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1 Economia industriale Scuola di economia e studi aziendali Università di Roma Tre Anno Accademico Docente titolare: Marco Causi (Dipartimento di economia Roma Tre) Docente a contratto: Andrea Baldini (SOSE, Dipartimento di studi aziendali Roma Tre) Risultati economici e politiche pubbliche (LWG Cap. 15)

2 Dal paradigma S-C-R all analisi del comportamento delle imprese La performance delle imprese, misurata da qualche indicatore di profittabilità, è uno dei temi centrali nell economia industriale Il paradigma struttura-comportamenti-risultati ha rappresentato il punto di partenza dei lavori empirici in quest area. Il suo limite era un approccio deterministico (o strutturalista) Le ricerche empiriche successive hanno posto maggiore enfasi sul comportamento delle imprese le quali, da sole o in interazione fra di esse, possono modificare alcune variabili strutturali che definiscono il mercato Queste variabili allora (ad esempio gli indici di concentrazione e le quote di mercato) non possono più essere considerate esogene, al pari di altre variabili come le caratteristiche della domanda, la tecnologia, il contesto normativo e istituzionale

3 Collusione o efficienza? Nell ambito del paradigma S-C-R gli studi empirici hanno l obiettivo di analizzare la relazione fra profittabilità da un lato e concentrazione, economie di scala e condizioni di entrata e uscita dall altro Sono alla base delle politiche di tutela della concorrenza adottate in tutti i paesi Le critiche a questi studi - almeno a quelli più antichi nel tempo sono due: 1) si fermano ad analisi di settore e non scendono a livello d impresa 2) non distinguono fra comportamenti delle imprese finalizzati a sfruttare un potere di mercato (collusione) e comportamenti finalizzati al raggiungimento dell efficienza produttiva

4 Misure della profittabilità q di Tobin: rapporto fra valore di mercato dell impresa e costo del rimpiazzo del suo capitale margine prezzo-costo: rapporto tra profitti e ricavi delle vendite. Con rendimenti di scala costanti è uguale all indice di monopolio di Lerner (vedi capitolo 3) tasso di rendimento contabile: misura il profitto per ogni euro d investimento ed è solitamente definito come rapporto tra profitto (prima o dopo l imposta) e capitale. Poiché è spesso difficile dare una rappresentazione contabile del capitale, viene talvolta calcolato in rapporto al fatturato (alle vendite)

5 Bain: profitti più alti nei settori ad elevata concentrazione Uno studio apri-pista è quello di Bain (1951), che ha l obiettivo di verificare la relazione fra profittabilità e concentrazione usando dati relativi ai settori manifatturieri USA fra 1936 e 1940 La profittabilità è misurata con il ROE (redditività del capitale proprio) La concentrazione è misurata con il rapporto di concentrazione delle prime otto imprese (C8) La profittabilità media è significativamente superiore nei settori in cui C8 è superiore al 70 per cento Molti altri studi relativi agli anni 50 e 60 ottengono risultati simili Questi risultati sono stati interpretati come derivanti da un rapporto causaeffetto fra concentrazione, potere di mercato e profittabilità

6 Demsetz: la profittabilità dipende anche da efficienza produttiva (da scala di produzione) Demsetz, venti anni dopo, nota che se è la concentrazione a determinare profitti più alti, grazie all esercizio di un potere di mercato, allora i profitti dovrebbero essere più alti per tutte le imprese nei settori concentrati Se invece la profittabilità dipende dalla scala di produzione, e cioè dall efficienza produttiva, le grandi imprese dovrebbero ottenere profitti più elevati indipendentemente dal grado di concentrazione I dati empirici, relativi agli anni 60 negli USA, sembrano dargli ragione, anche se l impennata della profittabilità nelle grandi imprese collocate nei settori a elevata concentrazione non esclude la possibilità di un ruolo anche per il potere di mercato (vedi tabella)

7 Tabella 15.1 Tassi di rendimento per dimensione di impresa e concentrazione R 4 % Numero di industrie R1% R2 % R3 % R4 % Tutte le imprese ,3 9,5 10,6 8,0 8, ,4 8,6 9,9 10,6 8, ,1 9,0 9,4 11,7 8, ,8 9,5 11,2 9,4 8, ,9 9,6 10,8 12,2 8,4 Oltre ,0 8,6 10,3 21,6 11,3 Note: R 4 è il rapporto di concentrazione delle prime quattro imprese misurato sulle vendite del settore nel R1 è il tasso medio di rendimento per le imprese con beni capitali < USD R2 è il tasso medio di rendimento per le imprese con beni capitali tra USD e USD 5 milioni. R3 è il tasso medio di rendimento per le imprese con beni capitali tra USD 5 milioni e USD 50 milioni. R4 è il tasso medio di rendimento per le imprese con beni capitali > USD 50 milioni. Fonte: Demsetz, H. (1973), Industry structure, market rivalry and public policy, Journal of Law and Economics, 16, p. 6, Tabella 2, University of Chicago Press.

8 Collusione o efficienza? Non si arriva a conclusioni definitive e consensuali Molti studi hanno confrontato su dati empirici l ipotesi di collusione (favorita dalla concentrazione) con l ipotesi di efficienza (favorita dalla scala di produzione), senza arrivare però a una soluzione definitiva Esistono peraltro numerosi problemi di metodologia statistica in questi studi: l unità di indagine è il settore e non l impresa, la misurazione delle variabili può essere distorta poichè contiene errori dovuti a problemi di natura contabile, le variabili strutturali non sono esogene

9 Studio dei fattori determinanti la profittabilità a livello d impresa L alternativa è di studiare la questione usando l impresa come unità d indagine Apri-pista di questo approccio è stato Schmalensee (1985) che ha utilizzato l analisi della varianza (ANOVA) per ottenere una scomposizione del profitto d impresa in tre componenti: quella che deriva dal settore (industria) di appartenenza, quella che è specifica all impresa, quella che deriva dalle linee di prodotto Nelle prime applicazioni di questo metodo (anni del passato secolo) l effetto settoriale era dominante, successivamente è aumentata la dispersione fra le imprese appartenenti agli stessi settori, e cioè l effetto specifico d impresa è diventato più importante

10 Politiche industriali Gli ambiti delle politiche pubbliche per l intervento sui settori produttivi sono tre: politiche di tutela della concorrenza e politiche di regolamentazione dei monopoli naturali verranno studiate nel capitolo successivo del manuale. Il terzo ambito è quello delle politiche di sostegno per lo sviluppo dei settori produttivi (politiche industriali) Nelle economie sviluppate le motivazioni per giustificare un intervento pubblico di politica industriale sono essenzialmente quattro

11 Motivazioni delle politiche industriali: razionalità limitata, esternalità La razionalità limitata delle imprese (ad esempio nell avere informazioni ottimali sui mercati, sulla tecnologia, eccetera). Ciò è particolarmente importante per le PMI, per le quali è utile un supporto in termini di offerta di servizi Le esternalità prodotte dalle decisioni delle imprese (ad esempio negli investimenti, nella ricerca e sviluppo, nella formazione dei lavoratori). In molti casi le decisioni, che comportano costi a carico dell impresa, generano benefici appropriabili da altre imprese. Su questa base, per evitare risultati socialmente sub-ottimali (fallimenti del mercato), l intervento pubblico può agire a sostegno delle decisioni che producono esternalità positive (con azioni dirette, sussidi, incentivi tributari)

12 Motivazioni delle politiche industriali: fattori di sistema, isteresi e irreversibilità Il ruolo dei fattori ambientali e di sistema che influenzano la performance delle imprese: reti, infrastrutture, sistema giudiziario, sistema creditizio, sistema dell istruzione, efficienza delle pubbliche amministrazioni Le isteresi e irreversibilità della storia. Ad esempio, ogni fallimento d impresa produce un danno in termini di perdita non recuperabile di capitale umano, fisico e immateriale. Prima di arrivare a questo punto estremo le regole legali e le politiche pubbliche possono avere l obiettivo di salvare il salvabile dell impresa in crisi

13 Politiche industriali: il quadro europeo Le regole del gioco che governano le politiche pubbliche per l industria sono definite a livello europeo E necessario che ogni intervento pubblico in particolare di sussidio monetario o di incentivo tributario a sostegno dei settori produttivi avvenga nel rispetto delle regole della concorrenza, e cioè che i cosiddetti aiuti di Stato non permettano ad alcune imprese di ottenere vantaggi indebiti rispetto ad altre Attenzione però: 1) I sussidi possono esistere: basta che siano dentro le regole o, in casi eccezionali, che vengano autorizzati (vedi recente caso Alitalia) 2) Non c è alcun divieto alle imprese pubbliche, a condizione che restino all interno delle normative sugli aiuti di Stato e cioè che non vengano indebitamente sussidiate

14 Le recenti politiche industriali europee L industria riveste un ruolo di rilievo per la crescita dei diversi Paesi e la crisi economica iniziata nel 2008, evidenziando la vulnerabilità di alcune economie basate quasi esclusivamente su finanza e servizi, ha ribadito che la presenza di una solida e innovativa industria è condizione indispensabile per garantire percorsi di crescita L Unione Europea mette a disposizione risorse per le politiche di sviluppo e coesione e per specifiche politiche industriali, attraverso il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e il FSE (Fondo Sociale Europeo) Queste risorse vengono utilizzate da Stato e Regioni, nell ambito dei programmi nazionali e regionali delle politiche di sviluppo e coesione, e ad esse si aggiungono risorse nazionali e regionali

15 Articolo 173 Trattato UE La politica industriale europea è di natura orizzontale e mira a garantire condizioni generali favorevoli per la competitività industriale, in particolare: ad accelerare l adattamento dell industria alle trasformazioni strutturali a promuovere un ambiente favorevole all iniziativa e allo sviluppo delle imprese di tutta l Unione a promuovere un ambiente favorevole alla cooperazione tra imprese a favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle politiche d innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico

16 Strategie della politica industriale europea Nel marzo 2010 è stata introdotta la strategia Europa 2020, per la crescita economica nel decennio Con tale strategia l Unione intende operare in cinque aree specifiche: occupazione, innovazione, educazione, coesione sociale, clima/energia Nel gennaio 2014, la Commissione ha pubblicato la comunicazione dal titolo Per una rinascita industriale europea, su tematiche quali l inversione del declino industriale e il conseguimento dell obiettivo di innalzare il contributo dell industria manifatturiera al PIL

17 Priorità della politica industriale europea La Commissione ritiene che si debbano perseguire alcune priorità: 1) sostegno alla competitività industriale 2) massimizzazione del potenziale del mercato interno 3) sostegno all innovazione, competenze e imprenditoria 4) incoraggiamento degli investimenti delle imprese 5) integrazione delle imprese dell UE

18 Politiche di sviluppo e coesione e politiche industriali in Italia: Stato e Regioni Nella Costituzione italiana (che non è stata modificata per effetto dei risultati del referendum del 4 dicembre 2016) politiche di sviluppo e politiche industriali sono un area di competenza concorrente fra Stato e Regioni: entrambi possono legiferare e attuare, lo Stato deve in alcuni casi limitarsi al coordinamento delle azioni regionali Lo stato dell arte oggi vede lo Stato impegnato nel programma Industria 4.0 e le Regioni impegnate in tanti programmi (quelli del Lazio li vedremo nel seminario con Campitelli) Dubbio: gli interventi sono coordinati o c è il rischio di sovrapposizione e/o dispersione?

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