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1 INSEGNAMENTO DI DIRITTO DEL LAVORO LEZIONE VIII LE GARANZIE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI PROF. FRANCESCO MANICA

2 Indice 1 Premessa La tutela dei crediti da lavoro Il trasferimento di azienda e le sue fattispecie Rinunce, transazioni e quietanze liberatorie di 23

3 1 Premessa Varie norme speciali, di carattere imperativo, prevedono molteplici garanzie per la tutela dei diritti del prestatore di lavoro. Ciò nella considerazione che il lavoratore, nella sua posizione di contraente più debole, possa essere indotto a non esercitare propriamente i propri diritti nel timore di ritorsioni da parte del datore. In generale, per garanzia giurisdizionale, costituzionale, patrimoniale deve intendersi il rafforzamento della tutela di un bene o interesse giuridicamente protetto e, quindi, di un diritto soggettivo. L ordinamento circonda i diritti del lavoratore di una serie di garanzie, alcune di natura sostanziale ed altre di natura strumentale e, più precisamente, processuale, nelle quali sono da ravvisare delle vere e proprie posizioni soggettive riconosciute al lavoratore in funzione del rafforzamento sia sostanziale sia giurisdizionale della tutela dei diritti dello stesso lavoratore. In realtà, il fenomeno giuridico della garanzia delle posizioni soggettive di vantaggio è comune ai diversi settori dell ordinamento: nel diritto del lavoro, al solito, lo stesso fenomeno presenta caratteristiche peculiari in relazione alla natura dei diritti soggettivi garantiti e degli interessi tutelati. Così, nel diritto civile le garanzie del credito, di tipo reale (privilegio ex artt ss. c.c.; pegno ex artt ss. c.c.; ipoteca ex artt ss. c.c.) oppure personale (fideiussione ex artt ss. c.c.) sono rivolte essenzialmente al rafforzamento della pretesa del creditore sul versante della responsabilità del debitore, pertanto esse mirano a realizzare il soddisfacimento dell avente diritto al bene. Nel diritto del lavoro,accanto a queste garanzie patrimoniali specifiche di tipo satisfattivo, sono altresì presenti le garanzie rivolte alla tutela del lavoratore quale contraente debole e, più ancora, cittadino socialmente sottoprotetto, in particolare sotto il profilo della titolarità dei diritti e quindi dell effettività del loro godimento. 3 di 23

4 2 La tutela dei crediti da lavoro Si tratta di garanzie strutturalmente e funzionalmente non diverse da quelle rivolte al rafforzamento della comune responsabilità patrimoniale (art c.c.) a garanzia della generalità dei creditori, rispetto alla cui condizione viene attribuita al lavoratore una posizione di preferenza o, come si dice, una causa legittima di prelazione ex art c.c., nel soddisfacimento sui beni del datore di lavoro. In effetti la legge attribuisce al lavoratore una speciale tutela nella forma del privilegio ( art c.c.), in considerazione della causa del credito. Si tratta della forma più antica di garanzia specifica del diritto alla retribuzione. Valenza generale hanno le causa legittime di prelazione previste a favore del lavoratore a garanzia dei crediti sui beni del datore di lavoro. L art c.c. riconosce un privilegio generale sui mobili del debitore per le retribuzioni dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficacie, nullo o annullabile. Si tratta di un privilegio generale di secondo grado, in quanto l art comma 2 c.c., nello stabilire l ordine dei privilegi, colloca i suddetti crediti immediatamente dopo quelli per spese di giustizia. L art c.c., relativo alla collocazione sussidiaria dei crediti sugli immobili in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, dispone poi che, in questo caso, l ordine della collocazione sussidiaria sia il seguente: c.c.; 1. Crediti relativi al t.f.r. ed all indennità di mancato preavviso; 2. Crediti di lavoro e gli altri crediti ex artt. 2751, 2751 bis e Crediti dello Stato e x art comma 3; 4 di 23

5 4. Crediti chirografari. Su un piano diverso si pone, infine, la c.d. azione diretta di rivalsa prevista dall art c.c., secondo cui nel contratto di appalto il prestatore di lavoro dipendente dall appaltatore può rivalersi, per i propri crediti, nei confronti del committente e fino alla concorrenza del debito di costui verso l appaltatore; questa tutela è stata di recente potenziata con la previsione, derogabile dai contratti collettivi, di una responsabilità solidale dell appaltante con l appaltatore, entro il limite temporale di un anno dalla cessazione dell appalto, per la totalità dei crediti retributivi e previdenziali dovuti dal secondo ai propri dipendenti e agli istituti previdenziali. Decorso l anno, resta operante il solo rimedio ex art c.c.. Le norme sui privilegi trovano applicazione anche nell ipotesi del fallimento e delle altre procedure concorsuali. Va tuttavia precisato che in caso di esercizio provvisorio dell attività di impresa, i crediti maturati dal lavoratore durante tale periodo, in quanto strettamente collegati alla gestione dell azienda da parte degli organi fallimentari, sono considerati crediti della massa ed, in quanto tali, collocati al primo posto nell ordine della distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell attivo (c.d. prededuzione). Questa tutela, peraltro, si rivela inefficacie allorquando il patrimonio dell imprenditore fallita non abbia capienza sufficiente a soddisfare i crediti dei lavoratori. Per questo motivo ed in relazione alla natura alimentare della retribuzione e degli altri crediti da lavoro ha emanato la direttiva n. 80/987 del 2 ottobre 1980, relativa alla tutela dei crediti da lavoro in tutte le ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che comportino l apertura di una procedura concorsuale, di tipo sia giudiziario che amministrativo. L attuazione di questa direttiva è avvenuta in due tempi. 5 di 23

6 In un primo momento, nel 1982 con la legge del 29 maggio n. 297, si è provveduto all istituzione di un fondo destinato specificatamente alla garanzia del trattamento di fine rapporto (art. 2 legge n. 297). Solo dopo dieci anni e dopo una condanna dello stato italiano al pagamento dei danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva, è stata emanata un ulteriore disciplina relativa alla garanzia, in generale, di tutti i crediti di lavoro diversi dal t.f.r. (D.lgs n. 80 emanato in attuazione della delega contenuta negli articoli 48 e 49 della legge n. 428). Successivamente, il Consiglio della Comunità Europea è intervenuto in materia con una nuova direttiva, la n. 2002/74 del 23 settembre 2002, con la quale si è modificata in parte la precedente direttiva del A tale direttiva è stata data attuazione con il D.lgs. del n Un ultimo spunto deve essere fornito circa la relativa indisponibilità dei diritti del prestatore. La retribuzione, per espressa previsione costituzionale, è destinata a soddisfare le esigenze vitali del lavoratore e della sua famiglia. Per tale motivo il legislatore ha posto alcuni limiti alla disponibilità dei diritti del prestatore. In particolare: gli assegni familiari sono insequestrabili, impignorabili e incedibili; sono pignorabili i salari, gli stipendi e le indennità soltanto per crediti alimentari; nella misura di 1/5 per altri crediti; i fondi speciali di previdenza e assistenza sono vincolati; i crediti previdenziali e assistenziali sono impignorabili. 6 di 23

7 3 Il trasferimento di azienda e le sue fattispecie Un ulteriore e particolare forma di garanzia dei crediti e più in generale dei diritti dei lavoratori è disposta dall art c.c. il quale disciplina gli effetti del trasferimento dell azienda sui rapporti di lavoro e in particolare sulle posizioni soggettive (diritti di credito, conservazione del rapporto) del lavoratore. La disciplina del trasferimento di azienda annovera tra le sue fonti primarie numerose direttive comunitarie. Queste ultime tendono ad armonizzare le diverse normative nazionali in tema di tutela dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese e stabilimenti. nel tempo: Il Consiglio dell Unione Europea ha, infatti, emanato tre direttive succedutesi n. 77/187; n. 98/50, la quale ha modificato la prima, al fine di adeguarne il dettato normativo ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; n. 2001/23 con la quale si è proceduto alla codificazione della precedente disciplina, introducendo soltanto alcune marginali modifiche. Passiamo ora ad analizzare come, nel corso del tempo, la nostra nazione abbia dato attuazione alle citate direttive. Per quanto concerne la prima, si deve segnalare il lungo periodo di inadempimento dell Italia. L originaria formulazione dell art c.c. conteneva, infatti, solo la regolamentazione di alcuni aspetti del trasferimento di azienda. In particolare ne stabiliva gli effetti in ordine ai rapporti di lavoro, trascurando, al 7 di 23

8 contrario, i profili attinenti alla conservazione dell occupazione ed all informazione e consultazione sindacale. Il completo e definitivo adeguamento della disciplina nazionale alle norma comunitarie si è avuto con una sequenza di provvedimenti legislativi che, inizialmente, ha parzialmente modificato l art c.c., salvo poi novellarlo interamente in più occasioni fino all attuale formulazione. Al riguardo segnaliamo: 1. L art. 47 della legge n Tale norma, novellando i primi tre commi dell art. 2112, aveva disposto una nuova regolamentazione in materia di trasferimento di azienda, dettando anche una specifica disciplina per i trasferimenti effettuati in corso di una procedura concorsuale o in presenza di una crisi aziendale; 2. Il decreto legislativo n. 18 con cui è stato novellato l intero art c.c., oltre ad essere stati modificati i primi quattro commi dell art. 47 della legge n. 448 del 1990; 3. L art. 32 del decreto legislativo n. 276 che ha modificato, ancora una volta, l art c.c., intervenendo sulla nozione giuridica di trasferimento d azienda, nonché sulla tutela dei crediti dei lavoratori trasferiti. Chiariti i punti precedenti, appare opportuno delineare il concetto di trasferimento d azienda. Ai sensi dell art comma 5 c.c. si intende per trasferimento d azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o a fusione, comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica 8 di 23

9 organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compreso l usufrutto o l affitto di azienda. Si tratta di una definizione legislativa assai ampia in grado di comprendere quasi tutte le ipotesi di mutamento soggettivo della persona dell imprenditore, a fronte della persistenza dell attività economica organizzata in sé considerata. La seconda parte del 5 comma stabilisce, inoltre, che le norme in materia di trasferimento d azienda si applicano altresì al trasferimento di parte dell azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Quest ultima formulazione si contrappone alla precedente, secondo la quale l articolazione funzionalmente autonoma da trasferire doveva preesistere al trasferimento e conservare in esso la propria identità. La nuova previsione, infatti, prescindendo da questi ultimi requisiti e consentendo esplicitamente alle parti di individuare all atto dell operazione l entità autonoma da trasferire, mira in sostanza a rendere più agevoli le operazioni di esternalizzazione (c.d. outsourcing) di fasi o parti dell attività, favorendo la cessione anche di parti dell azienda prive di un autonomia funzionale fino al momento del trasferimento. In questa complessa ed articolata definizione un rilievo decisivo assume il concetto di attività economica organizzata, il quale va inteso tenendo conto dell evoluzione pluriennale della giurisprudenza della Corte di Giustizia, nonché 9 di 23

10 del dettato della direttiva comunitaria, la cui formulazione attuale è ispirata proprio alle risultanze di tale giurisprudenza. Al riguardo ve ricordato che la Corte ha ammesso la ricorrenza di un trasferimento d azienda anche in casi in cui, in presenza di un affidamento all esterno di attività lavorative già svolte in ambito aziendale, vi era stata una successione di soggetti nello svolgimento di un attività (ad esempio successione di due operatori economici nello svolgimento di opere o servizi in appalto), ma al tempo stesso era stato assente o minimale un trasferimento di elementi patrimoniali materiali e/o immateriali. Al riguardo la Corte ha ritenuto non necessario, per la configurazione del trasferimento d impresa, di stabilimento, o di parti di impresa o di stabilimento, ai sensi della direttiva, anche il trasferimento di elementi patrimoniali, occorrendo, piuttosto, una valutazione del complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l operazione economica. Di questo orientamento, ha dovuto tener conto il legislatore comunitario, il quale nel 1998 ha modificato la predente direttiva del 1977, stabilendo che è considerato trasferimento quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un attività economica, sia essa essenziale o accessoria ; con ciò evidentemente adottando una definizione in grado di soddisfare l interpretazione data dalla Corte nella sua giurisprudenza pluriennale. Proprio alla luce di questa evoluzione del dato normativo e giurisprudenziale comunitario si comprende la ragione per cui all espressione attività economica organizzata, adottata dal legislatore italiano, non solo possano, ma anzi debbano essere ricondotte anche le ipotesi nelle quali, tenuto conto delle caratteristiche concrete dell attività svolta, oggetto del trasferimento sia un entità caratterizzata da una presenza estremamente ridotta di elementi 10 di 23

11 materiali e/o immateriali, ovvero vi sia addirittura totale assenza di essi (Es. la successione nell appalto di un servizio di pulizia dei locali, dove appare ben concepibile l assenza di beni materiali ed immateriali da trasferire). Quanto appena detto spiega le perplessità sollevate dall art. 29 comma 3 del decreto legislativo n. 276/2003, in forza del quale l acquisizione del personale già impiegato nell appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento d azienda o di parte d azienda. Si tratta di una previsione ambigua che, per non essere in contrasto con la normativa e la giurisprudenza comunitarie di cui si è detto, deve essere letta in senso limitativo, nel senso cioè che l esclusione possa riguardare le solo ipotesi in cui, sulla base delle concrete circostanze di fatto dell operazione economica, il mero trasferimento di personale alle dipendenze del nuovo appaltatore non possa essere considerato integrante al fattispecie del trasferimento di una attività economica organizzata. Le riflessioni che precedono, riguardano entrambe le ipotesi contemplate dall art comma 5 c.c. e cioè il trasferimento sia dell intera attività economica organizzata, sia di un articolazione funzionale di essa. Va notato, infine, che, nonostante l ambiguità del dettato normativo, anche al fine di evitare un contrasto con la direttiva comunitaria, la natura funzionalmente autonoma dell articolazione trasferita non possa dipendere dalla mera volontà delle parti, ma debba costituire una intrinseca caratteristica dell entità predetta e che a tal fine acquisisce rilievo giuridico il dato economicoorganizzativo. 11 di 23

12 Dalla normativa che abbiamo fino ad esso analizzate emerge, a chiare lettere, il principio della tutela delle posizioni individuali. L aspetto più rilevante di questa tutela è costituito dal principio, risalente alla formulazione originaria dell art c.c., dell automatica continuazione dei rapporti di lavoro con il cessionario e della conservazione dei diritti maturati del lavoratore. Tale principio, sancito dal comma 1 della disposizione, trova conferma e rafforzamento da quanto espressamente previsto dal comma 4 della stessa, secondo il quale il trasferimento non costituisce di per se valido motivo di licenziamento; anche se per converso va notato che la stessa norma riconosce tanto al cedente che al cessionario la facoltà di procedere ad eventuali licenziamenti nel rispetto della disciplina legale e collettiva in materia. Confrontando questa disciplina con quella dettata in generale dall art c.c. in materia di successione nei contratti in caso di cessione d azienda, va anzitutto osservato che mentre quest ultimo sancisce il principio secondo cui l acquirente dell azienda subentra nella generalità dei contratti relativi all esercizio dell impresa salvo patto contrario con l alienante, nell art c.c. la successione nel contratto di lavoro è un effetto necessario, ancorché sia poi possibile il recesso giustificato del cedente. Ciò in aderenza con la finalità della norma, consistente nella tutela dell interesse del prestatore di lavoro alla continuità del rapporto, quest ultima considerata in riferimento non al singolo datore di lavoro, ma allo svolgimento del rapporto in funzione della medesima impresa, intesa questa come attività economica organizzata. Se ciò è vero, va pure fatta un'altra considerazione. Dall art comma 1 c.c. che stabilisce l automatico trasferimento dei contratti di lavoro al cessionario, si deduce che, ai fini dell effetto traslativo, non è richiesto il consenso del lavoratore e che egli non ha la facoltà di opporsi al trasferimento del proprio contratto, salvo che non si dimetta con preavviso ai sensi dell art comma 1 c.c.. Diversamente egli 12 di 23

13 potrà utilizzare la previsione dello stesso articolo 2112 c.c. comma 4, in base al quale ove il lavoratore, nei tre mesi successivi al trasferimento, subisca una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all art. 2119, primo comma (dimissioni per giusta causa con conseguente diritto all indennità di mancato preavviso). Ciò premesso, è da segnalare che se l applicazione della tutela prevista dall art c.c. è di regola vantaggiosa per i lavoratori quando il trasferimento riguardi l azienda o l impresa nel suo complesso, lo stesso non può dirsi quando oggetto del trasferimento sia una articolazione funzionale autonoma dell impresa. La cessione potrebbe esporre, infatti, i lavoratori ceduti ad un peggioramento delle loro condizioni di lavoro, a cominciare dal rischio del posto: si pensi, ad esempio all applicazione finale di un contratto collettivo meno favorevole, o anche alla perdita della tutela reale in caso di licenziamento individuale, o addirittura al possibile determinarsi di una perdita del posto di lavoro per via della minore solidità dell entità trasferita. Nell ambito delle operazioni di trasferimento di azienda, un ulteriore principio posto a tutela del lavoratore è quello sancito dall art comma 2 c.c.. Si tratta del principio di solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento. Tale principio si applica indipendentemente dalla conoscenza o conoscibilità dei crediti da parte del cessionario. È consentita, tuttavia, la liberazione del cedente mediante le procedure conciliative di cui agli artt. 410 ss. c.p.c.. In aggiunta a questa disposizione relativa ai crediti pregressi, va segnalata l ulteriore garanzia in favore del lavoratore ceduto nei casi in cui, a seguito del trasferimento di un ramo di azienda, tra cedente e cessionario sia concluso un contratto di appalto, con utilizzazione dell entità trasferita: in questa ipotesi, per 13 di 23

14 esplicito, ancorché superfluo, richiamo del legislatore (art ultimo comma), si applica la regola fissata dall art. 29 comma 2 del decreto legislativo n. 276 del 2003, della responsabilità solidale dell appaltante con l appaltatore per quanto riguarda i trattamenti retributivi e contributivi previdenziali dovuti dal secondo ai propri dipendenti, entro il limite di un anno dalla cessazione dell appalto. Diversa da queste garanzie dei crediti dei lavoratori trasferiti, è la garanzia della conservazione dei trattamenti economici e normativi previsti da contratti collettivi nazionali, aziendali e territoriali goduti al momento del trasferimento. Ciò fino alla scadenza del contratto, salvo che lo stesso sia sostituito da altro contratto collettivo del medesimo livello applicabile all impresa del cessionario. Quanto al profilo della tutela collettiva dei lavoratori, che si estrinseca nel vincolo della consultazione sindacale, l art. 47 della legge n. 428 del prevede che, qualora il trasferimento riguardi una azienda o parte di essa in cui sono occupati più di quindici lavoratori, tanto il cedente quanto il cessionario ne diano preventiva comunicazione alle r.s.u. ovvero alle r.s.a. istituite presso le rispettive unità produttive interessate dal trasferimento, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo in esse applicato; in mancanza delle predette rappresentanze, la comunicazione va effettuata dal cedente e dal cessionario, anche per il tramite dell associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato, ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi. Tale comunicazione deve avvenire in forma scritta almeno venticinque giorni prima della data del perfezionamento dell atto da cui deriva il trasferimento o della data in cui sia stata raggiunta un intesa vincolante per le parti. Con la comunicazione devono essere trasmesse informazioni relative alla data effettiva o proposta del trasferimento, ai motivi del trasferimento, alle 14 di 23

15 conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori, nonché agli eventuali provvedimenti previsti per questi ultimi. Qualora, poi, entro sette giorni dalla predetta comunicazione, le rappresentanze sindacali o i sindacati di categoria ne facciano richiesta, il cedente e il cessionario, entro sette giorni dal ricevimento della richiesta stessa, sono tenuti ad avviare un esame congiunto della situazione che, in mancanza di accordo, si intende esaurito dopo dieci giorni dal suo inizio. La violazione degli obblighi di informazione e consultazione è espressamente considerata condotta antisindacale ai sensi dell art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Infine è previsto che gli obblighi di informazione e di esame congiunto devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante, e che la mancata trasmissione da parte di quest ultima delle informazioni necessarie non giustifica l inadempimento dei predetti obblighi. Concludendo, si deve ancora segnalare che l art. 47 della legge n. 428 ha dettato anche una speciale disciplina rivolta ad agevolare il trasferimento d azienda quando lo stesso si ricolleghi ad una situazione di crisi economica dell imprenditore cedente. Si tratta dei casi in cui l impresa sia sottoposta ad una procedura concorsuale nel corso della quale non sia stata disposta (o sia cessata) la continuazione dell attività, ovvero per la quale sia stato accertato lo stato di crisi aziendale (Vedi art. 2 della Legge n. 675). In tali situazioni, qualora attraverso la procedura di consultazione sindacale sia stato raggiunto un accordo che assicuri la conservazione anche parziale dell occupazione, ai lavoratori non licenziati non è applicabile l art c.c., a condizione che l accordo stesso contenga condizioni di miglior favore. Tale accordo può inoltre prevedere che il personale eccedentario rimanga alle dipendenze dell alienante; 15 di 23

16 ed al riguardo, in favore di questi lavoratori, i quali sono evidentemente destinati a subire un licenziamento per causa economica (Si tratta di un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell art. 3 della n. 604, ovvero di un licenziamento collettivo per riduzione di personale ai sensi dell art. 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223), viene assicurato il diritto di precedenza nelle assunzioni che l acquirente dell azienda effettui entro un anno dalla data del trasferimento, dichiarandosi anche per essi inoperanti le garanzie previste dall art c.c. 16 di 23

17 4 Rinunce, transazioni e quietanze liberatorie Nel concludere l'esame dei principali istituti volti essenzialmente a tutelare il prestatore nella sua posizione di contraente debole, è necessario trattare degli atti di disposizione dei diritti dei lavoratori. La compressione o, addirittura, la soppressione della facoltà di disposizione, attraverso la comminatoria dell invalidità dell atto negoziale di disposizione, può essere resa necessaria dall esigenza di tutelare o un interesse pubblico in ipotesi contrastante con l interesse del titolare del diritto soggettivo, oppure un interesse privato del titolare stesso, la cui volontà può palesarsi inidonea alla valutazione o insufficiente alla realizzazione dell interesse medesimo. In quest ultimo caso è evidente che il limite alla disponibilità del diritto da parte del titolare verrà imposto all autonomia negoziale alla scopo di rafforzare la tutela dell interesse garantito. La seconda ipotesi indicata (interesse privato del titolare) ricorre nel rapporto di lavoro: considerata la tipica situazione di debolezza del lavoratore, conseguente alla minorazione del suo potere contrattuale, i suoi atti di disposizione dei diritti riconosciutigli dall ordinamento possono rappresentare un fenomeno di reazione, tendente all elusione dei limiti imposti all autonomia negoziale ed alla violazione delle corrispondenti norme imperative (vedi art c.c. in tema di nullità del negozio in frode alla legge). Di qui la specifica disciplina dettata dall art c.c. sull invalidità delle rinunzie e transazioni del lavoratore, quale risultante dopo la novella introdotta dall art. 6 della legge n. 533, di riforma del processo del lavoro. L'art. 2113, co. I, c.c., nel testo modificato dall'art. 6, L. 11 agosto 1973, n. 533, dispone che "Le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti 17 di 23

18 o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide". L equiparazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato non è dunque, agli effetti di questa disciplina, né totale né assoluta, restando esclusi dalla tutela ivi disposta i lavoratori autonomi titolari di un impresa, nonché tutti i rapporti d opera a carattere discontinuo. La disposizione prevede, quindi, che l invalidità sia fatta valere dal lavoratore mediante impugnazione, la quale può essere effettuata con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore, idoneo a renderne nota la volontà, e che essa deve essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro ove la rinuncia o la transazione siano avvenute nel corso del rapporto medesimo, ovvero entro sei mesi dalla data della rinuncia o della transazione, qualora esse siano intervenute successivamente alla cessazione di quest ultimo (art commi 2 e 3). Deve essere adeguatamente sottolineato che l impugnazione ex art c.c. deve avere, a pena di inefficacia, forma scritta. La sua funzione, infatti, è quella di comunicare al datore di lavoro la volontà del prestatore di provare il negozio di rinunzia o transazione della sua efficacia: si tratta dunque di una dichiarazione unilaterale recettizia di volontà. Una simile impostazione non significa che non sia necessario l esercizio dell azione in giudizio. L invalidità deve, pur sempre, essere dichiarata dal giudice con sentenza di accertamento costitutivo. Poiché l impugnazione deve essere proposta entro sei mesi, si deve ritenere che l atto di impugnazione stragiudiziale configuri una speciale condizione di ammissibilità dell azione di annullamento, il cui termine di prescrizione quinquennale decorrerà, pertanto, dalla data dell impugnazione stragiudiziale. Effetto dell impugnazione è la contestazione della validità del negozio di rinunzia o transazione e, dunque, l instaurazione nei confronti del datore della controversia finalizzata all accertamento dell invalidità del negozio dispositivo, ed al soddisfacimento delle pretese derivanti dai diritti che sono stati oggetto della 18 di 23

19 disposizione. Passiamo ora ad analizzare le cause dell invalidità del negozio dispositivo. Al riguardo dobbiamo soffermarci su due principali aspetti: 1. La causa è da ravvisare nella violazione di una norma inderogabile di legge o di contratto collettivo posta a tutela degli interessi dei lavoratori; 2. L annullabilità non riguarda ogni negozio di disposizione ma solo la rinunzia e la transazione. Quanto al primo punto va ricordata che le norme inderogabili assolvono ad una funzione minimale di tutela dell interesse collettivo, perciò quest ultimo deve ritenersi rilevante soltanto indirettamente, quale presupposto dell impugnazione a tutela dell interesse individuale del singolo. In ogni caso, però, soltanto la lesione dell interesse del lavoratore, protetto mediante la norma inderogabile, costituisce il fatto rilevante ai fini dell invalidità e, precisamente, all annullabilità della rinunzia e della transazione. Insomma, sia pure su un piano diverso rispetto alla nullità dei patti ed atti contrari ed alle conseguente sostituzione legale automatica, l invalidità disposta dall art c.c. è pur sempre da riportare al principio dell inderogabilità del regolamento contrattuale collettivo. Per mezzo dell effetto dell annullabilità, infatti, all autonomia negoziale del prestatore di lavoro viene imposto un limite, finalizzato al rafforzamento della tutela dell interesse incorporato nel diritto soggettivo di cui è titolare il lavoratore stesso, rappresentato dal minimo inderogabile di trattamento economico e normativo. Di conseguenza si ha una limitazione non totale ma soltanto, e precisamente entro i limiti, imposti dalla disciplina inderogabile e dal contratto collettivo, della facoltà di disposizione dei diritti soggettivi attribuiti alla titolarità del lavoratore. In tal senso la norma dell art c.c., funge da garanzia di livelli minimi imposti a pena di nullità dalle norme imperative. 19 di 23

20 La portata dell impugnazione non va intesa, quindi, nel senso di una diminuzione o restringimento della capacità di agire del singolo lavoratore. Non si tratta di una sottrazione della disponibilità dei diritti al loro titolare, ma dell esercizio della facoltà di disporre dei propri diritti, nel rispetto di determinati limiti o requisiti, imposti a garanzia dell interesse del singolo prestatore alla conservazione del trattamento minimo imposto al datore dalle norme della legge e dei contratti collettivi. L invalidità delle rinunzie e delle transazioni si prospetta, così, come un limite imposto all autonomia negoziale in funzione dell effettivo soddisfacimento di interessi la cui realizzazione può essere impedita dalla posizione di debolezza contrattuale a sua volta riflesso del più ampio stato di sottoprotezione sociale nel quale il lavoratore si trova tanto nel corso del rapporto quanto successivamente all estinzione dello stesso. Va evidenziato, inoltre, che, ai sensi dell art comma 4 c.c., sono valide, e perciò non impugnabili, le rinunzie e le transazioni intervenute in sede di conciliazione delle controversie individuali. In tale sede, che può essere sia giudiziale sia amministrativa o sindacale, la disposizione dei diritti avviene con l assistenza dell organo conciliatore. Sul punto, pertanto, si può concludere affermando che la ratio della limitazione disposta dall art c.c. è da ravvisare nella situazione di inferiorità del prestatore nella sua qualità di contraente debole, anche ai fini dell autocomposizione individuale della lite nelle controversie individuali di lavoro. l inderogabilità del regolamento contrattuale imposto dalle norme della legge e dei contratti collettivi trova così riscontro nella limitata disponibilità dei corrispondenti diritti soggettivi per effetto della drastica compressione di una particolare funzione dell autonomia negoziale dei privati e nella conseguente esclusione della validità delle rinunzie e delle transazioni ai fini dell autocomposizione stragiudiziale delle controversie individuali del lavoro. 20 di 23

21 A questo proposito, anzi, va sottolineato che della previsione della validità delle rinunzie e transazioni cui il lavoratore sia addivenuto in sede di conciliazione sindacale prevista dall art comma 4 c.c., non si può pervenire a riconoscere al sindacato un potere collettivo di disposizione dei diritti del singolo lavoratore già entrati a far parte del patrimonio di quest ultimo. Pertanto le transazioni collettive, concluse dal sindacato nell interesse di più lavoratori ma in assenza di uno specifico, necessitano dell adesione individuale nella forma della ratifica ex art c.c. o in forma equivalente (Vedi Cass n. 1576). Terminato questo discorso di portata generale, dobbiamo ora procedere all analisi specifica degli strumenti dispositivi riconosciuti al lavoratore. I negozi giuridici con cui può realizzarsi la disposizione dei diritti dei lavoratori ai quali si riferisce l'art. 2113, co. I, c.c., sono dunque: la rinuncia, negozio unilaterale recettizio, che tende alla dismissione con efficacia abdicativa o traslativa, di un diritto soggettivo da parte del titolare e che nell'ambito del rapporto di lavoro assume la natura di remissione del debito, poiché ha ad oggetto diritti patrimoniali; la transazione, che, ai sensi dell'art. 1965, c.c., è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro: essa viene assimilata, nell'art. 2113, c.c., alla rinuncia perché di questa può costituire un mascheramento e perché il corrispettivo offerto dal datore nel caso di transazione può non essere commisurato al sacrificio del lavoratore, stante la posizione di debolezza contrattuale di quest'ultimo. 21 di 23

22 Circa la delineata distinzione va fatta una precisazione: l assimilazione della rinunzia alla transazione non trova giustificazione soltanto nella eventualità che la seconda sia un mascheramento della prima (simulazione relativa ex art comma 2 c.c.). Si deve ritenere piuttosto che i confini tra volontà abdicativa e volontà transattiva si presentino notevolmente sfumati nelle controversie individuali di lavoro, in cui la transazione, ancor più della rinunzia, si configura come un negozio socialmente tipico di composizione della lite, caratterizzato dalla forte riduzione del tradizionale elemento della res dubbia (cioè una situazione di incertezza sull esistenza di un diritto soggettivo). Tale situazione, che è generalmente causa della lite, nelle controversie di lavoro viene spesso sopravanzata dallo squilibrio di forza contrattuale tra le parti: per cui la disposizione dei diritti controversi del lavoratore si presenta inficiata dalla precedente inerzia del titolare, anziché giustificata dall incertezza soggettiva dello stesso. Si intende, allora, come lo stesso scambio delle reciproche concessioni nella transazione si presenti soverchiato dallo stato di sottoposizione sociale del lavoratore. Insomma, si può concludere che nelle controversie individuali di lavoro all inderogabilità del regolamento contrattuale del rapporto si contrappone non tanto l incertezza quanto l inerzia del titolare del diritto. Quanto detto contribuisce a delineare, già sul piano della realtà effettuale, la figura del prestatore di lavoro come litigante debole, che corrisponde, appunto, alla previsione dell art c.c.. la conseguenza, che si riflette poi sul piano dell invalidità del negozio, è nella tendenza a fare della transazione un vero strumento di composizione della lite in vista della realizzazione delle pretese creditorie anziché dell accertamento dei diritti del prestatore di lavoro. Dalle rinunce e dalle transazioni bisogna tenere distinte le c.d. quietanze a saldo o quietanze liberatorie, con le quali il prestatore dichiara di aver ricevuto una certa somma attestando di essere soddisfatto di ogni spettanza e di non avere nulla a 22 di 23

23 pretendere. In un primo momento, la giurisprudenza era incline a ravvisare nella quietanza a saldo l'animus rinunciandi; oggi è giunta all'opposta conclusione che la quietanza è una mera dichiarazione di scienza che non contiene alcuna volontà di rinuncia ad ogni altro eventuale credito del prestatore nei confronti del datore. La rilevanza di tale atto come rinuncia può, dunque, aversi solo nei casi in cui precisi elementi testuali e circostanze di fatto denotino la sussistenza dell'animus rinunciandi. L'impugnazione delle rinunce e transazioni di cui all'art. 2113, co. 1, c.c., con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. L'invalidità prevista dall'art. 2113, c.c., è della specie dell'annullabilità, come si desume dalla previsione di un regime di impugnazione - il diritto di impugnazione ex art è un diritto potestativo concesso solo al prestatore, intrasmissibile agli eredi - e dalla fissazione di un termine di decadenza. Il mancato esercizio del potere di impugnazione sana le rinunce e le transazioni altrimenti invalide. 23 di 23

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