, una enorme colonna rivestita di bronzo dorato con incisi i nomi delle principali città dell impero e l indicazione delle loro distanze dall Urbe. Lì era materializzato il caposaldo iniziale delle 19 consolari che si irradiavano dalla città eterna e lì era, racconta Svetonio, il vero ombelicus Romae. 3

4 Lungo le strade, ogni passi romani, venivano eretti i miliaria, imponenti cippi di pietra di forma cilindrica con diametro 30/50 cm ed altezza fino a 2,0 m. Sui cippi, all iniziale funzione di marcare le distanze progressive, si aggiunse una vera e propria azione di propaganda con lunghe epigrafi che ricordavano ai viandanti i nomi e le gesta dei costruttori. Al termine delle strade più importanti, opere ancora più maestose celebravano la gloria degli imperatori che avevano realizzato l itinerario. I Romani distinguevano due tipi di strade: la via silice strata e la via glarea strata, cioè la via munita di lastricato e la via provvista di semplice massicciata. La larghezza delle strade romane era variabile, e solo quelle più importanti dell impero furono completamente lastricate rendendole idonee al transito di carri e mantenendo ai lati due banchine laterali (margines). La parte centrale doveva consentire almeno il transito affiancato di due carri larghi solitamente 1,20 m; quindi la misura minima della carreggiata centrale (8 piedi) corrispondeva a 2,40 m. La larghezza aumentava fino a 16 piedi in curva, generalmente di piccolissimo raggio, anzi quasi ad angolo acuto, per consentire l incrocio dei veicoli. La Via Appia, che viene considerata la più antica delle strade e che collegava l Urbe a Terracina già nel 312 a.c., considerata la sua importanza, aveva una larghezza di 3,60 m e margini ai lati larghi 60 cm. Nei campi a lato era ammesso l accesso per consentire agli animali il riposo ed il pascolo. Le strade venivano costruite con una massicciata formata da diversi strati di materiali lapidei. Su di un primo strato di pietre grosse poste in taglio (statumen), si gettava un secondo strato di ghiaia e ciottoli (ruderatio) su cui appoggiava un terzo strato di pietrisco (nucleus). Su questo infine veniva posato il pavimento in lastricato per le strade più importanti, oppure una inghiaiata finale (summa crusta) per le strade meno importanti. La selce era il materiale comunemente usato per lastricare la strade romane grazie alle sue caratteristiche di durezza e resistenza; quando questo materiale non era disponibile si usavano calcari, graniti, arenarie. La costruzione, la manutenzione e la gestione delle strade romane erano devolute alle maggiori cariche dello Stato e precisamente ai censori e talora anche ai consoli ; alcune vie ne portano anche il nome come la Via Appia, la Via Flaminia, la Via Emilia, la Via Cassia ed altre. I Romani evolsero anche i veicoli stradali. Dalla ruota piena si passò a quella più leggera con quattro o otto raggi fino a giungere, quando si usarono i metalli, alle ruote con una fascia di ferro attorno al cerchio di legno, certamente più pesanti, ma, nell impiego specialmente su strade accidentate, più resistenti. I veicoli maggiormente utilizzati erano il currus, o biga, per le persone, il carpentum e il plaustrum per le merci. Augusto organizzò anche un servizio postale, il cursus publicus, riservato ai corrieri imperiali e governativi che venne a sostituire i tabellari, schiavi e liberti incaricati di trasmettere messaggi e notizie. Ogni 5 o 10 miglia lungo gli itinerari principali si trovavano stazioni per il cambio degli equipaggi, dette mutationes, e ogni 50 o più miglia sorgevano le mansiones per il ricovero durante la notte. Nelle mansiones dovevano mantenersi almeno 40 animali da tiro, mentre nelle mutationes almeno 20. Le strade chiaramente condizionarono anche l organizzazione delle città. L impostazione corrente della città si basò sulla rigorosa trasposizione del concetto di castrum, trattando lo spazio 4

5 urbano in modo del tutto simile ad un accampamento militare: la città doveva essere ordinata e chiara da percorrere. Le due arterie principali, il cardo da Est verso Ovest ed il decumano da Sud verso Nord, determinarono la tipica configurazione a scacchiera di tutte le città di nuova formazione o di colonizzazione dell impero. La larghezza delle strade in città era generalmente superiore rispetto all ambito extraurbano raggiungendo spesso 10 m per le arterie principali e mai inferiore a 4 m per le secondarie. La pianta di Roma forse originata da un primo nucleo quadrato, si espanse al di fuori degli schemi classici, seguendo piuttosto i vincoli e le opportunità morfologiche dei sette colli. I Romani furono anche dei valenti costruttori di ponti. I primi ad utilizzare l arco a tutto sesto furono gli Etruschi; i Romani successivamente ne divennero maestri usando gli archi per la costruzione di ponti ed acquedotti. Nelle arcate dei ponti si incontrano tutte le esperienze sviluppate nel mondo antico con molteplici materiali da costruzione: pietre, mattoni, legname. Il ponte romano non ha uno schema ripetitivo, ma contempla una sostanziale varietà di forme compositive e di equilibrio strutturale. Nel corso dei secoli furono oltre i ponti costruiti dai Romani. L architettura dei ponti romani è semplice, sobria, ottenuta con archivolti, cornici, nicchie e trofei. Le pile e le spalle hanno forti spessori a volte alleggeriti da finestre e aperture. Le fondazioni si realizzavano con barche che venivano riempite di pietrame fino a farle affondare. IL MEDIOEVO La caduta dell Impero Romano d Occidente (476 d. C. con l ultimo imperatore Romolo Augustolo) segna un lungo regresso della viabilità in Europa dove non si costruiscono più nuove strade e si lasciano decadere fino alla inagibilità le antiche arterie romane. A Bisanzio nell Impero Romano d Oriente, invece, per l opera di Giustiniano ( d.c.), l attenzione alla rete viaria costituiva uno dei punti salienti della riforma amministrativa; quando secoli dopo i crociati arrivarono in quelle terre, ebbero la ventura di trovare strade ben mantenute. Non così in Europa dove la mancanza di un potere centrale e la decadenza economica determinarono ben presto la scomparsa della rete imperiale, nonostante non mancasse la sporadica opera di sostegno dei re barbari. Nel VII secolo una precisa disposizione della legge visigota puniva con cento sferzate il reo di avere chiuso una strada; anche le leggi burgunde e bavare salvaguardarono con severità alcune importanti strade. Soltanto nel periodo definibile come età di Carlomagno si verificò una effimera inversione di tendenza nel decadimento viario. Si ricordano di Carlomagno ( d.c.) alcuni specifici capitolari (o decreti) sulla viabilità: nel 793 si ordina ai missi reali di obbligare la popolazione a mantenere in efficienza ponti e strade, nell anno 805 si prescrivono i pedaggi su alcune strade. Dopo la morte di Carlomagno (814), i successori promulgarono altri capitolari nella stessa linea di intervento (anni 823, 829, 854). Carlomagno si interessò del sistema viario perché trascorse la sua esistenza in viaggio da una regione all altra del suo immenso impero, senza una città vera capitale. Egli vide nel ripristino della viabilità romana un sicuro strumento per unificare i territori, salvaguardare le frontiere, giungere alla costruzione di un grande impero in Europa come aveva sempre sognato e che non realizzò mai. 5

6 Nell Alto Medioevo venne a mancare ogni coordinamento fra le varie regioni e le singole città dovettero lottare da sole prima contro gli attacchi degli Unni, degli Arabi e dei Normanni, poi dei Turchi, dei Francesi e degli Spagnoli. In tali condizioni l unica difesa era l isolamento e la inaccessibilità; quindi venne a cessare ogni interesse per la conservazione della rete viaria. Con l eclissarsi della meteora carolingia nel IX secolo, si instaurò un sistema feudale, in cui il potere dei vassalli di imporre dazi e pedaggi, nonché di limitare la libertà dei viaggi, portò la rete viaria ad un ulteriore stato di crescente abbandono. Ragioni politiche e di sicurezza spingevano i grandi feudatari a governare a cavallo e quindi a percorrere itinerari discosti dalla vecchia viabilità romana e costituiti da sentieri e mulattiere. Anche il traffico commerciale era circoscritto nel feudo, si muoveva su piccole distanze e quindi non aveva bisogno di strade ben percorribili in quanto diventava determinante la brevità del percorso piuttosto che la comodità del viaggio. Le città non erano collegate da un sistema viario preciso ma attraverso un gran numero di itinerari locali, sentieri e percorsi alternativi alle vie maestre. Quindi le strade medioevali non erano vincolate da un tracciato unico, ma da fasci più o meno paralleli di percorsi destinati ad offrire ai viaggiatori varie opportunità. Anche la geometria della strada peggiora in modo sensibile: l asse si piega per seguire l andamento del terreno e per contornare i confini delle proprietà. Viene seguita pedissequamente la quota del terreno con minima attrezzatura di pavimentazione; l altimetria, non sempre curata nelle strade romane, assume, nei percorsi di montagna pendenze molto forti. Dopo le devastazioni barbariche si riebbe particolare interesse per i ponti praticando un perfezionamento strutturale rispetto all antichità classica e sviluppando opere di maggiore arditezza e di concezione statica più razionale. Si ottenne questo utilizzando il legno, materiale più lavorabile, di semplice messa in opera, di flessibilità costruttiva e facilmente rinforzabile e sostituibile rispetto alla pietra. Purtroppo il legno è degradabile e infiammabile e quindi pochi esemplari sono giunti fino a noi. Grandi viaggiatori medievali furono gli ecclesiastici che fondavano nuove abbazie e portavano la parola della fede cristiana spostandosi da un luogo di culto all altro non solo per motivi religiosi ma anche per motivi culturali. Contemporaneamente anche le popolazioni sentirono il bisogno, segno premonitore delle crociate che arrivarono nel secolo XI, di intraprendere viaggi di culto; nacque così il fenomeno dei pellegrinaggi. Le grandi vie di pellegrinaggio medioevale costituirono un sistema organico che collegava i santuari della cristianità a centri devozionali minori. I pellegrini erano viaggiatori che godevano di uno statuto speciale. Ogni Codice Penale prevedeva pene severe per chi molestava questi viaggiatori e i Sinodi dei Vescovi promettevano severe sanzioni ecclesiastiche per chi commetteva delitti contro di loro. Per i primi cristiani la Palestina e quindi Gerusalemme furono richiami di folle di fedeli. Due erano le strade per Gerusalemme. La via di terra attraversava la penisola balcanica per poi entrare nel territorio bizantino; di questa via rimangono poche tracce. L altro percorso seguiva invece la via del mare, dove Venezia esercitò una sorta di monopolio. Con la caduta di Gerusalemme in mano degli arabi (640) Roma divenne l unica città santa dell Occidente. La più nota strada per Roma è la Via Francigena, così chiamata perché parte dalla Francia. In Italia questa via aveva diversi itinerari, ma comunque attraversava il Passo della Cisa, passava per Lucca, percorreva la Valle dell Elsa sino a Siena e proseguiva verso 6

7 Bolsena, Viterbo e Roma. Un altro itinerario proveniente da Nord costeggiava il mare Adriatico ricalcando il percorso odierno della Via Romea. Un itinerario molto importante per i pellegrinaggi fu quello di Santiago di Campostela che costituì il terzo grande polo di attrazione dei pellegrini. Anche questo itinerario parte dalla Francia, attraversa i Pirenei e prosegue per la costa Nord della Spagna. Malgrado l insicurezza dei luoghi determinata dalle incursioni musulmane, la rinomanza del pellegrinaggio crebbe nel X secolo, e Santiago divenne luogo di convergenza di grandi masse da tutta Europa. IL RINASCIMENTO La rete viaria rimase in stato di quasi abbandono per circa sei secoli, dal IX al XV secolo. Così si arriva al Rinascimento dove tutto si andava rinnovando. I dogmi medioevali crollavano, il commercio e le industrie prosperavano. C era l entusiasmo culturale della riscoperta dei classici greci e romani, ed il desiderio di creare una splendida civiltà. Città, principi, mercanti, artisti, miravano tutti a far meglio degli altri in continua competizione. Fu l età più carica di inquietudini che l Europa avesse fino a quel momento conosciuto. L insieme di queste vicende politiche, sociali, economiche e culturali rinascimentali si colloca fra il XV ed il XVII secolo. Furono tempi di continue guerre e questo non giovò alla rete stradale. Tuttavia il ruolo assunto dai mercanti e dalle loro corporazioni nel governo delle città, dopo la parentesi medioevale, contribuì a determinare un rinnovato interesse almeno per le strade principali. I prodotti delle corporazioni di arti e mestieri avevano bisogno di sbocchi, e la necessità dei traffici induceva gli Stati ad impegnarsi almeno sulle strade più frequentate, spesso quasi impraticabili, per l abbandono in cui erano state lasciate. Si cominciò allora ad assistere ad una cura più diffusa per riqualificare i trasporti. Tuttavia il progresso delle strade fu modesto e lento ed ostacolato dal fatto che ogni miglioramento della carreggiata veniva compromesso dall accrescersi del peso dei veicoli. Per quanto riguarda i tracciati, si osserva che le condizioni proibitive di gran parte delle pianure, interessate da terreni paludosi, dal pericolo delle alluvioni e delle imboscate, facevano sì che i viaggiatori scegliessero tracciati viari più elevati quali arginature di canali e fiumi. Il generale prevalere dell insediamento d altura comportò il rinnovamento del sistema viario rispetto a quello romano che aveva tenuto fino allora. In pochi casi l insediamento rimase legato alle arterie romane; appare eccezionale la situazione in Emilia dove l asse viario romano continuava a polarizzare il territorio. In Italia la frammentazione politica prima, e più tardi la dominazione straniera del XVI e XVII secolo, non permise la realizzazione di un organico sistema di comunicazioni stradali. Ciò non impedì che principi e signori rivaleggiassero nel costruire grandi cattedrali e monumentali palazzi. Tuttavia non si può certo annoverare il Rinascimento tra le epoche significative per la storia delle nostre strade. In effetti nel settecento la condizione della viabilità restava purtroppo ancora precaria in tutta Europa. La massicciata, quando esisteva, non aveva robustezza e non conteneva materie agglomeranti. Oltre ai piani viabili in pessime condizioni, mancavano i ponti e i fiumi si passavano a guado o col traghetto. Così tra Bologna e Mantova si attraversavano in barca il Panaro e il Po. Tra Bologna e Ferrara si traghettava il Reno. 7

8 Si può quindi immaginare come in tali condizioni, il traffico delle merci fosse ancora ridotto e le strade venissero utilizzate per i viaggi indispensabili e per le corriere postali. La viabilità era regolata da scarse, manchevoli e spesso contradditorie disposizioni, mutevoli e mal rispettate. Vediamo la situazione nella penisola italiana. Il Piemonte in fatto di strade era molto arretrato. Fin dal 1612 la monarchia aveva creato il porto franco di Nizza, ma le persone e le merci stentavano a dargli vita tanto inadeguate restavano le vie d accesso attraverso il colle di Tenda. Un secolo dopo le strade interne del Piemonte storico continuavano a perdersi in un labile reticolato. Il Regno delle due Sicilie era immiserito dalla pochezza delle strade, cui tardivamente si cominciò a pensare solo nel settecento. Nel disegno generale si era considerata solo la capitale con un sistema radiale di strade che portavano a Napoli dai capoluoghi dell interno, trascurando completamente le comunicazioni trasversali. Un panorama similare presentavano lo Stato Pontificio e la Toscana. Dopo la pace di Aquisgrana (1668) che mise fine alla guerra di devoluzione e che riservò all Italia un periodo insolitamente lungo di stabilità politica, la Toscana e i Ducati misero mano ad alcuni importanti progetti transappenninici costituiti da strade da rifare su antichi sentieri percorribili a dorso di mulo, miranti ad attrarre il contesissimo commercio di transito, quali la strada della Garfagnana, quella della Futa, quella dell Abetone. Queste opere maggiori procedettero tra le reciproche gelosie dei governi, nel timore che comode strade a lungo tragitto aperte fino al mare potessero risolversi in una grande sventura politica in quanto si offriva a eserciti stranieri la tentazione di una passeggiata militare per conquistare con minimo sforzo un altro lembo dell Italia. Anche i mezzi di traporto, quali le carrozze, subirono alcune evoluzioni. Dapprima le carrozze erano sospese. Successivamente fu radicale il passaggio dal tipo sospeso al tipo su sospensioni ; le sospensioni erano fatte con lamine di legno tenute insieme da cinghie di cuoio. Un altra innovazione si ha nel sistema dello sterzo; mentre prima lo sterzo era costituito da una forcella sull asse dell avantreno, successivamente si ha un sistema in cui la rotazione viene distribuita su segmenti circolari. Infine anche gli abitacoli delle carrozze furono migliorati sostituendo la struttura in pezze di cuoio con una costituita da una ossatura di legno. In tutta Europa l impegno degli Stati verso la viabilità cresceva lentamente. In Francia il corso degli eventi procedeva invece velocissimo fino a concludersi in forma profondamente innovativa con l avvento del periodo napoleonico. Una tappa importante nella storia della strada fu la creazione nel 1747 della scuola di Ponts et Chaussees che serviva per preparare i futuri ingegneri stradali. Questa scuola è giunta fino ai giorni nostri ed ha rappresentato sempre un esempio di ricerca al quale riferirsi. IL DICIANNOVESIMO SECOLO Le opere viarie napoleoniche del XIX secolo si presentarono imponenti, ma i trasporti terrestri rimanevano a trazione animale. Negli stessi anni si misero a punto i primi macchinari destinati a cambiare lo stato delle cose con il ricorso all energia meccanica sui treni e sui battelli a vapore. Invenzioni sempre più ardite anticipavano i tempi dell era moderna; già sul finire del secolo XVIII i fratelli Mongolfier avevano aperto all umanità le prospettiva del volo. Anche la tecnica costruttiva 8

9 delle strade andava evolvendo con una maggiore diffusione dei ponti e con le nuove impostazioni dei piani viabili. La manutenzione si riduceva ancora a riparare le irregolarità più gravi delle carreggiate riempiendo le ormaie e le buche con materiali ricavati nelle vicinanze: pietre, sabbia, terra, legname, macerie. Solo raramente sulle vie principali si usava consolidare la superficie della parte centrale destinata al carreggio; si stendeva di solito uno strato di ciottoli collocati di piatto. Le parti laterali della piattaforma stradale, destinate al someggio ed ai pedoni, venivano al più livellate con la terra. Nei primi decenni del XIX secolo si registrarono diverse realizzazioni viarie negli Stati preunitari e soprattutto si diffuse una migliore manutenzione delle strade esistenti. Molte mulattiere furono trasformate in carrozzabili, in modo da non subire più le interruzioni dovute al crollo di ponti, al fango, alle frane in montagna. Inoltre si impose una nuova tecnica stradale non solo per le pavimentazioni, ma anche per i tracciati che lentamente cominciarono a percorrere i fondovalle anziché i crinali e le pendici delle montagne. Si stava passando dal trasporto someggiato con cavalli e muli ai carri capaci di portare anche diversi quintali. Ulteriori progressi furono realizzati fino a metà Ottocento quando gli Stati preunitari cominciarono ad avviare una vera politica dei lavori pubblici. Più attivo nelle opere infrastrutturali fu il Piemonte, dove per motivi economicopolitici fu resa carreggiabile la vecchia mulattiera del San Bernardino che collegava Genova con la valle del Reno. Furono poi realizzati diversi lavori sui valichi appenninici in Liguria, nei Ducati, in Toscana nonché la ricostruzione dell Aurelia costiera da Livorno a Roma. Rimase invece statica la situazione del Mezzogiorno dove i Borboni incrementarono solo le strade attorno alla capitale Napoli. L Austria, particolarmente in Lombardia, approvò ed in parte realizzò i programmi viari napoleonici. Tra l altro portò a compimento una importante strada: la rotabile dello Stelvio, che costituisce un insigne realizzazione della tecnica italiana; i primi studi sono del 1801, ma la realizzazione completa è del Negli stessi anni si iniziarono i lavori per rendere carrozzabile l antica mulattiera attraverso il valico del Gottardo tra infinite difficoltà tecniche ed economiche; i lavori terminarono nel Fra il 1818 ed il 1822 fu aperta anche un altra grande strada transalpina: quella dello Spluga. E interessante notare come queste strade siano state oggetto da parte dei progettisti di particolare attenzione nei riguardi del loro inserimento nel paesaggio; le documentazioni pervenuteci colgono appieno questo aspetto; la panoramicità, le vedute, gli scorci che si susseguono nell itinerario non sono casuali, ma voluti dal progettista. Quindi il problema dell inserimento ambientale, che è elemento fondante dell attuale progettazione stradale, è vecchio almeno di due secoli. La sistemazione e la costruzione delle strade rappresentò, specie dopo la fine dell era napoleonica, un importante strumento economico contro la disoccupazione e la miseria dilagante. La grande vicenda della viabilità è anche la piccola storia dei lavoratori che la costruivano. Un esempio ci viene dalla costruzione della Strada Porrettana decretata da Pio VII nel 1818 e ultimata nel L inizio di questa storia è un mondo di uomini indeboliti da una lunga fame che lasciano le case sull Appennino per scendere a valle a sbadilare e scarriolare tutta la giornata, una giornata segnata non dall orologio, ma dal sole, cioè dall alba al tramonto. Tutto questo per salari modesti; si pensi che a un lavoratore robusto munito di zappone o badile veniva corrisposta una lira al giorno 9

10 quando un chilo di pane costava 60 centesimi ed un boccale di vino 32 centesimi. Quindi il salario era appena sufficiente per lo sfamo, come si diceva, di poco più di una persona. Per di più in caso di maltempo o di malattia, se non si lavorava, non c era salario. Passando al problema strutturale della strada si può asserire che l evoluzione della pavimentazione stradale cominciò con Gerolamo Tresaguet, ingegnere di Ponts et Chaussees, nel 1764, sulla base della ricerca di una sovrastruttura che reggesse ai carichi sempre maggiori, che fosse di facile manutenzione e che fosse rapida da costruire. Tresaguet ideò una pavimentazione costituita da tre strati: una fondazione di grosse pietre messe di coltello sul sottofondo sagomato come la strada e quindi con pendenze trasversali del 4/5 % per scolare velocemente le acque, un secondo strato di pietre più piccole battute con mazze entro gli interstizi della fondazione, un terzo strato di pietrisco. Agli inizi dell 800 lo schema di pavimentazione di Tresaguet andò in competizione tecnica con le massicciate ideate dalla scozzese Jhon Loudon Mac Adam che ben presto si diffusero in tutto il mondo fino a pochi decenni addietro. Si pensi che l Autostrada del Sole nella sua prima realizzazione aveva una massicciata tipo Mac Adam. L innovazione di Mac Adam consisteva nel sostituire la fondazione in pietrame grosso con elementi lapidei più minuti in quanto si era notato che le grosse pietre di fondazione si sconnettevano e lasciavano passare l acqua che rammolliva il terreno di posa e conseguentemente tutta la massicciata andava in malora. Gli elementi lapidei più minuti di origine calcarea, sotto l azione dei rulli compressori trainati da buoi e sotto l azione successiva del carreggio, con una modesta bagnatura in fase costruttiva, si cementavano fino a formare in superficie una crosta dura che, favorita dall inclinazione della sagoma trasversale, proteggeva il sottofondo dalle infiltrazioni delle acque meteoriche. Si deve invece a Thomas Telford, quasi coetaneo di Mac Adam, la costruzione del pavè diffuso sulle strade più trafficate di Francia, Germania e Paesi Bassi. Il pavè era uno strato superficiale di elementi lapidei cubiformi accostati che, secondo Telford doveva essere posto su una fondazione alla Tresaguet. Nel XVIII e nel XIX secolo, ai prodromi della rivoluzione industriale, si era verificato, specialmente in Inghilterra, un notevole sviluppo della produzione siderurgica, in particolare della ghisa. La ghisa si rivelava molto idonea per essere impiegata negli archi, ma risultava poco adatta per realizzare travature. La richiesta, d altra parte, nella costruzione dei ponti di nuovi modelli strutturali a travata, al posto di quelli costituiti da tradizionali sequenze di arcate, si presentava con sempre maggiore urgenza per realizzare nuove opere di dimensioni ben più grandi delle tradizionali, esigenze particolarmente sentite per le strade ferrate. Quindi si passò all uso del ferro e, solo decine di anni dopo, si utilizzò l acciaio. L innovazione più eclatante del ricorso alla metallurgia fu la diffusione dei ponti sospesi che consentirono di superare grandi luci. La storia di queste opere inizia nel 1826 con la costruzione del ponte sospeso di 176 m in Inghilterra sullo stretto di Menai; questo ponte crollò nel 1839 per una tempesta di vento. Infatti gli insuccessi furono frequenti perché ci si affidava all intuizione non essendo ancora disponibile una calcolazione precisa. Il primo ponte sospeso realizzato in Italia fu il ponte borbonico in ferro sul Garigliano, costruito fra il 1828 ed il 1832 sulla base delle esperienze inglesi. Di origine francese fu invece il Ponte delle 10

11 Catene a Bagni di Lucca del Anche a Firenze si ebbero due rilevanti esempi: i ponti di San Leopoldo alle Cascine e quello di San Ferdinando a San Niccolò. Verso la metà del XIX secolo la rete dei sevizi di trasporto su strada aveva raggiunto una elevata espansione in tutti i paesi europei. Grazie ai progressi intercorsi nella viabilità si era ottenuta una notevole celerità dei tragitti. Lo sviluppo dei traffici abbracciava ormai non solo le strade di grande comunicazione ereditate dall antichità, ma tutto il reticolo minore a causa della crescente diffusione di carri e vetture. Nel XIX secolo purtroppo lo sviluppo del sistema stradale subì una notevole battuta d arresto con l innovazione tecnologica della ferrovia: il nobile cavallo trainante i carriaggi non poteva competere col pragmatico cavallo-vapore dell energia meccanica. La rivoluzione del trasporto ferroviario fu repentina e traumatica. I decenni centrali del XIX secolo risultarono fondamentali per quel rapido progresso tecnologico che rivoluzionò ogni forma di mobilità di persone e merci. La sostituzione dell energia meccanica a quella animale consentì nei trasporti ferroviari velocità e carichi mai prima possibili. In Italia il primo tronco ferroviario da Napoli a Granatello di Portici fu inaugurato dal re Ferdinando II di Borbone nel Nel 1842 la ferrovia aveva raggiunto Castellamare di Stabia e due anni dopo Pompei e Nocera; lo sviluppo successivo non fu altrettanto celere e la via ferrata si fermò in direzione Sud a Salerno ed in direzione Nord a Sparanise per non entrare nello Stato Pontificio; tale situazione rimase invariata fino all Unità d Italia. Nel Regno Lombardo-Veneto nel 1842 fu inaugurato il tratto Padova-Mestre, nel 1846 il tratto Milano-Treviglio ed il Ponte sulla Laguna al fine di collegare le due capitali Milano e Venezia. Nel 1859 fu inaugurata la Verona-Bolzano e Bolzano fu poi collegata a Innsbruck nel 1867 lungo la prima linea del Brennero. In Piemonte Carlo Alberto di Savoia autorizzò la costruzione della Torino-Genova che fu messa in funzione nel 1854; nel 1859, per interessamento di Cavour, si fecero i collegamenti con la Svizzera e la Francia. Nello Stato Pontificio Pio IX nel 1859 costruì la Roma-Civitavecchia e, in accordo con gli Stati vicini, nel 1859 la Piacenza-Bologna, nel 1861 la Bologna-Ancona e nel 1864 la Bologna Porretta. Nel Granducato di Toscana furono inaugurate la Firenze-Pisa-Livorno, la Firenze-Prato-Pistoia, la Pisa- Lucca e la Empoli-Siena. Per le ferrovie si sono potute riferire queste date certe, cosa non possibile per le strade in quanto queste hanno origini antiche e variabili che si perdono nel tempo. Con lo sviluppo delle ferrovie si ebbe anche un notevole impulso tecnologico nella costruzione dei ponti dovuto alle vincolanti necessità plano altimetriche. Dopo le sfavorevoli esperienze della prima generazione dei ponti sospesi, si adottarono schemi statici di semplice appoggio, di trave continua e di archi, realizzando strutture in ferro con sezione piena o reticolare. La trave a graticcio multiplo ebbe notevoli sviluppi sia in termini di calcolo statico sia di modalità costruttive sempre più perfezionate nei particolari delle connessioni, chiodate o saldate. In Italia l esempio più eclatante di struttura in ferro è costituito dal ponte ferroviario di San Michele sull Adda, costituito da un arco incastrato di 266 m di luce che sostiene una trave continua; fu costruito nel Facendo una brevissima storia della locomozione applicata alle ferrovie si ricorda che nel 1690 un medico francese Denis Papin fece una rudimentale macchina a vapore che non ebbe seguito. Nel 1757 James Watt, giovane meccanico scozzese, ebbe l incarico di aggiustare una delle prime 11

12 macchine a vapore ideata da Thomas Newcomen; l autodidatta scozzese apportò alla macchina quei perfezionamenti che ne fecero una motrice di uso universale. George Stephenson, ingegnere minerario, specialista nella costruzione delle ferrovie, costruì la prima locomotiva a vapore nel Nel 1815 Stephenson costruì la sua seconda locomotiva ottenendone il brevetto nel Il figlio Robert perfezionò le macchine del padre che, dalle miniere per le quali erano state costruite, passarono alle strade ferrate. In due anni appena, dall aprile 1859 al marzo 1861 si era realizzata l Unità d Italia. Furono annesse al Regno dei Savoia, che già comprendeva Piemonte, Liguria e Sardegna, in rapida successione, la Lombardia, Modena, Parma, la Toscana, le Legazioni comprendenti il resto dell Emilia e la Romagna, le Marche, l Umbria ed infine il Regno delle Due Sicilie che era lo Stato preunitario più esteso. Nel decennio successivo anche Roma e la Venezia Euganea entrarono a fare parte del regno d Italia. Il reddito del paese era modestissimo e dovuto principalmente all agricoltura che impiegava il 41% dell intera popolazione. La nuova Italia ereditava dagli Stati preunitari una rete viaria poco omogenea dove si aveva la seguente concentrazione di strade principali per 100 kmq di superficie : Toscana 15,4, Lombardia 12,7, Piemonte 9,6, Campania 6,4. Per quanto riguarda le strade comunali, i nove decimi appartenevano alle regioni settentrionali e centrali. Così mentre in Lombardia si avevano 5,7 km di strade comunali per mille abitanti, nel napoletano erano 0,8 ed in Sicilia e Sardegna 0,2. Molto diversi erano anche i sistemi giuridico-amministrativi e costruttivi degli Stati preunitari e ciò rappresentò per il nuovo Regno un serio ostacolo allo sviluppo del settore. In tema di viabilità la nuova Italia incontrava ulteriori difficoltà persino a procurarsi un quadro statistico dell esatta situazione. Finalmente nel 1871 si riuscì a conoscere l estensione del patrimonio viario che risultò di km. Le strade classificate nazionali e provinciali sommavano a km in tutta Italia. Di queste si trovavano nel Regno di Sardegna, in Lombardia, nello Stato Pontificio, in Toscana, nel Regno di Napoli, i restanti km nei Ducati. Per avere un quadro più espressivo si può fare riferimento ai km di strade per abitanti e si ha il massimo in Toscana con 1,81 km ed il minimo nel Regno di Napoli con 0,81 km. In questo contesto pur col lento progredire delle strade si ebbe una radicale evoluzione dei mezzi di trasporto stradali. Il primo automezzo stradale mosso da energia meccanica sembra sia stato un triciclo d artiglieria sul quale era stata applicata una caldaia a vapore azionante su una ruota; il costruttore era stato Nicolas Joseph Cugnot, francese, nel Nel 1801 comparve la prima vettura a vapore su strada ad opera di Richard Trevithick, inglese. Il motore a combustione interna apparve presto nella storia dei veicoli a motore, ma ci vollero parecchi decenni per essere perfezionato e messo in grado di percorrere lunghe distanze su strada. Furono due tedeschi Otto e Langen nel 1867 a realizzare su scala industriale il motore a scoppio a quattro tempi. Fu soltanto nel 1885 che apparvero le prime auto a benzina progettate da due tedeschi Gottlieb Daimler e Karl Benz. Nel 1887 Renè Panard creò un automobile con telaio tubolare e con il motore che non era più sotto i sedili ma era collocato nella parte anteriore. Quello scorcio del XIX secolo vide la nascita di molteplici invenzioni che avrebbero marcato la vita della gente fino ai giorni nostri: nel 12

13 1876 il telefono di Meucci e Bell, nel 1878 il grammofono di Edison, nel 1888 la pellicola impressionabile di Eastmann, nel 1894 il telegrafo senza fili di Marconi. L automobile fu un anello di questa catena di novità. In Italia la prima automobile, che percorse le strade di allora, fu una Peugeot acquistata da un industriale tessile lombardo nel L 11 luglio 1899 fu fondata la FIAT, Fabbrica Italiana Automobili Torino; nel 1900 furono vendute le prime otto vetture. Le fabbriche italiane di auto agli inizi del secolo ventesimo erano molte: nel 1906 se ne contavano ben 96. Nel 1906 venne fondata la Lancia con prototipi caratterizzati da soluzioni tecniche d avanguardia. Nel 1910 nacque l ALFA, Anonima Lombarda Fabbrica Automobili. Trovandosi in difficoltà finanziarie nel 1920 l ALFA si fuse con la fabbrica di Nicola Romeo e nacque l ALFA ROMEO. Nel 1903 le carrozze a motore erano contro le 226 del IL VENTESIMO SECOLO LE AUTOSTRADE Il traffico motorizzato in continuo aumento cominciò a porre nuovi problemi per la viabilità, problemi concernenti sia le tecniche di costruzione e manutenzione delle strade, sia la disciplina e la regolamentazione della circolazione. Accresciuto il traffico automobilistico nei primi decenni del ventesimo secolo, sulla strada si verificarono diversi inconvenienti ed in particolare l incompatibilità con altri modi di trasporto quali i carri a traino animale, le biciclette, i pedoni. Questa commistione di mezzi con diverse velocità, con diversi ingombri, con diverse esigenze di mobilità creò ingorghi, rallentamenti dei mezzi veloci che perdevano quindi di efficienza, ed anche incidenti nei quali le utenze deboli erano le più danneggiate. Sulla base di queste premesse nacque l idea della autostrada. L idea, tutta italiana, fu lanciata nel Si trattava di costruire, prima nel mondo, una strada a sevizio esclusivo dell automobile. L autostrada costituiva una idea avveniristica che attecchì nell opinione pubblica italiana perché in essa si era formata una certa cultura dell automobile e della velocità. Nel 1909 il poeta futurista Tommaso Marinetti, con la solita ricerca del paradosso, nel Manifesto Futurista declamava l automobile da corsa col cofano adorno da grossi tubi simili a serpenti dall alito esplosivo. D altra parte l ansia di cambiamento che agitava l Italia dopo l inutile strage della guerra del vedeva nell automobilismo la speranza di un migliore modo di vivere secondo una nuova linea di pensiero sempre più condivisa dall opinione pubblica. Anche D Annunzio ebbe entusiasmo per l autostrada che definì genuina fautrice di velocità, la prima nata dall arco teso che si chiama vita. Chiaramente questa infrastruttura non poteva non piacere alla classe politica fascista allora dominante quale fattore propagandistico a forte presa nazionale ed internazionale. L idea originaria delle autostrade va attribuita all ing. Pietro Puricelli, uno dei maggiori impresari stradali del primo dopoguerra, che tradusse le vaghe aspirazioni correnti in documentati progetti prima, e in concrete realizzazioni poi, ritraendo importanti benefici per le sue imprese di costruzione. Le caratteristiche essenziali di una autostrada di allora erano: esclusione del traffico non veicolare, assoggettamento a regole di polizia stradale, adozione di requisiti tecnici speciali quali la larghezza della carreggiata adeguata al volume ed alla velocità del traffico, lunghi rettilinei raccordati con amplissime curve, pavimentazione permanente liscia ma 13

14 non sdrucciolevole, soppressione di ogni attraversamento a livello, servizi accessori per rifornimenti, riparazioni e informazioni. Il criterio dei lunghi rettilinei è stato adottato anche per le autostrade di prima generazione degli anni cinquanta del XX secolo (vedi l Autostrada del Sole nei tratti pianeggianti). Tale criterio è poi stato superato in quanto apportatore di disattenzione e quindi di pericolosità. La costruzione delle autostrade fu data in concessione a privati. Automaticamente venne introdotto il pedaggio che incontrò forti opposizioni in quanto contrastava con il fornire gratuitamente l infrastruttura, come era sempre avvenuto. Quindi le autostrade non portarono sufficiente reddito ai concessionari che quindi furono in parte sovvenzionati dallo Stato. Nelle realizzazioni autostradali avviate negli anni venti i criteri di progettazione dei tracciati molto risentivano della cultura dominante dell ingegneria ferroviaria. L opzione geometrica fondamentale, come si è detto, era rivolta a preferire lunghi rettilinei con il minor numero possibile di curve in genere ad ampio raggio. Tale impostazione, certamente evolutiva rispetto ai canoni correnti della cultura stradale di allora, venne praticamente ad escludere la regola di adattare il tracciato alla morfologia del terreno. Il prevalere delle esigenze geometriche rispetto alle forme naturali del terreno costituì un significativo salto culturale nel tracciato delle autostrade. Questo fatto, nel contempo, acquisì, nell ambito corrente dell ingegneria stradale, una serie di problematiche, prima considerate episodiche, come i grandi movimenti di terra in scavo ed in rilevato, la realizzazione di estese ed importanti murature di sostegno, il ricorso a tratti in galleria, e, in particolare, la diffusione di manufatti da ponte. La costruzione dei ponti anche di grandi dimensioni fu supportata da più raffinate e pertinenti calcolazioni in sede di progetto e dalla crescente diffusione del cemento armato in sede di costruzione. Il tratto Milano-Varese dell Autostrada dei Laghi fu inaugurato nel settembre del 1924; un anno dopo fu aperto al traffico l ultimo tratto Gallarate-Sesto Calende rendendo l intera autostrada funzionante sull intero percorso di 85 km. L autostrada Bergamo-Milano di 49 km ebbe i lavori conclusi nel 1927; il progetto era inserito in un più ampio disegno di rete autostradale che l ing. Puricelli aveva presentato al governo nel 1925; quindi si osserva come, anche allora, ci fossero master plan di ampie dimensioni che scaturivano da progettisti dotati di visione vasta e lungimirante. Nel 1929 fu inaugurata la Napoli-Pompei di 23 km; nel 1930 il raccordo per Castellamare di Stabia e nel 1936 il prolungamento verso il cuore di Napoli. La stasi che si verificò nelle costruzioni autostradali all inizio degli anni trenta fu dovuta alla crisi economica del 1929, protrattasi fino al Nell agosto 1931, comunque, fu aperta al traffico l autostrada Brescia- Bergamo di 45 km. Nel 1932 la Milano-Torino di 127 km e la Firenze-Mare di 81 km. Nel 1933 fu inaugurata la Venezia-Padova di 24 km. Poiché le previsioni di traffico attorno a Roma apparivano molto scarse e quindi tali da mettere in crisi il sistema delle concessioni, Mussolini decise che bisognava comunque realizzare una strada fra la capitale ed il mare. Nacque così la strada automobilistica fra Roma e Ostia di 20 km; per economizzare si fecero molte intersezioni a livello, le pavimentazioni furono sottodimensionate, in principio si escluse il transito degli autocarri, non furono fatte costruzioni di servizio; l inaugurazione avvenne nel L Autocamionale Genova- Serravalle, che vide la luce nel 1935, fu certamente un opera per quei tempi grandiosa sia sotto 14

15 l aspetto tecnico, sia per il cospicuo impegno finanziario, in quanto si dovette attraversare l Appennino. IL VENTESIMO SECOLO LA TECNICA STRADALE L avvento delle automobili e la progressiva riduzione del traino animale trasformavano le strade sempre più nel regno della polvere. Le vecchie massicciate, pur con la cilindratura meccanica, non potevano resistere al nuovo genere di sollecitazioni. La polvere sollevata dalle automobili non solo produceva fastidio agli utenti e danno alle proprietà vicine con evidente pericolo igienico, ma determinava l impoverimento delle massicciate, al cui reintegro la manutenzione difficilmente riusciva a sopperire. Quindi praticamente sulle strade si aveva polvere in estate nelle stagioni secche e fango in inverno nelle stagioni umide. D altra parte, invece, il problema della portanza era stato risolto per quei tempi e per quei mezzi con la tecnologia di Mac Adam. Era quindi necessario risolvere il problema superficiale. Le prime strade catramate nacquero in Italia per opera di un tecnico illuminato, l ing. Guido Rimini della Provincia di Ravenna, responsabile del reparto di Lugo. I primi esperimenti furono fatti nel 1901 sulle provinciali Quarantola e Felisio in prossimità appunto della città di Lugo a seguito di un articolo apparso sulla rivista Le Strade nell aprile dello stesso anno. In quell articolo si riportava la notizia di applicazioni effettuate dall ing. Londgen in California fino dal 1898 utilizzando il petrolio: le strade petroliate. Questa tecnica in Italia non poteva essere applicata a causa dell elevato costo del petrolio. La grande intuizione dell ing. Rimini fu quella di utilizzare un materiale più povero: il catrame liquido proveniente dalla combustione del carbone per la formazione del gas. Questo materiale veniva prodotto nelle cosiddette officine del gas che, in quei tempi, erano ubicate nelle grandi città, come, ad esempio a Bologna dove ancora l officina del gas costituisce un elemento di architettura industriale del diciannovesimo secolo; il catrame applicato a Lugo proveniva appunto da Bologna. Scrive l ing. Rimini : Sulle massicciate a macadam, che, per effetto della siccità, cominciano a produrre polvere, si versa del catrame del gas ben liquido; questo vi penetra cementando il conglomerato e formando in superficie una crosta assai dura che resiste bene al carreggio. In questa pratica l applicazione in sito consisteva nelle seguenti operazioni: si sagomava la massicciata con forte pendenza verso l esterno, si risarcivano le parti ammalorate con materiale di imbrecciamento, si compattava con rulli pesanti a vapore, si riscaldava il catrame a 60 gradi, si stendeva il catrame con scope. La tecnologia si estese a tutta Italia e fu perfezionata, per quei tempi, principalmente su due punti: il materiale legante utilizzato e le attrezzature. In merito al materiale si capì subito che per ottenere un buon risultato occorreva utilizzare un legante che facilitasse la penetrazione e l impregnazione nella massicciata; si miscelò quindi il catrame da gas con olii minerali e si riscaldò la miscela. Per quanto riguarda le attrezzature, si fece affidamento sui primi rulli compressori ad unico cilindro trainato da cavalli ed alle caldaie portatili su strada. Lo sviluppo del traffico automobilistico dopo la prima guerra mondiale portò ben presto le catramature a perdere mercato di fronte ad un formidabile antagonista: il bitume proveniente dalla distillazione del petrolio, che soppiantò progressivamente le catramature presentando proprietà più efficaci e durature. La tecnica dei trattamenti superficiali si andò diffondendo e 15

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