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1 Tema n. 19 Illustri il candidato le principali differenze ed i punti di contatto tra le diverse discipline dell azione revocatoria fallimentare e azione revocatoria ordinaria nell ambito del fallimento RIFERIMENTI NORMATIVI Artt. 2901, 2902 c.c. Artt R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare) D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 80/2005 D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 SCHEMA DI SVOLGIMENTO A. Effetti della dichiarazione di fallimento nei confronti del fallito. B. I rimedi azionabili dal curatore per la ricostruzione dell attivo fallimentare: la revocatoria ordinaria e fallimentare. C. I presupposti delle azioni nell art. 67 L.F. come modificato dalla L , n. 80 e dal D.Lgs , n D. Il termine di decadenza della revocatoria fallimentare alla luce delle modifiche apportate dalla riforma fallimentare introdotta col D.Lgs , n. 5. E. Rapporti tra le due azioni. F. La posizione dei terzi aventi causa dal fallito. A^>Tra gli effetti di natura privata derivanti dal fallimento e riguardanti la posizione giuridica del fallito, alcuni sono di natura personale ed altri di natura patrimoniale. La riforma del 2006, nell ottica dell eliminazione delle sanzioni personali a carico del fallito, ha abolito il registro dei falliti (peraltro mai istituito), nonché ha soppresso la prevista incapacità per il fallito, nei 5 anni successivi al fallimento, di esercitare il diritto di voto (elettorato attivo). In coordinamento con tali interventi, è stato soppresso l istituto della riabilitazione. Permangono tuttavia le altre incapacità che il codice civile e le leggi speciali collegano alla figura del fallito, tra cui: la perdita della possibilità di esercitare alcune professioni (avvocato, titolare di farmacia, geometra) con cancellazione dai relativi albi professionali; la perdita della capacità di assumere determinati uffici (tutore o curatore; giudice popolare; esattore delle imposte; amministratore o liquidatore di società per azioni). Il decreto correttivo del 2007, inoltre, ha specificato che tutte le incapacità personali riguardanti il fallito cessano con la chiusura del fallimento, ha eliminato ogni riferimento al fallimento nelle disposizioni riguardanti il casellario giudiziale e in tema di disciplina del commercio, ha eliminato la disposizione che vietava l iscrizione nel regi-

2 402 Tomo Secondo: Materie giuridiche stro delle imprese dei soggetti dichiarati falliti fino alla sentenza di riabilitazione. Anche il soggetto fallito, dunque, può iscriversi nel registro delle imprese, quale titolare di una nuova impresa commerciale, distinta da quelle assoggettate a fallimento. La sentenza dichiarativa di fallimento incide, inoltre, su due diritti civili dell imprenditore, costituzionalmente garantiti: il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.) ed il diritto di locomozione e soggiorno (art. 16 Cost.); per effetto del fallimento, infatti: il fallito (persona fisica) deve consegnare al curatore la propria corrispondenza riguardante i rapporti compresi nel fallimento, inclusa quella elettronica (art. 48 L.F., come modificato dal D.L.gs. 169/2007). Nel caso di mancato ottemperamento dell obbligo, il fallito decade dal beneficio dell esdebitazione; il fallito deve comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio. In caso di mancato adempimento, è prevista una sanzione penale (art. 220 L.F.). Egli deve presentarsi personalmente agli organi del fallimento per fornire informazioni o chiarimenti sulla gestione della procedura, anche a mezzo di mandatario in caso di legittimo impedimento (art. 49 L.F.). Nell ambito degli effetti di natura patrimoniale, la dichiarazione di fallimento produce per il fallito la perdita della disponibilità giuridica del proprio patrimonio. Il fallito viene spossessato dei suoi beni, che passano all amministrazione del curatore che li prende in consegna (artt. 42 e 88 L.F.). A tale soggetto il legislatore demanda il compito di ricostruire l attivo fallimentare nel caso in cui il fallito abbia compiuto, anteriormente alla stessa dichiarazione di fallimento, atti di disposizione del proprio patrimonio. B^>I rimedi di cui egli può avvalersi sono l azione revocatoria ordinaria (art. 66 L.F.) e quella fallimentare (art. 67 L.F.). A questi va aggiunta la possibilità di invocare, ex art. 64 L.F., l inefficacia degli atti a titolo gratuito posti in essere dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Ritornando alla revocatoria, va rilevato come i due tipi di azione presentino, al di là delle evidenti differenze di presupposti e di ambiti applicativi, taluni punti di contatto. Entrambe le azioni sono esperibili in presenza di atti pregiudizievoli per i creditori, ed entrambe producono l inefficacia relativa (cioè l inopponibilità al fallimento) degli atti compiuti in frode ai creditori. In tutte e due le ipotesi, poi, la finalità di ricostruzione della massa attiva del fallimento viene perseguita attraverso la giuridica riacquisizione al patrimonio del fallito dei beni che ne sono usciti, nonché attraverso la liberazione dello stesso patrimonio dai debiti e dalle garanzie che il fallito abbia assunto con pregiudizio delle aspettative creditorie. La revocatoria fallimentare, tuttavia, diversamente da quella ordinaria e in questo risiede la principale differenza tra i due rimedi è tesa a garantire la soddisfazione paritaria dei creditori (par condicio creditorum): essa mira cioè a tutelare l interesse non del singolo creditore, ma di tutti quanti i creditori ammessi al passivo. C^>Ma vediamo ora quali sono i presupposti in presenza dei quali il curatore può agire e come essi si atteggiano nei due tipi di azione. Presupposti dell azione revocatoria ordinaria sono (art c.c.): il compimento, da parte del debitore, di un atto di disposizione del proprio patrimonio, l eventus

3 Tema n. 19: L azione revocatoria fallimentare e ordinaria 403 damni ed il consilium fraudis. È opportuno precisare al riguardo che il concetto di atto di disposizione va accolto nella sua accezione più ampia, intendendo per negozio dispositivo ogni atto idoneo ad incidere negativamente sul patrimonio dell obbligato, decurtandone l attivo o aumentandone il passivo. Perciò, è da considerare tale non soltanto l atto con il quale il debitore alieni certi beni a terzi, a titolo gratuito o a titolo oneroso, ma anche quello con cui si costituisca una garanzia reale o si attribuisca un diritto reale di godimento o, ancora, si assumano obbligazioni nei confronti dei terzi. L eventus damni consiste nel pregiudizio che può derivare alle aspettative creditorie, ravvisabile nella diminuzione (o il pericolo di essa) del patrimonio del debitore. In tal senso è revocabile anche l atto di disposizione che renda soltanto più difficile od onerosa la realizzazione del diritto di credito. Per consilium fraudis, infine, deve intendersi la consapevolezza da parte del debitore di ledere, con l atto di disposizione, le ragioni creditorie. Se l atto di disposizione è a titolo oneroso, il curatore dovrà provare altresì la sussistenza della partecipatio fraudis, cioè la consapevolezza, da parte del terzo contraente, del pregiudizio che l atto stesso arreca alle aspettative del creditore; nel caso di un atto posto in essere anteriormente al sorgere del credito, inoltre, il curatore dovrà dimostrare che il terzo era partecipe della dolosa preordinazione. Nella revocatoria fallimentare queste tre condizioni vengono sostanzialmente declassificate. Fermo restando, invero, il compimento dell atto impugnato nel periodo sospetto stabilito dall art. 67 L.F. (periodo i cui termini, per ciascuna delle diverse tipologie di atti, il citato D.L. 35/05 ha provveduto a dimezzare), si osserva che la consapevolezza da parte del debitore di ledere con l atto di disposizione le ragioni creditorie (consilium fraudis) non deve essere provata dal curatore ma è presunta in re ipsa; in altri termini, si presume che il debitore insolvente si renda conto, nel momento in cui pone in essere l atto, dell incidenza negativa dello stesso sul proprio stato di insolvenza, in danno dei creditori. La partecipatio fraudis viene trasformata, in sede di revocatoria fallimentare, in una conoscenza dell insolvenza da parte del terzo contraente (cd. scientia decoctionis). Tale conoscenza è sorretta da una presunzione relativa per gli atti indicati nel comma 1, mentre deve essere provata dal curatore per le ipotesi previste dal comma 2. Con riguardo agli atti revocabili ai sensi del comma 1 della norma citata, essa va intesa non tanto come conoscenza effettiva quanto come conoscibilità dello stato di decozione, secondo le capacità medie di apprensione intellettiva possedute da una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza, e tenendo altresì conto delle condizioni di tempo e di luogo e degli elementi di conoscibilità reperibili nella fattispecie. La prova della inscientia decoctionis grava, naturalmente, sul terzo contraente. D^>La riforma delle procedure concorsuali, introdotta con il D.Lgs. 5/2006, ha introdotto nella disciplina della revocatoria fallimentare un termine di decadenza per l esercizio dell azione. Ha infatti previsto che le azioni revocatorie non possano più essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell atto (art. 69bis L.F.). Anteriormente alla previsione della riforma, l originaria formulazione della legge nulla prevedeva in merito ad un possibile termine di decadenza o di prescrizione della revocatoria e per colmare tale lacuna normativa, in giurisprudenza si riteneva che fosse ad essa applicabile il termine di cinque anni previsto per la revocatoria ordinaria, decorrente però dalla data della sentenza di fallimento (e non dal compimento dell atto). È palese l intenzione del legislatore della riforma, prevedendo espressamente un termine di decadenza, di limitare

4 404 Tomo Secondo: Materie giuridiche la situazione di instabilità nei rapporti commerciali determinata dalla possibilità di esperire azioni revocatorie. E^>Per quanto riguarda l esperibilità delle due azioni nel corso della procedura fallimentare, la revocatoria ordinaria costituisce in pratica l opzione residuale a disposizione del curatore nel caso in cui gli atti dispositivi compiuti dal fallito non rientrino nelle categorie di quelli sottoposti alla revocatoria fallimentare, per esempio perché l atto da revocare è stato compiuto dal fallito prima del periodo sospetto, oppure perché è escluso dal regime della revocatoria fallimentare. A ben vedere, infatti, le condizioni richieste per la revocatoria ordinaria sono più gravose rispetto a quelle previste per la fallimentare, in quanto in quest ultima sono presunte, negli atti onerosi compiuti in condizioni di normalità (art. 67, 1 comma, L.F.), sia la conoscenza del debitore che la malafede del terzo contraente, mentre la revocatoria ordinaria pone a carico del curatore l onere di provare l eventus damni (cioè il pregiudizio che l atto ha determinato o aggravato nello stato di decozione del fallito), il consilium fraudis del debitore e la partecipatio fraudis del terzo. Altra differenza che sussiste tra le due azioni è data dal fatto che la revocatoria ordinaria presuppone la validità degli atti compiuti dal debitore in frode ai creditori, mentre la revocatoria fallimentare si fonda sull indisponibilità che colpisce il patrimonio del fallito, prevista dall ordinamento a tutela della par condicio creditorum. Inoltre, mentre la revocatoria ordinaria è esperibile solo contro quegli atti che effettivamente costituiscono una lesione del diritto del creditore, la revocatoria fallimentare si estende allo stato di insolvenza prefallimentare ed è diretta a ricostituire l integrità del patrimonio del debitore per la soddisfazione della generalità dei creditori. F^>Resta da spendere qualche parola sugli effetti che le due azioni producono nei confronti del terzo. Va detto al riguardo che, se il rimedio esperito è quello ordinario, rimane esclusa la possibilità da parte del terzo di concorrere sul ricavato dei beni che hanno formato oggetto dell atto dichiarato inefficace (art c.c.); se, invece, si procede con la revocatoria fallimentare, all eliminazione dell efficacia dell atto nei confronti del fallimento corrisponde il diritto del terzo ad essere ammesso al passivo del fallimento per la somma di cui risulti creditore (art. 70, comma 2, L.F., nel testo introdotto dal D.L. n. 35/05). La ratio di questo diverso regime è evidente. Il terzo nella prima ipotesi è proprietario e quindi, se non può concorrere al riparto, può tuttavia appropriarsi dell eventuale residuo di prezzo non in qualità di creditore, bensì uti dominus, salvo agire per i danni nei confronti del debitore-alienante. Collegamenti e approfondimenti Tema 20, Tomo II - Effetti del fallimento sui soci illimitatamente responsabili Tema 24, Tomo II - Il fallimento e gli adempimenti fiscali del curatore

5 Tema n. 20 Illustri, il candidato, gli effetti prodotti dalla procedura fallimentare nei riguardi dei soci illimitatamente responsabili RIFERIMENTI NORMATIVI Artt. 2195, 2290 c.c. Artt. 10, 147 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare) D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 SCHEMA DI SVOLGIMENTO A. L imprenditore assoggettabile a fallimento alla luce della riforma apportata dal decreto correttivo del B. Il fallimento della società che abbia cessato l esercizio dell impresa commerciale. C. Effetti del fallimento nei confronti dei soci. D. Il fallimento di una società di capitali. E. Obblighi degli amministratori e dei liquidatori. F. Il problema del socio occulto. G. Il fallimento di una impresa familiare. A^>Con l espressione fallimento si indica lo stato patrimoniale di un soggetto che non ha più la capacità obiettiva di far fronte puntualmente alle proprie obbligazioni. Esso consiste in un processo esecutivo rivolto alla realizzazione coattiva del diritto dei creditori, che si fraziona in vari sub procedimenti tendenti, anzitutto, ad accertare la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per la dichiarazione di fallimento; quindi, ad identificare, acquisire e conservare tutti i beni del fallito, ad accertare i suoi creditori, a liquidare tutti i suoi beni ed, infine, a ripartire il ricavato tra i creditori stessi. La procedura fallimentare è dunque universale, in quanto colpisce tutti i beni del debitore, nonché concorsuale, perché è predisposta nell interesse di tutti i creditori. Al fallimento è assoggettabile ogni soggetto purché sia dotato di autonomia patrimoniale, eserciti un impresa commerciale, non sia un ente pubblico e non superi i limiti dimensionali e di indebitamento (di non fallibilità) stabiliti all art. 1 della legge fallimentare, come modificato dal D.Lgs. 169/2007. L art. 1 L.F., come novellato dal D. Lgs. 5/2006 ed applicabile ai fallimenti dichiarati dal 16 luglio 2006 al 1 gennaio 2008 escludeva dal fallimento il piccolo imprenditore, intendendo per tale chi restasse al di sotto di determinate soglie dimensionali di fallibilità riguardanti l importo degli investimenti e l ammontare dei ricavi lordi.

6 406 Tomo Secondo: Materie giuridiche Non era considerato piccolo imprenditore chi, nell esercizio della propria attività commerciale, in forma individuale o collettiva, alternativamente: avesse effettuato investimenti nell azienda per un capitale di valore superiore a euro; avesse realizzato, in qualunque modo risultasse, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall inizio dell attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro. Nella legge fallimentare, sia prima che dopo la riforma del 2006, si aveva riguardo, quale indice delle dimensioni dell impresa, a parametri legati alla quantità: di reddito prodotto dall imprenditore, nella disciplina previgente; di patrimonio investito nell azienda e di ricavi conseguiti, nel testo novellato (criteri quantitativi). Nella definizione di piccolo imprenditore contenuta all art del codice civile, invece, si ha riguardo al modo in cui il reddito è prodotto, e cioè alla circostanza che l imprenditore si avvalga del lavoro proprio e dei componenti la propria famiglia. La problematica connessa ai rapporti tra l art c.c. e l art. 1 L.F. era stata parzialmente superata con l entrata in vigore della riforma fiscale e con la sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava l illegittimità dell art. 1 L.F. rendendo inoperante l articolo stesso per cui, nella vigenza della normativa ante riforma, il piccolo imprenditore era di fatto definito dal concetto di prevalenza fornito dall art c.c. La riforma del 2006, riformulando l art. 1 L.F., aveva superato i problemi di coordinamento con la normativa fiscale, ma non aveva offerto una risposta esauriente alla necessità di conciliare tale definizione con quella codicistica, dato l utilizzo di parametri non coincidenti (quantitativi l una e qualitativi l altra). Per risolvere i problemi interpretativi che la riforma del 2006 aveva lasciato irrisolti, è dunque intervenuto il D.Lgs. 169/2007 (cd. decreto correttivo). Con esso, il legislatore ha di nuovo completamente riformulato l art. 1 L.F., con l importante novità di eliminare ogni riferimento alla nozione di piccolo imprenditore, che aveva suscitato i problemi di coordinamento con la parallela definizione codicistica di cui all art c.c. Vengono individuati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che tutti gli imprenditori commerciali devono avere congiuntamente per non essere assoggettati alle procedure concorsuali. Accanto ai due criteri strettamente dimensionali già individuati dalla riforma del 2006 viene introdotto un ulteriore terzo parametro, avente ad oggetto la misura dell esposizione debitoria dell imprenditore. Il nuovo presupposto soggettivo si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento ed alle procedure fallimentari, rispettivamente, iniziati o aperte successivamente al 1 gennaio 2008, data di entrata in vigore del decreto stesso, nonché alle procedure di fallimento già in corso a tale data. Alla luce del novellato art. 1 L.F., non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: avere avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell istanza di fallimento o dall inizio dell attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superore a euro; aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data del deposito dell istanza di fallimento o dall inizio dell attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a euro; avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a euro.

7 Tema n. 20: Effetti del fallimento sui soci illimitatamente responsabili 407 B^>Un problema di rilievo è quello relativo alla possibile assoggettabilità a fallimento della società che abbia cessato l esercizio dell impresa commerciale. L art. 10 L.F., nella nuova formulazione introdotta dal decreto correttivo, stabilisce in proposito che l imprenditore individuale o collettivo, entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, può ugualmente essere dichiarato fallito se il presupposto dell insolvenza si sia determinato anteriormente alla cancellazione o entro l anno successivo. Il decreto correttivo del 2007 è intervenuto sulla norma in esame prevedendo che solo il pubblico ministero e i creditori possono fornire la prova di tale effettiva cessazione dell impresa. Analoga facoltà non è concessa al debitore qualora la cessazione sia intervenuta anteriormente alla cancellazione. Quando però la società è stata cancellata d ufficio (nei casi, cioè, di mancata presentazione del bilancio di liquidazione per 3 anni consecutivi, ex art c.c., nonchè nelle ipotesi previste dal D.P.R. 247/2004), essa ha la possibilità di dimostrare che il momento dell effettiva cessazione dell attività non corrisponde alla data della cancellazione dal registro delle imprese ma si è verificato anteriormente, facendo così decorrere il termine annuale dalla concreta cessazione dell attività commerciale. Per quanto riguarda, infine, le società non iscritte nel registro delle imprese, vale a dire le società di fatto o le società di persone irregolari, che non sono menzionate nella norma, esse continueranno ad essere assoggettate a fallimento senza alcun limite temporale. Relativamente alla disciplina anteriore alla riforma del 2006, la dottrina e la giurisprudenza erano intervenute per colmare i problemi applicativi posti dalla norma, individuando il momento in cui si considerava cessata l attività d impresa. In particolare, per le società commerciali, la cessazione non poteva coincidere con l inizio della fase di liquidazione, bensì con l estinzione dell ente che, per le società di persone coincideva con la chiusura della liquidazione, mentre per le società di capitali, con la cancellazione dal registro delle imprese. Appare chiara, quindi, l esigenza della riforma di fissare un momento preciso di decorrenza del termine, per non rendere inutile la sua previsione. C^>Il punto più importante della disciplina giuridica relativa al fallimento delle società riguarda, però, gli effetti che il fallimento stesso produce nei confronti dei soci. In proposito, determinante è la distinzione tra soci a responsabilità limitata e soci a responsabilità illimitata. Il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società, mentre la sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili (art. 147, comma 1, L.F.). Sostanzialmente, una volta dichiarato il fallimento: nella società in nome collettivo (registrata o irregolare) sono assoggettati alla procedura tutti i soci; nella società in accomandita per azioni, il fallimento della società si estende ai soli soci accomandatari; nella società in accomandita semplice falliscono tutti i soci accomandatari e quelli tra i soci accomandanti che abbiano compiuto atti di amministrazione, ovvero abbiano concluso affari in nome della società in mancanza di una procura speciale, ovvero ancora che abbiano consentito che il loro nome fosse compreso nella ragione sociale, casi in cui nella società in accomandita semplice il socio diventa illimitatamente responsabile. Infatti, anche se il socio a responsabilità illimitata non è, per ciò stesso, imprenditore commerciale, tuttavia il legislatore ha considerato che l impresa, che pure formal-

8 408 Tomo Secondo: Materie giuridiche mente viene gestita dalla società, sostanzialmente è gestita dai soci illimitatamente responsabili e quindi l estensione del fallimento a questi ultimi è un modo di realizzare appieno la responsabilità degli stessi, soprattutto nei confronti dei creditori che hanno la possibilità di agire anche sul loro patrimonio. È da sottolineare che la riforma del 2006 ha precisato che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata riguarda tutti i soci delle società di persone, siano essi persone fisiche o altre società. Ricordiamo, infatti, che in seguito alla Riforma del diritto societario, l art c.c. prevede espressamente la possibilità anche di una società di capitali di partecipare ad una società di persone quale socio illimitatamente responsabile. È chiaro allora che nella società di persone i singoli soci illimitatamente responsabili falliscono anche in proprio. Non a caso il fallimento della società e quello dei singoli soci vengono dichiarati con un unica sentenza; è unico il curatore, anche se poi le diverse procedure e le masse fallimentari rimangono distinte (ciò avviene a causa della sia pur limitata autonomia patrimoniale della società). Ne deriva che i creditori sociali possono trovare soddisfazione anche sul patrimonio personale dei singoli soci (a tal fine, l insinuazione al passivo della società si intende avvenuta anche nel fallimento dei singoli soci ed essi partecipano alle ripartizioni sino all integrale pagamento), mentre i creditori particolari dei soci possono rivalersi esclusivamente nei riguardi dei soci loro debitori. Non si sottrae al fallimento della società, qualora l insolvenza sia insorta prima della cessazione del rapporto sociale, il socio che è receduto o che sia stato escluso, ovvero che abbia ceduto la sua quota (oltre al caso di morte) entro l anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Questo principio, già consolidato in giurisprudenza ed in dottrina pur in assenza di un esplicita previsione nella legge fallimentare nonché suffragato dalla sentenza della Corte Costituzionale 21 luglio 2000, n. 319, è stato espressamente introdotto nell art. 147 L.F. dalla riforma del 2006, la quale ha previsto che il fallimento dei soci illimitatamente responsabili «non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati». La riforma, oltre a comprendere tutti i casi in cui il socio illimitatamente responsabile abbia sciolto, per qualsiasi ragione, il suo rapporto con la società anteriormente alla dichiarazione di fallimento di quest ultima, ha inoltre cercato di ricondurvi anche le ipotesi in cui la responsabilità illimitata cessi sebbene non muti la sua qualità di socio, come accade nei casi di trasformazione, fusione o scissione societaria. La società che ha deliberato la sua trasformazione può fallire nella sua originaria struttura organizzativa. In tal caso, per l estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili prima della trasformazione possiamo distinguere tra trasformazione di società di persone in società di capitali e trasformazione interna alla società di persone. Se una società di persone si è trasformata in società di capitali, dottrina e giurisprudenza ammettono il fallimento dei soci che prima della trasformazione erano illimitatamente responsabili, purché ricorrano due condizioni: che la società nata dalla trasformazione versi in uno stato di insolvenza dipendente anche da obbligazioni sorte in epoca precedente alla trasformazione; che i creditori sociali della società di persone non abbiano acconsentito alla trasformazione, secondo le modalità indicate dalla legge.

9 Tema n. 20: Effetti del fallimento sui soci illimitatamente responsabili 409 Anche in caso di trasformazione interna alla società di persone (s.n.c. in s.a.s. o viceversa) si mantiene inalterata, per le obbligazioni anteriori alla trasformazione, la responsabilità illimitata dei soci della società che ha deciso la trasformazione, a meno che i creditori sociali abbiano aderito alla trasformazione. Il fallimento della società trasformata produce, quindi, il fallimento dei soci già illimitatamente responsabili per le obbligazioni sorte prima della trasformazione. È tuttavia condizione indispensabile che lo scioglimento del rapporto sociale o la cessazione della responsabilità illimitata sia stata resa nota ai terzi attraverso l adempimento delle formalità prescritte dalla legge nei singoli casi (iscrizione nel registro delle imprese). Il socio illimitatamente responsabile della società di persone contro la quale è stata presentata domanda di fallimento ha diritto di essere convocato anche personalmente per consentirgli il diritto di difesa con riferimento alla sua dichiarazione di fallimento: egli, infatti, deve avere un preciso avvertimento che si vuol dichiarare il fallimento non solo contro la società, ma anche contro di lui personalmente. D^>Diverse sono le conseguenze del fallimento di una società di capitali, che non si estende ai soci, i quali, per il principio dell autonomia patrimoniale perfetta, sono responsabili soltanto nei limiti delle azioni o delle quote. Il fallimento è, infatti, dichiarato in nome della società, in persona degli amministratori che la rappresentano. Nell ipotesi, invece, in cui la società non risulti iscritta nel registro delle imprese, mancando essa della personalità giuridica (l iscrizione, infatti, ha per questo tipo di società, effetto costitutivo) e non potendo, dunque, essere dichiarata fallita, il fallimento verrà dichiarato nei confronti di coloro che hanno agito per la società, i quali sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le operazioni compiute a nome della stessa. Anche se nelle società di capitali la dichiarazione di fallimento non influisce sullo stato personale dei soci, ciò nonostante la legge pone a carico di determinati soggetti alcune conseguenze personali. E^>Così gli amministratori e i liquidatori rispondono sia verso i soci che verso i creditori per l inosservanza dei doveri che l art. 146 L.F. ad essi impone; hanno l obbligo di comunicare al curatore ogni cambiamento di residenza o domicilio e devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge prevede che sia sentito il fallito (artt. 49 e 146 L.F.). A norma dell art. 48 L.F., come modificato dal decreto correttivo del 2007, il fallito persona fisica è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento. La corrispondenza diretta al fallito che non sia persona fisica è consegnata al curatore. La distinzione fatta con il decreto correttivo è opportuna in quanto, mentre la posta indirizzata al fallito persona fisica potrebbe interessare personalmente il fallito oppure l impresa della quale egli era titolare o socio, e quest ultima va consegnata al curatore, la posta diretta al fallito società va tutta consegnata al curatore, in quanto non può che avere interesse per la sola procedura. Lo stato di liquidazione in cui si trovi eventualmente la società non osta alla dichiarazione di fallimento, così come, d altronde, il fallimento non estingue la società. Ovviamente, la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione della società secondo le regole del codice civile, o la sospende se è già in atto: essa avverrà, infatti, mediante la procedura fallimentare.

10 410 Tomo Secondo: Materie giuridiche F..Ulteriore ipotesi da analizzare è quella relativa al socio occulto, cioè l ipotesi in cui, rispetto ai soci nei cui confronti si sia verificata l estensione del fallimento, si scoprano altri soci illimitatamente responsabili rimasti fino ad allora sconosciuti, non avendo mai manifestato all esterno il loro ruolo in società. È opinione prevalente che per l estensione del fallimento non occorra che il rapporto sociale sia manifesto; del resto questa è una soluzione che si ispira non solo al principio del favor creditoris, ma anche alla tutela dei soci illimitatamente responsabili, dichiarati falliti, che hanno interesse ad includere nella massa passiva anche il patrimonio dei soci occulti. In tal senso si esprime l art. 147 L.F., nel testo modificato dalla riforma del 2006, a norma del quale: «se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulti l esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi». La riforma è intervenuta nella disposizione in esame solo nella parte in cui ha attribuito la facoltà di presentare domanda di fallimento di tali soci illimitatamente responsabili non più solamente al curatore, ma anche ai creditori e agli altri soci già dichiarati falliti. G..Il legislatore non ha dettato disposizioni circa il regime di responsabilità dell impresa familiare. Così non è possibile individuare i soggetti (o il soggetto) da assoggettare a fallimento nell ipotesi in cui detta impresa, esercitando una delle attività di cui all art c.c., venga a trovarsi in stato di insolvenza. La riforma del 2006 ed il successivo decreto correttivo, pur avendo novellato l art. 1 L.F. relativo all ambito di assoggettabilità al fallimento, hanno continuato a non prendere in considerazione esplicitamente la figura dell impresa familiare, lasciando pertanto insoluti i dubbi di interpretazione della precedente disciplina. La dottrina è assai divisa sull argomento. Alcuni autori (FINOCCHIARO, GRAZIA- NI) ritengono che l impresa familiare debba ritenersi inserita nella struttura di una società di persone e, di conseguenza, ammettono il fallimento di tutti i soggetti che vi partecipano ex art. 147 L.F. Appare difficile, però, far rientrare l impresa familiare nello schema della società, soprattutto se si tiene conto del fatto che non tutti i partecipi hanno poteri di gestione ordinaria nell ambito della stessa. Inoltre, è stato opportunamente rilevato (MAZZOCCA) che l introduzione dell impresa familiare nell ambito dello schema strutturale delle società coinvolgerebbe paradossalmente nel fallimento anche la casalinga che presti solo lavoro domestico. Secondo la giurisprudenza, il fallimento coinvolge il familiare-imprenditore, ossia il vero gestore dell impresa, che assume i propri diritti e le obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi sino a risponderne illimitatamente e solidalmente con i suoi beni personali. Gli altri familiari, partecipanti all impresa, non falliscono automaticamente per estensione, a meno che si dimostri che fra essi non si sia costituita, in luogo dell impresa familiare, una vera e propria società di persone. Anche siffatto orientamento, però, non manca di suscitare legittimi dubbi, in specie se si considera che gli altri partecipi hanno comunque poteri di gestione straordinaria e possono concorrere persino alla deliberazione circa gli indirizzi produttivi. Collegamenti e approfondimenti Tema 2, Tomo II - L imprenditore occulto Tema 19, Tomo II - L azione revocatoria fallimentare e ordinaria Tema 24, Tomo II - Il fallimento e gli adempimenti fiscali del curatore

11 Tema n. 21 Il candidato, dopo aver brevemente illustrato le differenze tra il concordato preventivo ante e post riforma di cui alla legge n. 80/2005, illustri le caratteristiche della procedura di concordato secondo le norme attualmente vigenti, anche alla luce del nuovo istituto della transazione fiscale (Traccia assegnata all Università degli studi di Firenze I sessione 2009) RIFERIMENTI NORMATIVI Artt R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare) D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 80/2005 D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. in L. 51/2006 D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in L. 2/2009 D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in L. 122/2010 SCHEMA DI SVOLGIMENTO A. Nozione di concordato preventivo. B. Presupposti per l ammissione al concordato ante e post riforma di cui alla L. 80/2005. C. Procedura di concordato preventivo. D. Effetti dell ammissione al concordato. E. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. F. Prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione. G. La transazione fiscale. A^>Il concordato preventivo è una procedura concorsuale a cui può ricorrere un debitore che si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza per tentare il risanamento oppure per liquidare il proprio patrimonio, evitando il fallimento. Esso consiste in un accordo tra l imprenditore e la maggioranza dei creditori finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione, anche parziale, delle ragioni creditorie. Tra i vantaggi del concordato preventivo va ricordato: la libertà che ha il debitore di decidere il contenuto del piano di concordato; la possibilità di prevedere un pagamento anche parziale dei creditori privilegiati; la possibilità di concludere una transazione fiscale e previdenziale per i crediti tributari e per quelli contributivi; l effetto della proposta di concordato di determinare, per i crediti anteriori alla procedura, la scadenza dei crediti pecuniari e l interruzione delle azioni esecutive;

12 412 Tomo Secondo: Materie giuridiche il fatto che il piano approvato dalla maggioranza dei creditori e omologato dal tribunale vincola anche i creditori dissenzienti e quelli estranei; il fatto che, eseguito il concordato, i creditori conservano la loro azione nei confronti di coobbligati, fideiussori del fallito e obbligati in via di regresso; il fatto che, in caso di successivo fallimento, gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in sua esecuzione non sono revocabili e i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura sono prededucibili. B^>La procedura di concordato preventivo è ammissibile solo quando ricorrono alcuni presupposti soggettivi ed oggettivi (art. 160 L.F.). L ambito di tali condizioni è stato fortemente ridotto dal D.L. 35/2005 (cd. decreto competitività), conv. in L. 80/2005, i cui interventi di riforma sono finalizzati a favorire il ricorso al tale istituto. Sotto il profilo soggettivo, per l ammissibilità della domanda di concordato preventivo è necessario: che l istante sia imprenditore commerciale (non avente i requisiti di non fallibilità richiesti dall art. 1 L.F.). Possono accedere alla procedura, quindi, sia gli imprenditori individuali che le società; inoltre, essendo venuti meno i requisiti di meritevolezza previsti dalla disciplina anteriore, non ci sono limiti all ammissibilità del concordato delle società anche non iscritte nel registro delle imprese, come le società irregolari, di fatto, apparenti o occulte. Ne sono esclusi gli enti pubblici, gli imprenditori agricoli e le società semplici; che versi in stato di crisi o di insolvenza. Nella vigenza dell originario testo della legge fallimentare, per poter accedere al concordato preventivo era richiesto che l imprenditore versasse in stato di insolvenza, cioè che si fossero già manifestate quelle condizioni di oggettiva impotenza continuata nel tempo ad adempiere le proprie obbligazioni, che giustificano l inizio della procedura fallimentare. Il nuovo disposto, come modificato dal D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, consente il ricorso al concordato preventivo anche all imprenditore che si trova in un più generico stato di crisi, cioè a colui che si trova in una temporanea situazione di difficoltà ad adempiere, permettendogli così di avviare il risanamento aziendale, conseguente al concordato preventivo, in una fase precedente e meno gravosa di quella della vera e propria insolvenza. Non essendo stata data inizialmente dal legislatore una definizione di stato di crisi, in dottrina si è discusso sul rapporto tra tale situazione e l insolvenza richiesta per l ammissione al fallimento. In particolare, ci si chiedeva se in presenza dell insolvenza l imprenditore potesse essere ancora ammesso al concordato preventivo (che avrebbe continuato a porsi come alternativa al fallimento) o se tale procedura, alla luce delle modifiche introdotte, fosse a lui preclusa. Per risolvere i dubbi interpretativi creatosi, il legislatore è nuovamente intervenuto precisando che ai fini di cui al primo comma dell art. 160 L.F., relativo ai requisiti di ammissione al concordato preventivo, per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza (comma aggiunto all art. 160 L.F. dal D.L. 273/2005, conv. in L. 51/2006), permettendo quindi l accesso al concordato preventivo anche agli imprenditori per i quali sia già manifesta la situazione più grave dell insolvenza. Con il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, sono inoltre stati eliminati gli ulteriori requisiti soggettivi, richiesti in origine dalla legge fallimentare, per poter accedere al concordato preventivo.

13 Tema n. 21: Concordato preventivo e transazione fiscale 413 In particolare, non è più necessario che l imprenditore: sia iscritto nel registro delle imprese da almeno un biennio o dall inizio dell impresa, se questa ha avuto origine nell ultimo biennio; abbia tenuto regolarmente la contabilità nel biennio; non sia stato dichiarato fallito negli ultimi 5 anni, non sia stato ammesso alla procedura di concordato preventivo, né sia stato condannato per bancarotta o per delitti contro il patrimonio, la fede pubblica, l economia pubblica, l industria o il commercio. Con la riforma del 2005 è stata superata la concezione del concordato preventivo come beneficio per l imprenditore e, eliminati i requisiti soggettivi di ammissibilità nonché il requisito della meritevolezza, è definitivamente emersa la priorità dell interesse dei creditori e di quello alla conservazione dei complessi produttivi. In quest ottica è stata valorizzata l autonomia delle pattuizioni concordatarie quale strumento di regolazione della crisi di impresa ed è stato ridimensionato il ruolo del giudice, chiamato ad un mero controllo di legalità, oltre a quello, ad esso connaturale, di terzo chiamato a risolvere le controversie (GUGLIELMUCCI). Sotto il profilo oggettivo occorre che l imprenditore proponga ai creditori un piano di risanamento della propria esposizione debitoria alternativamente attraverso: la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie, compresa l attribuzione ai creditori di azioni, quote, obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito; l attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse. Anche sotto il profilo oggettivo, il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005 ha operato una decisa semplificazione, dal momento che non è più prevista come condizione di ammissibilità l indicazione di una percentuale minima dell intera esposizione debitoria da offrire in pagamento. Precedentemente, invece, era necessario che il debitore fornisse serie garanzie reali e personali di pagare integralmente i creditori privilegiati ed in una percentuale non inferiore al 40% i creditori chirografari, oppure che offrisse la cessione ai creditori di tutti i suoi beni pignorabili. Scompare, inoltre, la previsione che stabiliva l ammissibilità di decurtazioni o dilazioni nel tempo per il pagamento dei crediti privilegiati. Viene, invece, rimessa all imprenditore in stato di crisi la possibilità di suddividere i propri creditori in classi omogenee per posizione giuridica e per interessi omogenei. Sui requisiti di ammissione è inoltre intervenuto il decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007), il quale ha cercato di conciliare la disciplina del concordato preventivo con quella del concordato fallimentare, chiarendo che la proposta di concordato può prevedere la soddisfazione anche non integrale (bensì in percentuale) dei creditori privilegiati (alla stregua di quelli chirografari), a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di vendita del bene su cui cade la causa di prelazione, avuto riguardo al suo valore di mercato indicato in apposita relazione redatta da un professionista revisore dei conti.

14 414 Tomo Secondo: Materie giuridiche C^>La procedura di concordato inizia con la proposizione della domanda, che consiste in un ricorso sottoscritto dall imprenditore e diretto al tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell impresa. La disciplina relativa alla prima fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo è stata oggetto di due modifiche da parte del legislatore: la prima avvenuta con il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, la seconda effettuata dal decreto correttivo (D.Lgs. 169/2007). Nella disciplina previgente al decreto correttivo era previsto che il tribunale, ricevuta la domanda, procedesse alla valutazione della sua ammissibilità, sentito il P.M.; verificata, quindi, la completezza e regolarità della documentazione, accoglieva la domanda e, con decreto non soggetto a reclamo, dichiarava aperta la procedura di concordato. Se, invece, il tribunale avesse accertato l insussistenza delle condizioni di legge respingeva con decreto la proposta e dichiarava, con separata sentenza, il fallimento. Il D.Lgs. 169/2007 ha previsto, invece, la possibilità del tribunale, qualora accerti qualche problema nella redazione del piano in ordine alla sussistenza dei requisiti di ammissibilità, di concedere al debitore un termine, non superiore a quindici giorni, per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti. Se all esito di tale procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui al primo e secondo comma dell art. 160 L.F. e che il ricorso non ha i requisiti di cui all art. 161 L.F., sentito il debitore in camera di consiglio, dichiara inammissibile la proposta di concordato con decreto non soggetto a reclamo. In tali casi il tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del P.M., deve accertare l esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e, solo qualora ne determini la sussistenza, dichiara il fallimento del debitore. Se, invece, l indagine ha esito positivo, il tribunale ammette, con decreto, il debitore alla procedura di concordato, nomina il giudice delegato, ordina la convocazione dei creditori entro trenta giorni, designa il commissario giudiziale e stabilisce il termine, non superiore a 15 giorni, entro il quale il debitore deve depositare in cancelleria la somma che, secondo quanto previsto dal decreto correttivo, deve essere almeno pari al 50% delle spese che si presumono necessarie per l intera procedura, o alla minor somma, non inferiore al 20% di esse, determinata dal giudice delegato. La proposta di concordato preventivo deve essere approvata dall adunanza dei creditori, presieduta dal giudice delegato; a tal fine è richiesto il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se sono previste diverse classi di creditori, tale maggioranza deve verificarsi anche nel maggior numero di classi. Hanno diritto di intervenire all adunanza tutti i creditori esistenti alla data della proposta, mentre sono esclusi dalla votazione i creditori privilegiati per i quali è previsto nel piano il pagamento integrale, salvo non rinuncino alla prelazione. I creditori privilegiati per i quali, invece, il piano prevede il pagamento parziale, possono votare per la parte di credito che non sarà soddisfatta. Se la proposta non è approvata, tale decisione è vincolante per il tribunale, il quale tuttavia non può più dichiarare immediatamente il fallimento, bensì la sola inammissibilità del concordato e pronunciare sentenza di fallimento solo allorquando abbia accertato l esistenza dei presupposti dell insolvenza e qualora ne facciano richiesta i creditori o il P.M. Se, invece, la proposta di concordato è approvata dai creditori, si apre il giudizio di omologazione, che avviene davanti al tribunale, previa verifica meramente formale del

15 Tema n. 21: Concordato preventivo e transazione fiscale 415 raggiungimento delle maggioranze prescritte: il decreto correttivo, infatti, ha eliminato definitivamente qualsiasi controllo di merito del tribunale, il quale può operare accertamenti istruttori e valutazioni di merito solo in presenza dell opposizione di parte. Il tribunale, quindi, in assenza di opposizioni, verificata la regolarità della procedura e l esito della votazione (controllo di mera legittimità), omologa il concordato con decreto motivato non reclamabile, senza effettuare alcuna indagine istruttoria. Se, invece, sono state proposte opposizioni, il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio, senza però poter procedere ad indagini istruttorie di particolare complessità. Il decreto è comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori, ed è soggetto alla stessa pubblicità prevista per la sentenza dichiarativa di fallimento. Esso è provvisoriamente esecutivo. Se il tribunale respinge il concordato dichiara, su istanza del creditore o su richiesta del P.M., e previo accertamento dei presupposti di legge, il fallimento del debitore, con sentenza emessa contestualmente al decreto. D^>A differenza di quanto avviene con la sentenza dichiarativa di fallimento, il debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo conserva l amministrazione dei suoi beni e continua l esercizio dell impresa (egli, cioè, non viene spossessato dall amministrazione e disponibilità del suo patrimonio), salvo i limiti previsti dalla legge per gli atti eccedenti l ordinaria amministrazione. La sua attività, comunque, è svolta sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Il debitore, durante la procedura, conserva altresì la piena capacità processuale: il commissario giudiziale, pertanto, può intervenire nei giudizi in cui è parte l imprenditore, ma non ha alcuna legittimazione surrogatoria che lo abiliti ad agire in sostituzione dell imprenditore, né può impugnare sentenze alle quali quest ultimo abbia prestato acquiescenza. È richiesta, invece, l autorizzazione del giudice delegato per gli atti eccedenti l ordinaria amministrazione. Il decreto di riforma 5/2006 ha inoltre introdotto l assoluta novità secondo la quale, con il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo o con successivo provvedimento, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l autorizzazione del giudice delegato. Una volta concessa l autorizzazione, gli atti sono compiuti direttamente dal debitore sotto la sorveglianza del commissario giudiziale. Per quanto riguarda gli effetti del concordato nei confronti dei creditori, questi sono in parte analoghi a quelli previsti nella procedura fallimentare, dovendo sempre essere rispettata la par condicio creditorum. L art. 168, 1 comma L.F., nel testo modificato dal decreto correttivo, dispone che il divieto delle azioni esecutive decorre dalla data della presentazione del ricorso fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo. Non è riportata, per il concordato preventivo, la normativa relativa all azione revocatoria e agli effetti sui contratti in corso di esecuzione. E^>Nell ambito della disciplina del concordato preventivo, il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005 ha introdotto la possibilità del debitore di stipulare con i creditori un accordo stragiudiziale di ristrutturazione dei debiti, che gli consenta di far fronte alla crisi dell impresa attraverso un piano concordato con la maggioranza dei suoi credito-

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