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Non punibilità per particolare tenuità del fatto: prospettive di applicazione e nuovo reato di falso in bilancio A cura di LETIZIA VALENTINA LO GIUDICE Con legge 28 aprile 2014 n. 67, il Parlamento ha delegato al Governo l intervento in materia di pene detentive non carcerarie e riforma del sistema sanzionatorio. Le novità introdotte dalla legge delega sono state numerose, ed hanno riguardato il regime degli arresti domiciliari, l introduzione della messa alla prova anche per i soggetti maggiori di età, la depenalizzazione di taluni reati contenuti nel d.lgs 286/98 (t.u. immigrazione), la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Di particolare rilievo, ai fini della presente trattazione, è la norma contenuta all art. 1 comma 1 lett. m) della legge delega, che ha demandato al Governo l emanazione di norme volte ad escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale. In attuazione della legge 28 aprile 2014 n. 67, il legislatore delegato ha emanato il decreto legislativo 16 marzo 2015 n. 28, recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introducendo nel codice penale l art. 131 bis, e modificando le disposizioni di coordinamento processuale, nonché le correlate norme del DPR 313/02 in tema di casellario giudiziale. Il decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2015, è in vigore dal 2 aprile. Il presupposto della nuova disciplina muove dalle applicazioni giurisprudenziali e dottrinarie emerse in tema di offensività, con riguardo al confine tra la inoffensività del fatto, così come descritta dall art. 49 comma 2 c.p. in tema di reato impossibile, e l offensività che per la sua particolare tenuità conduce ad un giudizio di penale irrilevanza da parte dell ordinamento. Ormai da tempo, le pronunce della Corte Costituzionale, con riferimento al principio di offensività, sono state rese nel senso di accordare allo stesso la duplice funzione di parametro per le scelte di politicacriminale del legislatore e canone ermeneutico per il giudice chiamato a decidere del caso concreto. In particolare, il principio di offensività, espresso dal brocardo nullum crimen sine iniuria, opera 1

su due distinti piani: nella sua accezione astratta, si rivolge al legislatore imponendogli di incriminare condotte che possano ledere o mettere in pericolo beni giuridici meritevoli di tutela; nella sua accezione concreta, impone al giudice di optare per interpretazioni della norma incriminatrice che siano coerenti con lo schema delineato dal legislatore, assicurando che sia punito solo il fatto che effettivamente abbia leso o messo in pericolo i beni tutelati dalla norma. Il nuovo art. 131 bis c.p. si inserisce in perfetta coerenza con questa evoluzione del principio di offensività e, accanto all individuazione di stretti parametri applicativi, assegna al giudice un ruolo centrale in ordine alla concreta valutazione del fatto e, dunque, alla punibilità del reo. Appare topograficamente corretta la scelta di innestare la nuova norma nel capo I del Titolo V del codice penale, immediatamente prima dell art.132 c.p., relativo al contenuto e alle modalità di esercizio del potere discrezionale del giudice nell applicazione della pena. In tal modo, la norma sembra collocarsi ad un gradino intermedio tra le disposizioni concernenti la stretta applicazione della legge e le norme relative all esercizio del potere discrezionale (comunque entro i limiti fissati dal legislatore) da parte del giudice. Anche la scelta di introdurre l istituto come causa di non punibilità appare corretta dal punto di vista sostanziale poiché la norma ha riguardo a fatti tipici, costituenti reato, che si sottraggono alla punibilità per ragioni di economia processuale e nel perseguimento di finalità deflattive. Il nuovo articolo 131 bis c.p. rubricato Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, consta di cinque commi. Il primo determina l esclusione della punibilità nelle ipotesi in cui il reato, che preveda una pena non superiore nel massimo a cinque anni o una pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva, sia di particolare tenuità, avuto riguardo alle modalità della condotta e all esiguità del danno (o del pericolo). Si seguono i criteri di cui al comma 1 dell art. 133 c.p. Inoltre, ulteriore condizione richiesta dalla norma, è che il comportamento del reo non risulti abituale. L ordinamento rinuncia, dunque, a perseguire quelle condotte tipiche e colpevoli che, tuttavia, si caratterizzano per un esigua carica di offensività, a patto che il soggetto non sia abitualmente incline alla commissione di illeciti e che, sulla base dei criteri enunciati dall art. 133 comma 1 c.p., il giudice ritenga non necessaria l applicazione di una pena. Inoltre, va osservato come il giudizio circa la particolare tenuità del fatto vada condotto su un duplice piano: da un lato, tenuità del reato avuto riguardo alle modalità di estrinsecazione della condotta; dall altro, tenuità con riferimento all esiguità del danno o del pericolo. Il legislatore ha inteso chiarire sin da subito la necessità di integrare entrambi i requisiti mediante l utilizzo della congiunzione e, sgomberando 2

il campo da possibili incertezze. In ogni caso, dovrà trattarsi di particolare tenuità, ammettendosi l applicazione della nuova norma solo in ipotesi effettivamente lievi. La sussistenza di tutti gli elementi richiesti dall art. 131 bis ai fini della non punibilità del soggetto, costituisce oggetto di prova ex art. 187 c.p.p. nel caso in cui si giunga sino all istruzione dibattimentale e, comunque, in ogni stato del procedimento, il giudice dovrà darne conto in sede di motivazione del provvedimento, onde compensare la rinuncia statuale all applicazione della pena. Il secondo comma esclude che l offesa possa ritenersi di particolare tenuità nelle ipotesi in cui: il soggetto abbia agito per motivi abietti o futili (art. 61 n. 1 c.p.); con crudeltà, anche in danno di animali; adoperando sevizie (art. 61 n. 4 c.p.); ovvero profittando delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all età della stessa (art. 61 nn. 5, 11 ter c.p.); o ancora, in ultimo, qualora la condotta abbia cagionato, o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il legislatore, dettando parametri particolarmente stringenti per l applicabilità della nuova causa di non punibilità, ha inteso preservare taluni beni giuridici, escludendoli attraverso la riproduzione nel testo di alcune delle aggravanti comuni di cui all art. 61 c.p. la cui sussistenza si registra in modo frequente nella prassi giudiziaria. Talvolta avviene anche che talune aggravanti vengano previste quali elementi costitutivi nell ambito di fattispecie autonome di reato. Ad esempio, in tema di reati contro gli animali, l art. 544 bis uccisione di animali, punisce chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale : in questo caso, la crudeltà, da aggravante diviene elemento di fattispecie ed esclude l applicazione della causa di non punibilità proprio in virtù del richiamo operato dall art. 131 bis c.p. che riproduce, estendendola agli animali, la previsione del n. 4 dell art. 61 c.p. In assenza di tale richiamo, la cornice edittale prevista per l uccisione di animali, avrebbe consentito l applicazione dell art. 131 bis c.p. Quanto alla necessità dalla cui assenza gli articoli 544 bis e 544 ter c.p. fanno derivare la punibilità del soggetto, la giurisprudenza è concorde 1 nel senso di assimilarla alla necessità di cui all art. 54 c.p. e ad ogni altra situazione in cui il maltrattamento o l uccisione dell animale si prospetti come inevitabile allo scopo di tutelare un bene giuridico, altrui o proprio, dal pericolo imminente cui è esposto a causa dell animale stesso. In altre parole, in base agli articoli 544 bis e 544 ter, chiunque uccida o maltratti per crudeltà o in assenza di una causa di giustificazione (art. 54 c.p.) risponde del reato. Il comma 2 dell art. 131 bis non fa menzione alcuna dell assenza di necessità. Operando, quest ultima, sul piano oggettivo, si 1 Per tutte Cass. 44822/07 in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, nella nozione di necessità che esclude la configurabilità dei delitti di uccisione e maltrattamento di animali, vi rientra lo stato di necessità previsto dall art. 54 c.p. nonché ogni altra situazione che induca all uccisione o al maltrattamento dell animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile. 3

esclude che possa rientrare nella previsione relativa ai motivi futili, poiché questi attengono all elemento psicologico. Pertanto, in mancanza di validi appigli testuali, si deve concludere nel senso di escludere l applicazione della causa di non punibilità nei reati contro gli animali solo quando questi si realizzino con crudeltà. Restano fuori le ipotesi dell art. 544 ter comma 1 seconda parte, gli articoli 544 quater e 544 quinquies che quindi potranno beneficiare dell applicazione dell art. 131 bis c.p. Il terzo comma definisce l abitualità del comportamento di cui si fa menzione al comma 1, precisando che questa si rinvenga nelle ipotesi in cui l autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Nonché le ipotesi in cui i reati abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate (si pensi ad es. agli atti persecutori). Non sono ancora chiari i termini di riferimento di tale ultimo inciso del terzo comma. In particolare, da una prima lettura del dettato legislativo non è dato comprendere se l espressione reati che abbiano ad oggetto condotte plurime possa essere interpretato nell accezione estensiva volta a ricomprendere anche ipotesi di reato continuato ex art. 81 c.p., ovvero in quella più ristretta relativa a singole fattispecie che per venire a consumazione necessitano di una pluralità di comportamenti. Se tale seconda interpretazione fosse accolta, tuttavia, si porrebbe un secondo interrogativo in riferimento alla differenza tra l inciso relativo alle condotte plurime e quello inerente alle condotte abituali. Difatti, queste specificazioni legislative, se interpretate alla lettera, sembrano far richiamo a singole tipologie delittuose in cui, tipicamente, è richiesta una pluralità di azioni ai fini della consumazione. Basti pensare all art. 572 c.p. relativo ai maltrattamenti contro familiari e conviventi. Quest ultima fattispecie, per giurisprudenza consolidata 2, si qualifica come reato abituale caratterizzato da condotte plurime (per suffragare tale tesi si fa leva sull espressione plurale maltrattamenti ). Se vi fosse una sostanziale assimilazione tra condotte plurime e abituali, si dovrebbe concludere nel senso di un inutile duplicazione di voci all interno del terzo comma art. 131 bis c.p. Più plausibile appare, nell opinione di chi scrive, configurare il richiamo a condotte plurime, nel senso di ricomprendere tra le cause di esclusione anche quella pluralità di condotte che, seppur costituenti più tipologie delittuose, siano avvinte dal vincolo della continuazione ex art. 81 c.p. Infine, residua qualche incertezza circa l interpretazione da attribuire alle condotte abituali in contrapposizione ai comportamenti abituali descritti dallo stesso secondo comma dell articolo 131 bis c.p. 2 Per tutte, Cass. 28603/13. 4

Non si comprende se le due espressioni facciano riferimento alle medesime ipotesi o se, invece, siano dirette ad escludere casi differenti dall ambito di applicazione della causa di non punibilità. Il quarto comma precisa che, ai fini della determinazione della pena detentiva di cui al comma 1, non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle che comportino una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale. In quest ultimo caso, per l applicabilità del primo comma, non si tiene conto del bilanciamento previsto all art. 69 c.p. Infine, si prevede che le disposizioni del primo comma si applichino anche nelle ipotesi in cui la legge preveda la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante del reato. Tale precisazione è volta ad evitare ingiustificate compressioni dell ambito di operatività dell art. 131 bis c.p. atteso che molte norme prevedono nel proprio articolato ipotesi di riduzione della pena per fatti di particolare tenuità. Ove il legislatore avesse omesso di inserire l ultimo comma su menzionato, sarebbero sorti dubbi circa il coordinamento dell art. 131 bis c.p. e le singole attenuanti previste dalle fattispecie di parte speciale e, probabilmente, si sarebbe concluso nel senso di escludere l applicazione della causa di non punibilità sulla base dell assunto che lo stesso legislatore, nel prevedere degli sconti di pena per le ipotesi meno offensive avesse comunque optato per la loro punibilità. L art. 2 del d.lgs 28/15 si occupa delle modifiche al codice di procedura penale. In particolare è previsto che all art. 411 c.p.p. rubricato altri casi di archiviazione, sia aggiunto un inciso relativo all ipotesi in cui, nella fase delle indagini, il soggetto indagato risulti non punibile per la particolare tenuità del fatto. Dopo il comma 1 è inserito il comma 1 bis che disciplina la procedura da seguire nelle ipotesi in cui si intenda disporre l archiviazione per le ragioni di cui all art. 131 bis c.p. La nuova disposizione onera il pubblico ministero di avvisare l indagato e la persona offesa dell intenzione di procedere all archiviazione, precisando che, nel termine di dieci giorni, tali soggetti possono prendere visione degli atti e presentare opposizione, indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Appare evidente come il legislatore voglia lasciare spazio tanto alle ipotesi in cui, dalle allegazioni delle parti, emerga una diversa valutazione in termini di offensività del fatto, con conseguente impossibilità di applicazione dell art. 131 bis c.p. quanto a quelle in cui l indagato voglia puntare alla prosecuzione del giudizio al fine di ottenere un assoluzione con formula piena piuttosto che un proscioglimento derivante dall applicazione della causa di non punibilità, con tutti gli effetti che da questa derivano anche con riferimento alle iscrizioni nel casellario giudiziale. 5

La norma prosegue descrivendo i possibili scenari che potranno profilarsi a seguito delle difese spiegate dalle parti nei dieci giorni successivi: ove ritenga l opposizione ammissibile, il giudice procederà ex art. 409 comma 2 c.p.p. dando comunicazione agli interessati e fissando udienza in camera di consiglio. Viene specificato che il giudice, ove accolga la richiesta, provveda con ordinanza, ma solo dopo aver sentito le parti. A tale proposito sembra profilarsi una differenza rispetto alla procedura prevista dall art. 127 c.p.p. per l udienza in camera di consiglio, in cui, l audizione delle parti, così come la loro comparizione, risulta facoltativa. Il comma 1 bis dell art. 411 c.p.p. sembra, invece, richiedere espressamente tanto la presenza quanto la partecipazione dei soggetti interessati. Dunque, alla rinuncia alla potestas puniendi sembrerebbe fare da contraltare l instaurazione di una forma di contraddittorio necessario. In mancanza di opposizione o nel caso di inammissibilità della stessa, il giudice procede senza formalità e, nel caso in cui accolga la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Ove, invece, non accolga la richiesta, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero eventualmente disponendo il compimento delle c.d. indagini coatte (art. 409 comma 4 c.p.p.) ovvero l imputazione coatta entro il termine di dieci giorni (art. 409 comma 5 c.p.p.). L art. 3 del decreto delegato si occupa delle disposizioni di coordinamento processuale, contemplando l ipotesi in cui l esclusione della punibilità venga rilevata prima dell inizio del dibattimento. Si aggiunge il comma 1 bis all art. 469 c.p.p. e si dispone che la sentenza di non doversi procedere sia pronunciata anche nei casi di cui all art. 131 bis c.p., previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare. Di particolare rilievo è, poi, il nuovo articolo 651 bis c.p.p. rubricato Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno : la norma prevede che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, pronunciata all esito del dibattimento, assuma efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di restituzione o risarcimento del danno, con riferimento alla sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all affermazione che l imputato lo ha commesso. La ratio della norma è quella di assicurare che la rinuncia alla sanzione penale possa garantire in ogni caso un ristoro ai soggetti che abbiano subito nocumento dall altrui illecito. Non sfugge come il legislatore abbia inteso accordare tale garanzia limitatamente alle ipotesi in cui la responsabilità dell agente, seppur sottratta alla sanzione penale, sia stata accertata in contraddittorio e all esito di una compiuta valutazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, dell antigiuridicità della condotta e dell elemento psicologico. Analoga possibilità non è stata, dunque, prevista nei casi in cui il giudizio sulla particolare tenuità del fatto non sia approdato alla fase dibattimentale. 6

L art. 4 del d.lgs 28/15, si occupa delle modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002 n. 313, recante disposizioni in tema di casellario giudiziale e all anagrafe delle sanzioni amministrative da reato e dei relativi carichi pendenti. In particolare, si prevede all art. 3 comma 1 che nel casellario giudiziale siano riportati per estratto i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale. Il comma 2 dell art. 5 prevede poi che alla cancellazione di tali annotazioni si faccia luogo trascorsi dieci anni dalla pronuncia. Inoltre, all art. 24 comma 1, relativo al certificato generale del casellario giudiziale richiesto dall interessato, la modifica dispone che nel predetto certificato non sia data notizia dei procedimenti penali conclusisi in applicazione dell art. 131 bis c.p. Diversamente, all art. 25 comma 1, in tema di certificato penale del casellario giudiziale su richiesta dell interessato, tale notizia è, invece, prevista. Si consente, così, al giudice la possibilità di venire a conoscenza dei precedenti carichi del soggetto, onde evitare che la commissione di nuovi fatti della stessa indole possa andare esente da punibilità a causa della loro particolare tenuità. Dall esame della normativa discendono varie considerazioni. In primo luogo, nel silenzio dell art. 131 bis c.p., che non fa specifico riferimento al delitto consumato, si ritiene che la causa di non punibilità possa, senz altro, applicarsi alle ipotesi tentate quando, sulla base di un giudizio prognostico possa evincersi che, qualora il reato fosse stato portato a consumazione, l entità dell offesa avrebbe comunque raggiunto una soglia minima. A tale proposito, si tiene in considerazione, quale parametro per effettuare il giudizio di tenuità, la pena valutata in concreto per il delitto tentato (che, come è noto, rappresenta fattispecie autonoma) e non già quella prevista per il reato consumato. Secondariamente, in assenza di un regime transitorio volto a disciplinare gli effetti della riforma sui procedimenti penali antecedenti al 2 aprile 2015, si ritiene applicabile l art. 2 comma 4 c.p. che contempla le ipotesi di sopravvenienza di una legge posteriore più favorevole e la sua applicabilità ai fatti commessi anteriormente. Da una prima lettura della nuova disciplina sembra si potrà optare per l applicabilità dell art. 131 bis c.p. anche ai casi già definiti con sentenza di condanna. Tuttavia, la sensibilità dell argomento e la portata degli effetti che potrebbero derivare da una tale ricostruzione, impongono cautela. Conviene rinviare alla maggiore specificazione che questo aspetto troverà nella prassi applicativa. In terzo luogo, il tenore del nuovo art. 131 bis c.p. pare, in un certo senso, evocare gli 7

istituti, da tempo applicati nel diritto penale minorile, della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27 DPR 448/88 e del perdono giudiziale di cui all art. 169 c.p. Quanto alla prima ipotesi, perché sia pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti del minore, la legge richiede che siano integrati tre presupposti: la tenuità del fatto, intesa sia in senso materiale che giuridico; la occasionalità della condotta (cfr. la non abitualità richiesta dall art. 131 bis comma 1) e infine, il pregiudizio educativo che il reo subirebbe ove si desse seguito al processo nei suoi confronti. Quanto al perdono giudiziale, quest ultimo si configura come causa di estinzione del reato che, in un ottica di prevenzione speciale, importa la rinuncia dello Stato, non già all applicazione della pena bensì all emanazione della sentenza di condanna. Difatti, il perdono viene concesso mediante sentenza di proscioglimento, all esito di un compiuto accertamento circa la colpevolezza dell imputato. Rispetto al nuovo art. 131 bis, è possibile affermare che le due norme differiscono per presupposti applicativi, collocazione topografica e natura giuridica, ma la ratio pare fondarsi, in entrambi i casi sulla volontà legislativa di non punire il soggetto che abbia posto in essere una condotta caratterizzata da esigua offensività, quando, sulla base di un giudizio prognostico, il giudice presuma che tale soggetto difficilmente indulgerà in altre attività criminali. Tuttavia, l istituto del perdono viene concesso solo a soggetti minori di età che abbiano commesso degli illeciti per i quali è prevista una pena edittale non superiore nel massimo a due anni; viceversa il 131 bis c.p. abbraccia delitti che possono arrivare fino alla soglia dei cinque anni, ricomprendendo tipologie delittuose tutt altro che bagatellari. A tal proposito, vien da chiedersi se effettivamente tutti i reati rientranti nella descrizione della nuova norma siano suscettibili di realizzazione in forme particolarmente tenui, o se, piuttosto ve ne siano taluni che, per le modalità della condotta e per i beni giuridici che andrebbero ad intaccare, rendano sempre necessaria la repressione penale. Ci si chiede, inoltre, se sia possibile configurare un automatismo nell applicazione dell art. 131 bis c.p. o se vi sia un margine entro il quale il giudice possa operare valutando in concreto l offensività delle condotte portate alla sua attenzione. In alcuni reati è lo stesso legislatore a fissare delle soglie di punibilità a partire dalle quali il soggetto è tenuto a rispondere del reato (es. reati tributari); in essi è già presente un giudizio circa la tenuità della condotta e l esiguità del danno. Ne discende che difficilmente si potrà ritenere configurabile l applicazione dell art. 131 bis c.p. quando la legge ha espressamente fissato la punibilità, a partire dal raggiungimento di un dato livello di offesa. In altri reati, ad esempio alcuni tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, emerge 8

chiaramente la volontà legislativa di assicurare la punibilità di condotte che, seppur non connotate da una soglia elevata di offensività, comunque pongono in pericolo beni giuridici di particolare rilevanza. Basti pensare al nuovo art. 346 bis c.p. sul traffico di influenze illecite, che punisce condotte prodromiche ai fatti propriamente corruttivi e prevede la pena da uno a tre anni di reclusione a prescindere dal fatto che il soggetto abbia effettivamente esercitato la propria influenza, per il solo fatto che indebitamente abbia fatto dare o promettere denaro. In tale ipotesi, il monito lanciato dal legislatore è chiaro: a prescindere dalla concreta lesione al bene giuridico, in nessun caso la funzione amministrativa potrà essere soggetta a mercimonio. O ancora, l abuso d ufficio ex art. 323 c.p., che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni. Appare indubbio come tali condotte si connotino per un particolare disvalore, a prescindere dall entità dell offesa. In queste ipotesi l abuso della qualità o dei poteri caratterizza ex se un vulnus e, per tale motivo, il legislatore guarda con particolare sfavore a tali fattispecie di reato. Immaginare che la novità introdotta dal d.lgs 28/15 possa applicarsi alle ipotesi su menzionate, sebbene astrattamente possibile, appare poco verosimile a parere di chi scrive. Probabilmente, in questi casi, l applicabilità dell art. 131 bis c.p. sarà esclusa facendo leva sull inciso relativo alle modalità della condotta che difficilmente condurrà ad una valutazione in termini di particolare tenuità dell offesa in sede giudiziale. Per completezza, si segnala anche come, in alcuni casi, la giurisprudenza, in applicazione del principio di offensività, si sia pronunciata nel senso della penale irrilevanza di alcuni reati perpetrati nell ambito della Pubblica Amministrazione. A titolo esemplificativo, si prenda il caso del peculato d uso relativo all utilizzo del telefono, in cui le Sezioni Unite 3 hanno affermato che la condotta del pubblico ufficiale o dell incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d ufficio per fini personali e al di fuori dei casi d urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi; ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative. Probabilmente è da escludere la possibilità che l applicazione dell art. 131 bis c.p. avvenga sulla base di automatismi e, in linea con il passato, le valutazioni relative alla condotta del reo andranno condotte di volta in volta dal giudice, chiamato in prima persona ad applicare il principio di offensività in concreto, valutando se vi è stata effettiva lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato. 3 Sez. Unite sent. 19054/13. 9

In ultimo, si segnala che il testo del d.d.l. anticorruzione approvato dal Senato, nel reintrodurre il reato di falso in bilancio, inserisce nel codice civile l art. 2621 ter rubricato non punibilità per particolare tenuità con un richiamo espresso all art. 131 bis c.p. ed una specificazione ad hoc dei criteri di cui il giudice dovrà tenere conto nella valutazione della particolare tenuità del fatto. Il nuovo testo legislativo in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazione di tipo mafioso e di falso in bilancio, prevede la modifica dell art. 2621 c.c., che da fattispecie contravvenzionale diviene delitto, punito con la reclusione da uno a cinque anni. Prima dell art. 2622 c.c. sono, altresì, inseriti gli articoli 2621 bis e 2621 ter c.c. che, in applicazione del principio di offensività, disciplinano rispettivamente i fatti di lieve entità e la non punibilità per particolare tenuità. La modifica riguarda, inoltre, l art. 2622 c.c. che passa da reato di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori a reato di false comunicazioni sociali delle società quotate con un significativo aumento della pena (il d.d.l. prevede la reclusione da tre a otto anni, mentre il testo attualmente vigente prevede la reclusione da uno a quattro anni, elevata da due a sei anni di reclusione in caso di danno ai risparmiatori). Più nel dettaglio, il nuovo art. 2621 c.c. al primo comma mantiene in parte la struttura del testo ancora in vigore ad eccezione di alcuni elementi: circa la descrizione dell elemento soggettivo che deve sussistere in capo ai soggetti attivi, viene meno l inciso con l intenzione di ingannare i soci o il pubblico, la cui indagine comporta, probabilmente, alcuni inconvenienti sul piano probatorio. Per il reato si richiede, dunque, solo il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, che caratterizza il 2621 c.c. come fattispecie a dolo specifico. Con riferimento all oggetto delle false rappresentazioni, la norma richiede che siano consapevolmente esposti fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, e viene meno l inciso ancorché oggetto di valutazioni restringendo la portata applicativa della norma ad ipotesi di falsità oggettiva (insuscettibili di essere giustificate sulla base dell errata valutazione dei dati). La norma aggiunge, poi, che l esposizione di tali fatti deve essere resa in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, richiedendo un giudizio di idoneità/offensività volto ad escludere la punibilità di condotte che, in concreto, non sono in grado di determinare l errore in soggetti di comune avvedutezza e discernimento. Inoltre, il fatto che si sia optato per l espressione (indurre) altri in luogo dell attuale formulazione che fa riferimento, invece, ai destinatari sulla predetta situazione, sembra ampliare la portata dell inciso a soggetti ulteriori rispetto ai soci e ai creditori. Del resto, le falsità in bilancio esplicano i propri effetti anche con riguardo ai reati tributari, cui probabilmente il legislatore intende fare richiamo. Dall art. 2621 c.c. vengono soppressi i commi 3, 4 e 5 che contemplano alcune ipotesi di esclusione della punibilità e le sanzioni amministrative (queste ultime sono fatte trasmigrare nell art. 25 ter 10

d.lgs 231/01). L art. 2621 bis c.c. dispone la riduzione della pena, da sei mesi a tre anni, per i fatti di lieve entità. Si richiede che il giudizio circa la lieve entità venga operato con riguardo alla natura e alle dimensioni della società, e delle modalità o degli effetti della condotta. Analogamente, il regime più favorevole viene esteso alle ipotesi in cui i fatti descritti dal 2621 c.c. riguardino i soggetti di cui al secondo comma dell art. 1 R.D. 267/42 (esercenti attività commerciali, assimilati ai piccoli imprenditori, avuto riguardo alla titolarità di un reddito mobiliare inferiore al minimo imponibile). L art. 2622 c.c. nella nuova formulazione, da reato di danno muta in reato di pericolo e assume la stessa impostazione dell art. 2621 c.c. punendo i medesimi fatti ma quando questi siano commessi nell ambito di una società quotata, emittente strumenti finanziari, in un mercato regolamentato italiano o appartenente ad altro paese dell Unione Europea. Il reato mantiene il dolo specifico del conseguimento di un ingiusto profitto, ma le pene sono aumentate e si procede d ufficio. Ai fini della punibilità, non si richiede più che la condotta dei soggetti attivi sia produttiva di un danno, è sufficiente che questi espongano, ovvero omettano, fatti materiali rilevanti in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. L art. 2621 ter c.c. non punibilità per particolare tenuità, aderendo alle recenti tendenze politicolegislative, ispirate ai principi di economia processuale e proporzione, prevede che ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all art. 131 bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l entità dell eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621 bis. In questo caso, per la specificità della normativa relativa ai reati in materia di società e consorzi, il legislatore ha inteso formulare un articolo ad hoc che si occupasse dell applicazione della causa di non punibilità. E ciò al fine di dettare dei canoni interpretativi mirati cui il giudice dovrà far riferimento nel condurre il giudizio sulla particolare tenuità. Tale giudizio, dovrà essere incentrato, in modo prevalente, sull entità del danno eventualmente cagionato. L utilizzo dell indicativo valuta e la successiva specificazione in modo prevalente, sembrano indicare una preminenza del giudizio sul danno rispetto alle altre valutazioni richieste dall art. 131 bis c.p. che, invece, prevede la concorrenza di un giudizio incentrato tanto sulle modalità della condotta (e dunque, impiego dei mezzi, grado dell elemento psicologico e condizioni dell agente) quanto sull esiguità del danno o del pericolo. Non è dato conoscere il contenuto di tale giudizio di prevalenza, né il significato che a questo verrà attribuito nella prassi applicativa. Tuttavia, dal momento che tra l art. 131 bis c.p. e il 2621 ter c.c., sembra sussistere un rapporto di specialità, è possibile argomentare che, ferma restando la 11

prevalenza del giudizio sull eventuale danno ai creditori, ai soci o alla società, la non punibilità andrà concessa solo ove sia accertata la sussistenza di tutti gli elementi, positivi e negativi, richiesti dalla norma di carattere generale di cui all art. 131 bis codice penale. In realtà, la formulazione dell art. 2621 ter c.c. appare distonica rispetto all art. 2621 c.c. cui fa rinvio: la norma relativa al delitto di false comunicazioni sociali è, come su detto, strutturata come reato di pericolo e punisce i soggetti per il solo fatto di aver consapevolmente esposto fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, inducendo altri in errore, al fine di trarne ingiusto profitto. Orbene, appare senza dubbio singolare la circostanza che la norma relativa ai casi di particolare tenuità, subordini la concessione della causa di non punibilità all esigua entità di un danno che non è neppure elemento di fattispecie e che, al massimo, se il legislatore non avesse inteso ometterlo, costituirebbe circostanza aggravante. Stanti queste previsioni normative, potrebbero profilarsi due differenti soluzioni in sede interpretativa: si potrebbe optare per una lettura dell art. 2621 ter c.c. particolarmente restrittiva, giungendo sino a negare sistematicamente la possibilità di concedere la non punibilità nelle ipotesi in cui, i fatti dell art. 2621 c.c., si esauriscano nelle condotte descritte, ossia quando questi non si spingano sino alla produzione di un danno che è, invece, oggetto principale del giudizio di tenuità descritto dalla norma; oppure, tesi che, a parere di chi scrive, appare più convincente, la norma speciale relativa ai casi di particolare tenuità, interpretata secondo un giudizio a fortiori potrebbe essere letta nel senso di concedere sempre la non punibilità ai soggetti di cui all art. 2621 c.c. sulla base dell assunto che, se è possibile accordare la non punibilità per una falsa comunicazione che abbia cagionato un danno di lieve entità, a maggior ragione sarà possibile accordarla quando un danno non si sia neppure prodotto. Naturalmente, non si esclude che tale distonia emerga nel corso dei lavori parlamentari e che venga eliminata prima dell approvazione definitiva del disegno di legge. 12