Operatori non limitati con domini densi in spazi di Hilbert.

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1 Capitolo 5 Operatori non limitati con domini densi in spazi di Hilbert. In questo capitolo estenderemo la teoria degli operatori in spazi di Hilbert considerando operatori non limitati (in particolare operatori autoaggiunti non limitati, che sono gli operatori più importanti della Meccanica Quantistica). Contemporaneamente daremo le nozioni di insieme risolvente, spettro ed operatore risolvente per un operatore arbitrario ed enunceremo le principali proprietà di tali concetti e strumenti matematici. 5.1 Operatori non limitati con dominio non massimale Operatori non limitati con dominio non massimale in spazi normati e di Hilbert. Le prime nozioni che diamo sono abbastanza generali e non necessitano ancora della struttura di spazio di Hilbert. Definizione 5.1. Se X è uno spazio normato, un operatore in X è un applicazione lineare: A : D(A) X, dove D(A) X è un sottospazio di X (in generale non chiuso), detto dominio di A. Il grafico G(A) dell operatore A è il sottospazio di X X: G(A) := {(x, Ax) x D(A)}. È chiaro che le definizioni date sopra si riducono a quelle già viste nel caso di operatori T L(X), che non sono altro che operatori in X con D(T ) = X. Il concetto di estensione di un operatore e quello di operatore chiuso e chiudibile giocano un 117

2 ruolo importante nel seguito. Definizione 5.2. Se A è un operatore nello spazio normato X, un operatore B sullo spazio X si dice estensione di A, e si scrive A B, se G(A) G(B). Definizione 5.3. Sia A operatore nello spazio normato X. (a) A è detto chiuso se il suo grafico è chiuso nella topologia prodotto di X X. In altre parole A è chiuso se, per ogni successione {x n } n N D(A) tale che, per n + : (i) x n x X, (ii) T x n y X, vale x D(A) e y = T x. (b) A è detto chiudibile se la chiusura G(A) del suo grafico è ancora il grafico di un operatore (che risulta essere necessariamente chiuso). Tale operatore si indica con A e si dice chiusura di A. La seguente proposizione caratterizza gli operatori chiudibili. Proposizione 5.1. Sia A operatore nello spazio normato X; i seguenti fatti sono equivalenti: (i) A è chiudibile, (ii) non esistono in G(A) elementi del tipo (0, z) con 0 z X, (iii) A ammette estensioni chiuse. Prova. (i) (ii) A non è chiudibile se e solo se ci sono due successioni in D(A), {x n } e {x n}, tali che x n x x n, ma Ax n y y Ax n. Per linearità questo è equivalente a dire che c è una successione di elementi x n = x n x n 0 tale che T x n y y = z 0. Questo è equivalente a dire che G(A) contiene il punto (0, z). (i) (iii) Se A è chiudibile, A è un estensione chiusa di A. Se viceversa esiste un estensione chiusa B di A non può accadere che esistano in G(A) elementi del tipo (0, z) con 0 z X, altrimenti, essendo A B e B chiuso, avremmo che G(B) = G(B) G(A) (0, z) e quindi B non sarebbe un operatore. Restringiamoci al caso in cui X sia uno spazio di Hilbert, che indicheremo con H. È per molti motivi conveniente definire una struttura di spazio di Hilbert sullo spazio somma diretta H H (vedi il testo dopo notazione 2.5). Dal punto di vista topologico, H H ha la topologia naturale data dalla topologia prodotto di H H. Vogliamo pertanto che la struttura di spazio di Hilbert su H H induca proprio la topologia prodotto. Definiamo il prodotto scalare su H H come ((x, x ) (y, y )) := (x x ) + (y y ), per ogni coppia (x, x ), (y, y ) H H. Siccome la norma indotta da questo prodotto scalare è tale che (z, z ) 2 = z 2 + z 2 (5.1) per ogni (z, z ) H H, si ha immediatamente che ogni successione di Cauchy {(x n, x n)} n N in H H rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare su H H definisce le successioni di Cauchy 118

3 in H: {x n } n N e {x n} n N. Tali successioni di Cauchy convergono dunque rispettivamente a x e x in H. È quindi immediato provare che (x n, x n) (x, x ) per n + direttamente da (5.1). Pertanto H H è completo. Inoltre, il prodotto scalare definito su H H induce una norma la cui topologia su H H è, come volevamo, la topologia prodotto. Per provare ciò, è sufficiente notare che, se (x, y) H H e se B δ ((x, y)) è la palla metrica aperta in H H centrata in (x, y) di raggio δ > 0 e B ɛ (z) l analoga palla aperta in H centrata in z di raggio ɛ > 0, allora valgono le inclusioni: B δ/ 2 (x) B δ/ 2 (y) B δ ((x, y)) B δ 2 (x) B δ 2 (y) Concludiamo che, per esempio, la nozione di operatore chiuso su uno spazio di Hilbert (definizione 5.3) può essere equivalentemente data rispetto alla topologia indotta dal prodotto scalare su H H. Per dimostrare alcune proposizioni conviene introdurre fin d ora l operatore unitario τ : H H H H tale che τ : (x, y) ( y, x). Si osservi che ττ = I. Si verifica immediatamente per computo diretto che, se F H H, allora τ(f ) = (τ(f )), (5.2) dove è riferito al prodotto scalare di H H; in altre parole τ e commutano La definizione generale di operatore aggiunto in spazi di Hilbert. Passiamo a definire l aggiunto di un operatore A nello spazio di Hilbert H, nel caso in cui D(A) sia denso in H. Consideriamo un vettore x H per cui esiste un vettore z A,x tale che, per ogni y D(A): (x Ay) = (z A,x y). (5.3) Si osservi che 0 soddisfa sicuramente la proprietà richiesta per x. Inoltre, se esiste z A,x per un certo x, z A,x è univocamente fissato da x. Infatti se z A,x soddisfa la stessa identità di sopra per tutti gli y D(A), allora deve essere: 0 = (x Ay) (x Ay) = (z A,x z A,x y) (5.4) per ogni y D(A). Dato che D(A) è denso in H, ci sarà una successione {y n } n N D(A) per cui y n z A,x z A,x. Per la continuità del prodotto scalare, (5.4) implica subito che z A,x z A,x 2 = 0 e quindi z A,x = z A,x. Indicheremo con D(A ) l insieme degli x H che soddisfano la condizione (5.3) per qualche z A,x e per ogni y D(A). Ragionando come per la definizione dell operatore aggiunto nel caso in cui A B(H), si verifica subito che D(A ) è un sottospazio di H e che l applicazione D(A ) x z A,x 119

4 è lineare. Definizione 5.4. Se A è un operatore nello spazio di Hilbert H con D(A) = H, l operatore aggiunto di A, A, è l operatore su H definito sul sottospazio: D(A ) := {x H esiste z A,x H con (x Ay) = (z A,x y) per ogni y D(A)} e tale che: A : x z A,x. Note. (1) È chiaro che vale: (A x y) = (x Ay), per ogni coppia (x, y) D(A ) D(A). (2) Se A B(H), applicando la definizione 5.4 per A si vede immediatamente che vale D(A ) = H a causa del teorema di Riesz, come visto nel paragrafo 3.3. Concludiamo che: per gli operatori di B(H) la definizione di aggiunto data in definizione 5.4 coincide con quella data in definizione 3.7. (3) Si osservi che non è detto che D(A ) sia denso in H, per cui, in generale, non esiste (A ). (4) Esplicitando l insieme τ(g(a)) troviamo subito che τ(g(a)) = {(x, y) H H (x Az) + (y z) = 0 per ogni z D(A)}. In altre parole τ(g(a)) è il grafico di A (purché tale operatore sia definito): τ(g(a)) = G(A ). (5.5) (5) Se A B ed entrambi gli operatori sono densamente definiti, allora A B. La prova è immediata dalla definizione di aggiunto. Teorema 5.1. Sia A operatore sullo spazio di Hilbert H con dominio denso; allora valgono le seguenti proprietà: (a) A è un operatore chiuso; (b) A è chiudibile se e solo se D(A ) è denso. In tal caso A A = (A ) ; (c) KerA = [RanA] e Ker(A) [RanA ] (dove possiamo sostituire con = se D(A ) è denso in H). Prova. (a) Si consideri la (5.5): τ(g(a)) è chiuso per costruzione, essendo l ortogonale di un insieme ((a) di teorema 3.1), quindi A è chiuso. (b) Consideriamo la chiusura del grafico di A; vale D(A) = (D(A) ) per il teorema

5 Tenendo conto che ττ = I, che S = S per ogni insieme S, e che valgono (5.2) e (5.5), troviamo che: G(A) = τ( τ(g(a)) ) = τ(g(a )) = τ(g(a )). (5.6) Per proposizione 5.1, G(A) è il grafico di un operatore (la chiusura di A) se e solo se G(A) non contiene elementi del tipo (0, z) con z 0. In altre parole G(A) non è il grafico di un operatore se e solo se esiste z 0 con (0, z) τ(g(a )). Questa condizione si esplicita in esiste z 0 tale che 0 = ((0, z) ( A x, x)), per ogni x D(A ). In altre parole G(A) non è il grafico di un operatore se e solo se D(A ) {0}, che è equivalente a dire che D(A ) non è denso in H. In definitiva: G(A) è il grafico di un operatore se e solo se D(A ) è denso in H. Se D(A ) è denso in H, allora (A ) è definito e, usando (5.6) e (5.5), G(A) = τ(g(a )) = G((A ) ). D altra parte, per la definizione di chiusura dell operatore A, G(A) = G(A). Sostituendo sopra: e quindi A = (A ). (c) Seguono immediatamente da G(A) = G((A ) ), (A x y) = (x Ay), per ogni coppia (x, y) D(A ) D(A) e dalla densità di D(A) (e da quella di D(A )). Questo conclude la dimostrazione. Nota. Tenuto conto del fatto che, se D(A) è denso e λ C, allora (A λi) = A λi, la prima relazione del punto (c) implica immediatamente che valga anche la seguente identità, che useremo spesso in seguito: Ker(A λi) = [Ran(A λi)], mentre la seconda relazione del punto (c) fornisce: Ker(A λi) [Ran(A λi)]. 5.2 Operatori hermitiani, simmetrici, autoaggiunti ed essenzialmente autoaggiunti. Possiamo ora dare la definizione di operatore autoaggiunto e le nozioni connesse. Definizione 5.5. Siano (H, ( )) spazio di Hilbert e A operatore in H. (a) A è detto hermitiano se (Ax y) = (x Ay) per ogni coppia x, y D(A). 121

6 (b) A è detto simmetrico se è hermitiano e D(A) è denso. In altre parole A è simmetrico quando D(A) è denso e A A. (c) A è detto autoaggiunto se D(A) è denso e A = A. (d) A è detto essenzialmente autoaggiunto se D(A) e D(A ) sono densi e A = (A ) ovvero, equivalentemente, D(A) è denso, A è chiudibile e vale A = A. Note. (1) A commento di (c) nella definizione 5.5, si osservi che, per (a) di teorema 5.1, ogni operatore autoaggiunto è chiuso. (2) Val la pena di notare che: (i) le definizioni di operatore hermitiano, simmetrico, autoaggiunto ed essenzialmente autoaggiunto coincidono quando il dominio dell operatore è tutto lo spazio di Hilbert; (ii) un operatore autoaggiunto con dominio dato da tutto lo spazio di Hilbert è necessariamente limitato per (d) della proposizione 3.8, ed è quindi autoaggiunto anche nel senso della definizione 3.9; (iii) gli operatori limitati autoaggiunti nel senso della definizione 3.9 sono operatori autoaggiunti con dominio dato da tutto lo spazio, nel senso della definizione di sopra. (3) La nozione di operatore essenzialmente autoaggiunto è la più importante delle quattro presentate sopra nelle applicazioni in Meccanica Quantistica, per il seguente fatto. Come vedremo tra poco, gli operatori essenzialmente autoaggiunti ammettono una sola estensione autoaggiunta, per cui portano tutta l informazione di un operatore autoaggiunto. Per motivi che vedremo più avanti, gli operatori importanti in Meccanica Quantistica sono operatori autoaggiunti; d altra parte gli operatori più comodi da trattare sono gli operatori differenziali. Risulta spessissimo che operatori differenziali definiti su domini opportuni siano essenzialmente autoaggiunti. In tal modo gli operatori differenziali essenzialmente autoaggiunti sono, da una parte, comodi per essere usati, dall altra, portano le informazioni, in maniera univoca, di operatori autoaggiunti utili in Meccanica Quantistica. Per questo motivo ci soffermiamo su alcune proprietà connesse all autoaggiunzione essenziale. Notazione 5.1. D ora in poi scriveremo anche A in luogo di (((A ) ) ). Proposizione 5.2. Siano (H, ( )) spazio di Hilbert e A operatore in H; allora valgono i seguenti fatti. (a) Se D(A), D(A ), D(A ) sono densi, allora: A = A = A = A. (5.7) (b) A è essenzialmente autoaggiunto se e solo se A è autoaggiunto. (c) Se A è autoaggiunto, allora è simmetrico massimale: non ha estensioni proprie simmetriche. (d) Se A è essenzialmente autoaggiunto, allora A ammette solo una estensione autoaggiunta: A (che coincide con A ). 122

7 Prova. (a) Se D(A), D(A ), D(A ) sono densi, allora esistono A, A e A. Inoltre A = (A ) = A = (A ) = A per (b) del teorema 5.1. Dato che A è chiuso (per (a) di teorema 5.1), vale infine: A = A. (b) Se A è essenzialmente autoaggiunto, allora A = A e quindi, in particolare, D(A) = D(A ) è denso. Calcolando l aggiunto di A e tenendo conto di (b) in teorema 5.1, si ha: A = (A ) = A, ossia A è autoaggiunto. Viceversa, se A è autoaggiunto, ossia esiste A = A, allora D(A), D(A ), D(A ) sono densi e, applicando (a): A = A = A ; quindi A = A. Allora A è essenzialmente autoaggiunto. (c) Sia A autoaggiunto e A B con B simmetrico. Prendendo gli aggiunti, si ha A B. Ma B B per la simmetria. Allora: A B B A = A, e quindi A = B = B. (d) Sia A = A e A B con B = B. Prendendo l aggiunto di A B si ha che: B = B A. Prendendo due volte l aggiunto di A B troviamo anche che A B, ma allora: B = B A = A B, per cui B = A, che coincide con A per (b) del teorema 5.1. Passiamo ora a dare i due teoremi fondamentali che caratterizzano gli operatori autoaggiunti ed essenzialmente autoaggiunti. Teorema 5.2. Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. I seguenti fatti sono equivalenti: (a) A è autoaggiunto; (b) A è chiuso e Ker(A ± ii) = {0}; (c) Ran(A ± ii) = H. Prova. (a) (b) Se A = A, allora A è chiuso perché A è chiuso. Se x Ker(A + ii), allora vale anche Ax = ix e quindi i(x x) = (Ax x) = (x Ax) = (x ix) = i(x x), per cui (x x) = 0 e quindi x = 0. La prova per Ker(A ± ii) = {0} è analoga. (b) (c) Dalla definizione di operatore aggiunto segue che (vedi nota dopo teorema 5.1): [Ran(A ii)] = Ker(A + ii). Quindi da (b) segue che Ran(A ii) è denso in H. Ora teniamo conto della chiusura di A per mostrare che in realtà Ran(A ii) = H. Si fissi y H arbitrariamente e si scelga {x n } n N D(A) per cui (A ii)x n y H. Vale, se z D(A), (A ii)z 2 = Az 2 + z 2 z 2, 123

8 da cui il fatto che {x n } n N è una successione di Cauchy ed esiste x = lim n + x n. La chiusura di A comporta subito quella di A ii, per cui: (A ii)x = y e quindi Ran(A ii) = Ran(A ii) = H. La prova per Ker(A + ii) = {0} è analoga. (c) (a) Dato che A A per l ipotesi di simmetria, è sufficiente provare che D(A ) D(A). Sia y D(A ). Dato che Ran(A ii) = H, esiste un vettore x D(A) tale che: (A ii)x = (A ii)y. Su D(A) l operatore A coincide con A e pertanto, dall identità di sopra, si trova che: (A ii)(y x ) = 0. Ma Ker(A ii) = Ran(A + ii) = {0}, per cui y = x e y D(A). La dimostrazione nel caso di Ran(A + ii) è analoga. Teorema 5.3. Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. I seguenti fatti sono equivalenti: (a) A è essenzialmente autoaggiunto; (b) Ker(A ± ii) = {0}; (c) Ran(A ± ii) = H. Prova. (a) (b) Se A è essenzialmente autoaggiunto, allora A = A e quindi A è autoaggiunto (e dunque chiuso). Applicando il teorema 5.2, segue che Ker(A ± ii) = {0} e quindi vale (b) perché A = A. (b) (a) A A per ipotesi e quindi, essendo D(A) denso, lo è anche D(A ). Di conseguenza, per la (b) del teorema 5.1, A è chiudibile e A A = A (in particolare D(A ) = D(A) D(A) è denso). Pertanto, da A A segue A A e, per la (a) di proposizione 5.2, si ha A = A. In definitiva, A A, ovvero A è simmetrico. Possiamo allora applicare il teorema 5.2 all operatore A, valendo per esso la proposizione (b) in tale teorema. Concludiamo che A è autoaggiunto. Da (b) di proposizione 5.2 segue che A è essenzialmente autoaggiunto. (b) (c) Dato che Ran(A ± ii) = Ker(A ii) e che Ran(A ± ii) Ran(A ± ii) = H, (b) e (c) sono equivalenti. Un utile concetto nelle applicazioni è quello di core per un operatore. Definizione 5.6. Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H con dominio denso e sia A chiudibile. Un sottospazio denso S D(A) è detto essere un core di A se A S è chiudibile e: A S = A. Vale la seguente ovvia ma importante proposizione. 124

9 Proposizione 5.3. Se A è un operatore autoaggiunto nello spazio di Hilbert H, un sottospazio S D(A) è un core per A se e solo se A S è essenzialmente autoaggiunto. Prova. Se A S è essenzialmente autoaggiunto, allora ammette un unica estensione autoaggiunta, che coincide con la sua chiusura per (d) in proposizione 5.2; nel caso in esame, tale estensione coincide necessariamente con A, che per ipotesi è autoaggiunto. Quindi A S è un core. Viceversa, se A S è un core, significa che la chiusura di A S è autoaggiunta perché coincide con l operatore autoaggiunto A. Per (b) di proposizione 5.2, A S è dunque essenzialmente autoaggiunto. Esercizi 5.1. (1) Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H con dominio denso D(A). Siano α, β C e si definisca D(αA + β) := D(A). Provare che: (i) αa + βi : D(αA + β) H ammette aggiunto e (αa + βi) = αa + βi. (ii) αa + βi è hermitiano, simmetrico, autoaggiunto, essenzialmente autoaggiunto se e solo se A è, rispettivamente, hermitiano, simmetrico, autoaggiunto, essenzialmente autoaggiunto. (iii) αa + βi è chiudibile se e solo se A è chiudibile ed in tal caso vale: αa + βi = αa + βi. Suggerimento. Applicare direttamente le definizioni necessarie. (2) Siano A e B operatori nello spazio di Hilbert H densamente definiti. Provare che se A + B : D(A) D(B) H è densamente definito, allora: (A + B) A + B. (3) Siano A e B operatori nello spazio di Hilbert H densamente definiti. Provare che se D(A) D(B) è un sottospazio denso ed invariante per A e B allora AB : D(A) D(B) H ammette aggiunto e (AB) B A. (4) Sia A un operatore nello spazio di Hilbert H densamente definito e U : H H un operatore unitario. Provare che valgono le relazioni (UA) = A U, (AU) = U A e quindi, in particolare, UD(A ) = D((UA) ) e UD((AU) ) = D(A ). 5.3 Alcune importanti applicazioni: operatore posizione e operatore impulso. Come esempi del formalismo introdotto in questo capitolo fino a questo punto, introduciamo e studiamo alcune caratteristiche di due operatori autoaggiunti, di grande importanza in Meccanica Quantistica, che si chiamano rispettivamente operatore posizione ed operatore impulso. 125

10 Il significato fisico di tali operatori sarà chiarito nella seconda parte del trattato. Nel seguito adotteremo le convenzioni le definizioni e le notazioni uate nella sezione 3.6. x = (x 1,..., x n ) denota il punto generico di R n L operatore posizione. Definizione 5.7. Consideriamo l operatore inh := L 2 (R n, dx), dove dx è la misura di Lebesgue su R n e i è un numero in {1, 2,..., n}, dato da: con dominio: D(X i ) := (X i f)(x) = x i f(x), (5.8) { f L 2 (R n, dx) } x i f(x) 2 dx < +. (5.9) R n Questo operatore si chiama operatore posizione rispetto alla coordinata i-esima. Proposizione 5.4. Si consideri l operatore X i definito in (5.8) con dominio definito in (5.9). Valgono i seguenti fatti. (a) L operatore X i è autoaggiunto. (b) X i D(R n ) e X i S(R n ) sono dei core per X i e quindi: X i = X i D(R n ) = X i S(R n ). Prova. (a) Il dominio di X i è sicuramente denso in H in quanto include lo spazio D(R n ) delle funzioni infinitamente differenziabili a supporto compatto e anche lo spazio delle funzioni di Schwartz S(R n ) (vedi notazione 3.3) che sono entrambi densi in L 2 (R n, dx). Quindi X i è chiudibile ed ammette aggiunto. Dalla definizione di X i e del suo dominio risulta immediatamente che (g X i f) = (X i g f) se f, g D(X i ). Di conseguenza X i è hermitiano e simmetrico. Mostriamo che è anche autoaggiunto. Dato che, per la simmetria X i X i è sufficiente provare che D(X i ) = D(X i). Determiniamo l aggiunto di X i direttamente dalla definizione. f D(X i ) se e solo se esiste h L 2 (R n, dx) per cui: f(x)x i g(x)dx = h(x)g(x)dx R n R n per ogni g D(X i ). Infine: Dato che D(X i ) è denso e vale X i : f h. R n [x i f(x) h(x)]g(x)dx = 0 126

11 per ogni g D(X i ), possiamo anche dire che: f L 2 (R n, dx) appartiene a D(X i ) se e solo se x if(x) = h(x) quasi ovunque, con h L 2 (R n, dx). In definitiva, D(X i ) è composto da tutte e sole funzioni f L2 (R n, dx) per cui R n x i f(x) 2 dx < +, e quindi D(X i ) = D(X i) e X i è autoaggiunto. (b) Se definiamo l operatore X i come abbiamo fatto sopra, eccetto per il fatto che restringiamo il suo dominio allo spazio D(R n ) delle funzioni infinitamente differenziabili a supporto compatto, oppure S(R n ), l operatore ottenuto in tal modo cessa di essere autoaggiunto, ma rimane simmetrico come è immediato provare. Notiamo che gli aggiunti di X i D(R n ) e X i S(R n ) coincidono entrambi con l operatore X i già trovato sopra. Questo perché nella costruzione di X i abbiamo solo usato il fatto che X i è l operatore che moltiplica per x i su un dominio denso: che fosse D(X i ) definito in (5.9) o un suo sottopazio non cambiava il risultato. Definendo X i come in (5.8) e (5.9), il suo aggiunto X i deve soddisfare Ker(X i ± ii) = {0} per (b) del teorema 5.2. Ma dato che X i è lo stesso che si ottiene restringendo il dominio di X i a D(R n ) o S(R n ), valendo (b) del teorema 5.3, l operatore X i, con dominio ristretto, risulta essere essenzialmente autoaggiunto. L ultima proposizioine è conseguenza immediata di (d) in proposizione L operatore impulso. Passeremo ora ad introdurre l operatore impulso. Abbiamo bisogno di una definizione preliminare. Ricordiamo che che f : R n C è una funzione localmente integrabile su R n se f g è in L 1 (R n, dx) per ogni funzione g D(R n ). Definizione 5.8. Sia f localmente integrabile. Se α è un multiindice, diremo che h : R n C è la α-esima derivata di f in senso debole, e scriveremo w- α f = h, se h : R n C è localmente integrabile e vale h(x)g(x) dx = ( 1) α f(x) x α g(x) dx (5.10) R n R n per ogni funzione g D(R n ). Note. (1) La derivata in senso debole, se esiste è univocamente determinata (a meno di un insieme di misura nulla): se h e h sono localmente integrabili e soddisfano (5.10), allora R n (h(x) h (x))g(x) dx = 0 (5.11) 127

12 per ogni funzione g D(R n ). Ma allora h(x) h (x) = 0 quasi ovunque per il lemma di Du Bois-Reymond [18], che afferma che φ, localmente integrabile su R n, è nulla quasi ovunque se e solo se R n φ(x)f(x) dx = 0 per ogni f D(R n ). (2) È chiaro che, nel caso che f C α (R n ), la derivata di ordine α in senso debole di f esiste e coincide con quella in senso ordinario (a meno di un insieme di misura nulla). Tuttavia vi sono casi in cui la derivata ordinaria non esiste ed esiste solo quella debole. (3) È chiaro che le funzioni L2 (R n, dx) sono localmente integrabili essendo D(R n ) L 2 (R n, dx) ed essendo in L 1 il prodotto di funzioni L 2. Al fine di introdurre l operatore impulso, consideriamo l operatore su H := L 2 (R n, dx), dato da: (A i f)(x) = i x i f(x), dove è una costante positiva, con dominio: D(A i ) := D(R n ). Dalla definizione di A i e del suo dominio risulta immediatamente che (g A i f) = (A i g f) se f, g D(A i ). Di conseguenza A i è hermitiano e simmetrico. Mostriamo che A i è anche essenzialmente autoaggiunto. Determiniamo l aggiunto di A i che si indica con P i := A i direttamente dalla definizione. Per f D(P i ) deve esistere φ L 2 (R n, dx) per cui: f(x)g(x)dx = i φ(x) g(x)dx, per ogni g D(R n ). (5.12) R n R n x i Prendendo il complesso coniugato ad ambo membri, la condizione (5.12) si esprime dicendo che: φ L 2 (R n, dx) appartiene a D(P i ) se e solo se ammette derivata in senso debole f che appartiene a L 2 (R n, dx). Infine P i : φ f. Definizione 5.9. Consideriamo l operatore in H := L 2 (R n, dx), dove dx è la misura di Lebesgue su R n e i è un numero in {1, 2,..., n}, dato da: (P i f)(x) = i w- x i f(x), (5.13) con dominio: D(P i ) := { f L 2 (R n, dx) } esiste w- x i f L 2 (R n, dx). (5.14) P i si dice operatore impulso rispetto alla coordinata i-esima. Nota. Se R n = R, un modo alternativo, ma equivalente, di definire D(P i ) è quello di dire che tale spazio è lo spazio di Sobolev H 1 (R, dx). Proposizione 5.5. Si consideri l operatore P i definito in (5.13) con dominio definito in (5.14). Valgono i seguenti fatti. 128

13 (a) L operatore P i è autoaggiunto. (b) Gli spazi D(R n ) e S(R n ) sono dei core per P i. In altre parole, le restrizioni di P i a tali spazi date dagli operatori differenziali definiti da: (A i f)(x) = i x i f(x), (5.15) (A if)(x) = i x i f(x), (5.16) con, rispettivamente, f D(A i ) := D(R n ) e f D(A i ) := S(Rn ), sono essenzialmente autoaggiunti e vale: A i = A i = P i. Prova. Nel seguito indichiamo brevemente la derivata parziale rispetto alla coordinata i-esima con i e l analoga derivata parziale in senso debole con w- i. D(P i ) è composto dalle funzioni h di L 2 (R n, dx) che ammettono derivata debole a quadrato integrabile e P i φ = i w- i φ. Vogliamo provare che Ker(A i ± ii) = {0}. Ciò proverebbe, in virtù del teorema 5.3, che A i è essenzialmente autoaggiunto, ossia P i è autoaggiunto. Proveremo che, se f L 2 (R n, dx) soddisfa i( w- i f ± f) = 0, (5.17) allora f(x) = e ±x/ g(x) dove g è costante lungo x i. Quindi, affinché f L 2 (R n, dx), deve essere g = 0 identicamente, da cui Ker(P i ± ii) = {0}. Per dimostrare quanto voluto, notiamo che se f soddisfa (5.17) allora vale: ) w- i (e ±xi/ f = 0, (5.18) Ci riduciamo quindi a provare che vale il seguente fatto. Lemma. Se h : R n C è localmente integrabile e soddisfa w- i h = 0, (5.19) allora h coincide quasi ovunque con una funzione costante nella variabile x i. Prova del lemma. Per fissare le idee supporremo n = 2 e i = 1 ed indicheremo con (x, y) le coordinate di R 2. Il caso di R n è una generalizzazione immediata; di fatto la dimostrazione è la stessa: basta pensare inglobate nella variabile y le coordinate diverse da x i. 129

14 Assumiamo dunque che h localmente integrabile soddisfi la condizione (5.19), che scriveremo esplicitamente: h(x, y) g(x, y)dx dy = 0, per ogni g D(R). (5.20) R 2 x Sia f D(R 2 ) e scegliamo a > 0 sufficientemente grande in modo che valga suppf [ a, a] [ a, a]. Definiamo χ D(R) per cui suppχ = [ a, a] e R χ(x)dx = 1. Allora esiste una funzione g D(R 2 ) tale che g(x, y) = f(x, y) χ(x) f(u, y)du. x Infatti basta considerare: g(x, y) := x R x f(u, y)du χ(u)du f(u, y)du. (5.21) R Questa funzione è C per costruzione, la sua derivata in x coincide con f(x, y) χ(x) f(u, y)du. Inoltre il supporto di g è limitato: se y > a, f(u, y) = 0 qualunque sia u per cui g(x, y) = 0 qualunque sia x. Se x < a si annullano il primo integrale in (5.21) ed anche il secondo visto che χ ha supporto in [ a, a]. Viceversa, se x > a vale: + g(x, y) := f(u, y)du 1 f(u, y)du = 0, dove abbiamo tenuto conto delle condizioni suppχ = [ a, a] R χ(x)dx = 1. In definitiva g si annulla fuori da [ a, a] [ a, a]. Inserendo g in (5.20) ed usando il teorema di Fubini-Tonelli, troviamo: ( ) h(x, y)f(x, y) dx dy h(x, y)χ(x)dx f(u, y) du dy = 0. R 2 R 2 R Cambiando nome alle variabili: { ( )} h(x, y) h(u, y)χ(u)du f(x, y) dx dy = 0, (5.22) R 2 R essendo f una funzione qualsiasi di D(R 2 ). Si osservi che la funzione (x, y) k(y) := h(u, y)χ(u)du è localmente integrabile su R 2, perché (x, y, u) f(x, y)h(u, y)χ(u) R R R 130

15 è integrabile su R 3 per ogni f D(R 2 ) (basta notare che f(x, y) f 1 (x) f 2 (y) per f 1 e f 2 opportune in D(R)). La (5.22), valida per ogni f D(R 2 ), implica immediatamente che h(x, y) h(u, y)χ(u)du = 0 R quasi ovunque su R 2 per il lemma di Du Bois-Reymond (vedi (1) in note dopo definizione 5.8). In altre parole: h(x, y) = k(y) quasi ovunque su R 2. Abbiamo conseguentemente provato che P i è autoaggiunto e che A i è essenzialmente autoaggiunto e il suo aggiunto (che coincide con la chiusura per (d) do proposizione 5.2) è P i stesso. Dato che D(R n ) S(R n ), con la stessa procedura usata sopra, abbiamo che, che se φ D(A i ) allora φ ammette derivata generalizzata e vale: A i φ = i w φ. x i Usando la stesa procedura seguita sopra, si prova immediatamente che A i è esenzialmente autoaggiunto. Essendo A i A i ed essendo anche A i essensialmente autoaggiunto, deve allora valere che A = A = A = A = P i per (d) di proposizione 5.2. Esiste un altro modo per introdurre l operatore P i. Consideriamo la trasformata di Fourier-Plancherel ˆF : L 2 (R n, dx) L 2 (R n, dk) vista nella sezione 3.6. Useremo le stesse notazioni usate in tale sezione. Definiamo nello spazio L 2 (R n, dk) l analogo dell operatore X i introdotto sopra, che però indicheremo con K i dato che le coordinate di R n vengono indicate con (k 1,..., k n ) nello spazio di arrivo della trasformata di Fourier-Plancherel. Dato che ˆF una trasformazione unitaria, l operatore ˆF 1 K i ˆF sarà autoaggiunto se definito sul dominio ˆF 1 D(K i ). Proposizione 5.6. Se K i è l operatore posizione rispetto alla coordinata i-esima nello spazio di arrivo della trasformata di Fourier-Plancherel ˆF : L 2 (R n, dx) L 2 (R 2, dk), vale: P i = ˆF 1 K i ˆF. Prova. Per provare ciò è sufficiente mostrare che i due operatori coincidono su un dominio in cui sono essenzialmente autoaggiunti. Consideriamo lo spazio S(R n ). Come sappiamo dalla sezione 3.6, la trasformata di Fourier-Plancherel si riduce alla trasformata di Fourier su tale spazio e vale: ˆF(S(R n )) = S(R n ). Inoltre, direttamente dalle proprietà della trasformata di Fourier abbiamo che, se g S(R n ) e f(x) = 1 (2π) n/2 e ik x g(k) dk R n 131

16 allora i x i f(x) = In altre parole abbiamo ottenuto che 1 (2π) n/2 e ik x kg(k) dk. R n P i S(R n )= ˆF 1 K i S(R n ) ˆF Notiamo che K i è essenzialmente autoaggiunto su S(R n ) per la proposizione 5.4 per cui lo è anche ˆF 1 K i S(R n ) ˆF su S(R n ) essendo F unitaria. In effetti tale operatore coincide con l operatore A i introdotto nella proposizione 5.5. Dato che anche P i S(R n ) è essenzialmente autoaggiunto e che le estensioni autoaggiunte di operatori essenzialmente autoaggiunti sono uniche e coincidono con la chiusura dell operatore, concludiamo che Questo conclude la dimostrazione. P i = ˆF 1 K i S(R n ) ˆF = ˆF 1 K i S(R n ) ˆF = ˆF 1 K i ˆF. 5.4 Criteri di esistenza ed unicità per le estenzioni autoaggiunte. Per concludere il capitolo presentiamo ancora alcuni utili criteri per stabilire se un operatore ammette estensioni autoaggiunte La trasformata di Cayley e gli indici di difetto. Lo strumento tecnico centrale per dimostrare questi criteri è la cosiddetta trasformata di Cayley che introduciamo nel seguito. Prima estendiamo il concetto di isometria agli operatori con dominio più piccolo di tutto lo spazio di Hilbert. Definizione Un operatore V nello spazio di Hilbert H, con dominio dato dal sottospazio D(U), è detto isometria, se vale (Ux Uy) = (x y), per ogni coppia x, y D(U). Note (1) È chiaro che se D(U) = H la definizione di isometria data sopra individua gli operatori isometrici nel senso della definizione 3.9. (2) Per l esercizio (1) in esercizi 3.2, la definizione di isometria data sopra equivale a richiedere che U soddisfi Ux = x, per ogni x D(U). La trasformazione: t t i t + i 132

17 definisce una corrispondenza biunivoca tra la retta reale R ed il cerchio di raggio 1, centrato nell origine, nel piano complesso C, escluso il punto 1. Esiste una generalizzazione di tale corrispondenza che associa operatori isometrici ad operatori simmetrici. Questa corrispondenza, di cui studieremo solo alcune proprietà, è la trasformata di Cayley. Teorema 5.4. Sia H uno spazio di Hilbert. (a) Se A è un operatore simmetrico in H, l operatore V := (A ii)(a + ii) 1, (5.23) detto trasformata di Cayley dell operatore A, definisce un isometria suriettiva dallo spazio Ran(A + ii) allo spazio Ran(A ii). (b) Se vale (5.23) allora valgono i seguenti fatti: (i) D(A) = Ran(I V ); (ii) su D(A) = Ran(I V ), A si scrive come, in funzione della sua trasformata di Cayley: A := i(i + V )(I V ) 1. (5.24) (c) A operatore simmetrico in H è autoaggiunto se e solo se la sua trasformata di Cayley V è un operatore unitario su H. (d) Sia V operatore unitario su H. Se I V è iniettivo, V è la trasformata di Cayley di un operatore simmetrico in H. Prova. (a) Per computo diretto, usando la simmetria di A e le proprietà di (anti-)linearità del prodotto scalare, si verifica subito che, se f D(A): (A ± ii)f 2 = Af 2 + f 2. (5.25) Di conseguenza, se (A ± ii)f = 0, allora f = 0. Gli operatori A ± ii sono quindi iniettivi su D(A) e quindi V è ben definita dallo spazio Ran(A + ii) allo spazio Ran(A ia) ed è suriettiva per costruzione. Proviamo che V è anche isometrica. Da (5.25) segue che, per ogni g D(A) (A ii)g = (A + ii)g. Se poniamo g = (A + ii) 1 f, per f Ran(A + ii), troviamo immediatamente: (A ii)(a + ii)f = f, per cui V definisce un isometria suriettiva dallo spazio Ran(A + ii) allo spazio Ran(A ia). (b) Per definizione, D(V ) è costituito dai vettori g = (A + ii)f per f D(A). Applicando V a g troviamo V g = (A ii)f. Aggiungendo e togliendo g = (A + ii)f membro a membro, si ottengono le relazioni: (I + V )g = 2Af, (5.26) (I V )g = 2if. (5.27) 133

18 (5.27) mostra che (I V ) è iniettiva in quanto, se (I V )g = 0 allora f = 0 e quindi g = (A + ii)f = 0. Possiamo allora scrivere, se f D(A): g = 2i(I V ) 1 f. Inoltre Ran(I V ) = D(A). Applicando (I + V ) ad ambo membri ed usando (5.26) otteniamo: Af = i(i + V )(I V ) 1 f per ogni f D(A). (c) Supponiamo che A = A. Per il teorema 5.2, deve accadere che Ran(A+iI) = Ran(A ii) = H. Allora, per il teorema 5.4, V è isometrica su Ran(A + ii) = H ed è suriettiva, dato che la sua immagine è Ran(A ii) = H. Quindi V è unitaria. Supponiamo ora che V sia un operatore unitario su H. Allora il suo dominio e la sua immagine devono coincidere con H, ossia deve essere Ran(A + ii) = Ran(A ii) = H. Questo equivale a dire che A = A per il teorema 5.2. (d) Per ipotesi, c è una corrispondenza biettiva z x, tra D(V ) = H e Ran(I V ), data da x := z V z. Definiamo l operatore S : Ran(I V ) H, dato da: Sx := i(z + V z), se x = z V z. (5.28) Se x, y D(S) = Ran(I V ), allora x = z V z e y = u V u per qualche coppia z, u D(V ). Dato che V è un isometria, vale che: (Sx y) = i(z + V z u V u) = i(v z u) i(z V u) = (z V z iu + iv u) = (x Sy), e quindi S è hermitiano. Per provare che è anche simmetrico, notiamo che D(S) = Ran(I V ) è denso. Infatti [Ran(I V )] = Ker(I V ). Se non fosse Ker(I V ) = {0}, ci sarebbe u H, non nullo, tale che V u = u e allora, applicando V ad ambo membri, u = V u. Questo è impossibile perché I V è iniettivo per ipotesi. Per concludere, proviamo che V è la trasformata di Cayley di S. La (5.28) può essere riscritta nella forma 2iV z = Sx ix, 2iz = Sx + ix, se z H. Allora: V (Sx + ix) = Sx ix per x D(S) e H = D(V ) = Ran(S + ii). Ma allora V è la trasformata di Cayley di S perché vale: V (S + ii) = S ii e quindi: V = (S ii)(s + ii) 1. Questo conclude la dimostrazione del teorema. Nota. Dall enunciato e dalla dimostrazione del teorema risulta che se A è simmetrico allora Ker(A ± ii) = {0}. In generale però non accade anche che Ker(A ± ii) = {0}! Quest ultima 134

19 è una condizione molto più forte che equivale alla essenziale autoaggiunzione di A (se A è simmetrico) per il teorema 5.3. Passiamo alle conseguenze del teorema 5.4 nello studio dell esistenza di estensioni autoaggiunte di un operatore simmetrico. Il primo dei teoremi a riguardo è il seguente, che introduce i cosiddetti indici di difetto. Teorema 5.5. Sia A un operatore simmetrico sullo spazio di Hilbert H. Definiti gli indici di difetto: d ± (A) := dim Ker(A ± ii), vale quanto segue: (a) A ammette estensioni autoaggiunte se e solo se d + (A) = d (A); (b) Se d + (A) = d (A), esiste una corrispondenza biunivoca tra estensioni autoaggiunte di A ed operatori isometrici suriettivi da Ker(A ii) a Ker(A + ii). (A ammette tante estensioni autoaggiunte quanti sono gli operatori isometrici suriettivi suddetti e, in particolare, A ammette più di una estensione autoaggiunta se d + (A) = d (A) > 0.) Nota. Gli indici di difetto possono definirsi equivalentemente come: dato che Ker(A ± ii) = [Ran(A ii)]. d ± (A) := dim [Ran(A ii)], Prova del teorema 5.5. Consideriamo la trasformata di Cayley V di A. Supponiamo che A ammetta un estensione autoaggiunta B. Sia U : H H la trasformata di Cayley di B. È immediato provare che U è un estensione di V usando (5.23) e tenndo conto che (B + ii) 1 estende (A + ii) 1 e B ii estende B ii. Di conseguenza, U trasforma Ran(A + ii) in Ran(A ii). Essendo U unitario, si ha che y Ran(A + ii) se e solo se Uy U(Ran(A + ii)). In altre parole U([Ran(A + ii)] ) = [Ran(A ii)]. Per (d) di proposizione 3.6, questo equivale a dire U(Ker(A + ii)) = Ker(A ii). Dato che U è un isometria, deve allora essere dim Ker(A + ii) = dim Ker(A ii) ossia d + (A) = d (A). Mostriamo che, viceversa, se valed + = d, allora A ammette estensioni autoaggiunte e queste non sono uniche se d + (A) = d (A) > 0. Sia V la trasformata di Cayley di A. Dato che V è limitata, usando gli esercizi svolti in (3) e (4) in esercizi 3.1, possiamo estendere V, in modo unico, ad un operatore isometrico da U : Ran(A + ii) Ran(A ii). Possiamo fare la stessa cosa per V 1, estendendola, in modo unico, ad un operatore isometrico da Ran(A ii) a Ran(A + ii). È chiaro che, per continuità, tale operatore deve essere U 1 : Ran(A ii) Ran(A + ii). Ricordiamo che Ran(A ± ii) = [Ran(A ± ii)] = Ker(A ii). Nell ipotesi di d + (A) = d (A), possiamo definire un operatore unitario U 0 : Ker(A + ii) Ker(A ii). Valendo le decomposizioni ortogonali di sottospazi chiusi H = Ran(A + ii) Ker(A ii) = Ran(A ii) Ker(A + ii), 135

20 l operatore W : (x, y) := U U 0 : (Ux, U 0 y), con x Ran(A + ii) e y Ker(A ii), è un operatore unitario su H. Inoltre I W è iniettivo. Infatti, Ker(I W ) consiste nelle coppie (x, y) (0, 0) con Ux = x e U 0 y = y: la prima equazione ammette solo la soluzione x = 0 perché U è un isometria e la seconda equazione implica che y Ker(A +ii) Ker(A ii) che produce subito y = 0. Possiamo allora applicare (d) del teorema 5.4: W è la trasformata di Cayley di un operatore B simmetrico, che risulta essere autoaggiunto per (c) dello stesso teorema. Dato che W estende U, B è un estensione autoaggiunta di A. La scelta dell operatore unitario U 0 può essere fatta in più modi se d + (A) = d (A) > 0, tale scelta definisce diverse estensioni autoaggiunte di A. Mostriamo ora che la corrispondenza tra le estensioni autoaggiunte di A e gli operatori isometrici suriettivi U 0 è biunivoca. I punti (a) e (b) del teorema 5.4 implicano immediatamente che, due operatori simmetrici sono diversi se e solo se le loro trasformate di Cayley sono diverse. Consideriamo allora le estensioni autoaggiunte dell operatore A. Ogni estensione autoaggiunta, B, individua una trasformata di Cayley W unitaria che estende l operatore U (definito sopra) in un operatore unitario su H. Dato che U : Ran(A + ii) Ran(A ii) è isometrico suriettivo, che valgono le decomposizioni H = Ran(A + ii) Ker(A ii) = Ran(A ii) Ker(A + ii), e che infine W estende U, ciò può accadere solo se W determina un isometria suriettiva U 0 : Ker(A ii) Ker(A + ii). Due estensioni autoaggiunte B, B distinte devono individuare due operatori U 0, U 0 distinti, altrimenti le trasformate di Cayley W, W dei due operatori coinciderebbero e quindi gli operatori coinciderebbero a loro volta. Abbiamo ottenuto che l applicazione che manda l estensione autoaggiunta di A, B nell associata isometria suriettiva U 0 è iniettiva. Questa applicazione è anche suriettiva, dato che, come visto sopra, la scelta dell isometria suriettiva U 0 determina un estensione autoaggiunta di A: l unica che ha trasformata di Cayley data da W := U U 0. Una prima importante conseguenza del teorema 5.5 è la seguente. Teorema 5.6. Un operatore simmetrico A sullo spazio di Hilbert H è essenzialmente autoaggiunto se e solo se ammette un unica estensione autoaggiunta. Prova. Se A è essenzialmente autoaggiunto allora ammette un unica estensione autoaggiunta come noto da (d) di proposizione 5.2. Per il teorema 5.4, se A è simmetrico ammette estensioni autoaggiunte solo se d + = d. In particolare, se ammette un unica estensione autoaggiunta deve essere d + = d = 0. Ma allora, per (b) del teorema 5.3, A è essenzialmente autoaggiunto. 136

21 5.4.2 Criteri di Von Neumann e di Nelson. Un secondo teorema che enunceremo e dimostrteremo ora è in realtà un corollario del teorema 5.4. Tale teorema è dovuto a von Neumann. Abbiamo bisogno di due definizioni preliminari. Definizione Sia X uno spazio di vettoriale sul campo complesso dotato di prodotto scalare hermitiano ( ). Una funzione V : X X è detta operatore antiunitario se soddisfa le seguenti proprietà: (a) antilinearità : V (αx + βy) = αv x + βv y per ogni x, y X, α, β C; (b) antiisometricità: (V x V y) = (x y) per ogni x, y X; Nota. Notare la coniugazione complessa a secondo membro in (b). Si osservi che vale V z = z per ogni z X. Definizione Se (H, ( )) è uno spazio di Hilbert, un operatore antiunitario C : H H è detto coniugazione se è involutivo, cioè se soddisfa: CC = I. Nota. Una coniugazione è definita su uno spazio vettoriale complesso con prodotto scalare hermitiano e, in generale, non è un involuzione nel senso della definizione 3.8, che è invece definita su un algebra. Teorema 5.7 (von Neumann). Sia A è un operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. Se esiste una coniugazione C : H H tale che valga C(D(A)) D(A) ed anche allora A ammette estensioni autoaggiunte. AC = CA. Prova. Mostriamo prima di tutto che C(D(A )) D(A ) e che vale anche A C = CA. Infatti, dalla definizione di aggiunto (A f Cg) = (f ACg) per ogni f D(A ) e g D(A). Usando il fatto che C è antiunitaria: (CCg CA f) = (CACg Cf). Dato che C commuta con A e CC = I, si ha ancora (g CA f) = (Ag Cf)), ossia (CA f g) = (Cf Ag) per ogni f D(A ) e g D(A). Dalla definizione di aggiunto, queto significa che Cf D(A ) se f D(A ) e CA f = A Cf. Passiamo a provare l esistenza delle estensioni autoaggiunte facendo uso del teorema 5.5. In base a quanto appena provato, se A f = if, applicando C ad ambo membri ed usando il fatto che C sia anti lineare e commuti con A, troviamo: A Cf = icf. Per cui C è un applicazione (iniettiva perché conserva la norma) da Ker(A ii) a Ker(A + ii). Tale applicazione è anche suriettiva in quanto, se vale A g = ig, definendo f := Cg troviamo che deve essere A f = +if e, riapplicando C a f (tenendo conto di CC = I), troviamo Cf = g. Quindi C è un applicazione biettiva da Ker(A ii) a Ker(A + ii). Il fatto che sia anche antiisometrica, e quindi preservi l ortonormalità di vettori, comporta subito che trasformi biettivamente basi hilbertiane in basi hilbertiane, in particolare quindi, conservandone la cardinalità. Allora deve 137

22 essere d + (A) = d (A). Per il teorema 5.4 vale la tesi. Introduciamo ora l utile criterio di Nelson. Sono necessarie alcune definizioni. Definizione Sia A operatore nello spazio di Hilbert H. (a) Un vettore ψ D(A) tale che, A n ψ D(A) per ogni n N (A 0 := I), è detto vettore C per A ed il sottospazio vettoriale di H dei vettori C per A si indica con C (A). (b) ψ C (A) è detto vettore analitico per A, se vale: A n ψ t n < +, n! per qualche t > 0; (d) ψ C (A) è detto vettore di unicità per A, se l operatore A Dψ è essenzialmente autoaggiunto come operatore nello spazio di Hilbert H ψ := D ψ, dove D ψ è il sottospazio di H delle combinazioni lineari (finite) vettori A n ψ con n = 0, 1, Nota. Se ψ è un vettore analitico per A, la serie A n ψ t n, n! converge per qualche t > 0. Allora, per i noti teoremi di convergenza sulle serie di potenze, convergerà assolutamente ed uniformemente A n ψ z n, n! per ogni z C con z < t. Ulteriormente convergeranno, per z < t, anche le serie delle derivate di ogni ordine, cioè le serie: A n+p ψ z n!, n! n=p per ogni fissato p = 1, 2, 3,.... Quest ultimo fatto ha un importante conseguenza, di verifica immediata usando ripetutamente la disuguaglianza triangolare e la proprietà di omogeneità della norma: se ψ è un vettore analitico per A operatore nello spazio di Hilbert H, allora tutti vettori in D ψ sono vettori analitici per A. Più precisamente, se la serie A n ψ t n, n! 138

23 converge per t > 0 e φ D ψ, allora la serie converge per ogni s C con s < t. A n φ s n, n! Vale la seguente proposizione nota anche come Lemma di Nussbaum. Proposizione 5.7 (Nussbaum). Sia A operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. Se D(A) contiene un insieme di vettori di unicità le cui combinazioni lineari formano un insieme denso in H, allora A è essenzialmente autoaggiunto. Prova. È sufficiente provare che gli spazi Ran(A ± ii) sono densi, per il teorema 5.3. Nelle ipotesi fatte, dati φ H e ɛ > 0, ci sarà una combinazione lineare finita di vettori di unicità ψ i con φ N i=1 α iψ i < ɛ/2. Dato che ψ i H ψ e A Dψ è essenzialmente autoaggiunto, per il teorema 5.3, esiste η i H ψ con (A Dψ +ii)η i ψ i ɛ/2 ( N j=1 α j ) 1. Allora, posto η := N i=1 α iη i e ψ := N i=1 α iψ i, vale η D(A) e (A + ii)η φ (A Dψ +ii)η ψ + φ ψ < ɛ. Dato che ɛ > 0 è arbitrario, Ran(A + ii) è denso. La prova per Ran(A ii) è analoga. La proposizione precedente permette di dimostrare il teorema di Nelson la cui dimostrazione richiede alcuni risultati che vedremo nel capitolo 8, ma che sono indipendenti dal teorema di Nelson stesso. Teorema 5.8 (Nelson). Sia A un operatore simmetrico nello spazio di Hilbert H. Se D(A) contiene un insieme di vettori analitici per A le cui combinazioni lineari finite sono dense in H, allora A è essenzialmente autoaggiunto. Prova. Per la proposizione 5.7 è sufficiente provare che, nelle ipotesi fatte, ogni vettore analitico ψ 0 per A è anche vettore di unicità per A. Notiamo che A Dψ0 è sicuramente un operatore simmetrico in H ψ0 := D ψ0, dato che è hermitiano e il suo dominio è denso in H ψ0. Supponiamo che A Dψ0 ammetta un estensione autoaggiunta B in H ψ0. (Nota: stiamo parlando di estensioni autoaggiunte di A Dψ0 nello spazio di Hilbert H ψ0, non in H!) Sia µ la misura spettrale di ψ D ψ0 rispetto a B (cfr def 8.x, cap 8) definita come µ(e) := (ψ P (B) E ψ) per ogni insieme di Borel E σ(b) R, dove P (B) E è la misura a valori di proiezione associata all operatore autoaggiunto B. Dato che ψ 0 è analitico, A n ψ 0 t n 0 n! < +, 139

24 per qualche t 0 > 0. Quindi, per quanto detto nella nota dopo la definizione per ogni t < t 0. Se z C e 0 < z < t 0 allora: σ(b) z n n! xn + dµ(x) = z n n! = σ(b) A n ψ t n < +, n! 1 x n dµ(x) t n 0 n! ( σ(b) dµ(x) t n 0 n! ψ t n Bn 0 ψ = ψ n! An ψ < +. ) 1/2 ( σ(b) x 2n dµ(x) Il teorema di Fubini implica che, se 0 < z < t 0, possiamo scambiare il simbolo di serie con quello di integrale in z n n! xn dµ(x). Allora, se 0 < z < t 0 : (ψ e zb ψ) = σ(b) e zx dµ(x) = σ(b) σ(b) In particolare, per z = it con z < t 0, ossia per t < t 0, vale anche: (ψ e itb ψ) = z n z n n! xn dµ(x) = x n z n dµ(x) = n! σ(b) n! (ψ An ψ). (it) n (ψ A n ψ). (5.29) n! Cosideriamo un altra estensione autoaggiunta di A Dψ0, B. Ripetendo i ragionamenti di sopra troviamo che, per t < t 0 : (it) n (ψ e itb ψ) = (ψ A n ψ). (5.30) n! (5.29) e (5.30) implicano che, per ogni t < t 0 e per ogni ψ D ψ0 : (ψ (e itb e itb )ψ) = 0. Dato che D ψ0 è uno spazio denso in H ψ0, concludiamo che (vedi l esercizio svolto (2) in esercizi 3.2), per ogni t < t 0 : e itb = e itb. Calcolando la derivata in senso forte per t = 0, per il teorema di Stone (cfr teorema 8.x cap 8), risulta che (si tenga conto del fatto che t 0 > 0 per ipotesi): B = B. ) 1/2 140

25 Concludiamo che tutte le eventuali estensioni autoaggiunte di A Dψ coincidono. Mostriamo che esiste almeno un estensione autoaggiunta. Definiamo C : D ψ0 H ψ0 come: N N C : a n A n ψ 0 a n A n ψ 0. Si prova facilmente che C si estende in modo unico ad una coniugazione su H ψ0, che indicheremo ancora con C. Inoltre, per costruzione CA Dψ0 = A Dψ0 C, per cui A Dψ0 ha estensioni autoaggiunte per il teorema 5.7. In conclusione, per ogni vettore analitico ψ 0, A Dψ0 deve essere essenzialmente autoaggiunto in H ψ0 per il teorema 5.6, perché è simmetrico ed ammette esattamente un estensione autoaggiunta. Abbiamo in questo modo provato che ogni vettore analitico ψ 0 è anche vettore di unicità per A. Questo conclude la dimostrazione. Esempi 5.1. (1) Un esempio tipico per applicare il criterio di von Neumann, è il caso dell operatore di rilevanza fondamentale in Meccanica Quantistica: H := + V dove è il solito operatore laplaciano su R n : n 2 :=, x 2 i=1 i e V è una funzione localmente integrabile a valor reali. Se definiamo il dominio di H come D(R n ), risulta subito che H è un operatore simmetrico su L 2 (R n, dx). Definendo C come l operatore antiunitario che associa ad ogni funzione f L 2 (R n, dx) la funzione che punto per punto assume i valori complessi coniugati di f, è chiaro che vale CH = HC, per cui H ammette estensioni autoaggiunte. Precisando meglio la natura di V si riesce a provare che H è essenzialmente autoaggiunto. (2) L operatore A i := i x i definito su D(R n ) (vedi propoizione 5.5), come sappiamo è essenzialmente autoaggiunto, quindi ammette estensioni autoaggiunte. Esiste una coniugazione C che commuti con A i? (Si noti che potrebbe anche non esistere). La coniugazione usata in (1) non commuta con A i malgrado ammetta il suo dominio come spazio invariante. Un altra coniugazione è C : L 2 (R n, dx) L 2 (R n, dx) definita da: (Cf)(x) := f( x) (quasi ovunque) per ogni f L 2 (R n, dx). È facile verificare che C(D(R n )) D(R n ) e che CA i = A i C. (3) Si consideri lo spazio di Hilbert H := L 2 ([0, 1], dx) dove dx è la solita misura di Lebesgue, e i consideri A := i d dx con dominio dato dallo spazio delle funzioni C 1 ([0, 1]) (cioè funzioni di classe C 1 ((0, 1)) che ammettono limiti finiti per la derivata prima in 0 e 1), che si annullano in 0 e in 1. Si verifica immediatamente che l operatore è hermitiano, usando l integrazione per parti e tenendo conto che le funzioni si annullano agli estremi di integrazione annullando i termini dovuti al bordo. Inoltre si può verificare che il dominio di A è effettivamente denso, per cui l operatore A è simmetrico. Mostriamo che A non è essenzialmente autoaggiunto. Infatti, la condizione che g D(A ) soddisfi A g = ig ovvero A g = ig si scrive rispettivamente: 1 0 g(x) [ f (x) ± if(x) ] dx = 0 141

26 per ogni f D(A). Usando l integrazione per parti, si verifica immediatamente che, le funzioni di L 2 ([0, 1], dx) definite da g(x) = e x e g(x) := e x, soddisfano l identità di sopra per ogni f di classe C 1 ([0, 1]) che si annulli in 0 e in 1. Queste due ultime condizioni sono fondamentali per verificare l identità di sopra integrando per parti, in quanto le due funzioni esponenziali non si annullano in 0 e 1. In virtù del teorema 5.3, A non è essenzialmente autoaggiunto. Tuttavia esistono estensioni autoaggiunte a causa del teorema 5.6. Infatti la trasformazione antilineare C : L 2 ([0, 1], dx) L 2 ([0, 1], dx) definita da (Cf)(x) := f(1 x) manda funzioni C 1 ([0, 1]) che si annullano in 0 e 1 in funzioni C 1 ([0, 1]) che si annullano in 0 e 1 ed inoltre ( Ci d ) dx f d d d (x) = i f(1 x) = i f(1 x) = i d(1 x) dx dx (Cf)(x). per cui CA = AC. Tali estensioni devono essere in numero maggiore di 1, altrimenti A sarebbe essenzialmente autoaggiunto per il teorema 5.5, cosa che sappiamo essere falsa. Si osservi che i risultati ottenuti non cambierebbero considerando differenti domini analoghi a quello usato sopra, in particolare considerando come dominio quello delle funzioni C ([0, 1]) che si annullano in 0 e 1, oppure quello delle funzioni C su [0, 1] a supporto compatto contenuto in (0, 1). (4) Si consideri lo spazio di Hilbert H := L 2 ([0, 1], dx) dove dx è la solita misura di Lebesgue, e si consideri A := i d dx con dominio dato dallo spazio delle funzioni C ([0, 1]) periodiche e con derivate di ogni ordine periodiche, di periodo [0, 1]. L integrazione per parti prova immediatamente che A è hermitiano. Le funzioni esponenziali e n (x) := e i2πnx, per x [0, 1], con n Z formano una base hilbertiana di H come segue da (1) in esempi 3.2. Queste funzioni sono tutte contenute in D(A), per cui, essendo lo spazio generato da esse denso in H, D(A) è denso in H e quindi A è simmetrico. Ogni f H è in corrispondenza biunivoca con la successione dei coefficienti {f n } n Z l 2 (Z) dello sviluppo f = f n e n. n Z Abbiamo in tal modo definito un operatore unitario U : H l 2 (Z) tale che U : f {f n } n Z (vedi teorema 3.6). Dalla teoria elementare delle serie di Fourier si verifica facilmente che: UD(A)U 1 =: D(A ) è lo spazio delle successioni {f n } di l 2 (Z) tali che, per ogni N N, n N f n 0 per n +. Inoltre, se A := UAU 1 e {f n } n Z D(A ), A : {f n } n Z {2πnf n } n Z. Ragionando come per l operatore X i nella prova della proposizione 5.4, si verifica subito che { } D(A ) = {g n } n Z l 2 (Z) 2πng n 2 < +. n Z e, su questo dominio, A : {f n } {2πnf n }. 142

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