CENTRO STUDI LEGACOOP La proprietà dell impresa cooperativa Roma 28 marzo 2006

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1 Andrea Zoppini Credo che questa sia un occasione di cooperazione virtuosa tra un Centro Studi importante, qual è quello della Lega e l Università. Ringrazio in particolare il prof. Henry Hansmann. Perché, in estrema sintesi, ho suggerito di tradurre il libro del Prof. Hansmann La proprietà dell impresa e perché ritengo che questo libro sia molto utile? E in particolare alle cooperative in Italia oggi. Io, per ragioni del tutto casuali, mi sono trovato a far parte della Commissione di riforma del diritto societario e in quella Commissione ho avuto la percezione di un dato culturale che è ricorrente nel dibattito non solo italiano, sull impresa. In altre parole è diffusa l idea per cui la vera impresa, l impresa con la maiuscola, è quella lucrativa. In conseguenza, il paradigma dell impresa è quello della società, in particolare, nella realtà italiana, della società per azioni. Viceversa, l impresa cooperativa e, più in generale, l impresa non profit sono, in fondo, forme minori, figlie di un dio minore, rispetto alle quali la naturale evoluzione è quella di trasformarsi in imprese lucrative. A ben vedere questo pregiudizio culturale la stessa riforma del diritto societario lo esprime in maniera molto chiara. Essa, infatti, ha introdotto delle norme che consentono a tutte le imprese non profit di trasformarsi in società di capitali. L idea, coltivata da molte delle persone che hanno scritto quelle norme, è, in sostanza, che un associazione o una fondazione che svolgano attività di impresa, così come una cooperativa, 1

2 nel momento in cui si affermano e hanno successo sul mercato, naturalmente devono sfociare in una società di capitali. Con Henry Hansmann, invece, condivido un percorso completamente opposto. Noi, infatti, abbiamo iniziato studiando gli enti non lucrativi. Il Prof. Hansmann, inoltre, ha scritto forse il saggio più citato in materia di non profit: sicuramente negli Stati Uniti, ma ormai in una dimensione planetaria. Quindi, in un certo senso, abbiamo fatto un percorso che è esattamente speculare a quello che gli altri fanno normalmente. Questo approccio ci ha portato a formulare una domanda: perché, esistono enti non profit e cooperative che svolgono una attività di impresa secondo efficienti organizzazioni in contesti di mercato in cui concorrono con società lucrative? Questa è una prima, importante chiave di lettura del libro pubblicato dal Prof. Hansmann. La ragione che, invece, mi ha indotto più concretamente a proporne una versione italiana è legata ancora una volta all esperienza della riforma del diritto societario. La riforma del diritto societario ci ha posto e ci pone, nella versione riformata del diritto societario italiano, alcune domande fondamentali rispetto alle quali non è agevole, a mio parere, dare risposte utilizzando alcuni paradigmi culturali della tradizione giuridica italiana in ambito di società cooperative. In altre parole, voglio dire che la tradizione giuridica italiana in ambito di società cooperative, a mio parere non era idonea a dare delle risposte soddisfacenti. Provo a fare alcuni esempi. Innanzitutto, l autonomia statutaria. Quando e in che limiti è legittimo l esercizio di un potere di auto organizzazione dei soci? Da 2

3 questo ne derivano problemi che, ad esempio, riguardano la governance. E chiaro che il problema della governance cooperativa comporta innanzitutto una verifica di quali possono essere i modelli normativi coerenti con un impresa cooperativa. Inoltre occorre indagare se questi modelli normativi possano essere ricavati dagli analoghi modelli della impresa lucrativa. Penso, ad esempio, al dibattito sugli amministratori indipendenti o su tecniche che tipicamente hanno a che fare con le forme di legittimazione, anche sociale, delle società quotate o che, ancora, fanno appello al mercato di capitali. Ma si pensi all esempio, che a mio parere è emblematico e che nel libro di Hansmann trova una spiegazione assolutamente convincente, del problema inerente alla deroga al voto capitario. Nella cultura giuridica cui apparteniamo l idea fondamentale era quella che identificava il voto capitario con il sistema della democrazia politica. Così in una cooperativa c è il voto capitario perché in un certo senso la società cooperativa è espressione di un modello culturale che mutua dalla democrazia politica il criterio di partecipazione all impresa. Se così fosse, se noi veramente fossimo convinti che il voto capitario è solo espressione speculare di un principio di democrazia politica, allora sarebbe ingiustificabile la deroga al voto capitario. Nella riforma del diritto societario, tuttavia, il voto capitario è un criterio di formazione della volontà sociale, coerente con un modello di integrazione economica. Negli scritti di Hansmann è lucidamente chiarito come le deroghe al voto capitario siano da considerarsi deroghe non di tipo capitalistico. Esse sono legate all intensità dello scambio mutualistico, il che, tuttavia, determina alcune difficoltà nella loro amministrazione. Le 3

4 deroghe al voto capitario, infatti, possono generare costi della proprietà spiega Hansmann in quanto impongono alla società cooperativa di rifare i calcoli ogni anno su quanto uno ha dato e quanto uno ha ricevuto. Il voto capitario, al contrario, consente di annullare i conflitti di interesse potenziali tra i soci, di far emergere gli interessi del socio mediano e non del socio marginale, di porre al centro dell organizzazione cooperativa la mutualità come ragione dell esistenza della società medesima. Nel suo libro Hansmann si sofferma anche sulla peculiarità dell esperienza italiana, confrontandola a quella di altri ordinamenti. L esperienza della legge Basevi detta in termini molto elementari ha cristallizzato un accordo con lo Stato, per cui sostanzialmente la detassazione degli utili segue un principio in base al quale tutto il patrimonio della cooperativa è indisponibile all appropriazione soggettiva dei soci. Come è noto, essa aveva evidenziato dei limiti evidenti di efficienza. Questi limiti di efficienza erano emersi già all inizio degli anni 90. Quindi, il superamento della legge Basevi, in fondo, si giustifica sulla base di ragioni di efficienza dell impresa cooperativa. Infatti come sappiamo le critiche principali al modello della legge Basevi, una esperienza storica tipicamente italiana, si sostanziano, da un lato, nel fatto che in essa non si collegava il beneficio fiscale a un effettiva integrazione mutualistica dei soci e, dall altro, che l espropriazione, a favore dell impresa, di tutto il patrimonio sociale determinava un fenomeno di forte disincentivo all investimento. 4

5 Alla fine, la riforma del diritto societario ha adottato un criterio che è, tutto sommato, sufficientemente orientato alle esigenze di crescita e di rafforzamento della coerenza dell impresa cooperativa e della sua capitalizzazione. Su questo terreno, ancora una volta, credo che il libro di Hansmann consenta delle chiavi di lettura, anche critiche, permettendo di svolgere alcuni ragionamenti sul futuro prossimo venturo. Innanzitutto, da questo libro, capiamo molto bene che la convivenza cosa che è ammessa in Italia tra investitori e cooperatori è una scelta che può essere opportuna nella prospettiva della capitalizzazione di impresa, ma genera anche costi transattivi. Il diritto societario riformato propone un contratto di investimento in cui c è un investitore che istituzionalmente rinuncia ad un potere di controllo e, tuttavia, aspira a controllare l impresa medesima. La scommessa che tutti abbiamo fatto su queste norme è che i benefici economici siano superiori ai costi transattivi della proprietà. Anche il fenomeno per cui una società cooperativa controlla una società di capitali, che è un fenomeno in Italia molto diffuso, genera problemi di costi della proprietà, nonché problemi di scarsa trasparenza nella logica del controllo da parte dei soci cooperatori dell impresa mutualistica. Il diritto societario, probabilmente per pudore, ha evitato di affrontare questi aspetti. Tuttavia,ritengo che il tema dei gruppi cooperativi richieda da parte di noi tutti un attenta riflessione. 5

6 Quello che a mio parere è molto importante, e qui concludo, è che il libro di Hansmann ha un enorme pregio per il nostro dibattito. In esso, infatti, si propone un modello culturale di lettura del fenomeno cooperativo non ideologico, ma piuttosto orientato alla individuazione delle condizioni di efficienza dell impresa. Io credo che di libri come questo noi abbiamo un grande bisogno, poiché chi ha occasione di partecipare a dibattiti in tema di cooperazione, può facilmente avvertire l arretratezza degli strumenti culturali di comprensione del fenomeno. E questo a mio parere è un problema di cui come studiosi noi, ma in fondo anche il movimento cooperativo, si deve interrogare. 6

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