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1 Università Politecnica Delle Marche Dottorato di Ricerca in: ALIMENTAZIONE SALUTE E FARMACO XI Ciclo Nuova Serie Direttore della Scuola: Prof. Antonio BENEDETTI ANALISI MEDIANTE MICROTOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA BASATA SULLA RADIAZIONE X DI SINCROTRONE DELLA CINETICA DI BONE TURNOVER IN CONDIZIONI DI GRAVITÀ MODIFICATA Tutor: Dott.ssa Alessandra GIULIANI Tesi di: Katia MAROZZI Anno Accademico

2 Indice Introduzione... 4 Capitolo 1 Il tessuto osseo Il tessuto osseo Generalità La struttura macroscopica La struttura microscopica Le cellule del tessuto osseo La matrice ossea Organizzazione architetturale del tessuto osseo Modificazioni morfo-funzionali del tessuto osseo Istogenesi dell osso Rimaneggiamento osseo Capitolo 2 L Osteoporosi e modello transgenico L osteoporosi Generalità Classificazione Fattori di rischio La perdita di massa ossea Ruolo degli estrogeni Ruolo della vitamina D Ruolo dei glucocorticoidi Alterazione della microarchitettura scheletrica Osteoporosi e Gravità Modello transgenico e Gravità Microgravità Macrogravità Tail-suspension

3 Capitolo 3 La radiazione X e le tecniche di caratterizzazione La radiazione elettromagnetica X Il tubo radiogeno La radiazione di sincrotrone Generalità Il sincrotrone I principali sincrotroni europei La microtomografia a raggi X Generalità Apparato per Micro-CT Micro-CT mediante luce di sincrotrone. 58 Capitolo 4 L attività sperimentale Materiali e Metodi Preparazione dei campioni Esperimento di micro-ct Analisi delle dinamiche di mineralizzazione ossea Software di analisi: VG Studio Max Software di analisi: Image J Dal coefficiente sperimentale di assorbimento al calcolo della densità di mineralizzazione ossea.. 75 Capitolo 5 Analisi dei dati Metodi e Software per le Analisi Effetto della microgravità sulle ossa di carico Analisi morfometriche Effetto della microgravità sulle ossa non di carico Analisi di densità di mineralizzazione Effetto della macrogravità sulle ossa di carico Effetto della macrogravità sulle ossa non di carico Effetto della condizione di tail-suspension sulle ossa di carico. 96 Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia

4 Introduzione Per migliorare le attuali conoscenze in merito all adattamento del corpo umano alle diverse condizioni di gravità, sono da alcuni anni in corso una serie di ricerche scientifiche volte ad analizzare i cambiamenti riscontrati negli animali durante l esposizione ad una gravità modificata. L osso è un tessuto dinamico complesso che subisce un continuo processo di distruzionericostruzione per tutta la vita, al fine di adeguarsi alle sollecitazioni meccaniche, per evitare l accumulo di danni da affaticamento, per riparare microfratture e partecipare alla omeostasi del calcio. Alcuni studi hanno mostrato che l immobilizzazione a letto (fino ad un anno) è spesso causa di un disaccoppiamento tra la formazione ed il riassorbimento osseo, caratterizzato da una perdita ossea molto rapida. Inoltre, non sono ancora del tutto chiari i processi relativi all adattabilità e alla plasticità del muscolo scheletrico in assenza di gravità [1] (come ad esempio gli effetti dei voli spaziali sul carico che viene applicato alle ossa [2]) e restano completamente sconosciuti gli effetti biologici della microgravità sul genoma, sulla sintesi delle proteine, sulla loro trascrizione e sul metabolismo [3]. Pertanto, l obiettivo principale in questo ambito di ricerca è l identificazione di sensori gravitazionali o di meccanismi cellulari e molecolari gravità-dipendenti che permettano di individuare i processi che determinano questi cambiamenti. Attualmente sono disponibili un grande numero di modelli di topi geneticamente modificati per la ricerca biomedica sulla terra. L interesse verso questi animali è dovuto al fatto che i loro processi fisiologici sono analoghi a quelli dell uomo; in particolare, il topo rappresenta un modello accelerato per lo studio dei fenomeni pato-fisiologici umani. In questo contesto è stato proposto un progetto, da parte dell Agenzia Spaziale Italiana (ASI), il cui obiettivo principale è l analisi, attraverso un approccio transgenico, dei processi osteoporotici dovuti a condizioni di gravità modificata. Il progetto si basa sull ipotesi che topi con una maggiore densità ossea sono probabilmente meno soggetti all osteoporosi, in quanto l incremento della massa ossea è un effetto diretto di un gene coinvolto nella scheletogenesi. Il gene in questione è il gene umano Pleiotrofina. In natura, l osso è un tessuto tridimensionale, pertanto il presente studio prevede l analisi di tutti i cambiamenti strutturali di ossa da modello animale (topo wild type e di tipo transgenico) in condizioni di micro e macro gravità, tramite la tecnica fisica avanzata della microtomografia computerizzata (micro-ct) basata sulla radiazione X di sincrotrone. La microgravità e la macrogravità sono, dunque, strumenti unici che consentono ai ricercatori di discriminare tra gli effetti indotti dalle forze meccaniche e quelli dovuti all'età o alla genetica. Durante l attività di ricerca del mio Corso di Dottorato, sono state analizzate le strutture ossee in tre diverse zone scheletriche: nei femori, nelle spine lombari e nelle ossa del cranio. Le immagini e i 4

5 dati quantitativi derivati dalla micro-ct sono risultati di fondamentale importanza al fine di caratterizzare i cambiamenti nella microarchitettura delle ossa in 3D. In particolare nelle ossa di carico (femori e spine), è stata effettuata un analisi quantitativa sulla microarchitettura dell osso trabecolare. Il lavoro è stato suddiviso in cinque capitoli. I capitoli 1 e 2 contengono un ampia introduzione per presentare al lettore una panoramica sulle caratteristiche del tessuto osseo e dell osteoporosi; nel secondo capitolo è stato inoltre introdotto il modello transgenico del gruppo di topi PTN-Tg utilizzato nelle tre condizioni di gravità modificata: microgravità, macrogravità e tail-suspension. Nel terzo capitolo sono state presentate le tecniche sperimentali utilizzate e i principi fisici che ne stanno alla base. In particolare, sono stati descritti i raggi X, la radiazione di sincrotrone e la microtomografia computerizzata. Il capitolo 4 tratta l esperimento effettuato ed il software utilizzato per l analisi. Vengono, inoltre, descritti in maniera dettagliata i parametri ricavati. Infine, il capitolo 5 mostra le analisi dei risultati ottenuti. I risultati di tale lavoro, che ha visto anche l'attiva partecipazione dello staff del KSC NASA nella fase pre- e post- volo, sono già stati in parte pubblicati (limitatamente alle analisi in microgravità [4]) e in parte sono in fase di pubblicazione (cinetica del bone turnover in topi trasgenici - LCN2 over-expressing- ed analisi in macrogravità e in condizione di tail-suspended). 5

6 Capitolo 1 IL TESSUTO OSSEO 6

7 1.1 Il tessuto osseo Generalità Il tessuto osseo fa parte, assieme alla cartilagine, dei tessuti connettivi specializzati per la funzione di sostegno. L appartenenza del tessuto osseo ai tessuti connettivi è giustificata sia per la sua origine dal mesenchima, il tessuto embrionale che funge da matrice per tutti i tessuti connettivi, sia per la sua costituzione, essendo formato da cellule e da sostanza intercellulare composta da fibre collagene e sostanza fondamentale anista. Il tessuto osseo è sostanzialmente un tessuto biologico connettivo mineralizzato riccamente vascolarizzato, vivente ed in continuo rinnovamento caratterizzato dalla sua notevole durezza, elasticità, capacità rigenerativa ed, anche, per le sue tipiche modalità di accrescimento. È un tipo particolare di tessuto connettivo di sostegno, costituito da cellule disperse in una abbondante matrice extracellulare, costituita da fibre e da sostanza amorfa di origine glicoproteica; questa ha la peculiarità di essere inoltre calcificata, ovvero formata anche da minerali. La peculiarità del tessuto osseo è quella di essere mineralizzato: infatti, la matrice intercellulare è per la maggior parte impregnata di cristalli minerali, in prevalenza fosfato di calcio. La presenza di minerali, come pure l abbondanza e la particolare distribuzione delle componenti organiche della matrice, conferiscono a questo tessuto spiccate proprietà meccaniche di durezza e di resistenza alla pressione, alla trazione e alla torsione. In virtù di queste proprietà, il tessuto osseo costituisce un materiale ideale per la formazione delle ossa dello scheletro, che costituiscono, nel loro insieme, l impalcatura di sostegno dell organismo. Inoltre, dato il notevole contenuto in sali di calcio, il tessuto osseo rappresenta il principale deposito di ione calcio per le necessità metaboliche dell intero organismo. La deposizione del calcio nell osso e la sua mobilizzazione, finemente controllate da meccanismi endocrini, contribuiscono in modo sostanziale alla regolazione dei livelli plasmatici di questo ione. Il tessuto osseo forma quindi le ossa, che concorrono a costituire lo scheletro dei vertebrati, svolgendo una funzione di sostegno del corpo, di protezione degli organi vitali (come nel caso della cassa toracica) e permettendo, insieme ai muscoli, il movimento. È un errore però considerare l'osso come una struttura rigida di semplice sostegno meccanico: le cellule sono soggette a un continuo rimaneggiamento e rinnovamento. Come tutti gli altri tessuti connettivi, consta di cellule, che per la maggior parte sono osteociti, incluse in una matrice intercellulare. La matrice è composta in parte (circa il 40% del peso secco) di materiali organici, soprattutto fibre collagene, e per il resto di sali inorganici ricchi di calcio e fosfato. Assieme queste due componenti conferiscono all osso le sue esclusive proprietà meccaniche [5]. Il tessuto osseo è quindi una forma di tessuto connettivo che si differenzia da questo per la quantità di materia inorganica e, quindi, per le caratteristiche di durezza e resistenza meccanica. Nell'osso si distingue una parte esterna compatta e una interna costituita da un tessuto spugnoso, dalla caratteristica struttura trabecolare, leggera ma in grado di resistere a tensioni molto elevate (Figura1.1). 7

8 Figura 1.1. Tessuto osseo spugnoso e compatto [6] I canali vascolari, che si ramificano dentro l osso, forniscono le sue cellule di materiali nutritizi e costituiscono le vie per l ingresso di altre cellule, tra cui gli osteoclasti, capaci di riassorbire l osso, e gli osteoblasti che sono in grado di deporlo. Queste caratteristiche costitutive si trovano in tutte le ossa; tuttavia, differenze rilevanti si riscontrano in rapporto al grado di sviluppo, alla sede, alle forze meccaniche predominanti e alle condizioni metaboliche generali dell organismo. La sua trama collagena, permeata di sali minerali, varia da un traliccio disordinato di fasci grossolani (tessuto osseo fibroso), tipica dell osso giovane, ad un sistema altamente organizzato di lamine a fibre parallele o lamelle (tessuto osseo lamellare), nell osso maturo. Fibre collagene e matrice mineralizzata, assieme, spesso formano piccoli cilindri (osteoni), concentricamente disposti attorno ai vasi sanguiferi; nell adulto, le superfici esterna ed interna delle ossa sono contornate da alcuni strati completi di lamelle circonferenziali (esterne) ed endostali (interne). La superficie esterna dell osso è sempre rivestita da una membrana fibrocellulare, il periostio, e la superficie interna da una guaina simile, ma più sottile, l endostio. In queste guaine si trovano osteoblasti, osteoclasti e altre cellule importanti nella biologia dell osso. 8

9 1.1.2 La struttura macroscopica L osso appare bianco e può avere o un architettura densa (osso compatto) oppure essere traforato da ampie cavità racchiuse in una rete di sbarrette e lamine ossee (trabecole), nel qual caso viene denominato osso trabecolare o spugnoso. L osso compatto (Figura 1.2 a; b) forma comunemente solo lo strato corticale delle ossa mature ed è soprattutto importante nel conferire a queste resistenza meccanica. Il suo spessore e l architettura variano nelle diverse ossa in rapporto alla loro forma complessiva, posizione e attività funzionale. Figura 1.2.a. Tessuto osseo compatto. Gli osteoni sono sezionati trasversalmente e tra di essi sono presenti le lamelle interstiziali [6]. Figura 1.2 b. Tessuto osseo compatto formato da colonne ossee parallele all asse maggiore dell osso [6]. 9

10 Al contrario, l osso spugnoso (Figura 1.3 a; b) si trova principalmente all interno dei segmenti scheletrici; nelle ossa lunghe, in particolare, è situato dentro le loro estremità espanse (metafisi ed epifisi). L osso spugnoso è costituito da un impalcatura tridimensionale ricca di spazi, i quali ospitano midollo osseo. Di norma la disposizione spaziale delle trabecole rende le ossa che sono formate, in tutto o in parte, da questo tipo di tessuto osseo leggere, ma molto resistenti alle sollecitazioni meccaniche. Esso forma anche una riserva di calcio e fosfato metabolizzabili che possono essere prontamente addizionati o rimossi dalle cellule sotto il controllo ormonale; deve questa proprietà al fatto che, a parità di massa, offre, rispetto all osso compatto, una superficie relativamente maggiore, il che facilita i processi di riassorbimento e di deposizione ossea. Figura 1.3. a Tessuto osseo spugnoso. Gli osteoblasti tappezzano le lacune fra le lamine ossee [6]. Midollo Osseo Endostio Trabecole Figura 1.3 b Tessuto osseo spugnoso composto da una rete di trabecole ossee separate da un labirinto di spazi contenenti midollo osseo [6]. 10

11 La porzione di osso compatto e spugnoso varia notevolmente. Nelle ossa lunghe, lo spesso cilindro di osso compatto che forma la diafisi presenta sulla superficie interna solo poche trabecole e spicole ossee, e racchiude al centro una larga cavità midollare che comunica ampiamente con gli spazi intertrabecolari delle estremità espanse dell osso. In altre ossa, in particolare quelle piatte, la parte interna è ovunque costituita da osso spugnoso rivestito all esterno da osso compatto. Tutte queste cavità interne delle ossa sono riempite da midollo osseo, rosso (emopoietico) o giallo (adiposo), a seconda dell età e della regione La struttura microscopica Cellule del tessuto osseo L osso è composto da cellule immerse in una matrice calcificata, rigida. Le cellule proprie del tessuto osseo sono morfologicamente distinguibili in 4 varietà: 1. Cellule osteoprogenitrici (dette anche preosteoblasti) che danno origine a varie cellule ossee; 2. gli osteoblasti che depongono l osso; 3. gli osteociti situati dentro l osso; cellule di rivestimento che si trovano sulle superfici dell osso; 4. gli osteoclasti che lo riassorbono. Di queste, cellule osteoprogenitrici, osteoblasti e osteociti sono in realtà fasi funzionali consecutive dello stesso tipo cellulare, a sua volta derivato dalla differenziazione in senso osteogenico della cellula mesenchimale pluripotente dei tessuti connettivi; sono pertanto considerabili come cellule autoctone dell osso. Gli osteoclasti, per contro, derivano da precursori immigrati nel tessuto osseo dal sangue, i cosiddetti preosteoclasti, i quali a loro volta si differenziano da cellule staminali del midollo osseo ematopoietico. Oltre a queste cellule, vi sono quelle dei suoi vasi e nervi ed altre che appartengono al periostio, all endostio e al midollo [7]. Di queste varie cellule, le prime tre (cellule osteoprogenitrici, osteoblasti ed osteociti) sono strettamente correlate, mentre gli osteoclasti hanno un origine assolutamente diversa. Le cellule osteoprogenitrici sono cellule staminali, mobili, persistenti che possono proliferare e differenziarsi in osteoblasti prima della formazione dell osso. Tutto l osso che si forma durante le prime fasi dello sviluppo viene deposto da queste cellule di derivazione mesenchimale. Nell ossificazione membranosa, si aggregano e proliferano prima di trasformarsi in osteoblasti; nell ossificazione encondrale, cellule simili migrano con i vasi che dal pericondrio penetrano nelle aree dove la cartilagine degenera e, qui, si differenziano in osteoblasti [8]. Gli osteoblasti (Figura 1.4) sono cellule basofile, primariamente responsabili della sintesi della sostanza intercellulare dell osso e della sua mineralizzazione. Esse hanno forma globosa o 11

12 poliedrica e tendono a giustapporsi le une alle altre a formare delle lamine epitelioidi a ridosso delle superfici ossee in via di formazione. Gli osteoblasti di forma grosso modo cuboidale, larghi μm, si trovano soprattutto sulle superfici di accrescimento o di rimodellamento dell osso, dove si dispongono a formare lamine di copertura monostratificate; hanno un nucleo rotondeggiante, eucromatico, con grande nucleolo ed un citoplasma abbondante e basofilo. Istochimicamente, queste cellule si caratterizzano per la positività alla reazione per la fosfatasi alcalina. Al microscopio elettronico, gli osteoblasti presentano un grande apparato di Golgi. I mitocondri contengono numerosi granuli densi, interpretabili come accumuli di ioni calcio. In prossimità dell apparato di Golgi sono visibili vescicole con vario aspetto contenenti sostanze da esocitare. Nel citoplasma periferico possono essere presenti dei corpi delimitati da membrana, detti globuli calcificanti, di 0,2-0,5 µm di diametro, contenenti una matrice in cui sono localizzati enzimi glicoproteici come la fosfatasi alcalina e la pirofosfatasi. Essi non vanno confusi con le cosiddette sferule calcaree (calcifying globules), che si incontrano nella matrice ossea mineralizzata e che rappresentano i nuclei iniziali di aggregazione dei cristalli. Gli osteoblasti sono uniti tra loro e con gli osteociti vicini tramite giunzioni serrate (o gap junctions), tramite le quali le cellule si scambiano molecole segnale per la coordinazione dell attività metabolica e di deposizione della matrice ossea. L osteoblasto è la sede di sintesi delle molecole organiche della sostanza intercellulare dell osso, le quali vengono successivamente esocitate ed assemblate all esterno della cellula. L osteoblasto presiede anche alla mineralizzazione della sostanza intercellulare, secondo modalità che non sono del tutto chiarite. Sono cellule differenziate, non più in grado di dividersi per mitosi, che originano da cellule osteoprogenitrici. Essi sono responsabili della sintesi, deposizione e mineralizzazione della matrice ossea e, quando rimangono incorporati nell interno di questa, si trasformano in osteociti. Una delle principali attività degli osteoblasti è quella di sintetizzare e secernere la matrice organica dell osso, cioè collagene di Tipo I e varie altre macromolecole di natura proteica. Questa matrice organica prima di mineralizzare, viene denominata osteoide o matrice preossea. Esistono anche molte prove che gli osteoblasti possono giocare un ruolo importante, benché indiretto, nella regolazione ormonale del riassorbimento osseo, dato che posseggono i recettori per l ormone paratiroideo e per altre sostanze stimolanti l erosione ossea. 12

13 Figura 1.4. Micrografia elettronica di un osteoblasto, riconoscibile per la presenza di numerose cisterne di reticolo endoplasmico granulare nel citoplasma. Tra la cellula e il tessuto osseo mineralizzato, fortemente elettrondenso, si interpone una banda di tessuto osteoide in cui sono visibili fibre collagene ed alcune vescicole della matrice (frecce). Gli osteociti (Figura 1.5) sono le cellule tipiche dell osso maturo, responsabili del suo mantenimento ed anche capaci di avviarne il rimaneggiamento. Sono cellule terminali, con una autonomia di vita finita, finemente regolata da meccanismi endocrini. L osteocita è una cellula stellata, con un corpo cellulare a forma di lente biconvessa e numerosi prolungamenti citoplasmatici. Al microscopio ottico, l osteocita presenta un nucleo eterocromatico con un piccolo nucleolo ed un citoplasma perinucleare piuttosto scarso che, negli osteociti più giovani, è tenuemente basofilo. Al microscopio elettronico, gli osteociti mostrano un aspetto diverso a seconda dell età della cellula: gli osteociti giovani sono caratterizzati dalla presenza di cisterne di reticolo endoplasmatico granulare e da un apparato di Golgi piuttosto esteso; via via che la cellula invecchia si riduce il reticolo endoplasmico granulare e compaiono vacuoli autofagici e lisosomi secondari; infine compaiono segni di degenerazione quali alterazioni nucleari caratteristiche dell apoptosi, dilatazione della cisterna perinucleare e condensazione della matrice citoplasmatica che preludono alla dissoluzione dell intera cellula. Costituiscono il tipo più numeroso di cellule dell osso maturo; si trovano disseminati nella matrice, ma connessi tra loro da numerosi prolungamenti citoplasmatici tali da formare una complicata rete cellulare. Derivano dagli osteoblasti che vengono incorporati nella matrice e, durante tutta la loro vita, si mantengono in contatto tra loro e con le cellule situate sulla superficie dell osso. Dal loro corpo cellulare emergono numerosi prolungamenti che si ramificano più volte, formando un estesa arborizzazione. Il corpo dell osteocita rimane racchiuso in una nicchia scavata nella sostanza intercellulare ossea, detta lacuna ossea, la cui forma ricalca quella della cellula, mentre i prolungamenti sono accolti all interno di sottili canali scavati nel tessuto osseo e definiti canalicoli ossei. Alle loro estremità, i prolungamenti di un osteocita sono connessi mediante giunzioni serrate con quelli degli osteociti circostanti. Tra la membrana plasmatica del corpo cellulare e dei prolungamenti e la matrice mineralizzata rimane uno spazio sottile occupato da tessuto osteoide che non mineralizza. Attraverso il tessuto osteoide delle lacune e dei canalicoli ossei, che sono ampiamente 13

14 comunicanti, l acqua e le sostanze disciolte (gas respiratori e metaboliti) riescono a raggiungere tutti gli osteociti, anche quelli più distanti dai vasi sanguigni. Metaboliti e molecole segnale disciolti nel citoplasma possono, inoltre, essere scambiate tra gli osteociti tramite le giunzioni serrate. La vita media di un osteocita è stata stimata sui 25 anni. La sua esatta funzione non è ancora chiara, anche se essi devono svolgere un ruolo essenziale nel conservare l osso, dato che la loro morte porta al riassorbimento osteoclastico della matrice. È anche possibile che, tramite i loro contatti con le cellule sulle superfici ossee, essi agiscano come sensori locali delle condizioni meccanica e chimica della matrice ossea e che, corrispondentemente, ne avviino i processi di erosione o di deposizione. Figura 1.5. Micrografia elettronica di un osteocita all interno di una lacuna ossea. Nel citoplasma sono presenti mitocondri, lisosomi ed alcune cisterne di reticolo endoplasmico granulare. E evidente un prolungamento citoplasmatico che si addentra in un canalicolo osseo. Tra la membrana plasmatica dell osteocita e la matrice mineralizzata, elettrondensa, si interpone un sottile strato di tessuto osteoide. Gli osteoclasti (Figura 1.6) sono le cellule preposte al riassorbimento osseo. Gli osteoclasti maturi sono cellule giganti ( µm), plurinucleate in quanto originate dalla fusione dei singoli precursori mononucleati: in un singolo osteoclasto possono infatti essere presenti fino a 50 nuclei, con cromatina lassa e nucleolo ben evidente. Il citoplasma è acidofilo. Come già accennato, essi non sono cellule autoctone del tessuto osseo, in quanto non appartengono alla linea che deriva dalle cellule osteoprogenitrici. I precursori degli osteoclasti, detti preosteoclasti, originano nel midollo osseo ematopoietico e sono apparentati con la linea differenziativa di una categoria di globuli bianchi, i monociti. I preosteoclasti vengono trasportati dal torrente circolatorio fino alle sedi in cui debbono avvenire processi di riassorbimento osseo; qui giunti, essi migrano nel tessuto osseo e si fondono insieme originando gli osteoclasti attivi, elementi sinciziali capaci di dissolvere la componente minerale e di digerire enzimaticamente le componenti organiche del tessuto osseo. Gli osteoclasti si trovano dove l osso viene attivamente eroso, e giacciono in intimo contatto con la superficie ossea, dentro nicchie denominate cavità di riassorbimento o lacune di Howship. 14

15 Contengono molti mitocondri e vacuoli che, per la maggior parte, sono lisosomi positivi alla fosfatasi acida. La superficie della cellula, dove l osso viene riassorbito, è molto ripiegata in modo da formare una sorta di orletto a spazzola. Qui, nel fondo delle fessure comprese fra le irregolari propaggini cellulari (lobopodi), si stipano molti lisosomi e la membrana plasmatica presenta internamente un addensamento striato simile a quello che si osserva nelle vescicole rivestite di altre cellule impegnate nel processo di endocitosi. Funzionalmente gli osteoclasti sono deputati al riassorbimento dell osso, benché non si sappia esattamente come agiscano. Evidentemente lo demineralizzano, ma è stato anche strutturalmente dimostrato che distruggono la matrice organica. Secondo Chambers et al. (1984) [9] gli osteoclasti possono aggredire l osso solo dopo che il suo rivestimento organico è stato asportato dagli osteoblasti o dai macrofagi in modo da denudare la superficie minerale. Esistono, tuttavia, prove molto convincenti che gli osteoclasti riuscirebbero anche a fagocitare rapidamente il collagene e altri componenti organici della matrice, ma questo è un problema ancora aperto. È necessario, infine, sottolineare che la funzione osteoclastica è finemente regolata da fattori ormonali e locali. In particolare, gli osteoclasti sono le uniche cellule dell osso che possiedono i recettori per l ormone calcitonina, prodotto dalle cellule parafollicolari (o cellule C) della tiroide, con azione antagonista al paratormone. La calcitonina è un inibitore del riassorbimento dell osso, essendo capace di indurre il distacco degli osteoclasti dall osso, la scomparsa dell orletto increspato e la riduzione del metabolismo cellulare. Il recettore per la calcitonina è già espresso dai precursori circolanti degli osteoclasti, e la sua evidenziazione può essere un valido metodo per la identificazione di queste cellule. Per contro, gli osteoclasti non esprimono il recettore per il paratormone, che non ha alcun effetto diretto su di essi. L azione osteolitica del paratormone sembra esplicarsi per il tramite degli osteoblasti: questi, sotto stimolo dell ormone, libererebbero fattori solubili detti OAF (osteoclast activating factors), che agirebbero sugli osteoclasti attivandoli e promuovendo così il riassorbimento osseo. Figura 1.6. Micrografia elettronica a scansione di un osteoclasto all interno di una lacuna di Howship i cui margini sono indicati dalle frecce [10]. 15

16 Matrice ossea La matrice ossea è il materiale extracellulare dell osso; consta di una sostanza fondamentale fortemente mineralizzata, nella quale sono incluse molte fibre collagene in genere a disposizione parallela. Nell osso maturo la matrice è poco idratata, costituendo l acqua solo il 10-20% della sua massa. I sali minerali inorganici (cristalli di idrossiapatite e calcio fosfato amorfo) costituiscono il 60-70% e il collagene il 30-40% del suo peso secco; il resto (circa il 5%) è dato da proteine e carboidrati. L abbondante contenuto in collagene è il principale responsabile della marcata acidofilia della sostanza intercellulare dell osso, quale si può mettere in evidenza nei preparati demineralizzati allestiti per la microscopia ottica. Quando esaminate al microscopio elettronico nei preparati demineralizzati, le microfibrille collagene presentano la tipica striatura trasversale con periodo di 70 nm. Esse si aggregano a formare fibre collagene di spessore rilevante (5-10 μm) soltanto nel cosiddetto tessuto osseo fibroso, mentre nell altra varietà di tessuto osseo, cosiddetto lamellare, le microfibrille collagene (spesse circa 60 nm) non tendono a riunirsi in fibrille, ma formano un feltro omogeneo. Dallo strato di tessuto connettivo che avvolge esternamente l osso, detto periostio, si dipartono spessi fasci di fibre collagene che penetrano all interno del tessuto osseo corticale e si perdono nella sostanza intercellulare dell osso: questi fasci costituiscono le fibre perforanti di Sharpey, che ancorano il periostio alla superficie dell osso. Le fibre elastiche sono virtualmente assenti nel tessuto osseo, ad eccezione di una piccola quota di queste nelle fibre perforanti di Sharpey. Le fibre reticolari sono localizzate a livello della membrana basale che circonda i vasi sanguigni intraossei, ma non sono presenti nella sostanza intercellulare vera e propria dell osso. La sostanza fondamentale anista ha una composizione peculiare e in buona misura diversa da quella degli altri tessuti connettivi. Di essa fanno parte varie classi di macromolecole (Tabella 1.1). 16

17 Tabella 1.1. Molecole della sostanza fondamentale dell osso Proteoglicani PG I biglicano PG II - decorina Orientamento fibre collagene/cristalli Glicoproteine Osteonectina Fosfatasi alcalina Induzione mineralizzaione; adesione cellulare Fibronectina Sialoproteine (BMP) BSP-I Osteopontina Adesione cellule-matrice BSP-II BAG-75 Proteine contenenti l acido GLA dell osso-osteocalcina Inibizione mineralizzazione γ- carbossi-glutammico (GLA) GLA della matrice Fattori di crescita TGF-β IGF PDGF FGF EGF Proliferazione e/o differenziamento La componente minerale è rappresentata da cristalli di sali di calcio, prevalentemente fosfato di calcio a cui si aggiungono quantità minori di carbonato di calcio e tracce di altri sali (fluoruro di calcio, fosfato di magnesio). Il fosfato di calcio è presente sotto forma di cristalli di apatite, la cui cella elementare ha la forma di un prisma esagonale appiattito e formula chimica Ca 10 (PO 4 ) ++ 6 ; le due cariche positive sono di norma neutralizzate dal legame con due ioni ossidrile (OH - ), formando così l idrossiapatite, ma si possono ritrovare anche altri anioni (ione carbonato nella carbonatoapatite; ione fluoruro nella fluoroapatite). Il cristallo si origina dall impilamento delle singole celle elementari ed ha la forma di un ago lungo e sottile, spesso circa 2 nm e lungo nm. I cristalli di apatite sono ben riconoscibili nei preparati di tessuto osseo allestiti per la microscopia elettronica in quanto fortemente elettrondensi; essi tendono a disporsi parallelamente tra sé e alle microfibrille collagene, di cui ricoprono la superficie e permeano le porosità (Figura 1.7). Osservazioni condotte durante il processo di mineralizzazione dell osso hanno consentito di precisare che il fosfato di calcio precipita inizialmente sotto forma di minutissimi aggregati amorfi. Questi nuclei iniziali di concrezione minerale vengono rapidamente rimpiazzati da sottilissimi cristalli aghiformi disposti parallelamente a molecole filamentose della sostanza fondamentale detti filamenti assili (o crystal ghosts), verosimilmente costituiti da decorina, in rapporto col periodo delle microfibrille collagene. Tali cristalli crescono assumendo l aspetto tipico dei cristalli di apatite, occupando progressivamente gran parte dello spazio interposto tra le microfibrille collagene e permeando le microfibrille stesse. Una volta formatisi i cristalli di apatite, la deposizione di nuovo 17

18 minerale può avvenire sia per formazione di nuovi cristalli che per apposizione sui cristalli preesistenti. Tale fenomeno è finemente regolato dalle cellule ossee tramite la produzione di specifiche molecole della matrice ossea. Le proporzioni di questi vari componenti variano con l età, la sede e le condizioni metaboliche. La matrice ossea non ancora mineralizzata è chiamata osteoide. Nelle ossa dell adulto, la quantità di osteoide è molto scarsa, dato che nei siti in cui avviene il rimodellamento osseo la mineralizzazione segue rapidamente la deposizione della matrice organica. Negli stati morbosi in cui la mineralizzazione è difettosa, soprattutto nel rachitismo, la quantità di osteoide può aumentare considerevolmente. Figura 1.7 Micrografia elettronica della matrice ossea: si nota la presenza di microfibrille collagene, dalla tipica striatura trasversale, e di agglomerati di cristalli aghiformi di apatite, fortemente elettrodensi Organizzazione architetturale del tessuto osseo In base alle dimensioni ed alla disposizione delle fibre collagene, si distinguono due varietà di tessuto osseo, il fibroso e il lamellare. Il tessuto osseo fibroso (Figura 1.8) è caratterizzato dalla presenza di fibre collagene di dimensioni rilevanti (5-10 μm di calibro), ben visibili nei preparati demineralizzati allestiti per la microscopia ottica. Il decorso di queste fibre non segue un orientamento definito, per cui esse appaiono intrecciarsi in tutte le direzioni dello spazio, così come avviene nei tessuti connettivi densi a fasci di fibre intrecciati (derma profondo, aponeurosi, sclera, etc.). Gli osteociti occupano lacune scavate negli interstizi tra le fibre collagene senza un ordine preciso. Frequentemente accade che l osso fibroso venga depositato sotto forma di lamine mal definite, con fibre collagene orientate variamente, attorno ad un canale centrale occupato da un vaso sanguigno, detto canale di Havers. Queste formazioni sono denominate osteoni primitivi: essi non vanno confusi con gli osteoni propriamente detti che caratterizzano la varietà omonima di tessuto osseo lamellare. Il tessuto osseo fibroso è il primo ad essere deposto, sia durante lo sviluppo fisiologico che nella riparazione di fratture, dopo di ché esso viene rapidamente riassorbito e rimpiazzato con tessuto osseo di tipo 18

19 lamellare. Ne rimane soltanto a livello delle inserzioni dei tendini e dei legamenti. Anche il cemento dentario, che riveste la dentina della radice dei denti, è da molti considerato una varietà sui generis di tessuto osseo fibroso. Figura 1.8. Tessuto osseo fibroso, in cui si nota la presenza di grossi fasci di fibre collagene a decorso intrecciato e osteociti contenuti in lacune ossee disposte irregolarmente [6]. Il tessuto osseo lamellare è la varietà più diffusa, costituendo la quasi totalità dell osso compatto e buona parte dell osso spugnoso. Nell adulto quasi tutto il tessuto osseo è presente in forma lamellare (Figura 1.9). Figura 1.9. Rappresentazione delle diverse componenti del tessuto osseo [6]. 19

20 Esso è caratterizzato dalla ordinata disposizione delle fibre collagene e degli osteociti, che si dispongono in strati sovrapposti, detti lamelle ossee. A seconda della disposizione delle lamelle, si distinguono: - il tessuto osseo lamellare semplice (Figura 1.10), caratterizzato da un numero limitato di lamelle con andamento parallelo tra sé. Esso forma le trabecole e le lamine ossee più sottili, come la lamina papiracea dell etmoide e le estremità dei turbinati. Forma anche i sistemi limitanti, o circonferenziali, interno ed esterno della diafisi delle ossa lunghe, in cui le lamelle sono parallele alle superfici diafisarie interna ed esterna. Figura 1.10 Tessuto osseo lamellare semplice, caratterizzato da lamelle ossee sovrapposte a decorso parallelo [6]. - il tessuto osseo lamellare osteonico (Figura 1.11), caratterizzato da un numero variabile di lamelle (8-20) disposte concentricamente attorno ad un canale centrale che accoglie un vaso sanguigno, detto canale di Havers. Il gruppo di lamelle centrato attorno al canale di Havers costituisce l osteone, l unità fondamentale del tessuto lamellare osteonico, autonomo dal punto di vista trofico e funzionale dagli altri osteoni circostanti. Figura 1.11 Tessuto osseo lamellare osteonico: le lamelle ossee sono disposte concentricamente ad un canale vascolare centrale (canale di Havers) a formare gli osteoni. Tra osteoni contigui sono evidenti le lamelle della breccia ossea [6]. 20

21 1.1.5 Modificazioni morfo-funzionali del tessuto osseo Il tessuto osseo è metabolicamente molto attivo. In esso coesistono continui processi di riassorbimento e di deposizione ossea, in un equilibrio armonico mirato ad adeguarne la struttura alle diverse e variabili sollecitazioni meccaniche a cui l osso è sottoposto. Inoltre, ciò contribuisce alla regolazione dell omeostasi del calcio, essendo il tessuto osseo la principale riserva di calcio dell organismo, in equilibrio continuo con il calcio ionizzato libero nel plasma. Le modificazioni morfo-funzionali del tessuto osseo vengono indicate con il termine di rimaneggiamento osseo, inteso come il risultato di fenomeni di riassorbimento e deposizione di osso rivelabili microscopicamente e che non comportano cambiamenti macroscopici della forma del segmento osseo coinvolto. Il rimaneggiamento osseo inizia con il reclutamento di preosteoclasti, che vengono richiamati dal torrente circolatorio e vengono indotti a differenziarsi in osteoclasti nelle sedi dove deve avvenire il riassorbimento di osso. Gli osteoclasti attivati disgregano la matrice ossea, aprendovi lunghe gallerie cilindriche dette cavità di riassorbimento. Questi eventi richiedono la presenza e la partecipazione attiva degli osteoblasti e delle cellule endoteliali ossee. A loro volta, nuovi osteoblasti si differenziano dalle cellule osteoprogenitrici o dalle cellule di rivestimento quiescenti, aderiscono alle pareti delle cavità di riassorbimento e depongono strati successivi di osso, che formeranno le lamelle concentriche di un nuovo osteone. I residui delle precedenti generazioni di osteoni non completamente riassorbiti costituiscono la breccia ossea. Nell uomo, già a partire dal primo anno di vita, viene depositato soltanto osso lamellare (detto osso secondario), che rimpiazza rapidamente i residui di osso fibroso depositato durante la vita intrauterina (detto osso primitivo o primario). La formazione di nuovo osso può essere messa in evidenza morfologicamente mediante la somministrazione in vivo di sostanze come il rosso di alizarina o le tetracicline, le quali si depositano nell osso neoformato colorandolo. Somministrando queste sostanze in due momenti differenti e misurando lo spessore compreso tra le due bande ossee marcate, si è potuto calcolare che la velocità media di formazione è di circa 1 μm al giorno. Nel suo complesso, la genesi di un nuovo osteone richiede circa 4-5 settimane. E stato calcolato che, nell uomo, il turn-over totale del tessuto osseo che forma lo scheletro avviene in media ogni 10 anni, con tempi più brevi nel giovane e tempi più lunghi nell anziano. Esaminando una sezione trasversale di osso lamellare è dunque possibile distinguere: - osteoni maturi, in cui l attività di deposizione è giunta al termine; - osteoni nuovi in via di formazione, caratterizzati da un canale di Havers ampio e dalla presenza di osteoblasti disposti in fila lungo la superficie ossea che si affaccia sul canale; - cavità di riassorbimento, caratterizzate dalla presenza di osteoclasti adesi alle pareti ossee. 21

22 1.1.6 Istogenesi dell osso L osso si sviluppa sempre per sostituzione di un preesistente tessuto, sia esso il mesenchima oppure un tessuto connettivo differenziato. I processi che portano alla genesi di tessuto osseo nel contesto di un altro tessuto prendono il nome, nel loro insieme, di ossificazione od osteogenesi. Questi processi sono massimi durante la vita prenatale e rimangono sostenuti per tutto il periodo dello sviluppo somatico. Si distinguono tre tipi fondamentali di ossificazione: 1) Ossificazione diretta, o membranosa; 2) Ossificazione mantellare; 3) Ossificazione indiretta, o condrale. L ossificazione diretta, o membranosa, è tipica delle ossa piatte della volta cranica e di ossa del massiccio facciale, quali certe porzioni delle ossa mascellari e zigomatiche (Figura 1.12). Figura 1.12 Ossificazione diretta o membranosa: si nota una trabecola di osso neoformato a cui sono apposti numerosi osteoblasti riuniti in filiere [6]. Essa inizia da centri di ossificazione che si sviluppano nel mesenchima, in fasi precoci della vita fetale, oppure in membrane di tessuto connettivo fibroso denso evolute dal mesenchima, in fasi più tardive della vita intrauterina e nella vita postnatale. L ossificazione diretta procede per fasi: 1. Il primo evento morfologicamente riconoscibile è il differenziamento di una ricca trama vascolare; 2. Accanto ai vasi sanguigni si ha il differenziamento di cellule mesenchimali in cellule osteoprogenitrici, le quali a loro volta si trasformano in osteoblasti: tale fenomeno è mediato dall azione autocrina/paracrina delle BMP; 22

23 3. Gli osteoblasti si dispongono in filiere simil-epiteliali, unendosi mediante giunzioni serrate, ed iniziano la deposizione della matrice organica dell osso, o tessuto osteoide; 4. Il tessuto osteoide va incontro a mineralizzazione, trasformandosi in osso fibroso; 5. Via via che la deposizione di osso prosegue, i primi osteoblasti restano racchiusi in lacune ossee trasformandosi in osteociti, mentre nuovi osteoblasti si differenziano apponendosi alla superficie dell osso neoformato, che si accresce progressivamente in spessore; 6. Arrivano i preosteoclasti e si differenziano in osteoclasti, che avviano la dissoluzione dell osso fibroso, che verrà successivamente rimpiazzato con osso lamellare da nuovi contingenti di osteoblasti. I residui delle membrane connettivali in cui si sono sviluppati i centri di ossificazione permangono tra le ossa piatte della volta cranica durante la vita infantile, costituendo le fontanelle e le suture. Esse hanno la funzione di consentire l incremento del volume della scatola cranica per tutto il periodo dell accrescimento. L ossificazione mantellare avviene a livello del corpo della mandibola (Figura 1.13). Figura Ossificazione mantellare del corpo della mandibola: si apprezza la presenza di trabecole ossee neoformate, osteoblasti e vasi sanguigni attorno alla cartilagine del Meckel, ovale in sezione trasversale [6]. Essa può essere considerata una variante di ossificazione diretta, in quanto avviene nel contesto di un mesenchima e poi di un tessuto connettivo, seguendo le stesse tappe già descritte per l ossificazione diretta. La peculiarità di questa modalità di ossificazione è che l osso in formazione si modella attorno ad un abbozzo cartilagineo conformato a ferro di cavallo, detto cartilagine del Meckel, che deriva dal mesenchima del primo arco branchiale. Si ritiene che la cartilagine del Meckel svolga un azione di induzione sulla differenziazione in senso osseo del mesenchima circostante. Tuttavia, a differenza di quanto avviene per gli abbozzi scheletrici cartilaginei nell ossificazione indiretta, essa non ossifica, ma viene invece circondata completamente dal tessuto osseo ed infine involve; il vuoto che rimane viene colmato da tessuto osseo. Solo nella regione del mento un piccolo tratto della cartilagine del Meckel viene inglobato nella mandibola ed ossifica con meccanismo condrale. 23

24 L ossificazione indiretta, o condrale, è la variante più diffusa, interessando tutte le restanti ossa dello scheletro assile e degli arti nonché la base del cranio (Figura 1.14). Tipicamente, l osso è preceduto da un abbozzo cartilagineo che richiama la forma del futuro segmento osseo e che viene successivamente riassorbito e rimpiazzato da tessuto osseo. Le ossa che si formano con tale modalità sono anche dette ossa di sostituzione. L osso si forma sia alla superficie dell abbozzo cartilagineo, apponendosi all esterno tra cartilagine e pericondrio (ossificazione pericondrale) sia all interno di questo (ossificazione endocondrale). Figura 1.14 Ossificazione indiretta o condrale: centro di ossificazione endocondrale in cui si notano trabecole formate da una porzione centrale di matrice cartilaginea calcificata, basofila, rivestita da osso fibroso neoformato, acidofilo [6] Rimaneggiamento osseo L osso, nel corso della vita, va incontro ad importanti modificazioni legate all accrescimento corporeo che possono essere schematizzate in tre fasi distinte. Dal concepimento sino alla fine del periodo di accrescimento (saldatura delle epifisi) si ha un progressivo aumento del volume osseo sia trabecolare che corticale; successivamente si osserva un ispessimento a carico dell osso corticale (fase di consolidamento). Verso i anni viene raggiunto il valore più elevato di massa ossea determinato per il 90-95% dall accrescimento e per il 5-10% dal consolidamento (picco di massa ossea). Il picco di massa ossea dell adulto è nel maschio superiore del % circa rispetto alla femmina. Tutti i meccanismi che aumentano le dimensioni delle ossa e ne adattano la forma ai carichi meccanici vengono definiti modellamento. L osso deve essere, tuttavia, anche in grado di resistere sempre in maniera adeguata alle sollecitazioni meccaniche alle quali viene sottoposto: a questo scopo il tessuto osseo neoformato risulta più efficace rispetto al tessuto più vecchio. Il rimodellamento osseo è, pertanto, un costante processo di riassorbimento e di rinnovo tessutale, il cui scopo è principalmente la salvaguardia dell efficienza meccanica dello scheletro e la prevenzione dei danni da affaticamento. 24

25 Questo fenomeno interessa quei mattoni costitutivi dell osso che sono le unità strutturali definite BMUs (Basic Multicellular Units) descritte nel 1969 da Frost [11]. Le BMUs sono costituite dalle cellule del tessuto osseo (osteoclasti, osteoblasti ed osteociti) e dalla sostanza fondamentale circostante, tenute insieme da tessuto connettivo altamente mineralizzato, ma quasi privo di collagene. Queste unità funzionali corrispondono anatomicamente agli osteoni. Il rimodellamento osseo (Figura 1.15) si verifica in focolai distinti attivi da 4 a 8 mesi. Esso viene separato in cinque fasi: 1. Quiescenza: durante questa fase il tessuto è a riposo dal punto di vista funzionale: è il periodo tra un ciclo e l altro di rimaneggiamento. 2. Attivazione: comincia a verificarsi ad opera di vari fattori il reclutamento degli osteoclasti. Le cellule della zona di confine hanno l importante ruolo di ritirarsi per permettere l accesso degli osteoclasti alla matrice ossea. Nell inizio del ciclo di rimodellamento hanno probabilmente importanza le microfratture. 3. Riassorbimento: gli osteoclasti cominciano a scavare una cavità ossea (lacuna di Howship): durante tale fase rivolgono l orletto striato verso la zona riassorbita. Queste cellule presentano una pompa protonica che, riducendo il ph extracellulare, rende possibile l azione degli enzimi litici lisosomiali che funzionano in ambiente acido. 4. Inversione: nelle parti più profonde della lacuna gli osteoclasti multinucleati vengono rimpiazzati da elementi mononucleati e, successivamente, compaiono pre-osteoblasti che si trasformeranno nelle cellule mature ad attività secretiva. 5. Formazione: gli osteoblasti secernono nella cavità uno strato di matrice ossea (tessuto osteoide) che andrà incontro progressivamente a mineralizzazione. Dopo qualche tempo dall inizio della produzione di osteoide si verifica la deposizione di sali minerali che continua anche dopo la fine della formazione della matrice. Gli osteoblasti diventano a questo punto più piatti e larghi, riducono la basofilia e le dimensioni del loro citoplasma sino alla trasformazione in cellule quiescenti (osteociti) prive di capacità secernente. Nel suo complesso, la genesi di un nuovo osteone richiede circa 4-5 settimane. 25

26 Figura 1.15 Il ciclo di rimodellamento osseo avviene attraverso una ben precisa ed ordinata sequenza di eventi che determinano il rinnovamento totale di una piccola porzione di osso. Si calcola che, in condizioni normali il 90% circa dello scheletro sia in fase di quiescenza, mentre solo il 10% sia in fase attiva. In un anno, il 10-15% dello scheletro si rinnova completamente. Il rimodellamento inizia con la fase di attivazione che, attraverso vari processi di maturazione e differenziazione cellulare porta alla formazione di osteoclasti che riassorbono osso. Dopo la fase di riassorbimento, che dura circa 2 settimane, segue una fase di inversione e quindi la fase di formazione con la comparsa di osteoblasti che formano la matrice ossea, che, successivamente sarà mineralizzata. Al termine del rimodellamento una parte di osso sarà completamente rinnovata senza tuttavia che venga persa la morfologia della struttura ossea [12] E stato calcolato che, nell uomo, il turn-over totale del tessuto osseo che forma lo scheletro avviene in media ogni 10 anni, con tempi più brevi nel giovane e tempi più lunghi nell anziano. Nell individuo giovane, in cui i processi di rimodellamento e di rimaneggiamento sono molto vivaci, vi sono numerosi osteoni nuovi che coesistono con quelli maturi e svariate cavità di riassorbimento. Nell adulto prevalgono gli osteoni maturi e l osso appare assai compatto per la scarsezza di cavità di riassorbimento. Nell anziano invece, in cui l equilibrio tra deposizione e riassorbimento di osso è spostato a favore di quest ultimo, sono assai scarsi gli osteoni nuovi, mentre abbondano le cavità di riassorbimento, molte delle quali non saranno riempite da nuovi osteoni. Pertanto, col progredire dell età, si assiste ad una perdita progressiva di tessuto osseo, con riduzione della massa ossea totale, condizione conosciuta in medicina come osteoporosi, che comporta una maggiore fragilità delle ossa, le quali divengono suscettibili alle fratture, spontanee o per traumi di modesta entità. 26

27 Capitolo 2 L OSTEOPOROSI E MODELLO TRANSGENICO 27

28 2.1 Osteoporosi Generalità L osteoporosi è oggi considerata una delle principali patologie croniche, sia per la sua elevata frequenza nella popolazione anziana, sia per le devastanti conseguenze mediche e sociali associate alle fratture osteoporotiche. Negli ultimi anni sono stati compiuti importanti progressi nella comprensione delle cause, nella diagnosi e nel trattamento di questa patologia. Tuttavia, non sempre queste nuove acquisizioni sono state divulgate in maniera chiara e precisa. La complessità dei meccanismi patogenetici ed il quadro clinico, spesso quasi silente fino al momento della frattura, impongono al medico una capacità di giudizio e, spesso, una sensibilità verso l approccio di prevenzione della complicanza che nel nostro paese non è, a tutt oggi, ancora diffusa. Secondo l Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l osteoporosi è definita come una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da massa ossea ridotta e deterioramento microarchitettonico del tessuto osseo, che causa una maggiore fragilità ossea e un conseguente aumento del rischio di frattura [13]. In questa condizione l osso diminuisce di consistenza in quanto si verifica una riduzione di massa ossea, diventando quindi poroso e fragile, con conseguente alterazione della architettura microscopica del tessuto osseo. L osteoporosi può essere paragonata a un ladro che furtivamente ruba tessuto osseo: all inizio si verificano microscopiche fratture delle trabecole dell osso spugnoso, in genere asintomatiche; in uno stadio più avanzato, con il passare del tempo, a carico dello stesso tipo di tessuto osseo c è il rischio di riportare fratture macroscopiche e sintomatiche in sedi quali il femore, l anca, il polso e le vertebre. Figura 2.1 Confronto tra tessuto osseo trabecolare in un individuo sano e in un individuo affetto da osteoporosi, rispettivamente [14]. 28

29 2.1.2 Classificazione Da un punto di vista eziopatogenetico, l osteoporosi può essere classificata in: 1. Primitiva, cioè non determinata da altre patologie; 2. Secondaria, nel caso in cui altre malattie o farmaci siano chiamati in causa nel determinare l aumento della fragilità ossea. Nel primo caso l età e il sesso appaiono le cause più frequenti (osteoporosi senile ed osteoporosi post-menopausale); nel secondo, invece, alcuni farmaci (come cortisonici, ormoni tiroidei, eparina) o malattie sistemiche (per esempio malattie reumatiche infiammatorie, neoplasie, malattie della tiroide, diabete) possono essere chiamati direttamente in causa per la diminuzione della massa ossea e per l alterazione della sua struttura architetturale. Un altra importante classificazione di questa patologia è basata sulle continue alterazioni cui il tessuto osseo va incontro durante la vita di ogni individuo. Come è già stato detto in precedenza, l osso è continuamente sottoposto a cicli di riassorbimento e neoformazione chiamati cicli di rimodellamento osseo ed è attuato da due tipi cellulari: gli osteoclasti, responsabili della fase di riassorbimento e gli osteoblasti, responsabili della fase di neoformazione ossea. Queste cellule svolgono la loro funzione nell ambito di unità funzionali chiamate BRU (Bone Remodelling Unit). Nel giovane adulto il ciclo di rimodellamento è caratterizzato da un equivalenza tra osso riassorbito e quello neoformato, con un risultato netto di cambiamento nullo nell ambito della massa ossea. Quando viene a configurarsi un deficit di estrogeni (come nella menopausa), si verifica un attivazione di un maggior numero di BRU e la quantità di osso riassorbito prevale su quello neoformato, con perdita netta di tessuto osseo. Si possono, pertanto, configurare due diverse categorie di osteoporosi: ad alto turnover (circa il 33% dei pazienti) caratterizzata da aumentato riassorbimento osseo e normale-alta formazione, e a basso turnover (approssimativamente circa il 67% dei pazienti), caratterizzato da basso-normale riassorbimento e da bassa formazione dell osso. Quando, nell ambito del processo di rimodellamento osseo, si ha uno sbilanciamento a favore del riassorbimento, si ha come risultato una progressiva diminuzione del volume osseo (Bone Volume, BV) e/o della densità di mineralizzazione ossea (Bone Mineral Density, BMD), che è il parametro principale di misurazione della massa ossea, espresso in g/cm 3. L altra misura della massa ossea è il contenuto minerale osseo (Bone Mineral Content, BMC) espresso in grammi, che fornisce informazioni globali laddove si presentino in concomitanza una riduzione del BV e della BMD. 29

30 2.1.3 Fattori di rischio I fattori che possono determinare lo sviluppo dell osteoporosi sono molteplici ed esplicano la loro influenza con importanza di volta in volta differente: essi devono essere tutti considerati con attenzione nel management del paziente che manifesta questa patologia. Analizzando la definizione che è stata data dell osteoporosi, emergono quelli che sono i due fattori fondamentali che determinano la riduzione della resistenza dell osso osteoporotico: la riduzione della quantità di osso mineralizzato e la modificazione della struttura architetturale dei due tipi di osso presenti nel nostro organismo, il tessuto osseo spugnoso e il tessuto osseo compatto. Molte patologie possono causare condizioni di perdita di massa ossea e/o di alterazione della struttura ossea. Tuttavia, anche in assenza di patologie che possono determinare osteoporosi, vi sono altri fattori di rischio, alcuni modificabili ed altri non modificabili (Tabella 2.1) che, già da soli, sono capaci di influenzare negativamente la quantità e la qualità della massa ossea. Infatti, il sesso, la razza, i caratteri costituzionali di un individuo, le variazioni di complessi sistemi endocrini in relazione a fenomeni fisiologici, come la menopausa e l'invecchiamento, interagendo con cause ambientali, quali abitudini dietetiche, attività fisica, fumo, alcool, sono correlati allo sviluppo di questa patologia. Tabella 2.1 Fattori di rischio Il sesso femminile è più colpito dall osteoporosi, con rapporto di 6:1 nei confronti del sesso maschile; il motivo di questa maggiore incidenza nel sesso femminile è legato principalmente al fatto che, al momento della menopausa, si osserva un calo nel livello di estrogeni, i quali sono ormoni che nella donna concorrono a regolare il metabolismo dell osso attraverso il controllo dell attività delle cellule del tessuto osseo deputate al riassorbimento (osteoclasti) e alla mineralizzazione (osteoblasti). Una donna bianca d età di 50 anni ha una probabilità del 50% di avere una frattura da osteoporosi nel corso della sua vita. Nella donna la massa ossea, normalmente, aumenta dalla nascita fino 30

31 all età di anni, rimane relativamente stabile fino alla menopausa, riducendosi rapidamente nei 5-10 anni successivi. Poi la riduzione avviene ad un ritmo più lento attraverso i rimanenti anni della vita. L uomo differisce da quello che succede nella donna, in quanto, esso raggiunge un picco di massa ossea superiore a quello raggiunto dalla donna e, normalmente, non ha un periodo di rapida perdita [15]. Non vanno escluse, tuttavia, al fine di una corretta diagnosi, le altre possibili cause, cosiddette secondarie e che costituiscono rispettivamente, per la donna e per l uomo, una percentuale considerevole, circa il 30% ed il 40%, di tutte le forme di osteoporosi [16]. Infine, anche se a livello statistico il numero di casi è ovviamente trascurabile, non possono essere tralasciati i fenomeni osteoporotici dovuti a condizioni di microgravità. Questi casi sono riconducibili alle condizioni di assenza di carico essenzialmente dovuto alla permanenza in assenza di gravità per un tempo prolungato [17]. In tale direzione l Agenzia Spaziale Italiana ha finanziato il progetto di ricerca all interno del quale si inserisce il presente lavoro sperimentale La perdita di massa ossea La perdita ossea dell età adulta riconosce una patogenesi multifattoriale che, in ogni caso, porta ad uno squilibrio fra i due processi di rimodellamento osseo, con una prevalenza relativa del riassorbimento rispetto alla neoformazione. Le cause principali sono la perdita degli ormoni sessuali, il disuso e la deficienza di calcio e di vitamina D. La perdita ossea legata alla perdita degli ormoni sessuali è di tipo esponenziale (Figura 2.2). Nel primo anno dopo la menopausa la riduzione della densità ossea lombare raggiunge in media l 8%, si dimezza negli anni successivi e raggiunge un plateau dopo 5 anni circa. La rapidità della perdita ossea post-menopausale è tale da determinare perforazione delle trabecole ossee, con una perdita irreversibile di tessuto scheletrico. Figura 2.2 Andamento della densità ossea in relazione all età negli uomini e nelle donne [14]. 31

32 Ruolo degli estrogeni La carenza estrogenica è certamente importante nel determinare la rapida perdita ossea postmenopausale, tuttavia non è ancora chiaro se tale azione sia, almeno in parte, mediata dalla vitamina D. Gli estrogeni hanno recettori sia nelle cellule intestinali sia nelle cellule ossee, così una loro azione diretta ed indipendente sui due tessuti è ipotizzabile. Sembra che il deficit estrogenico riconosca 2 principali meccanismi d azione: 1. Il primo, precoce, dovuto alla presenza di recettori estrogenici sulle cellule ossee, si manifesta con una perdita rapida di massa ossea, accompagnata da una riduzione secondaria della secrezione di ormone paratiroideo (PTH) e di 1,25-diidrossivitamina d (1,25-(OH) 2 -D); 2. Il secondo, più tardivo, si manifesta con un azione negativa sull assorbimento intestinale di calcio e con un aumento delle sue perdite renali, con iperparatiroidismo secondario ed aumentato riassorbimento osseo. L enorme aumento dell attività metabolica dello scheletro, che consegue al deficit degli ormoni sessuali, è dovuto all attivazione di nuove e numerose Unità BRU. Tale attivazione è dovuta, almeno in parte, alla perdita dell effetto inibitorio degli estrogeni sulla produzione di citochine, quali IL-1, IL-6 e TNF, che comporta un aumentato reclutamento e attivazione di nuovi osteoclasti. D altro canto, la carenza estrogenica influenza anche la linea osteoblastica, in quanto viene a mancare il controllo inibitorio degli estrogeni sulla proliferazione dei precursori osteoblastici. La carenza ormonale determinerebbe la formazione di lacune di Howship più profonde, non completamente riparate dall attività osteoblastica, più breve della norma a causa della precoce apoptosi di queste cellule. Gli estrogeni influenzano anche l apoptosi degli osteociti e la loro carenza determina un accorciamento della vita media di queste cellule Ruolo della vitamina D E ormai ampiamente accertato che l assorbimento intestinale di calcio diminuisce con l età, specie nelle donne. Tale riduzione è maggiore nelle donne con osteoporosi post-menopausale ed è particolarmente evidente negli individui anziani con basso introito alimentare di calcio, suggerendo che, con l avanzare dell età, l adattamento dell intestino ai bassi introiti alimentari di calcio è deficitario. Bassi dosaggi di calcitriolo (0.5 g/die) sono in grado di correggere il deficit assorbitivi. Tali dosaggi sono circa la metà del fabbisogno fisiologico di calcitriolo, per cui è difficilmente spiegabile come dosi così basse possano normalizzare l assorbimento intestinale nelle persone anziane. Una possibile spiegazione è che l assunzione orale di calcitriolo mette immediatamente in contatto 32

33 l ormone con suoi recettori intestinali, molto più rapidamente e con concentrazioni maggiori di quanto avvenga con l ormone prodotto dal rene [18] [19]. La riduzione dell assorbimento intestinale di calcio potrebbe essere la conseguenza di un aumentato riassorbimento osseo o la sua causa. In altre parole, se l aumento del riassorbimento osseo rappresenta l evento primitivo, il mantenimento dei livelli costanti di calcemia entro un determinato range implica una riduzione dell assorbimento intestinale (altrimenti la calcemia aumenterebbe troppo): al contrario, se la riduzione dell assorbimento intestinale rappresenta l evento primitivo, per mantenere entro i range fisiologici la calcemia è necessario che ne venga prelevato di più dall osso, aumentando i processi di riassorbimento. Le due condizioni vengono identificate dal diverso comportamento del PTH. Quando il riassorbimento osseo aumentato rappresenta l evento primitivo (come accade nel periodo immediatamente post-menopausale) i livelli di PTH sono nella norma o moderatamente soppressi. Quando, invece, l evento primitivo è costituito da una riduzione dell assorbimento intestinale di calcio (come si verifica nelle persone anziane) il PTH è aumentato, nel tentativo di aumentare la produzione di calcitriolo e, quindi, di stimolare l assorbimento intestinale, e nel tentativo di mantenere a livelli adeguati la calcemia, stimolando il riassorbimento osseo. Nell anziano l attività 1-α idrossilasica renale è ridotta, in maniera più evidente nelle donne con frattura di femore. Inoltre, nell anziano, è ridotta anche la risposta cutanea all azione dei raggi solari, che fornisce un ulteriore contributo al deficit di vitamina D presente in questa popolazione [20]. Se le alterazioni della vitamina D possano essere responsabili della perdita ossea e delle fratture che si verificano in età avanzata è ancora oggetto di controversia Ruolo dei glucocorticoidi Il principale effetto dei glucocorticoidi sulle ossa è la riduzione della neoformazione ossea. Inoltre, aumenta anche il riassorbimento osseo, anche se in misura meno significativa. L effetto netto dell eccesso di glucocorticoidi è pertanto una cospicua riduzione della massa ossea [21]. I meccanismi attraverso i quali vengono esercitati questi effetti sono molteplici: 1. Riduzione della sintesi di 1,25-idrossivitamina D e inibizione della sua azione: questo comporta un insufficiente assorbimento di calcio dal tratto gastrointestinale; 2. Aumento dell escrezione urinaria di calcio: meno calcio, pertanto, sarà disponibile per la mineralizzazione dell osso; 3. Inibizione della differenziazione dei precursori mesenchimali in osteoblasti; 4. Inibizione della sintesi di collageno da parte degli osteoblasti. 33

34 Alterazione della microarchitettura scheletrica L alterazione della microarchitettura scheletrica che si osserva dopo la menopausa e nel corso dell invecchiamento è causata dall assottigliamento e dalle perforazione delle trabecole ossee (Figura 2.3), che porta ad una graduale perdita di connettività fra le trabecole stesse. Le trabecole orizzontali, non essendo direttamente sottoposte a carico, sono le prime ad assottigliarsi ed a scomparire, dando all osso porotico la tipica immagine radiologica a palizzata. La scomparsa delle trabecole orizzontali determina un aumento esponenziale della fragilità dell osso [22]. La perforazione trabecolare è particolarmente evidente dopo la menopausa, periodo in cui si osserva, accanto all aumento dell attività osteoclastica, anche un aumento del numero delle BRU, con possibilità di comparsa di due siti di rimodellamento sulle due facce opposte della stessa trabecola e, quindi, maggiore facilità di perforazione della stessa. La perforazione trabecolare determina una perdita ossea irreversibile: in altre parole, l osso riassorbito non può essere sostituito da osso nuovo, perché manca il supporto fisico per la formazione di nuovo osso. Gli osteoblasti, infatti, hanno il compito fisiologico di riempire le fossette scavate dagli osteoclasti, riempiendo la cavità di matrice ossea, che successivamente verrà calcificata. L assenza di una cavità, dovuta alla perforazione trabecolare, fa sì che gli osteoblasti manchino del supporto su cui depositare matrice, cosicché l osso non si forma, nonostante l attività osteoblastica sia aumentata. Figura 2.3 Immagini di tessuto trabecolare in individui affetti da osteoporosi [23]. 34

35 2.2 Osteoporosi e Gravità A frenare lo slancio dell'uomo oltre i confini dell'universo esplorato è un problema di non poco conto: la salute. Più precisamente, la perdita di massa ossea dovuta alla permanenza in condizioni di microgravità, rischia di mandare a monte i progetti di permanenza per lungo tempo tra le stelle, primo tra tutti quello della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), in orbita attorno alla Terra. La microgravità rappresenta il reale ostacolo allo sbarco dell'uomo sulla Luna o, come vuole la migliore letteratura di genere, su Marte. La permanenza troppo prolungata in orbita, infatti, può determinare una perdita di massa ossea fino al 5% al mese. Per spiegare questo fenomeno è necessario ricordare che sulla Terra la forza di gravità influenza anche il corpo umano, governando la capillarità dei vasi ematici, i flussi laminari, l'osmosi e molti altri processi, ma il suo impatto più evidente si ha sicuramente sull'apparato muscolo-scheletrico [24]. In particolare, il mantenimento di uno scheletro in grado di resistere agli stress della vita quotidiana, a cominciare dallo stare in piedi o dal muoversi sostenendo tutte le altre strutture corporee, dipende strettamente dallo stimolo che sullo stesso scheletro esercita la gravità. Se, quindi, viene ridotta o modificata in senso deficitario la forza gravitazionale, come avviene nei viaggi spaziali o in chi è costretto a letto per lungo tempo, si alterano i meccanismi di equilibrio tra fisiologico riassorbimento osseo e neoformazione ossea, con conseguente perdita di osso, che si accompagna a ipotrofia muscolare da mancata sollecitazione [25]. Nei viaggi spaziali gli astronauti vengono a trovarsi in condizioni di microgravità. Si è osservato che, già nelle prime due settimane, una grande quantità di calcio viene espulsa tramite le urine, la cosiddetta ipercalciuria. La spiegazione di questo fenomeno è semplice: è come se l'organismo percepisse il venir meno delle forze gravitazionali, e agisse di conseguenza alleggerendo un apparato scheletrico sovradimensionato rispetto alle nuove condizioni in cui il corpo viene a trovarsi [26]. Allo stesso modo i muscoli, non sottoposti all'abituale carico di lavoro, diminuiscono di volume e vanno incontro a ipotrofia. Questi effetti collaterali inevitabili, finora non avevano mai rappresentato un problema reale, vista la relativa brevità delle missioni spaziali. Tuttavia, le cose sono cambiate da quando sono cominciate le missioni sull'iss, che prevedono una permanenza a bordo di circa sei mesi: un arco temporale tale da mostrare iniziali alterazioni osteo-muscolari negli astronauti. All'interno dell'iss gli astronauti operano e vivono in condizioni di microgravità, ma allo stesso tempo svolgono una ridotta attività fisica che richiede solo un minimo lavoro muscolare. Il processo di decalcificazione ossea sarebbe dunque il risultato dell'azione di una ridottissima forza di gravità combinata con l'ipotrofia muscolare, le quali rappresentano un mix che favorisce l'osteoporosi dell'astronauta [27]. A causa di questa duplice stimolazione negativa si riduce l'attività degli osteoblasti, le cellule deputate a depositare la matrice ossea di nuova formazione, mentre aumenta l'azione degli osteoclasti, le cellule che riassorbono l'osso esistente affinché possa essere rinnovato. Lo squilibrio tra la neoformazione ossea e il riassorbimento osseo genera un 35

36 bilancio negativo che innesca l'osteoporosi. Questa è la stessa situazione che si verifica nelle donne dopo la menopausa. L'osteoporosi spaziale sembra però diversa da quella terrestre. Infatti, gli studi condotti sulle donne in menopausa hanno dimostrato che l'assunzione regolare di integratori di calcio e vitamina D3, che aumenta l'assorbimento intestinale di questo elemento, è in grado di prevenire la perdita di massa ossea all'incirca dell'1% all'anno. Al contrario, gli esperimenti condotti sugli astronauti della missione Mir97 indicano che anche l'assunzione di elevate dosi di calcio e vitamina D3 non era in grado di frenare l'osteoporosi. Neppure l'esercizio fisico o i farmaci sembrerebbero garantire gli stessi benefici ottenibili sulla Terra. In una sperimentazione condotta su volontari sani obbligati a rimanere a letto per diversi mesi, per simulare condizioni di inattività e mancata stimolazione sull'apparato muscolo-scheletrico simili a quelle degli astronauti, si è osservata una perdita di massa ossea del 15%, che non poteva essere arrestata nemmeno con programmi intensivi di esercizio fisico in posizione supina. In un successivo esperimento, 90 uomini sono stati obbligati a un riposo forzato a letto fino a 36 settimane consecutive. Come osservato negli astronauti, la quantità di calcio nelle urine è aumentata rapidamente, fino a raggiungere un picco di 100 milligrammi al giorno entro la sesta settimana. A partire dalla settima settimana si è osservato dapprima un livello di ipercalciuria costante, e successivamente una riduzione progressiva del calcio nelle urine. Tuttavia, la calciuria non è tornata mai ai valori osservati nei soggetti del campione prima dei test. L'esperimento ha dimostrato che il calcio viene espulso con le urine già a partire dalle prime due settimane e l'ipercalciuria persiste per tutte le 36 settimane, provocando una perdita del 5% di massa ossea ogni mese. In più qualsiasi tentativo di limitare tale perdita (con esercizio fisico, compressioni sullo scheletro o somministrazione di calcio, fosfati, calcitonia o farmaci bisfosfonati) si rivela fallimentare. La riduzione della forza di gravità sperimentata dagli astronauti durante le missioni spaziali provoca indiscutibilmente delle alterazioni dell'omeostasi del calcio nell'organismo. Una realtà documentata visto che gli astronauti delle missioni Gemini, Apollo e Skylab hanno sperimentato un'aumentata perdita di calcio nelle urine. Dopo 84 giorni di permanenza nello spazio, gli astronauti delle missioni Skylab hanno subito una riduzione della massa ossea del 4%, con un processo simile in tutto e per tutto a quanto osservabile a terra in caso di prolungata immobilità [28]. Resta ancora da chiarire fino a che punto le alterazioni ossee qualitative e quantitative possano essere validamente corrette dopo il rientro sulla Terra. Ma le ipotesi sembrano essere poco incoraggianti in quanto l'alterazione dell'attività cellulare degli osteoblasti e degli osteoclasti sperimentata dagli astronauti sembra determinare una perdita ossea irreversibile, con conseguente prematura insorgenza di osteoporosi senile a distanza di molti anni dalle missioni spaziali. 36

37 Pertanto, l'osteoporosi rappresenta uno dei maggiori ostacoli alla permanenza dell'uomo nello spazio ed è quindi necessario approfondire la patogenesi e i processi responsabili di questa patologia negli astronauti. 2.3 Modello transgenico e Gravità Microgravità L osteoporosi è caratterizzata da una riduzione riguardante sia la massa ossea sia la funzionalità meccanica. Le alterazioni scheletriche, osservate dopo un esposizione alla microgravità effettiva o a quella simulata sono simili a quelle riscontrate in seguito all immobilizzazione e/o all invecchiamento [29]. Per accrescere la conoscenza relativa all adattamento del corpo umano in condizioni di microgravità, sono necessarie ricerche scientifiche che analizzino i cambiamenti riscontrati negli animali durante le missioni spaziali. Non sono ancora del tutto chiari i cambiamenti relativi all adattabilità e alla plasticità dei muscoli scheletrici dovuti all assenza di gravità [30] o gli effetti dei voli spaziali sul carico che viene applicato alle ossa [31]. Restano invece completamente sconosciuti gli effetti biologici della microgravità sul genoma, sulla sintesi delle proteine, sulla loro trascrizione e sul metabolismo [32]. Pertanto attualmente, l obiettivo principale in questo ambito di ricerca è l identificazione di sensori gravitazionali o di meccanismi cellulari e molecolari dipendenti dalle condizioni di gravità che permettano di individuare i processi che determinano questi cambiamenti. Sono stati creati già da tempo diversi topi transgenici aventi o una mancanza nel fenotipo osseo o una aumentata massa ossea. Tuttavia, non tutti questi topi sono adatti agli esperimenti effettuati durante i voli spaziali, soprattutto a causa delle severe condizioni ambientali che si incontrano durante le missioni. L interesse verso questi animali è dovuto al fatto che i loro processi fisiologici sono analoghi a quelli dell uomo; in particolare, il topo rappresenta un modello accelerato per lo studio dei fenomeni pato-fisiologici umani. In questo contesto è stato proposto e finanziato un progetto, da parte dell Agenzia Spaziale Italiana (ASI), il cui obiettivo principale è l analisi, attraverso un approccio transgenico, dei processi osteoporotici dovuti a condizioni di microgravità. In questo caso è stata posta l attenzione su topi che sovra esprimono la pleiotrofina (PTN) sotto il controllo del promotore osseo umano dell osteocalcina (PTN-Tg). La Pleiotrofina (PTN) è un fattore associato alla matrice extracellulare e alla crescita / differenziazione ampiamente espressa nello sviluppo embrionale [33] [34]. Tuttavia, nella vita postnatale la PTN si trova principalmente nelle ossa e nel cervello [34] [35] [36]. La PTN è una citochina e definisce una nuova famiglia di fattori di crescita che secernono proteine eparina-leganti strutturalmente non correlati ad altre famiglie di fattori di crescita. La PTN ha 37

38 diverse funzioni, che vanno dalla stimolazione della neurogenesi, alla proliferazione cellulare, alla chemiotassi per angiogenesi tumorale [37] [38] [39] [40]. La PTN è considerata un agente osteotrofico perché i topi che iperesprimono il gene umano PTN appaiono più protetti dei Wt per quanto riguarda la perdita minerale ossea che si verifica durante l'invecchiamento [41]. Inoltre i topi transgenici PTN sembrano salvaguardati dalla perdita di osso, se sottoposti a ovariectomia e successivamente osservati [42]. A livello cellulare, la PTN è chemiotattica per una varietà di linee cellulari osteoblastiche [43] e osteoprogenitrici di ossa umane del midollo [44] suggerendo che la pleiotrofina potrebbe giocare un ruolo nel rimodellamento osseo attirando cellule osteogeniche verso nuovi siti di formazione ossea. Infatti, si è visto che la PTN è espressa in siti di formazione di nuovo tessuto osso. La PTN è stata sintetizzata da osteoblasti in una fase iniziale di sviluppo e migliora il differenziamento osteogenico di cellule derivate dal midollo osseo di topo e umano. Studi recenti riportano una diminuzione significativa della massa nelle ossa di carico in topi PTN - / - rispetto ai controlli di tipo selvatico [45]. E stato anche dimostrato che esiste un ruolo svolto dalla PTN nella formazione ossea dopo un carico meccanico. Infatti, diversi studi associano la PTN con la formazione delle ossa e con il carico meccanico [46] [47] [48]. Poiché l assenza di gravità e lo scarico meccanico sono le principali causa di perdita di massa ossea nello spazio, sono stati scelti topi PTN-Tg per indagare se questi topi risultavano protetti da fenomeni osteoporotici connessi allo permanenza nello spazio e se la PTN sovra-espressa potesse essere considerata una contromisura per la perdita ossea osservata in condizioni di microgravità. Dato che i topi PTN-transgenici mostrano un aumento della massa e della mineralizzazione ossea, è stato deciso di utilizzare questo modello di topo per l'esperimento di volo e di studiare il suo potenziale ruolo nel contrastare la perdita ossea in condizioni di microgravità. Dopo i test preliminari, i topi PTN-Tg, originariamente ottenuti dal ceppo BDF, prima di essere utilizzati in questo studio, sono stati incrociati con il ceppo C57Bl/J10. Entrambi i ceppi sono stati analizzati anche per confrontare gli effetti della sovra espressione della PTN in due ambienti genetici diversi. Per poter studiare topi in condizione di microgravità, l Agenzia Spaziale Italiana ha così sviluppato un sistema di gabbie per topi (MDS), il primo hardware europeo commerciale. L MDS, contenente tre topi PTN-Tg e tre wild-type, è stato lanciato con lo Shuttle STS-128 il 28 agosto 2009 ed è stato trasferito alla ISS (Stazione Spaziale Internazionale) per tre mesi. Il carico utile di rientro è avvenuto per mezzo dello Shuttle STS-129 il 27 Novembre 2009 in Florida. Purtroppo durante questo periodo 3 topi (due WT ed uno PTN-Tg) sono morti; per questo un secondo volo sarà effettuato al fine di ottenere dati statisticamente rilevanti sugli animali che 38

39 atterreranno in vita (un minimo di 6 animali identici sono necessari al fine di trarre conclusioni affidabili). Uno degli obiettivi principali della sperimentazione MDS è stato quello di indagare le alterazioni ossee in tre topi maschi WT e PTN-Tg (aventi due mesi di vita al momento del lancio) dopo tre mesi di permanenza nella ISS, la più lunga permanenza dei topi nello spazio. Purtroppo, come anticipato sopra, solo tre topi (WT2, PTN-Tg1 e PTN-Tg2) sono rientrati vivi sulla terra alla fine della missione. Tre topi sono morti durante il volo: WT3 dopo 16 giorni; PTN-Tg3 dopo 24 giorni e WT1 dopo 44 giorni. Gli astronauti immediatamente hanno congelato i topi morti al fine di conservarli per la successiva analisi di microtomografia computerizzata effettuata sulle loro ossa. La necroscopia ha rivelato che il topo WT3 era morto a causa di una grave lesione del midollo spinale, possibilmente verificatasi durante il decollo della navetta. Un analisi effettuata sulle feci presenti nella gabbia del topo PTN-Tg 3 ha suggerito che l animale probabilmente aveva sviluppato una patologia del fegato. Il controllo del post-atterraggio eseguito sulle gabbie ha rivelato che il topo WT1 era morto a causa di un guasto nel sistema di alimentazione. Per verificare l impatto dell habitat MDS sui topi in volo, è stata condotta una riproduzione a terra dell esperimento in volo, sistemando sei topi nei restanti modelli MDS per tre mesi. Durante la riproduzione a terra dell esperimento, tre topi (WT1, WT3 e PTN-Tg 3) sono stati sacrificati esattamente nello stesso giorno sperimentale in cui è avvenuta la morte dei topi sulla ISS. Inoltre sono stati considerati come ulteriori controlli tre topi WT e tre topi PTN-Tg aventi la stessa età mantenuti nelle gabbie e nelle condizioni standard (in vivo). I valori ottenuti dai campioni in vivo erano in accordo con tutti i tipi di analisi, considerando cosi un solo valore per i dati sperimentali [49] Macrogravità Esperimenti analoghi sono stati poi effettuati in condizioni di macrogravità. Il modello di topo transgenico utilizzato per la macrogravità era lo stesso degli esperimenti in microgravità, quindi il PTN-tg. I topi di controllo erano sempre C57BLJ10- wild type. Gli animali avevano 2 mesi di vita all inizio dei test e 5 mesi alla fine; quindi i tempi di permanenza in macrogravità sono risultati identici rispetto a quelli di permanenza in microgravità. Si è infatti scelto di mantenere identici i tempi degli esperimenti proprio per preservare una certa omogeneità nella sperimentazione. Per quanto riguarda la sperimentazione in macrogravità, gli esperimenti sono stati condotti mantenendo gli animali, appunto per 90 giorni circa, in una centrifuga che produceva una velocità angolare di circa 40km/h con una forza pari a 2 volte la gravità (2G). La centrifuga era composta da 4 gabbiette all interno delle quali sono stati sistemati gli animali. Per il cambio di acqua e cibo la centrifuga veniva fermata per pochissimi minuti (è stato confermato che questo piccolo stop non influiva sull effetto della 2G). Come controlli (Vivarium) un analogo numero di topi PTN-Tg e Wild- 39

40 Type sono stati mantenuti in gabbiette standard in stabulario convenzionale; cibo e acqua erano forniti ad libitum Tail-suspension E stato effettuato, oltre all esperimento in microgravità e in macrogravità, un terzo esperimento denominato in condizioni tail-suspension. Anche in questo caso il modello di topo transgenico utilizzato per gli esperimenti era lo stesso degli esperimenti in micro e macro-gravità; gli animali avevano 2 mesi all inizio dei test e anche in questo caso la durata dell esperimento restava invariata (90 giorni).cibo ed acqua erano forniti ad libitum. Per quanto riguarda la tail suspension, i topi erano collegati ad una carrucola mobile (a cui erano legati a livello della coda creando un angolo topo-pavimento di 45 ) che permetteva loro di muoversi in tutte le direzioni della gabbietta sfruttando le zampe anteriori. Questo esperimento serviva proprio per eliminare il carico meccanico dalle zampe posteriori e verificarne le conseguenze. Diversi autori sostengono che questo modello non può essere considerato un vero e proprio modello di microgravità indotta in quanto comunque le zampe anteriori subiscono carico. Si potrebbe ipotizzare che l utilizzo delle zampe anteriori porti ad un rilascio in circolo di molecole, frutto di una risposta muscolo-scheletrica al carico, e che questo rilascio tamponi parzialmente le modifiche metaboliche dovute all assenza di carico sugli arti posteriori. Per di più, è stato ipotizzato che la posizione obliqua che il topo assumeva avrebbe potuto attivare una risposta dovuta al fluid shift verso la testa, alterando in un qualche modo, gli effetti della tail suspension. 40

41 Capitolo 3 LA RADIAZIONE X E LE TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE 41

42 3.1 La radiazione elettromagnetica X I raggi X sono radiazioni penetranti di natura elettromagnetica originati dalla collisione di elettroni veloci contro un bersaglio (anticatodo). Essi sono costituiti da una larga banda di radiazioni elettromagnetiche (Figura 3.1) le cui lunghezze d onda sono comprese approssimativamente nel campo nm alle quali corrisponde l intervallo di frequenze Hz. Questo vasto campo viene convenzionalmente suddiviso in due bande, la cui ampiezza non è internazionalmente definita, ma, nella pratica comune è abitudine parlare di raggi X forti o più semplicemente raggi forti, quelli compresi tra 10-3 nm e 10-1 nm e di raggi deboli, quelli compresi tra 10-1 nm e 10 nm. Figura 3.1 Spettro elettromagnetico [50]. Per quanto attiene al legame tra energia E e lunghezza d onda λ vale la nota relazione: c E =hν=h λ con ν frequenza della radiazione in hertz, c velocità della luce ed E energia della radiazione in joule o in elettronvolt dipendentemente dalle unità di misura scelte per esprimere la costante di Planck (h=6, J s=4, ev s). Tale relazione è assai utile per calcolare l energia trasportata da un onda elettromagnetica quando sia nota la lunghezza d onda e viceversa. Nello studio riguardante la produzione dei raggi X occorre considerare anche un altra relazione che stabilisca il legame tra energia e massa [51]. Infatti, sia all esterno che all interno di un nucleo, si verificano trasformazioni che sono regolate dalla nota relazione: 42

43 2 E=m c essendo m la massa della particella e c la velocità della luce nel vuoto. Per comprendere il meccanismo quantico dell emissione dei raggi X da parte di un atomo è necessario ricordarsi che l energia necessaria per scalzare un elettrone dalla sua orbita è inversamente proporzionale al raggio dell orbita occupata dall elettrone e direttamente proporzionale alla carica presente nel nucleo secondo una relazione del tipo: E 2 e Z r essendo Z il numero atomico dell elemento considerato. Se l atomo è più complesso e si vuole scalzare un elettrone dalle orbite più interne verso orbite più esterne, è necessario che l elettrone proiettile venga accelerato da una tensione tale che acquisisca un energia superiore a quella di estrazione che è propria di quella determinata orbita. L atomo privato di un elettrone conserva un energia potenziale che è evidentemente identica all energia di estrazione dell elettrone. Questa condizione è instabile per l atomo che, per ristabilire il proprio equilibrio, richiama un altro elettrone che può pervenire o dall esterno dell atomo stesso o da un orbita meno profonda di quella dalla quale l atomo è stato estratto. L energia potenziale prima disponibile si annulla con l emissione di un fotone di energia proporzionale a: hν 2 e Z r La frequenza ν del fotone emesso è, pertanto, proporzionale al numero atomico Z dell atomo emettitore e inversamente proporzionale al raggio dell orbita eccitata r. Essa è, pertanto, caratteristica dell atomo e dell orbita dalla quale l elettrone è stato scalzato; l eccitazione che l elettrone di quella ben determinata orbita subisce è chiamata eccitazione caratteristica. L insieme di tali eccitazioni costituisce lo spettro a righe caratteristiche dell atomo di un dato materiale. La perdita di energia connessa con questi salti tra orbite diverse si manifesta con emissione di radiazioni elettromagnetiche. Variazioni di energia dell ordine di 10 5 ev producono radiazioni note sotto il nome di raggi X. Il fenomeno di eccitazione orbitale è rarissimo nel senso che se si bombarda un bersaglio di un metallo con un fascio di elettroni, quelli che trasformano la loro energia cinetica in una radiazione elettromagnetica per espulsione di un elettrone appartenente al metallo, sono una frazione trascurabile. Assai più frequente è la trasformazione di energia in calore. In generale più del 99% 43

44 dell energia cinetica degli elettroni proiettile si trasforma in energia termica, e solo l 1% circa rimanente è disponibile per la emissione di fotoni X. Di quest ultima frazione, la maggioranza degli elettroni che penetra nell atomo e si avvicina al nucleo subisce un forte effetto di frenamento per effetto dei campi elettrostatici interni all atomo. L elettrone proiettile viene, quindi, da questi deviato mentre frena la sua corsa. L energia dissipata nel corso del frenamento viene emessa sotto forma di fotoni X. I raggi X prodotti per frenamento (Bremsstrahlung) a differenza di quelli prodotti per radiazione caratteristica, hanno uno spettro continuo perché infinite sono le situazioni per gli elettroni che entrano in un atomo con energie diverse e che sono deviati nell atomo in modo diverso a seconda del luogo ove la penetrazione si verifica e di quanto essi riescono a penetrare nell atomo stesso [52]. Fascio primario di elettroni Fascio primario di elettroni Emissione caratteristica di raggi X Emissione caratteristica di raggi X Elettroni diffusi Elettroni diffusi Figura 3.2 Fenomeni che portano alla produzione di raggi X. Il primo, definito bremsstrahlung, determina la produzione di fotoni di varie energie (spettro continuo), mentre il secondo, che si verifica solo se l energia dell elettrone accelerato è maggiore (o uguale) dell energia di legame dell elettrone atomico, porta alla produzione di fotoni caratteristici della sostanza colpita [53]. Se si ammette che un elettrone veloce perda nella sua traiettoria curva all interno dell atomo tutta la sua energia cinetica con la contemporanea emissione di un solo fotone X, si può calcolare la frequenza massima o la lunghezza d onda λ 0 minima della radiazione emessa che corrisponde al massimo valore dell energia che è conferita al fotone singolo; si ha pertanto: λ = 0 e hc V Nota la differenza di potenziale che accelera l elettrone, si ricava la lunghezza d onda più corta che sia possibile rilevare nello spettro continuo dei raggi X. 44

45 3.2 Il tubo radiogeno I sistemi più utilizzati per la produzione di fasci di raggi X sono i tubi a raggi X [54, 55]. Nella figura sottostante (Figura 3.3) è raffigurato lo spettro energetico dei raggi X prodotti da un tubo radiogeno con anodo in tungsteno. La parte continua dello spettro rappresenta i raggi X provenienti dal fenomeno di "bremsstrahlung"; i picchi sono quelli relativi all'emissione di "radiazione caratteristica". Figura 3.3 Spettro energetico dei raggi X prodotti da un tubo radiogeno con anodo in tungsteno [56]. Il tubo radiogeno è un dispositivo che deve comprendere: 1. Un luogo (catodo) dove vengono resi disponibili per effetto termico gli elettroni che costituiscono i proiettili con i quali colpire il metallo che costituisce il bersaglio (anodo) sede della generazione dei raggi X; 2. L anodo costituito da un materiale metallico idoneo a sopportare elevate temperature; 3. Un involucro entro il quale sia effettuato un vuoto sufficientemente elevato (minore di 10-6 mmhg) affinché sia facilitata la corsa degli elettroni che percorrono il tragitto tra catodo e anodo accelerati da un campo elettrico. I tubi che ancora oggi vengono utilizzati sono i tubi radiogeni di Coolidge ( ). Il tubo Coolidge è costituito da un bulbo di vetro nel quale viene creato un vuoto spinto estraendo tutte le molecole di gas in quanto esse costituirebbero un intralcio al flusso elettronico. Inoltre, all interno del bulbo, si trovano due elettrodi (catodo - ; anodo +), il cui perfetto isolamento viene garantito dalla realizzazione del vuoto spinto. Tale vuoto, nel tubo radiogeno, deve essere stabile e per evitare che possa alterarsi all interno del bulbo vengono immessi, in una sede dove non possono essere direttamente colpiti dagli elettroni, i 45

46 cosiddetti getter, che sono metalli assorbenti (zirconio bario) che hanno il compito di fissare chimicamente o per assorbimento eventuali molecole di gas residuo. Il catodo è l elettrodo negativo e comprende il filamento che si può rendere incandescente, contenuto in una particolare armatura metallica. Gli elettroni liberi si originano dal filamento quando questo viene percorso da corrente elettrica. La produzione degli elettroni avviene, quindi, per effetto termoionico: infatti, nell atomo, gli elettroni dell orbita più esterna sono quelli che più facilmente si possono staccare da essa, perciò sono anche definiti elettroni liberi. Quando la temperatura di un metallo conduttore raggiunge un valore notevolmente superiore a quello normale, l energia cinetica degli elettroni aumenta e un certo numero di questi acquista l energia necessaria a sfuggire dal metallo. La produzione di elettroni liberi è tanto maggiore quanto più elevato è il grado di incandescenza del filamento. La emissione termoionica dipende, inoltre, da altri fattori, che nel caso specifico dei tubi radiogeni assumono grande importanza. Primo fra questi è la necessità di realizzare il fenomeno in assenza di molecole di gas per evitare che possano avvelenare il catodo riducendone il potere emissivo. Altro fattore importante è il tipo di metallo utilizzato: ogni metallo, infatti, ha uno specifico potere emittente che varia con il variare della temperatura. Nei tubi radiogeni, la superficie emittente è costituita da un filamento metallico avvolto a spirale (spiralina catodica); il metallo utilizzato è il tungsteno, che ha il punto di fusione molto elevato (3400 C) e un alto numero atomico (Z = 74). Il filamento della spiralina ha un diametro che oscilla tra 0,5 e 0,3 mm. L alimentazione della stessa, per il suo riscaldamento, viene effettuata con un circuito indipendente di corrente alternata a bassa tensione (10 15 V), mentre la massima corrente di accensione è mediamente di 5 A. Gli elettroni liberati per effetto termoionico, a causa dell alto vuoto esistente nell ampolla, si dirigono facilmente in tutte le direzioni e molti vanno a cadere sulla superficie metallica dell anodo. Perciò, su questa, viene a formarsi uno strato di cariche elettriche negative, che determinano un potenziale negativo per l anodo. Contemporaneamente il catodo, per aver perso elettroni, rimane carico di elettricità positiva ritardando il ritorno degli elettroni respinti dall anodo. Pertanto, questi ultimi si addensano in una nube, detta nube elettronica, che si situa nello spazio fra i due elettrodi, impedendo ad altri elettroni di abbandonare la superficie catodica. Applicando l alta tensione, l anodo assume un potenziale positivo elevato e tra il catodo e l anodo si stabilisce un flusso elettronico al quale si da il nome di corrente anodica o corrente del tubo. La parte del catodo che accoglie la spiralina assume il nome di coppa di focalizzazione. Questa superficie metallica concava serve a focalizzare la nube elettronica emessa dal filamento, per fargli assumere l aspetto di un fascio guidando gli elettroni su di una limitata zona dell anodo detta area focale. 46

47 L anodo è l elettrodo positivo del tubo radiogeno contro il quale avviene l impatto del fascio elettronico che ne provoca la generazione dei raggi X. E bene ricordare che solo l 1% dell energia del fascio elettronico che bombarda l anodo si converte in raggi X, mentre la maggior parte (99%) si trasforma in energia termica. Le funzioni dell anodo di un tubo radiogeno sono essenzialmente due: generare i raggi X e sopportare la quantità di calore accumulata. E per assolvere a questa seconda funzione che il materiale di cui è costituita la superficie anodica è il tungsteno. L enorme sviluppo della radiologia diagnostica e la conseguente esigenza di avere immagini nitide, ha limitato al massimo l uso dei tubi radiogeni ad anodo fisso. I tubi maggiormente impiegati in radiodiagnostica, oggi, sono quelli ad anodo rotanti. La caratteristica principale del tubo ad anodo rotante è proprio quella di avere l anodo costituito da un disco metallico. Questo disco, al quale viene anche dato il nome di piatto anodico, può avere un diametro che va dai 5 ai 10 cm. La faccia del disco rivolta verso il catodo presenta, nella zona periferica, una superficie inclinata. E proprio su questa zona del disco che avviene il bombardamento elettronico. Il piatto anodico ha la possibilità di ruotare, in tal modo la superficie esposta alla collisione degli elettroni viene costantemente rinnovata, così è possibile ripartire il carico termico su di un area molto più grande. La circonferenza sulla quale viene a coincidere il fuoco termico assume il nome di traccia termica o focale. Il piatto anodico, mediante un asse metallico, viene innestato su un cilindro di rame che funge da rotore, (sezione rotante) di un motore elettrico, la cui parte statica (statore) viene sistemata fuori dal bulbo di vetro del tubo. La superficie anodica sulla quale viene concentrato il fascio elettronico proveniente dal filamento, viene identificata con il nome di area focale, o fuoco. Quanto più è potente il tubo radiogeno tanto più sono grosse le dimensioni del fuoco. La sua forma è identica a quella della spiralina. Il tubo radiogeno è contenuto in un involucro metallico di forma cilindrica detto cuffia o coppa a protezione integrale. Tale coppa, oltre alla logica funzione di contenimento, ha anche quella di proteggere l ambiente e gli operatori dalle radiazioni emesse dal tubo, consentendo alle stesse di uscire da una sola apertura praticata nel cilindro. A questa apertura si da il nome di finestra del tubo, la quale, generalmente circolare, è perfettamente centrata con il fuoco del tubo radiogeno, permettendo al fascio di raggi X emergente di assumere una forma di cono. L involucro della cuffia è costituito da leghe metalliche leggere, internamente è intonacato con bario e possiede, inoltre, un rivestimento stagno fatto con lamina di piombo. 47

48 3.3 La radiazione di sincrotrone Generalità La radiazione di sincrotrone o luce di sincrotrone è una radiazione elettromagnetica generata da particelle cariche, solitamente elettroni o positroni, che viaggiano a velocità prossime alla velocità della luce e vengono costrette da un campo magnetico a muoversi lungo una traiettoria curva [57]. L emissione di radiazione di sincrotrone ha luogo quando le particelle accelerano in direzione trasversale al moto. In un sincrotrone (Figura 3.4), i raggi X vengono emessi da un fascio di elettroni costretti a muoversi, da un sistema di magneti, ad una velocità prossima a quella della luce su una traiettoria quasi circolare costituita da un tubo in acciaio a forma di anello tenuto sotto vuoto ultraspinto. Gli elettroni vengono, in prima analisi, prodotti dal LINAC (acceleratore lineare), il quale accelera gli elettroni fino ad una velocità prossima a quella della luce, per poi iniettarli nell anello centrale. Gli elettroni, iniettati ad alta energia nell anello di accumulazione, tenderebbero a sfuggire per la tangente muovendosi lungo una linea retta. Ciò viene impedito da un sistema di magneti deflettenti, i quali curvano il cammino degli elettroni, costringendoli a rimanere su una traiettoria quasi circolare: pertanto, gli elettroni sono continuamente accelerati poiché continuamente costretti a variare la direzione della loro velocità. All interno dell anello, gli elettroni circolano raggruppati a pacchetti, emettendo radiazioni elettromagnetiche, in un ampia gamma di lunghezze d onda, in direzione tangente all anello. Tali onde sono note come bremsstrahlung. Particolari ondulatori e dispositivi, denominati wiggler, aumentano il flusso e la brillanza delle radiazioni emesse e riducono la larga banda delle lunghezze d onda, concentrandole nella regione dei raggi X. Da ciascun ondulatore si dirama una linea di luce, nella quale viene raccolto il fascio sottile ed intenso di luce di sincrotrone. Tale fascio viene, poi, monocromatizzato da un sistema ottico in grado di filtrare le lunghezze d onda e di selezionare quella necessaria a ciascuna applicazione. Infine, i raggi X filtrati vengono indirizzati in una camera di utilizzazione, posta alla fine della linea di luce e dotata di tutte le apparecchiature necessarie alla rivelazione e all acquisizione dei dati sperimentali (beamline). Dall anello centrale si diramano molte linee di luce, le quali, a loro volta, forniscono la luce di sincrotrone alle numerose beamline, ciascuna attrezzata con strumenti dedicati ad utilizzazioni specifiche. Figura 3.4 Schema di principio di un sincrotrone per la produzione di radiazione [58]. 48

49 E noto che una carica accelerata emette radiazione elettromagnetica. Una tale emissione era stata predetta già nel secolo scorso: Larmor, nel 1897, aveva ricavato, a partire dall elettrodinamica classica, la formula che esprime la potenza P irradiata da una particella accelerata non relativistica di carica e e di massa m 0 : P 2e 0 2 3m c 3 dp dt 2 dove p è la quantità di moto della particella e c la velocità della luce nel vuoto. Questa emissione assume un ruolo importante per gli acceleratori circolari di particelle: un elettrone relativistico di energia E = m 0 c 2 γ, che si muova a velocità costante v = bc all interno di un campo magnetico costante B, a causa della forza di Lorentz percorrerà una traiettoria circolare di raggio ρ: E Be E Be (per elettroni relativistici b ~ 1). La carica emetterà quindi radiazione irraggiando la potenza: P 0 4 2e c 3( m c 2 2 ) 4 E 2 B 2 Questa formula descrive la potenza irraggiata da una carica relativistica di energia E che si muova all interno di un campo magnetico costante B. Si può osservare che la potenza irraggiata cresce con il quadrato dell energia, ma decresce con la quarta potenza della massa a riposo m 0. Questo significa che ci si deve aspettare un irraggiamento apprezzabile solo nel caso di elettroni o positroni di alta energia. Agli albori della tecnologia degli acceleratori di particelle l emissione di radiazione di sincrotrone era considerata un noioso inconveniente, in quanto era necessario fornire in continuazione agli elettroni l energia che essi perdevano a causa dell irraggiamento. Tuttavia in breve tempo ci si rese conto che le caratteristiche peculiari della radiazione emessa potevano essere utilizzate per molte applicazioni. Lo spettro di emissione della radiazione di sincrotrone è riportato in Figura

50 Figura 3.5 Emissione di radiazione di sincrotrone [59]. La frequenza ω c è detta frequenza critica, ed è espressa dalla formula: c 3c 2 m E 0 c 2 3 3c 2 dove ρ è il raggio di curvatura e γ è il fattore relativistico: E m c 2 0 La presenza in ordinata della grandezza dp/dω invece della potenza P nasce da considerazioni di carattere sperimentale. Dalla figura si vede che è possibile ottenere una frazione consistente della potenza massima fino a frequenze pari a circa 2ω c. Dato che il valore di ω c dipende dal cubo dell energia, aumentando l energia degli elettroni aumenta anche la massima frequenza emessa con potenza appezzabile. Aumentando l energia degli elettroni, aumenta la potenza emessa e la stessa si concentra lungo la direzione del moto. La direzionalità dell emissione può spiegare le caratteristiche spettrali della radiazione di sincrotrone: si consideri la luce emessa da un elettrone che si muova lungo una traiettoria circolare di raggio ρ. Un ipotetico osservatore (Figura 3.6) potrà osservare la radiazione emessa solo quando sarà investito dal cono di luce, vale a dire fintanto che l angolo tra la tangente alla traiettoria e la direzione di osservazione sarà minore dell angolo θ. 50

51 Figura 3.6 Spiegazione geometrica delle caratteristiche spettrali dell emissione di sincrotrone [60]. Questo equivale a dire che l osservatore vedrà la radiazione emessa lungo l arco di lunghezza l e = 2θρ. La durata dell impulso di luce così generato sarà quindi pari alla differenza tra il tempo di transito dell elettrone lungo l arco l e e dei fotoni lungo la corda l p = 2ρsin θ t le v lp c dove v è la velocità dell elettrone, che in termini della sua energia può essere espressa come: v c Con ulteriori passaggi e l analisi di Fourier, si ottiene che la frequenza critica è proporzionale alla larghezza di banda. Quindi, il fatto che l angolo θ sia piccolo per elettroni estremamente energetici (θ ~ 1/γ) produrrà impulsi di luce molto brevi, il che risulta in un elevata larghezza della banda di emissione. Avere a disposizione una banda di emissione larga è molto utile, in quanto è possibile selezionare la frequenza desiderata all interno di un range molto esteso, che può andare dall infrarosso ai raggi x duri (accordabilità spettrale). Tuttavia il fatto che la potenza totale sia distribuita su una vasta regione spettrale fa si che la potenza per unità di frequenza risulti piccola. Se è necessario disporre di elevate potenze per unità di frequenza è quindi necessario ridurre la larghezza spettrale dell emissione, vale a dire ottenere impulsi di luce più lunghi. Questo può essere fatto, senza perdite in termini di potenza integrata, ricorrendo all "ondulatore magnetico". Nel caso della luce, una vasta banda di frequenze significa anche una vasta gamma di lunghezze d'onda. La radiazione fuoriesce tangenzialmente rispetto all'anello e convogliata in apposite guide in forma di raggi. Le linee di trasporto dei raggi sono costituite da dispositivi ottici che controllano la banda passante, il flusso di fotoni, la sezione, la focalizzazione e la collimazione del fascio. Anziché permettere agli elettroni di illuminare ogni linea di luce una volta ad ogni giro attorno all anello, questi vengono forzati in una traiettoria a zig-zag, così che la linea di luce posizionata alla fine di essa possa raccogliere luce molte volte ad ogni giro. 51

52 Un wiggler funziona esattamente così: è costituito da una serie periodica di magneti, posti in una sezione dell'anello dove la traiettoria dell'elettrone sarebbe altrimenti diritta; a causa della sua azione, gli elettroni sono forzati a muoversi oscillando periodicamente attorno ad una traiettoria diritta. Il risultato è un flusso molto alto di raggi-x lungo la linea di luce. Un ondulatore (Figura 3.7) è simile ad un wiggler eccetto che per un punto: forza gli elettroni ad effettuare oscillazioni molto più deboli, cosicché durante l'intero moto a zig-zag la luce continua ad illuminare la linea di luce dell'ondulatore. Il risultato è un impulso più lungo piuttosto che una serie di brevi impulsi. Ma senza brevi impulsi non vi è un'ampia banda di lunghezze d'onda, perciò l'emissione dell'ondulatore non viene diffusa in un'ampia banda, ma è concentrata, producendo alti livelli di flusso e brillanza. Figura 3.7 Grafico di un ondulatore [58] Il sincrotrone Un acceleratore di particelle è una macchina il cui scopo è quello di produrre fasci di ioni o particelle subatomiche (elettroni, positroni, protoni, antiprotoni ecc.) con "elevata" energia cinetica. Tali macchine vengono usate per scopi industriali (sterilizzazione), medici (produzione di isotopi radioattivi), studio della struttura dei materiali o per scopi di ricerca in fisica delle particelle (un fascio di particelle di elevata energia permette di sondare oggetti di dimensioni molto piccole). I metodi per accelerare le particelle sono basati sull'uso di campi elettrici e magnetici: i primi forniscono energia alle particelle accelerandole ed i secondi servono a curvarne la traiettoria o a correggere dispersioni spaziali dei fasci accelerati. Il sincrotrone è un tipo di acceleratore di particelle circolare e ciclico, in cui il campo magnetico e il campo elettrico variabile sono sincronizzati con il fascio delle particelle stesse. Esistono due tipi distinti di sincrotrone, che si differenziano per l'uso a cui vengono destinati: 52

53 1. I sincrotroni per lo studio della fisica nucleare sono costruiti in modo da accelerare e far collidere tra loro particelle nucleari e subnucleari; 2. I sincrotroni per lo studio della fisica dello stato solido e delle superfici sono costruiti in modo da produrre radiazione elettromagnetica. I sincrotroni per lo studio della fisica delle particelle elementari sono costruiti in modo da produrre eventi caratteristici della fisica subnucleare. Per questo motivo accelerano delle particelle, solitamente elettroni e positroni, oppure protoni e anti-protoni a velocità prossime a quella della luce. I macchinari di questo tipo erano estremamente diffusi negli anni cinquanta e sessanta quando la ricerca della fisica nucleare era al suo apice. Oggi le energie richieste per lo studio approfondito della fisica nucleare sono talmente elevate da permettere la costruzione di pochissimi acceleratori competitivi in tutto il mondo. Di conseguenza non si utilizza più il termine "sincrotrone" per riferirsi agli acceleratori per la fisica subnucleare che vengono piuttosto indicati con il termine inglese collider (collisore). La maggior parte dei sincrotroni in funzione oggi vengono usati per la produzione di raggi X collimati e relativamente monocromatici, la cosiddetta radiazione di sincrotrone. La radiazione viene utilizzata per lo studio della fisica dello stato solido e delle superfici. Questi macchinari sono molto più piccoli e relativamente meno costosi dei moderni collisori in quanto funzionano solitamente a energia molto più bassa, dell'ordine di qualche gigaelettronvolt. Inoltre utilizzano sempre elettroni perché la loro energia può essere controllata con maggior precisione. I primi sincrotroni avevano una struttura uguale a quella dei collisori ma, in corrispondenza delle curve dell'anello di accumulazione, dove l'accelerazione subita dagli elettroni provoca l'emissione di radiazione, erano presenti delle finestre da cui la radiazione veniva estratta e trasportata alle camere sperimentali. I sincrotroni di nuova generazione, costruiti a partire dagli anni novanta, sono invece molto diversi dai collisori in quanto contengono dei sistemi di magneti progettati in modo da stimolare la produzione di radiazione elettromagnetica. Questi sistemi, detti ondulatori, forzano gli elettroni a percorrere delle traiettorie sinusoidali o a spirale; permettono la produzione di luce molto più collimata e, persino, polarizzata circolarmente nella maniera desiderata. 53

54 3.3.3 I principali sincrotroni europei In Europa sono presenti diversi sincrotroni [61] : 1. ESRF Grenoble (Francia) L European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble è la sorgente di radiazione di sincrotrone più potente in Europa. È un impianto comune supportato e condiviso da 18 paesi. All ESFR, fisici lavorano fianco a fianco con chimici e scienziati dei materiali. Inoltre, biologi, medici, metereologi, geofisici e archeologi sono diventati utenti regolari. Stanno aumentando anche le applicazioni industriali, in particolare nei campi della farmaceutica, della cosmesi, della petrolchimica e della microelettronica. Tra i più grandi e i più potenti sincrotroni nel mondo, l ESFR è il secondo dopo l APS (USA) e prima dello Spring-8 (Japan). Gli elettroni ricevono un livello di energia di 6 GeV. 2. ELETTRA Trieste (Italia) ELETTRA è un laboratorio multidisciplinare, aperto a gruppi di ricerca nazionali e internazionali che operano in vari campi, ai quali offre un servizio scientifico sulla base dello sviluppo e dell utilizzo della luce prodotta da sorgenti di luce di sincrotrone. Il laboratorio è provvisto di sorgenti di luce che vanno dagli UV ai raggi X. 3. HASYLAB Amburgo (Germania) HASYLAB (Hamburger Synchrotronstrahlungslabor),con due sincrotroni e un FEL (Free Electron Laser) è parte dell instituzione di ricerca nazionale DESY. I ricercatori di HASYLAB provenienti da università, industrie, e laboratori governativi studiano nei campi della fisica, della biologia, della chimica, della cristallografia, delle scienze dei materiali, delle scienze geologiche oltre ad applicazioni mediche. 4. SOLEIL Paris (France) Soleil è la maggior facility scientifica francese che consente di esplorare la struttura microscopica dei materiali e studiare le loro proprietà fisiche, meccaniche e/o biologiche. Le caratteristiche di questo strumento multidisciplinare sono state definite per sostenere un range di attività molto ampio nei campi fondamentali della ricerca oltre che nelle applicazioni e ricerche industriali. 5. DIAMOND Oxford (Regno Unito) Diamond Light Source è una nuova facility scientifica che copre un area equivalente a 5 campi da football. Diamond ospiterà alla fine fino a 40 stazioni di ricerca, sostenendo le scienze della vita, fisiche e ambientali. Diamond è un sincrotrone di terza generazione e la sua energia è dell ordine dei GeV. 54

55 3.4 La microtomografia a raggi X Generalità Lo sviluppo di metodologie non distruttive, volte all analisi della microstruttura dei più svariati tipi di materiale, è oggi un esigenza fortemente sentita in molteplici campi del settore produttivo e della ricerca. Si manifesta così la necessità di avere a disposizione un adeguata strumentazione da laboratorio, la quale consenta di effettuare tutte le analisi in maniera semplice e veloce, contenendo i costi dell operazione. Le tecniche convenzionali, quali il microscopio ottico ed elettronico, possono fornire delle informazioni importanti sui campioni, i quali però devono essere trattati o sezionati correttamente; inoltre, un grande interesse per la microscopia moderna è quello di poter ottenere informazioni tridimensionali. La tomografia computerizzata (CT), nell ambito delle prove non distruttive, è una delle tecniche diagnostiche più avanzate ed attualmente di maggior interesse. La tecnica tomografica (dal greco tomos = taglio/sezione) è un indagine con la quale si ottengono immagini di sezioni (slice) dell oggetto in esame. La microtomografia computerizzata a raggi X (micro-ct) è una forma miniaturizzata della tomografia assiale computerizzata (meglio nota come TAC); essa è una potente tecnica emergente che consente di caratterizzare dal punto di vista microstrutturale differenti tipi di materiali, dal campo della scienza dei materiali al campo della medicina, della biologia, dell elettronica, della geologia, dell industria petrolifera, dell industria dei semiconduttori, dell odontoiatria, dell archeologia e dell ingegneria biomedica. La micro-ct è una tecnica non distruttiva e non invasiva che permette di ottenere informazioni sulla struttura interna dei campioni indagati, fornendo immagini ad alta risoluzione, senza danneggiare il campione stesso o prepararlo in alcun modo (non sono necessari tagli, coperture o trattamenti chimici del campione). Viene usata per creare mappe tridimensionali dei campioni analizzati, di solito di pochi centimetri di grandezza, con una risoluzione dell ordine dei micron. Il principio alla base dei sistemi di microtomografia è simile a quello delle TAC con la differenza che si lavora su risoluzioni di uno, due o tre ordini di grandezza migliori (risoluzione, a seconda dei vari sistemi, compresa tra i 40 micron e i 50 nanometri). 55

56 3.4.2 Apparato per Micro-CT Dal punto di vista strumentale (Figura 3.8), gli elementi principali che compongono una postazione per micro-ct sono la sorgente di radiazione X, l apparato per il posizionamento e la movimentazione d alta precisione del campione da sottoporre ad analisi ed il sistema di raccolta della radiazione trasmessa uscente dall oggetto (detector). La tomografia per assorbimento è basata sul rilevamento della radiazione dei raggi X attenuata da un oggetto. I raggi X attraversano un campione montato su un supporto che ruota. L attenuazione del fascio di raggi X è registrata da un sistema di rilevazione, nel quale è convertita in luce visibile da uno scintillatore. L immagine visibile risultante è poi proiettata su un chip CCD, che invia un immagine digitale a un computer dove può essere memorizzata ed ulteriormente elaborata. Generalmente è usato un detector 2D in quanto fornisce un acquisizione dell immagine più velocemente. In generale, quindi, un campione viene posto in un apposita camera su un portacampioni posto tra la sorgente a raggi X (Tubo RX) e il detector (CCD con accoppiato scintillatore). L oggetto viene investito da un fascio di raggi X i quali, dopo l attraversamento del campione, giungono sul rivelatore. Il risultato di tale processo è la formazione di un immagine bidimensionale (proiezione). Dopo essere stato attenuato dal campione, infatti, il fascio colpisce lo scintillatore dove è creata un immagine nel range della luce visibile. La scelta del materiale dello scintillatore dipende dall energia e dalla risoluzione spaziale richiesta. Per ogni tomografia, le proiezioni radiografiche sono prese da diverse angolazioni. Il campione ruota di 180 ed un computer ne acquisisce le immagini radiografiche nelle varie posizioni. La composizione di tali proiezioni (mediante algoritmi sofisticati) fornisce l immagine di una slice del campione. Alla rotazione del campione, poi, si aggiunge anche un moto di traslazione del sistema sorgente-rivelatore; questo permette di ottenere le singole slice a diverse altezze. L immagine è successivamente ingrandita da un sistema di microscopia ottica e poi catturata da una camera CCD. Per ottenere alte risoluzioni e tomografie libere da artefatti la rotazione degli assi del campione e la camera devono essere accuratamente allineate e questo richiede un elevata precisione degli elementi meccanici. Grazie all elaborazione grafica realizzata dal computer (Figura 3.9), le immagini delle radiografie vengono analizzate e si trae da esse la ricostruzione dell interno del campione e, quindi, la completa visualizzazione delle sue strutture esterne e interne. 56

57 Figura 3.8 Schema di funzionamento di una micro-ct [62]. Figura 3.9 Schema della ricostruzione delle immagini [62]. A questo punto si rende disponibile all operatore la piena acquisizione digitale del campione: il modello che appare al computer è un modello reale (non una semplice immagine) e, quindi, su di esso è possibile effettuare misurazioni morfometriche, calcoli statistici di distribuzione delle aree o delle densità, sezioni secondo qualsiasi piano, eccetera, il tutto senza aver in nessun modo modificato il campione utilizzato. 57

58 3.4.3 MicroCT mediante luce di sincrotrone La fase di sviluppo iniziale della micro-ct è legata alla costruzione dei grossi acceleratori di particelle, quali i sincrotroni di terza generazione. La microtomografia computerizzata abbinata all utilizzo della luce di sincrotrone mostra diversi vantaggi derivanti dall uso della radiazione di sincrotrone. Tale radiazione offre la possibilità di selezionare i raggi X all interno di una banda di energia piccola, se confrontata con l ampio e continuo spettro di energia, con il vantaggio di ottenere un flusso di fotoni elevato a tal punto da ottenere un imaging molto efficiente [63-65]: consente, infatti, di ottenere immagini ad elevata risoluzione spaziale (da 10 a 1 micron), con un elevato rapporto segnale/rumore [66] [67] [68]. La micro-ct con luce di sincrotrone trae vantaggio anche da altre caratteristiche peculiari del fascio incidente come l elevato grado di monocromaticità e la notevole coerenza spaziale solitamente disponibile. Quest ultimo aspetto permette l acquisizione di immagini in contrasto di fase (PHase Contrast Imaging), accanto alla tradizionale modalità in assorbimento. Con la tecnica del PHC si recuperano le informazioni sulla variazione di fase ed ampiezza del fronte d onda dovute all attraversamento dal campione da parte dei fotoni, potendo di conseguenza riconoscere materiali leggeri altrimenti trasparenti ai raggi X, come i campioni biologici oppure un filo di nylon, e contemporaneamente di discriminare fra loro materiali aventi coefficiente di attenuazione molto simile, altrimenti indistinguibili. L altra tipica caratteristica della tomografia con luce di sincrotrone consiste nella geometria del fascio incidente, che è costituito da raggi approssimativamente paralleli tra loro (solitamente, infatti, la grande distanza presente fra la sorgente di radiazione ed il campione, dell ordine di alcune decine di metri, rende la divergenza laterale dei raggi molto piccola da consentire tale assunzione). L intensità I del fascio monocromatico di raggi X dopo che è passato attraverso un campione di spessore d caratterizzato dalla distribuzione μ(w,y,z), dove μ è il coefficiente di attenuazione lineare dei raggi X (μ= coefficiente di assorbimento), è data dalla generalizzazione dell equazione: I(y,z)=I exp(- 0 0 d μ(x,y,z)dx) dove I 0 è l intensità del fascio entrante. Il primo passo per un corretto esperimento di microct è la selezione di un fascio idoneo. Le radiazioni fornite dal sincrotrone possono essere usate per la tomografia senza ulteriori trattamenti. I cosiddetti fasci bianchi, sono policromatici e molto intensi; aumentano l indurimento del fascio, un artefatto noto quando vengono utilizzati tubi di raggi X da Laboratorio. Il loro utilizzo, quindi, è limitato a pochi casi e generalmente sono preferiti i raggi X monocromatici. 58

59 Per rendere monocromatica la radiazione entrante possono esse utilizzati singoli cristalli oltre che strutture multistrato. Il fascio entrante colpisce la superficie del cristallo inclinata di un certo angolo θ e solo una certa lunghezza d onda che interferisce costruttivamente verrà riflessa in accordo con la legge di Bragg. Variando l angolo di incidenza dei fotoni, la lunghezza d onda riflessa cambia. Per rendere monocromatica la radiazione del sincrotrone sono di solito usati in modo combinato due di questi cristalli. Ciascuno dei cristalli monocromatori seleziona una lunghezza d onda, o un valore dell energia E 2 hc più precisamente; essi possono accettare un energia dell ordine di E 1 * 10 E Corrispondentemente,l intensità di un raggio monocromatico è molto più bassa di quella di un raggio bianco. Per evitare un eccessiva perdita di flusso, in molte applicazioni tomografiche sono usati monocromatori multistrato che presentano una risoluzione di energia molto più bassa E 1 *10 E 2, ma che risulta adeguata in diverse applicazioni. Cedere un maggiore flusso in cambio di una più bassa risoluzione è spesso un chiaro beneficio. Un sicuro inconveniente è che per alte energie l angolo di incidenza per monocromatori multistrato diventa molto piccolo e ciò conduce ad avere un piccolo fascio verticale e alla possibilità di un illuminazione non omogenea degli specchi multistrato ogni volta che l angolo è di pochi mrad. Recentemente il progresso tecnologico che ha condotto alla realizzazione di sorgenti di raggi X da laboratorio aventi una macchia focale di dimensione micrometrica, o anche sub-micrometrica, ha favorito una rapida diffusione di stazioni per micro-ct indipendenti e di sistemi, per così dire, portatili. In questi casi, in cui la geometria del fascio risulta conica, la riduzione delle dimensioni finite della sorgente è fra i fattori determinanti per il raggiungimento di elevate risoluzioni spaziali. In particolare, la ridotta macchia focale, unitamente alla possibilità di ingrandimento per via geometrica del campione sul piano di acquisizione, ovvero il tipo di rivelatore impiegato e la dimensione dei suoi pixel, sono tutti aspetti da ponderare con cura..nella pratica, dettagli di pochi micrometri possono venire evidenziati su campioni di dimensioni millimetriche, rendendo, da questo punto di vista, i risultati ottenuti mediante apparecchiature da laboratorio spesso paragonabili a quelli conseguiti con sorgenti che sfruttano la luce di sincrotrone. Le informazioni che si ricavano con la microct tradizionale (tomografia per assorbimento) sono relative alla capacità di assorbimento del materiale e, quando un fascio di raggi X si propaga in una dimensione attraverso un campione, l intensità dei raggi, intesa come il numero di fotoni che entra nel campione, varia da strato a strato e da zona a zona: ciò è dovuto all attenuazione prodotta dalle diverse fasi presenti nel materiale

60 Nelle analisi tomografiche si effettua un numero elevato di proiezioni, da cui si rileva la distribuzione spaziale dell attenuazione subita dalla radiazione; tali analisi forniscono, dunque, un parametro, legato all assorbimento della radiazione, definito coefficiente di assorbimento. Dalle analisi tomografiche si elaborano immagini, corrispondenti a sezioni del campione in esame, in cui è evidente la distribuzione spaziale di tale coefficiente. Le immagini sono in bianco e nero (Figura 3.10) e alle diverse sfumature di grigio corrispondono differenti valori di assorbimento: il nero e il grigio scuro corrispondono a bassi valori di assorbimento (bassa densità del materiale); al contrario al bianco e al grigio chiaro corrispondono alti valori di assorbimento (alta densità del materiale): l analisi permette, dunque, la valutazione quantitativa della densità di un materiale. 3 mm 40 m 0.75 mm Figura 3.10 Esempi di immagini tomografiche. La combinazione delle tecniche a raggi X con la rielaborazione tomografica consente di ottenere informazioni sulla microstruttura interna del campione, ricostruendo ogni singola area come un package di visualizzazioni volumetriche. Il contrasto nell immagine è il risultato delle informazioni ottenute sulla densità e sulla composizione del campione. Inoltre, con tale tecnica è possibile: 1. Osservare il campione da qualsiasi prospettiva e visualizzarlo secondo un qualunque asse; 2. Avere informazioni di carattere morfometrico sul campione osservato; 3. Effettuare possibili misurazioni morfometriche di vario genere in automatico; 4. Effettuare misure della porosità; 5. Caratterizzare i materiali multifasici, con individuazione e quantificazione dei difetti del materiale quali cricche, crateri, fessurazioni; 6. Eseguire test meccanici e termici (applicazioni di forza, temperatura, torsioni ecc.). 60

61 Capitolo 4 L ATTIVITÀ SPERIMENTALE E SOFTWARE DI ANALISI 61

62 4.1 Materiali e metodi Lo scopo principale dell attività di ricerca della presente tesi di Dottorato è stato quello di studiare i meccanismi genetici che sottostanno alla patofisiologia ossea e comprendere il ruolo svolto dal transgene PTN nel controllo della massa ossea in seguito a modifiche delle condizioni di gravità terrestre. Nella presente ricerca è stato verificato quindi se, a livello della metafisi del femore, del corpo vertebrale della spina (VII lombare) e a livello delle ossa non portanti del cranio (osso parietale), la densità minerale e di massa ossea risulti alterata nel topo in cui è espresso il gene umano PTN. Tale gene è stato scelto in quanto si è visto che ha effetti positivi sul turnover osseo [69]. L ipotesi era appunto che tale gene avesse funzioni protettive contro la perdita ossea dovuta alla riduzione della gravità Preparazione dei campioni Il modello di topo transgenico utilizzato è stato lo stesso per tutti gli esperimenti proposti (in micro e macro-gravità e in tail-suspension ); gli animali avevano 2 mesi all inizio dei test e la durata di ogni esperimento è stato fissato in 90 giorni. Per gli esperimenti in microgravità sono stati selezionati topi divisi in sei gruppi, ciascuno dei quali costituito da 3 topi aventi caratteristiche identiche ai fini statistici: F-WT (Flight Wild type) - Topi Wild type che hanno sperimentato la condizione di microgravità a seguito della permanenza in ISS per 90 giorni (nr. 3 topi); G-WT (Ground Wild type) - controllo a terra Wild type allevato in gabbie analoghe all esperimento di volo (nr. 3 topi); V-WT (Vivarium Wild type) - controllo di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 3 topi); PTN Tg F (Flight PTN Transgenic) - Topi transgenici che hanno sperimentato la condizione di microgravità a seguito della permanenza in ISS per 90 giorni (nr. 3 topi); PTN Tg G (Ground PTN Transgenic) - controllo a terra transgenico allevato in gabbie analoghe all esperimento di volo (nr. 3 topi); PTN-Tg V (Vivarium PTN Transgenic) - controllo a terra transgenico di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 3 topi). La differenza tra il controllo di terra e di laboratorio è che i primi sono quei topi alloggiati nelle gabbie MDS sulla terra, mentre il controllo di laboratorio è caratterizzato dai topi in vivo nelle facility animali. Per gli esperimenti in macrogravità sono stati analizzati topi cosi suddivisi: WT 2g ( 2g Wild type) - Topi Wild type sottoposti alla doppia gravità (nr. 7 topi); WT V (Vivarium Wild type) - Controllo di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 6 topi); PTN-Tg 2g (2g PTN Transgenic) - Topi transgenici che hanno sperimentato la condizione di macrogravità a seguito della permanenza nella centrifuga per 90 giorni (nr. 4 topi); 62

63 PTN-Tg V (Vivarium PTN Trasgenic) - Controllo transgenico di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 5 topi). I campioni analizzati infine nell esperimento denominato in condizioni tail-suspended erano così suddivisi: WT V (Vivarium Wild type) - Controllo di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 6 topi); PTN-Tg V (Vivarium PTN Trasgenic) - Controllo transgenico di laboratorio allevato in gabbie convenzionali (nr. 5 topi); WT tail-suspended (Tail-suspended Wild type) - Topi Wild type sottoposti all esperimento di tailsuspension (nr. 7 topi); PTN-Tg tail-suspended (Tail-suspended PTN Transgenic) - Topi transgenici che hanno sperimentato la condizione di tail suspension (nr. 6 topi). La procedura con cui gli animali sono stati allevati e sacrificati è in accordo con gli standard della Comunità Europea riguardanti la custodia e l uso degli animali da laboratorio. Nelle condizioni in vivo i topi sono stati mantenuti in ambienti caratterizzati da una temperatura di C, una umidità relativa di 40-60% e 12 ore di ciclo buio/luce. Il cibo e l acqua erano forniti ad libitum ai topi dell esperimento in vivo. Per gli animali ospitati nelle gabbie MDS durante gli esperimenti di controllo in volo e a terra, solo l acqua era somministrata ad libitum, mentre 5 gr/die di cibo era fornito automaticamente dal modulo MDS [70]. Per effettuare le analisi sul tessuto osseo sono stati sacrificati i topi di ciascun gruppo. I femori, le spine lombari e le calvaria, sono state asportate, fissati in un buffer PBS con il 10% di formalina overnight. I femori destri sono stati poi lavati tre volte in PBS e conservati in etanolo al 70% a 4 C, mentre le corrispondenti ossa sinistre sono state lavate direttamente con acetone prima di essere conservate in acetone a 4 C Esperimento di micro-ct Le analisi di microtomografia a raggi X abbinata a luce di sincrotrone sono state effettuate presso la Beamline SYRMEP della facility ELETTRA (Trieste, Italia). I parametri sperimentali che sono stati adottati per l acquisizione delle immagini dei campioni sono i seguenti: Energia : 19 KeV; Risoluzione: 9 μm; 1200 proiezioni angolari su 180 ; 63

64 Dopo l acquisizione dei dati radiografici, è stata effettuata una ricostruzione tomografica per mezzo di un algoritmo di retroproiezione tridimensionale filtrata in modo da poter ottenere l immagine della struttura tridimensionale dell osso. Mediante la micro-ct è stata determinata la mineralizzazione dell osso dei campioni precedentemente descritti. Le slices tomografiche sono state usate per stimare quantitativamente il contenuto minerale dell osso trabecolare. L esperimento di micro-ct è stato effettuato in condizioni di assorbimento, cioè con il campione posto a distanza ravvicinata dal detector. Per quanto riguarda lo studio dei femori, l analisi della struttura trabecolare è stata limitata ad un ristretto sottovolume corrispondente al massimo prisma rettangolare (circa 5 mm di altezza per l esperimento in microgravità, circa 4 mm per gli esperimenti in macrogravità e tail-suspension) inscrivibile all interno della parete corticale (Figura 4.1). Per l analisi corticale è stata considerata una porzione spessa 540 μm lontana 4 mm dalla fabella mediale e laterale. Figura 4.1 Volume di campionamento trabecolare [71]. Per le spine lombari, l analisi si è focalizzata sul corpo vertebrale del VII anello lombare corrispondente al massimo prisma di circa 2 mm di altezza (Figura 4.2). 64

65 Figura 4.2 Slices della vertebra lombare. I volumi di campionamento trabecolari sono stati scelti, per tutte le spine lombari, nel corpo vertebrale del VII anello lombare [71]. Per l analisi delle ossa non portanti (calvaria), sono state selezionate porzioni spesse 460 μm nel mezzo della porzione sinistra dell osso parietale in direzione trasversale dalla sutura sagittale (Figura 4.3). Figura 4.3 Ricostruzione 3D delle Calvaria. I volumi analizzati nelle calvaria sono ristretti alle ossa parietali [72]. I parametri della microarchitettura tridimensionale dell osso ed i valori della Densità di Mineralizzazione Ossea ( BMD) sono stati determinati per mezzo della microct. La struttura trabecolare all interno del femore e del corpo vertebrale lombare è stata rappresentata nelle tre dimensioni: questo ha permesso il calcolo dei parametri morfometrici 3D dell architettura trabecolare dell osso. 65

66 I seguenti descrittori quantitativi per l architettura dell osso trabecolare sono stati estratti mediante il Software commerciale VG Studio Max: Volume Totale della regione considerata (TV espresso in mm 3 ); Volume dell osso (BV espresso in mm 3 ); Rapporto del volume dell osso rispetto al volume totale (BV/TV espresso in %); Rapporto della superficie dell osso rispetto al volume dell osso (BS/BV espresso in mm -1 ) ; Spessore trabecolare medio (Tb.Th- espresso in µm) ; Numero di trabecole per millimetro (Tb.Nr mm -1 ) ; Distanza media trabecolare ( Tb.Sp espresso in µm). 4.2 Analisi delle dinamiche di mineralizzazione ossea Software di analisi: VGStudio MAX VGStudio MAX 1.2, prodotto da Volume Graphics Gmgh (Heidelberg, Germania) è un software progettato per supportare l analisi interattiva di dati di imaging tridimensionale. Tale analisi è basata sullo studio del voxel (volumetric pixel o più precisamente volumetric picture element), un elemento di volume che rappresenta l intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale. Il voxel è un estensione del concetto di pixel, il quale si riferisce a un elemento di un immagine bidimensionale, nello spazio 3D. Pertanto, dati volumetrici descritti tramite voxels rappresentano il risultato di qualche processo di campionamento di un oggetto tridimensionale o di una struttura. Tipici sistemi di campionamento sono la tomografia a raggi X (CT), la tomografia ad emissione di positroni, la microscopia confocale e l imaging a risonanza magnetica (MRI). VGStudio Max 1.2 è un software avanzato per la visualizzazione e l analisi di immagini ed è stato sviluppato per fornire all utente uno strumento potente, ma con un interfaccia facile da utilizzare, per processare e visualizzare voxel e dati volumetrici ottenendo elevate prestazioni. Inoltre, permette di sfruttare la tecnologia della grafica dei volumi e i suoi vantaggi per applicazioni che necessitano la visualizzazione di oggetti irregolari o per situazioni in cui è essenziale la rappresentazione di dettagli della struttura interna con un alta qualità ed elevata risoluzione. VGStudio MAX è a livello mondiale la prima applicazione a fornire un'interfaccia grafica intuitiva e standardizzata per l utente in combinazione con le più avanzate tecnologie di trattamento e visualizzazione dell immagine. Con questo software è anche possibile ottenere immagini ad alta qualità e le animazioni dei dati che si vogliono analizzare. VGStudio MAX è oggi utilizzato da professionisti del settore industriale, sanitario e della scienza, in tutto il mondo. Il rendering del volume o, più generalmente, la volume graphics è una specialità della grafica computazionale che si occupa di visualizzazioni e rappresentazioni discrete di oggetti che sono il risultato di dati campionati in tre o più dimensioni. In particolare, a differenza dalla grafica 3D 66

67 tradizionale che si occupa principalmente di rappresentare le superfici, in questo caso si rendono possibili non solo queste ma anche rappresentazioni dettagliate della struttura interna dell oggetto di interesse. Nella volume graphics, ad esempio, scansioni da CT o MRI, a cui sono assegnati livelli di colore differenti nella ricostruzione 3D, vengono poi proiettate direttamente sul schermo del PC (Figura 4.4). Negli ultimi anni, la popolarità della volume graphics è cresciuta notevolmente a causa della crescente domanda da parte dei servizi sanitari, nonché delle società industriali (ad esempio nel settore automobilistico e aerospaziale). Fino a pochi anni fa, il suo utilizzo era ancora limitato perché richiedeva una potenza di calcolo e di memoria troppo grande per le caratteristiche delle strumentazioni hardware in dotazione presso la maggior parte dei laboratori di Ricerca (Figura 4.5). Figura 4.4 Livelli di colore e trasparenza sono assegnati a scansioni da CT o MRI e sono proiettate direttamente sullo schermo del PC [73]. 67

68 Figura 4.5 Alcuni esempi di applicazioni di VGStudioMax [73]. A differenza del processamento dell immagine 2D classico o avanzato, l analisi e la visualizzazione del volume producono enormi quantità di dati: memoria, prestazioni del processore e algoritmi sono, quindi, aspetti critici. Grazie ai sofisticati algoritmi utilizzati e all aumento della potenza di calcolo dei computer, la volume graphics e l analisi dati di volume diventa accessibile a tutti visto che il software funziona su un PC standard. Utilizzando VGStudio MAX, si possono trarre i vantaggi di tale tecnologia per ottenere la visualizzazione di oggetti irregolari e della loro struttura interna con una rappresentazione dei dettagli ad alte risoluzioni, come ad esempio richiesto per le rappresentazioni del corpo umano nelle attività di diagnostica medica. L interfaccia di VGStudio MAX comprende sette elementi principali (Figura 4.6): 68

69 - La Barra del titolo (Title bar); - La Barra dei Menu (Menu bar); - La Barra delle Icone (Icon bar); - La Finestre di visualizzazione delle slice (Slice windows); - La Finestra per la visualizzazione 3D (3D windows); - Il Tool box - Barra di stato (Status bar ). Tutte le funzioni incluse in VGStudio MAX sono accessibili selezionando le opzioni nel menu principale, cliccando i pulsanti nella Icon bar, utilizzando gli strumenti disponibili nel Tool box, o tramite i menu che si aprono cliccando su di un elemento con il pulsante destro del mouse. Ogni voxel è caratterizzato da una posizione e un valore; la prima è identificata da 3 coordinate che specificano la localizzazione all'interno della matrice di tridimensionale. L'origine del set di dati è considerato il centro del primo voxel (cioè, il voxel con coordinate (0,0,0 )). La prima coordinata rappresenta la colonna, la seconda la riga e la terza rappresenta l'immagine (o sezione) (Figura 4.7 A). Oltre alla finestra con la vista 3D, sono presenti tre finestre che mostrano le immagini 2D ottenute secondo le tre sezioni ortogonali: assiale, frontale, sagittale (Figura 4.7 B). Gli assi x, y e z e i piani ad essi ortogonali sono codificati attraverso uno schema di colori usato per l intera interfaccia: - l asse x e il piano immagine ortogonale ad esso sono mostrati in rosso, - l asse y e il piano immagine ortogonale ad esso sono mostrati in verde, - l asse z e il piano immagine ortogonale ad esso sono mostrati in blu. Nelle tre slice windows è mostrato, nell angolo in basso a sinistra, il sistema di riferimento che mostra l orientazione della relativa immagine nel set di dati 3D. 69

70 Figura 4.6 Interfaccia del software VGStudioMAX [73]. Figura 4.7 Schema di un insieme di Voxel (A); VGStudioMax oltre al campione 3D mostra le immagini 2D in direzione assiale, frontale e sagittale [73]. 70

71 4.2.2 Software d analisi: ImageJ ImageJ (versione 1.42q Wayne Rasband National Institutes of Health, USA) è un software open source, programmato in JAVA, che nasce con l obiettivo di emulare le funzionalità dei più comuni software commerciali per l image processing. Originariamente progettato dalla NIH (National Institutes of Health) per il Macintosh, eredita dal linguaggio JAVA i vantaggi derivanti dalla portabilità su differenti piattaforme. ImageJ (Figura 4.8) consente di visualizzare, modificare, analizzare, processare, salvare e stampare immagini a 8-bit, 16-bit, 32-bit. Diversi sono i formati supportati: TIFF, GIF, BMP, JPEG, Permette, inoltre, di effettuare operazioni in parallelo e supporta le cosiddette stacks, cioè serie di immagini che condividono la stessa finestra. Supporta le più comuni trasformazioni geometriche come scaling e rotazione e operazioni di zooming. Oltre a misurare distanze e angoli, plottare grafici e istogrammi, ImageJ offre anche la possibilità di calcolare l area e le statistiche sui valori dei pixel relativamente a delle regioni (ROI= Region Of Interest) selezionate dall utente. Menu Bar Tool Bar Status Bar Figura 4.8: Finestra principale di ImageJ. Questa è proprio la caratteristica di tale software maggiormente sfruttata nel presente lavoro. Usando la Freehand Line Selection Tool, che consente di creare una linea la cui forma è scelta dall utente, e lo zooming sono stati rilevati i valori relativi ai pixel delle ROI, in questo caso relativi allo scheletro delle aree trabecolari (Figura 4.9). Nelle varie slices, ingrandite al massimo per visualizzare i singoli pixel ed essere quindi sicuri di trovarsi all interno della trabecola (Figura 4.10), sono stati selezionati dei tratti e calcolati i relativi valori, concentrandosi in particolare sui valori di densità medi, minimi e massimi. 71

72 ROI Figura 4.9 Zone trabecolari (Region Of Interest). 72

73 Sono state prese in considerazione solo le aree dello scheletro della trabecola; le aree vicino ai bordi trabecolari non sono state analizzate. Sono stati tralasciati quei tratti di trabecola per i quali la differenza tra valore massimo e minimo superasse le 20 unità (in termini di livello di grigio su una scala di 256 unità). La risoluzione utilizzata non consente di visualizzare le porosità trabecolari, che hanno dimensioni tra i 3 e i 7 μm in base a precedenti analisi effettuate presso le Sorgenti di Luce di Sincrotrone con una risoluzione superiore a 3 μm. Limitando la differenza tra valore massimo e minimo ad un range di 20 unità si tenta di evitare di considerare zone con eccessive variazioni di assorbimento (come le interfacce tra una trabecola e un poro). Figura 4.10 Esempio di rilevazione dei dati di un tratto trabecolare. Vengono, quindi, contati i livelli di grigio medi nelle aree trabecolari dove vale la seguente legge: max GreyLevel CompleteGr min GreyLevel eyscale (1) 73

74 Con una risoluzione maggiore sarebbe possibile individuare anche i pori più piccoli e quindi aggirarli. Oltre ai dati relativi ai tratti trabecolari, in ogni immagine sono stati prelevati dati relativi al background (Figura 4.11). Questo idealmente non dovrebbe assorbire fotoni e restituire quindi livelli di grigio pari a 0. In realtà il background assorbe una piccola quantità di fotoni e fornisce livelli di grigio molto bassi ma non nulli (in genere 2). Figura 4.11 Esempio di rilevazione del background. In ogni immagine si è cercato di rilevare il maggior numero possibile di valori trabecolari per avere poi risultati dal punto di vista statistico più affidabili. 74

75 4.2.3 Dal coefficiente sperimentale di assorbimento al calcolo della densità di mineralizzazione ossea Le informazioni che si ricavano con la microct tradizionale (tomografia per assorbimento) sono relative alla capacità di assorbimento dei fotoni da parte del materiale. Quando un fascio di raggi X si propaga in una direzione attraverso un campione, l intensità trasmessa dal campione diminuisce progressivamente man mano che si attraversa il materiale; ciò è dovuto all attenuazione prodotta dal materiale stesso. Quando la radiazione elettromagnetica interagisce con un mezzo, infatti, una parte è assorbita dal mezzo, una parte lo attraversa senza alcuna interazione e una parte è diffusa come fotoni di bassa energia con direzioni differenti dalla radiazione primaria. L attenuazione e l assorbimento possono avvenire in condizioni di buona o cattiva geometria. Un campione di un dato spessore x e densità ρ quando viene irradiato da un fascio di fotoni monoenergetici di intensità I 0, trasmette una quantità di radiazione pari a I(x) secondo la legge: I 0 ( x) I e (2) x dove μ è il coefficiente di attenuazione lineare. Questa relazione è valida in condizioni di buona geometria. Essendo i dati digitali forniti da scanner a raggi X strettamente correlati ai coefficienti di assorbimento, la misura del coefficiente di assorbimento è diventato, nel corso degli ultimi anni, di fondamentale importanza specialmente nel campo delle applicazioni afferenti l area medica, ma non solo. Per programmare questo tipo di strumenti è pertanto necessario conoscere, con la dovuta precisione, detti coefficienti, con particolare riguardo ai materiali composti. Noto il materiale, il suo spessore, I e I 0, si ricava il coefficiente di attenuazione di massa (cm 2 /g) mediante la relazione: 1 * x ln Io I (3) dove il prodotto ρ*x è la massa per unità di area. Il coefficiente di attenuazione di massa è indipendente dalla densità del materiale. L esperimento di micro-ct è stato effettuato in condizioni di assorbimento (campione a distanza ravvicinata dal detector). In questo modo i livelli di grigi nelle immagini tridimensionali, i quali sono rappresentativi del coefficiente di assorbimento lineare dei campioni (espresso in cm -1 ), non sono uniformi all interno del tessuto osseo. I livelli di grigio ricostruiti dall immagine di micro-ct mediante raggi X sono stati 75

76 messi in relazione con il grado di mineralizzazione dell osso mediante l uso di una relazione teorica che è stata validata mediante dati sperimentali [74]. Il grado di mineralizzazione nei campioni analizzati è rappresentato dalla densità del volume osseo [mgha/cm 3 ] ed è calcolato mediante l equazione: TrB HA * HA TrB (4) dove: HA è la densità nominale dell idrossiapatite (HA) 3140 mg/cm 3 ; HA è il coefficiente di assorbimento lineare dell idrossiapatite alla specifica energia del fascio (kev); TrB è il coefficiente di assorbimento lineare del tessuto osseo trabecolare alla specifica energia del fascio; TrB è la densità del tessuto osseo trabecolare [mgha/cm 3 ] parametrizzato rispetto all HA. In questo modo, quindi, si calcola la densità dell osso parametrizzata rispetto all idrossiapatite. Alla relazione utilizzata si è arrivati assumendo uguali i coefficienti di attenuazione di massa dell osso e dell idrossiapatite, cioè: lbone bone lha HA Per calibrare il contenuto minerale, abbiamo utilizzato il coefficiente lineare di assorbimento dell acqua distillata. L analisi di micro-ct dell acqua distillata è stata realizzata alle stesse condizioni sperimentali utilizzate per l osso [75]. I coefficienti di assorbimento lineari dei vari materiali (in questo caso H 2 O e HA) sono tabulati per i diversi valori di energia delle sorgenti utilizzate e disponibili nel sito del NIST (National Institute of Standard end Tecnology). Indicando la formula chimica del materiale, la sua densità e l intervallo di energia si ottengono un grafico e una tabella che riportano i valori del coefficiente lineare di assorbimento del materiale considerato per i valori di energia nell intervallo specificato. In un diagramma cartesiano che riporta i livelli di grigio (μ exp ) in funzione del coefficiente di assorbimento lineare nominale (μ nom ) sono note le coordinate di due punti A e B, che si riferiscono al background e all acqua rispettivamente. Il punto A ha come coordinata in ascissa il valore 0 (idealmente non assorbe e quindi il suo coefficiente nominale è nullo) e in ordinata il valore medio di tutti i background rilevati sperimentalmente. Il punto B ha in ascissa il valore del coefficiente 76

77 nominale dell H 2 0 (valore tabulato), mentre in ordinata ha la media dei dati ricavati dalle immagini del campione di acqua. Per due punti noti passa una e una sola retta ed è quindi possibile stabilire la relazione lineare tra i coefficienti di assorbimento teorico (μ nom ) e quelli sperimentali (μ exp ) [76]. Per migliorare tale procedura sarebbe opportuno ripetere queste operazioni su altri standard diversi dall acqua distillata, possibilmente liquidi perché garantiscono maggior omogeneità [77] [78]. In questo modo si determinerebbero altri punti della retta e quindi si ridurrebbe l errore di calibrazione. I dati sperimentali si ottengono calcolando il valore medio di tutte le rilevazioni effettuate su ciascun campione analizzato. Dai dati sperimentali, attraverso l equazione della retta individuata, si ricavano i relativi valori del coefficiente d assorbimento lineare, cioè il μ nom dell osso per ciascun campione di topo investigato. Considerando la densità dell idrossiapatite pari a 3,14 g/cm 3, si hanno a questo punto tutti i dati necessari per calcolare la densità ossea (ρ bone ), in termini di mgha/ cm 3, di ciascun campione, utilizzando l equazione (4). 77

78 Capitolo 5 ANALISI DEI DATI 78

79 5.1 Metodi e Software per le Analisi Nella presente tesi è stata utilizzata la tecnica di microtomografia a raggi X per determinare la densità di mineralizzazione ossea [BMD espressa in termini di mgha/cm 3 ] e la struttura morfometrica dei siti ossei nei vari topi considerati. Per quanto riguarda l analisi della densità di mineralizzazione, ogni slice tomografica è stata analizzata con il software ImageJ. Per ogni campione sono stati rilevati i livelli di grigio (in una scala unsigned- 8 bit da 0 a 256) delle varie strutture ossee e calcolato il loro valore medio. I livelli di grigio, dal nero al bianco, corrispondono a valori via via crescenti di densità di mineralizzazione ossea. Da questi valori sono stati ricavati i coefficienti di assorbimento lineari (valore nominale), dai quali si è poi passati alla densità di mineralizzazione ossea [mgha/cm 3 ], come ampiamente discusso nel paragrafo Per quanto riguarda invece l analisi morfometrica, i diversi parametri ottenuti per ogni topo considerato e nei diversi siti ossei, laddove ritenuto significativo in base alla numerosità del campione, sono stati trattati statisticamente mediante il software SigmaStat (versione 3.5, Systat, San Jose, California). Un esempio dell interfaccia grafica del Software è data in Figura 5.1. Questo programma permette di realizzare qualsiasi tipo di analisi statistica e di riportare graficamente i risultati ottenuti. Figura 5.1 Software SigmaStat. 79

80 SigmaStat, infatti, offre numerosi tools che supportano l analisi, l interpretazione e la visualizzazione grafica dei dati, in quanto: 1. Garantisce che venga utilizzato il metodo statistico più appropriato per l analisi dei propri dati; 2. Evita il rischio di errori statistici; 3. Interpreta i risultati correttamente; 4. Genera una visualizzazione corretta e un report professionale. La micro-architettura è un determinante importante della qualità dell osso [79] e sembra costituire un fattore di rischio per frattura indipendente dalla densità scheletrica [80]. Sono stati definiti alcuni parametri che riflettono l organizzazione tridimensionale della rete trabecolare, in termini di connettività fra le trabecole. I parametri di base che descrivono la morfologia trabecolare sono: - Il Volume Totale (TV, espresso in μm3): è il volume totale analizzato; - Il Volume Osseo (BV, espresso in μm3 ): è il volume osseo misurato; - Il rapporto tra Volume Osseo e Volume Totale (BV/TV - %): rappresenta la porzione di osso espressa come percentuale sul volume del campione esaminato. È una valutazione della densità ossea comparabile a quella ottenuta con metodiche non invasive (DXA); - Il rapporto tra superficie e Volume Osseo (BS/BV, espresso in mm -1 ): rappresenta la superficie specifica dell osso analizzato; - Ct.Th è lo spessore medio delle corticali espresso in μm; - Tb.Th è lo spessore medio trabecolare, anch esso espresso in μm; - Tb.Sp è la distanza media trabecolare espressa in μm; - Tb.Nr è il numero medio di Trabecole per mm [81]. 5.2 Effetto della microgravità sulle ossa di carico Analisi morfometriche Poiché i diversi tipi di ossa rispondono in maniera differente alla gravità modificata in base alle loro caratteristiche di utilizzo e al tempo di esposizione a tale condizione, sono state analizzate sia ossa di carico (femore e spine lombari) sia ossa non di carico (calvaria) di tutti gli animali presi in esame. Le analisi di microtomografia computerizzata a raggi X sono state quindi eseguite anche al fine di ottenere una caratterizzazione tridimensionale della micro architettura ossea, come riportato nelle Tabelle

81 Tabella 5.1 Parametri morfometrici in femori di topi WT. Tabella 5.2 Parametri morfometrici in femori di topi PTN-Tg. Anche se non è stata effettuata un efficace analisi statistica a causa del ridotto numero di campioni, in tutti i femori di topi Wt e PTN-Tg esposti a microgravità (Flight) è stata osservata una significativa diminuzione dei valori del rapporto BV/TV rispetto ai femori dei controlli di terra allevati nelle gabbie convenzionali (Vivarium) e in gabbie analoghe all esperimento in volo (Ground). Il valore del numero di trabecole per millimetro (Tb.Nr) calcolato ha confermato gli stessi risultati ottenuti dall analisi del rapporto BV/TV, mostrando quindi una diminuzione del numero trabecolare nei campioni in volo rispetto ai controlli di terra sia Vivarium che Ground. 81

82 Tabella 5.3 Parametri morfometrici nelle spine di topi WT. Tabella 5.4 Parametri morfometrici nelle spine di topi PTN-Tg. Non sono invece state riportate variazioni significative dello spessore trabecolare medio (Tb.Th) dei femori, indipendentemente dalle tre condizioni sperimentali. Anche il rapporto BS/BV è risultato un parametro relativamente stabile: i valori ottenuti erano comparabili sia nei topi Wt sia in quelli PTN-Tg e non aumentavano notevolmente dopo il volo. Coerentemente con i parametri precedentemente considerati, la distanza media trabecolare (Tb.Sp) è aumentata in tutti i campioni dopo il volo. Inoltre la mappa a colori relativa alla distribuzione di spessore trabecolare nelle ossa dei femori Flight, dei Ground e dei Vivarium ha confermato una significativa diminuzione dei valori Tb.Nr sia nei topi Wt che nei topi PTN-Tg sottoposti alla condizione di microgravità rispetto ai controlli, come già osservato tramite l analisi 3D morfometrica (Figura. 5.2 A-C). 82

83 Figura 5.2 Distribuzione dello spessore osseo trabecolare. Mappa a colori nei femori rappresentativi dei controlli di laboratorio, dei controlli a terra e dei topi in volo Wt2 (A), PTN-Tg1 (B), PTN-Tg2 (topi tornati vivi dalla missione spaziale) (C). Mappa a colori nella settima vertebra lombare dei controlli di laboratorio, dei controlli a terra e dei topi in volo: Wt2 (D), PTN-Tg1 (E) e PTN-Tg2 (topi tornati vivi dalla missione spaziale) (F). [82] Dopo tre mesi di esposizione a microgravità, nei due topi PTN-Tg tornati vivi dalla missione su ISS, le trabecole appaiono in percentuale meno ridotte rispetto al topo Wt2 anch esso tornato vivo. Per esaminare più dettagliatamente le variazioni di struttura trabecolare nei femori, è stata anche valutata la distribuzione dello spessore trabecolare in termini di volume trabecolare normalizzato sul volume totale del campione. Gli istogrammi della distribuzione di spessore trabecolare in tutti i topi sono riportati nella Figura 5.3. La distribuzione dello spessore trabecolare nel topo WT3, morto il 16 giorno dall inizio della missione, mostra già un alterazione dello spessore trabecolare in seguito all esposizione a microgravità. L alterazione della distribuzione dello spessore trabecolare nel topo WT1, deceduto dopo 44 giorni dall inizio dalla missione, è ancor più evidente e può essere paragonata a quella osservata nel topo WT2 sopravvissuto al volo. 83

84 Contrariamente, il campione PTN-Tg3, morto dopo 24 giorni dall inizio del volo, presenta una distribuzione dello spessore trabecolare paragonabile ai controlli a terra transgenici allevati in gabbie analoghe all esperimento di volo (Ground) e ai controlli a terra transgenici allevati in gabbie convenzionali (Vivarium). Dagli studi fatti è emerso che l esposizione alla microgravità influenza non solo l osso trabecolare ma anche quello corticale. L analisi di micro-ct ha mostrato una riduzione dello spessore corticale dei femori in tutti i topi sottoposti a microgravità rispetto ai controlli a terra sia Ground che Vivarium, come è evidente anche dalle relative ricostruzioni 3D (Figura 5.4). E interessante notare che il topo Wt e i due topi PTN-Tg tornati vivi sulla terra non sono stati influenzati in maniera maggiore rispetto ai topi morti durante il volo. Diversamente da quanto osservato per i femori, non sono state rilevate differenze significative per i vari parametri morfometrici quando erano confrontate le spine lombari di topi Wt e topi PTN-Tg in condizioni di vivarium. Era invece evidente un importante riduzione del rapporto BV/TV nelle spine dei topi Wt dopo il volo. Inoltre dopo esposizione a microgravità erano evidenti anche alterazioni nel numero di trabecole per millimetro (Tb.Nr) ed alterazioni della distanza media trabecolare (Tb.Sp) in entrambi i topi Wt e PTN-Tg. Queste alterazioni erano però più evidenti nei topi Wt suggerendo una possibile protezione da parte del transgene contro la perdita ossea durante il volo. Le mappe a colori e gli istogrammi della distribuzione dello spessore trabecolare nelle spine lombari sono riportati in Figura 5.2 D,E,F rispettivamente. 84

85 Figura 5.3 Quantificazione della distribuzione di spessore trabecolare nei femori. Confronto tra condizione Flight, Ground e Vivarium nei topi Wt (A-C) e PTN-Tg ( D-F). Il valore riportato per i controlli di laboratorio è una media dei tre animali. [82] 85

86 Figura 5.4 Quantificazione della distribuzione di spessore corticale nei femori Wt (A) e PTN-Tg (B). I valori riportati per le condizioni di vivarium sono una media dei tre animali. Nella parte inferiore sono riportate le mappe a colori della distribuzione di spessore corticale nei topi Wt2 nelle condizioni di vivarium, ground e flight (C1-3) e nei topi PTN-Tg2 in analoghe condizioni. [82] Effetto della microgravità sulle ossa non di carico Si è osservato che le ossa non di carico sono poco o per nulla danneggiate dall esposizione alla microgravità. Un analisi di micro-ct limitata alla valutazione dello spessore osseo è stata eseguita sulle ossa del cranio, e più precisamente sulle ossa parietali. Non è stata osservata alcuna differenza nello spessore delle ossa del cranio di topi Wt e PTN-Tg in condizione di Vivarium. Come si evince dalla Figura 5.6 i due topi transgenici PTN-Tg1 e PTN-Tg2 sottoposti a microgravità presentano uno spessore trabecolare paragonabile ai soggetti Ground e Vivarium relativi ed inoltre non mostrano alterazioni evidenti nello spessore osseo dopo tre mesi di permanenza nello spazio (Figura 5.6 B e C). Il campione Wt2 Flight presenta uno spessore osseo paragonabile alla media dei controlli Vivarium ma più sottile rispetto al corrispondente topo di terra (Ground) Wt2 (Figura 5.6 A e D). 86

87 Figura 5.5. Quantificazione della distribuzione dello spessore trabecolare nelle colonne vertebrali. Topi Wt (A-C) e PTN-Tg (D-F) in soggetti Flight, Ground e Vivarium.Il valore riportato per i controlli di laboratorio è una media dei tre animali. 87

88 Figura 5.6 Analisi delle ossa non di carico. Quantificazione della distribuzione dello spessore dell osso nelle calvarie di Wt2 (A) PTN-Tg1 (B) PTN-Tg2 (C). Mappa a colori dell osso parietale di WT2 (D) PTN-Tg1 (E) e PTN-Tg2 (F) in condizioni Flight, Ground e Vivarium. 88

89 5.2.3 Analisi di densità di mineralizzazione La Tabella 5 mostra la media e la deviazione standard della densità di mineralizzazione ossea [BMD - mgha/cm 3 ] nell osso trabecolare dei diversi femori studiati. Come già illustrato nel paragrafo 4.2.3, questi valori sono stati ottenuti estraendo lo scheletro dell impalcatura trabecolare, valutando le diverse occorrenze numeriche su diverse slices lungo lo sviluppo assiale dell osso, per poi far seguire la somma del numero di occorrenze e la normalizzazione sul numero totale di eventi. Tabella 5 Analisi della densità di mineralizzazione [BMD]. Sono indicate le deviazioni standard. Sample BMD Std.Dev. [mgha/cm 3 ] T1_FEM_F T1_FEM_G T1_FEM_L T2_FEM_F T2_FEM_G T2_FEM_L T3_FEM_F T3_FEM_G T3_FEM_L W1_FEM_F W1_FEM_G W1_FEM_L W2_FEM_F W2_FEM_G W2_FEM_L W3_FEM_F W3_FEM_G W3_FEM_L

90 Basandoci sui dati calcolati ed elencati nella Tabella 5 non si rilevano differenze significative nella BMD, cioè nella composizione chimica minerale, né tra femori di topo Wt e PTN-Tg, né tra i vivarium, i ground e i femori sottoposti alla condizione di volo in entrambi i ceppi. A causa della ridotta quantità di campioni con caratteristiche identiche a priori, l'affidabilità delle presenti indagini (sia quelle morfometriche che quelle relative allo studio della BMD) andrebbe verificata eventualmente mediante altri esperimenti analoghi atti ad incrementare la numerosità dei campioni. Analisi analoghe a quelle effettuate per lo studio di ossa sottoposte a condizioni di microgravità sono state eseguite anche sui campioni ossei ricavati da topi Wt e PTN-Tg sottoposti a condizioni di macrogravità. Tale condizione è stata ottenuta secondo il protocollo sperimentale già descritto nel paragrafo Poiché non sono state ottenute differenze significative per la microgravità (Tabella 5), negli esperimenti di macrogravità non è stata considerata affatto l analisi della densità di mineralizzazione ossea, limitando le analisi alle sole valutazioni morfometriche. 5.3 Effetto della macrogravità sulle ossa di carico Nelle Tabelle 6 e 7 sono riassunti i risultati della caratterizzazione tridimensionale di microarchitettura ossea rispettivamente su femori e spine di topi Wt e PTN-Tg sottoposti a condizioni di macrogravità. Dall analisi dei femori dei topi di controllo allevati in gabbie convenzionali è emerso che i topi Wt presentano un numero medio trabecolare (Tb.Nr) superiore a quello dei topi PTN-Tg e tale risultato è in accordo con i valori ottenuti nel precedente esperimento di microgravità. Sempre in analogia con quanto accadeva nell esperimento di microgravità, si è visto inoltre che i campioni PTN-Tg relativi ai controlli di laboratorio mostrano una diminuzione dei valori del rapporto BV/TV e del numero medio trabecolare (Tb.Nr) rispetto ai corrispondenti campioni Wt e un aumento della distanza media trabecolare (Tb.Sp). Contrariamente invece a quanto atteso, dall analisi dei valori del rapporto BV/TV è emerso che non ci sono differenze significative tra i controlli di laboratorio (Vivarium) ed i campioni esposti alla macrogravità (2g) sia per i topi Wt che per i PTN-Tg. Non sono state inoltre riportate variazioni significative dello spessore medio trabecolare (Tb.Th) dei femori 2g rispetto ai Vivarium e quindi anche il rapporto BS/BV si è rivelato un parametro relativamente stabile. I valori ottenuti sono quindi risultati comparabili sia nei topi Wt che in quelli PTN-Tg, non mutando se sottoposti ad una condizione di doppia gravità. 90

91 Tabella 6 Parametri morfometrici in femori di topi Wt e PTN-Tg Tabella 7 Parametri morfometrici nelle spine di topi Wt e PTN-Tg Per avere un quadro più chiaro e completo è stata anche valutata la distribuzione dello spessore trabecolare in termini di volume trabecolare normalizzato sul volume totale del campione (Figura 5.7). 91

92 Figura 5.7 Quantificazione della distribuzione dello spessore trabecolare nei femori. Esperimenti di macrogravità in topi Wt e PTN-Tg. I valori riportati sono una media degli animali analizzati. Sono indicate le deviazioni standard per ogni gruppo. Anche le analisi relative alla distribuzione di spessore trabecolare non presentano differenze significative tra i campioni sottoposti a condizione 2g e i relativi controlli in entrambi i ceppi. In analogia al protocollo utilizzato nell esperimento di microgravità, anche per la macrogravità è stato studiato l osso corticale sia nei topi Wt che nei PTN-Tg. I risultati sono riportati in Figura 5.8. Dagli studi effettuati è emerso che l esposizione alla macrogravità influenza invece in modo significativo lo spessore dell osso corticale in entrambi i ceppi. In particolare nei topi PTN-Tg lo spessore medio del corticale (Ct.Th) nei campioni 2g risulta significativamente (p=0.003) più elevato (170.0±0.8) dei controlli di laboratorio (163.8±2.6). 92

93 Anche nei Wt si osserva un incremento significativo (p=0.014) dello spessore medio corticale nei soggetti 2g (171.7±5.8) rispetto ai relativi controlli (163.0±4.9). Figura 5.8 Quantificazione della distribuzione dello spessore corticale nei femori di topi in doppia gravità, rispetto ai relativi controlli PTN-Tg e Wt rispettivamente. I valori riportati sono una media sugli animali analizzati. E riportata la deviazione standard per ogni gruppo analizzato. In accordo con i risultati ottenuti dall analisi dei femori, anche per le spine è emerso che non ci sono differenze significative tra i controlli di laboratorio ed i campioni esposti alla macrogravità in entrambi i ceppi e per tutti i parametri morfometrici considerati (Tabella 7). Si evidenzia però che nel caso delle spine e diversamente dai femori, non sussistono neanche differenze significative tra i vivarium Wt e i relativi vivarium PTN-Tg (per quanto il trend suggerisca, in analogia con i femori, un migliore assetto morfometrico delle spine Wt). E inoltre emerso per le spine (Figura 5.9) che non ci sono variazioni significative in merito alla distribuzione dello spessore trabecolare indipendentemente dalle condizioni sperimentali, così come era stato osservato per i femori. 93

94 Figura 5.9 Quantificazione della distribuzione dello spessore trabecolare nelle spine. Topi di controllo e in condizioni di macrogravità in campioni PTN-Tg e Wt. I valori riportati sono una media sugli animali analizzati. Sono indicate le deviazioni standard per ogni gruppo. 94

95 5.3.1 Effetto della macrogravità sulle ossa non di carico Anche per gli esperimenti in macrogravità si è osservato che le ossa che non sopportano pesi (ossa non di carico) sono poco o per nulla modificate dall esposizione alla macrogravità, come accadeva negli esperimenti in microgravità (Figura 5.10). Figura 5.10 Quantificazione della distribuzione dello spessore osseo nei crani. Topi di controllo sottoposti a condizioni di macrogravità in campioni PTN-Tg e Wt. I valori riportati sono una media sugli animali analizzati. Sono indicate le deviazioni standard per ogni gruppo. L analisi di micro-ct si è limitata in questo caso alla valutazione della distribuzione dello spessore osseo sul parietale del cranio. Non è stata osservata alcuna differenza significativa né nella distribuzione dello spessore delle ossa del cranio di topi Wt e PTN-Tg in condizione di vivarium, né tra i vivarium e i topi sottoposti a macrogravità in entrambi i ceppi. 95

96 5.4 Effetto della condizione di tail-suspension sulle ossa di carico Per gli esperimenti di tail-suspension, sono state analizzate le sole ossa di carico, in particolare sono state eseguite analisi di micro-ct solo sui femori ed esclusivamente al fine di ottenere una caratterizzazione tridimensionale della microarchitettura ossea. Tabella 8 Parametri morfometrici nei femori di topi Wt e PTN-Tg Dall analisi dei femori dei topi di controllo allevati in gabbie convenzionali (Tabella 8) è emerso che i topi Wt presentano un numero medio di trabecole (Tb.Nr) significativamente superiore a quello dei topi PTN-Tg nelle stesse condizioni. Il numero medio di trabecole (Tb.Nr) diminuisce, sempre in modo significativo per entrambi i ceppi, quando i topi sono sottoposti alla condizione di tailsuspension. Dall analisi dei campioni sia Wt che PTN-Tg, si è osservato un dimezzamento (statisticamente significativo) del rapporto tra il volume dell osso e il volume totale (BV/TV) rispetto ai controlli di laboratorio. Tale diminuzione sembra essere comunque, in entrambi i ceppi, meno marcata rispetto a quella ottenuta in condizioni di microgravità, dove tale rapporto diminuiva di circa 7 volte nei campioni Wt e di 4 volte circa nei campioni PTN-Tg. Questo dato risulta evidente dalle rappresentazioni delle mappe a colori della distribuzione di spessore trabecolare riportate in Figura 96

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