Capitolo 4 C 4. 1. Superare la frattura tra scuola e vita reale



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Capitolo 4 1. Superare la frattura tra scuola e vita reale La contraddizione fra una società complessa, in continua trasformazione, che richiede soluzioni creative in ogni aspetto della vita quotidiana degli individui che ne fanno parte, e una scuola che invece tende ad uniformare il pensiero pone le prassi operative degli insegnanti di fronte a responsabilità etiche e morali fondamentali per il futuro. Promuovere negli alunni la capacità di affrontare i problemi che la loro esperienza di vita gli metterà di fronte, attivando le proprie risorse interne e agendo in un contesto complesso, significa riuscire a conciliare le esperienze di apprendimento scolastico con le situazioni di vita, lavorare più su ciò che unisce che sulle fratture tra scuola e vita. L insegnamento scolastico va quindi ripensato in questi termini: come agganciare la scuola alla vita, come orientare la propria azione verso un apprendimento che non perda mai il collegamento con l esperienza reale del soggetto? La scuola deve limitarsi a trasmettere saperi o deve anche sviluppare competenze? A tutti questi quesiti, secondo Philippe Perrenoud, sociologo e professore presso l Università di Ginevra, possiamo rispondere affermando che si tratta semplicemente di un problema di priorità: conoscenze e competenze sono entrambe necessarie. Ma cosa si deve intendere con competenza e perché la scuola non può ignorarla? Scrive Perrenoud: Nel nostro caso definirei la competenza come la capacità di agire efficacemente in una situazione data, capacità che si fonda su alcune conoscenze, ma non si riduce ad esse. Per far fronte, nel migliore dei modi, ad una situazione, in genere noi mettiamo sinergicamente in atto diverse risorse cognitive complementari, tra cui le conoscenze. Queste ultime, nel senso corrente del termine, sono rappresentazioni della realtà che abbiamo costruito e immagazzinato secondo la nostra esperienza e la nostra formazione. 63

2. Dal saper fare al saper agire Parte I - L apprendimento nella scuola primaria 64 Secondo Guy Le Boterf, uno degli esperti più accreditati a livello europeo per ciò che concerne lo sviluppo e la gestione delle competenze, la competenza non è uno stato ma un processo e risiede nella mobilitazione delle risorse dell individuo (conoscenze, capacità), e non nelle risorse stesse. Si configura quindi come un saper agire (o reagire) in una determinata situazione, in un determinato contesto, allo scopo di conseguire una performance, sulla quale altri soggetti (superiori o pari) dovranno esprimere un giudizio. Le Boterf riassume il percorso di sviluppo che ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal saper fare al saper agire : espressione che ben sintetizza il passaggio da una visione comportamentista, più centrata sulla dimensione operativa e prestazionale, ad una visione che riecheggia i filoni del costruttivismo sociale. Le Boterf evidenzia tre dimensioni connesse all esercizio di una competenza: il saper agire, intesa come capacità di mobilitare il proprio sapere in risposta ad un certo compito; il voler agire, intesa come disponibilità ad investire al meglio le proprie risorse nell affrontare il compito; il poter agire, intesa come sensibilità alle risorse e ai vincoli che il contesto operativo inevitabilmente pone. Pellerey sintetizza in maniera efficace il concetto di esercizio di una competenza definendola come capacità di far fronte ad un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e ad orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo. 3. Nuove sfide professionali: l approccio per competenze Le nuove sfide professionali, che il passaggio verso le competenze propone alle rappresentazioni culturali e alle prassi operative degli insegnanti, sono secondo Philippe Perrenoud, autore del libro Dieci competenze per insegnare: partire dai saperi per mobilitare le risorse. La conoscenza non può essere considerata materia inerte, inserita all interno delle di-

scipline scolastiche, ma va trattata come materia viva, da mettere in relazione con le esperienze di vita e i problemi che la realtà pone. I saperi scolastici non sono autoconsistenti, richiedono di essere sempre pensati come delle potenziali risorse per affrontare contesti di realtà, non possono perdere questo collegamento vitale; condurre le lezioni partendo da situazioni-problema. La stretta relazione tra realtà e scuola deve riflettersi in un lavoro didattico fondato su attività in grado di integrare i diversi saperi e di renderlo significativo, proponendo situazioni problematiche da affrontare, attivando processi euristici in contesti reali. L espressione situazioni-problema ben riassume l approccio esplorativo, di ricerca aperta, da adottare nella prassi educativa; condividere progetti formativi con i propri alunni. I protagonisti del proprio apprendimento sono gli alunni, ruolo che si riflette nella pratica della contrattualità formativa al fine di una condivisione di senso del lavoro didattico, non solo con gli alunni, ma anche con gli altri soggetti coinvolti (genitori, personale ATA, ecc.); adottare una progettazione flessibile. Il collegamento con problemi reali richiede un approccio strategico alla progettazione, che dovrà prevedere linee d azione da adattare e calibrare durante lo sviluppo del percorso formativo. Tale approccio implica un impostazione flessibile, aperta alla progettazione didattica, intesa come ricerca da impostare e adattare in corso d opera, avendo chiaro dove si vuole arrivare e i traguardi formativi che si intendono promuovere; la valutazione come strumento per promuovere l apprendimento. La pratica in cui si esprime l apprendimento amplifica il potenziale formativo del momento valutativo, vero e proprio specchio attraverso cui conoscere e riconoscersi, risorsa metacognitiva per il soggetto che apprende; la valutazione si connette strettamente alla formazione, non è pensata come un momento terminale e separato bensì come uno strumento attraverso cui promuovere e consolidare l apprendimento; adottare una minore chiusura disciplinare. La realtà complessa della società contemporanea è per sua natura multiforme, non va quindi rinchiusa negli ambiti concettuali e metodologici delle singole discipline, ma va osservata da differenti punti di vista per comprendere la propria esperienza attraverso un superamento dei confini disciplinari. 65

4. Gli ostacoli all approccio per competenze Parte I - L apprendimento nella scuola primaria Una diversa modalità con cui avvicinarsi all insegnamento non si scontra solo con le resistenze e le routine del corpo docente, ma anche con gli stereotipi, le aspettative, i modelli culturali degli studenti, delle loro famiglie, della comunità sociale. Un approccio per competenze richiede agli alunni di porsi in modo diverso rispetto all esperienza di apprendimento, richiede di padroneggiare l incertezza, di imparare a sapere che cosa fare quando non si sa che cosa fare. La sfida quindi non è solo tecnico-professionale, ma soprattutto culturale, in quanto investe l intera comunità sociale che ruota intorno all universo scolastico e i significati che ciascuno degli attori attribuisce al fare scuola; non a caso Perrenoud ammonisce: se si cambiano solo i programmi che figurano nei documenti, senza scalfire quelli che sono nelle teste, l approccio per competenze non ha nessun futuro. 5. Saper pensare: facoltà umana per eccellenza 66 Nella prassi quotidiana l insegnante continua ad essere eccessivamente concentrato sui contenuti e meno sui processi, sullo sviluppo e sul potenziamento della facoltà umana per eccellenza: saper pensare. Saper direzionare il proprio pensiero per operare scelte, prendere decisioni e risolvere problemi rappresenta nella società complessa il patrimonio individuale e sociale più prezioso da sviluppare nel corso di tutta la vita. deve diventare quindi il filo rosso di un itinerario educativo che attraversa e pervade tutti gli ambiti della didattica e tutti i saperi. Attraverso le discipline, l insegnante deve stimolare la fusione di pensieri in un contesto in cui ogni individuo può esprimere la propria opinione, senza aver timore di sbagliare, ma arricchendo le possibilità di scelta. Promuovere il senso di responsabilità delle proprie idee, senza tuttavia disgiungerlo dalle emozioni: se non si passa attraverso il gioco, le emozioni, la narrazione, si possono memorizzare soltanto concetti appresi meccanicamente. Affinché il bambino sperimenti ciò che gli si vuole insegnare, bisogna stimolare continuamente la sua immaginazione utilizzando registri diversi: arte, espressione motoria, disegno, manipolazione, narrazione,

musica ecc. In questi contesti il bambino interiorizza l esperienza e in seguito giunge all astrazione e alla simbolizzazione dei concetti. Fondamentali divengono anche le emozioni perché senza di esse le funzioni intellettuali non si attivano. Gli aspetti emozionali non possono essere separati da quelli cognitivi, così come quelli individuali da quelli sociali. Non si può staccare il corpo dalla mente, c è crescita mentale se c è una implicazione corporea ed emozionale (cfr. Goleman cap. 3). Una testa ben fatta pensa ed elabora, propone cose nuove, si muove in sistemi reticolari senza perdersi, non teme le novità anzi, le persegue. È importante quindi lavorare con i bambini, fin dalla più tenera età, sul saper prendere decisioni e sulle scelte da fare. La considerazione per gli altri e l ascolto delle opinioni altrui sono essenziali per aprirsi al nuovo e cercare soluzioni ai problemi. La logica formale da sola non garantisce di per sé la validità del pensiero, il tradizionale tipo d insegnamento, privilegiando l informazione, la descrizione di fenomeni ed avvenimenti, trascura la capacità di pensare all azione, alla progettualità, allo scambio di idee. Stimolare l aspetto più costruttivo del pensiero vuol dire trovare strategie per mantenere l accesso a quella conoscenza che nutre la libertà di pensiero e di parola, l autonomia del giudizio, la forza dell immaginazione come altrettante precondizioni per una umanità matura e responsabile. 67 6. De Bono e il pensiero laterale Il dottor Edward de Bono (1933) è considerato una delle massime autorità nel campo del pensiero creativo e delle tecniche per sviluppare il pensiero. Laureato in medicina e psicologia, ha collaborato con le più importanti aziende e con governi di tutto il mondo, acquisendo una significativa esperienza pratica nell insegnamento diretto delle tecniche di pensiero. Nel suo libro, Il meccanismo della mente (1969), de Bono ha descritto il modo in cui il sistema nervoso del cervello si auto-organizza, così da permettere alle informazioni di disporsi in modelli. Su questa base lo studioso ha creato metodologie e strumenti per pensare e ha teorizzato il pensiero laterale. Il pensiero laterale non procede in maniera sequenziale e lineare come quello verticale/logico (causa/effetto) ed è utile per affrontare

Parte I - L apprendimento nella scuola primaria 68 situazioni in cui la logica formale è inefficace. Offre la possibilità di affrontare i problemi partendo da vari punti di vista per cercare soluzioni originali, integrando il pensiero logico razionale. Il pensiero laterale non si fonda su certezze, ma cerca di considerare le situazioni problematiche prendendo più strade possibili per aumentare le variabili nelle scelte risolutive. 7. Insegnare a pensare: il programma Thinking Il programma Thinking di Edward de Bono è attualmente uno dei percorsi più diffusi per l insegnamento e lo sviluppo delle fondamentali abilità del pensiero laterale. Sperimentato a partire dagli anni Settanta, ha accumulato moltissime altre esperienze, trovando attualmente vasto impiego in molti paesi europei e del mondo. Il programma è suddiviso in sei aree, per un totale di 60 strategie, sviluppate attraverso la soluzione di alcuni problemi pratici ricavati dalla vita quotidiana, per i quali si richiede l uso di strategie specifiche di pensiero, rinforzate sistematicamente da appositi esercizi di riflessione metacognitiva. Le lezioni mirano allo sviluppo e al potenziamento di alcune aree specifiche di pensiero, in particolare: ampiezza di vedute; organizzazione delle idee; interazione; creatività; informazioni e sensazioni; azione. Due sono le fasi fondamentali che caratterizzano il metodo d insegnamento: la prima consiste nel focalizzare l attenzione sui diversi aspetti e strategie del pensiero, e sulla loro cristallizzazione, o consolidamento, in concetti ben definiti e in strategie da utilizzare in modo intenzionale; la seconda fase riguarda l interiorizzazione del metodo e degli strumenti di pensiero come nuova forma mentis. In Italia, il progetto Imparare a pensare è stato introdotto fin dal 1984, come esperienza metodologico-didattica in alcune scuole del Veneto, mentre una più rigorosa sperimentazione è stata attuata in alcune regioni del nord-est, coinvolgendo circa 26 classi di scuola elementare, media e superiore, dal 1993 al 2001, all interno di un progetto di ricerca Scuola-Facoltà di Scienze della Formazione dell Università di Verona. Le ricerche dell Università di Verona sul programma Thinking hanno prodotto i risultati qui di seguito sintetizzati.

Il pensiero non si sviluppa solo in modo naturale, ma può esser stimolato attraverso un adeguato e sistematico curricolo formativo. Siccome la maggior parte del pensiero concreto è legata allo sviluppo dell attività percettiva, è necessario che l intervento formativo promuova adeguate strategie di conoscenza che tengano conto anche del processo percettivo e del suo sviluppo. Occorre insegnare l uso intenzionale di strategie per stimolare il pensiero e contribuire all apprendimento, tali strategie nascono e si sviluppano in precisi contesti d apprendimento; tuttavia è necessario saper cogliere, pur con la dovuta gradualità, anche la loro natura di strategie generali trasferibili in altre situazioni. L attenzione va focalizzata non su insegnare cosa pensare, ma come pensare e i contenuti delle discipline scolastiche da soli possano far scaturire spontaneamente anche un metodo per il pensiero: occorre prestare tempo e attenzioni adeguate all insegnamento di strategie d apprendimento. 8. Sei diversi modi per pensare «Le nuove idee sono la sostanza del cambiamento e del progresso in ogni campo, dalla scienza all arte, dalla politica alla felicità personale» (Edward de Bono). De Bono propone una distinzione in sei diversi modi di pensare, visualizzandoli in sei cappelli di colori diversi. La scelta dei cappelli è dovuta alla loro facile riconoscibilità. Nel suo libro, Sei cappelli per pensare, de Bono individua le differenti funzioni che gli interventi dei partecipanti a una discussione possono assumere, proponendo l uso di cappelli colorati che, da un lato, rendono la discussione più organizzata e, dall altro, consentono ai partecipanti di raggiungere maggiore consapevolezza di ragionamento. I differenti cappelli, indossati a turno dai protagonisti, consentono di affrontare il problema da molteplici punti di vista. È un metodo che consente di organizzare diversi tipi di pensiero per prendere decisioni efficaci ed appropriate, sfruttando appieno anche gli aspetti più ottimistici, senza però perdere di vista quelli realistici. De Bono ha previsto l uso di sei cappelli: bianco, rosso, verde, nero, giallo e blu. Ognuno prevede un tipo di comportamento e l attivazione di un determinato modello di ragionamento. 69

Parte I - L apprendimento nella scuola primaria 70 Cappello bianco - funzione oggettiva: chi lo indossa definisce i dati oggettivi a disposizione. Cappello verde - funzione creativa: chi lo indossa può esprimere tutte le idee per realizzare il progetto, anche le più irrazionali. Il pensiero deve essere libero da regole formali, le sue soluzioni devono essere le più originali, indipendentemente dalla loro possibile realizzazione. Cappello giallo - ottimismo: chi lo indossa deve individuare le risorse a disposizione per rendere il progetto possibile e per realizzarlo, comprese le competenze nel gruppo di lavoro. Cappello nero - pessimismo: chi lo indossa cerca di individuare tutti gli ostacoli che si presentano alla realizzazione del progetto e prova ad esaminarli. Cappello rosso - emotività: chi lo indossa esprime il pensiero nella sua istintività, la sua voglia di realizzare il progetto; lasciando sfumare intuizioni e presentimenti in decisioni che cominciano a delinearsi. Cappello blu organizzazione: chi lo indossa coordina l uso degli altri cappelli. I metaforici cappelli hanno lo scopo di attivare i diversi settori della mente, creando una mappa esauriente in grado di guidare efficacemente dall intenzione all attuazione. La funzionalità della suddivisione colori-pensieri consente al progetto di dirigere il pensiero verso mete sicuramente più interessanti di quelle che avrebbe potuto raggiungere se fosse rimasto negli schemi abitudinari. Nella pratica didattica possono essere utilizzati degli occhiali al posto dei cappelli. Un esempio di organizzazione in un primo ciclo della scuola primaria può essere quello di riunire il gruppo classe in cerchio, porre i cappelli o gli occhiali nel mezzo, mentre l insegnante in veste di coordinatrice indosserà il cappello blu. Le prime applicazioni del metodo nella pratica didattica possono riguardare situazioni che risvegliano emozioni riconducibili ai diversi colori dei cappelli per poi passare, ad esempio, alla ricerca di strumenti per rendere efficaci le esercitazioni in classe. 9. Il pensiero laterale nella pratica didattica Abituare i bambini a sviluppare il pensiero laterale significa abituarli ad affrontare nuove situazioni in maniera elastica ed originale. Le prove

Invalsi, ad esempio, richiedono un atteggiamento aperto e divergente, rappresentano la necessità di usare strategie di pensiero capaci di affrontare le novità senza scoraggiarsi e con un atteggiamento costruttivo. nella pratica didattica significa adottare vere e proprie tecniche di apertura mentale come possono essere: inversione: capovolgimento della situazione che sarà immaginata invertendo termini nei quali si presenta (es: anziché il cameriere serve i clienti, i clienti servono il cameriere. Quando? Cosa succederebbe allora?...) ; distorsione: mettere in discussione i presupposti e non considerarli mai una verità assoluta! Rendere anomala una situazione significa riflettere sulle incertezze e provare sempre ad affrontarle (es: cambiare la funzione a oggetti determinati ecc.); generazione di alternative: esplorare modi possibili per trovare più soluzioni di fronte ad un problema. L obiettivo deve mirare non ad avere bambini efficienti, ma bambini che pensano. Dal confronto fra varie possibilità nasce la soluzione più efficace. Le più recenti ricerche hanno fatto scoprire che la ricchezza inventiva è inversamente proporzionale all età: i bambini hanno molte più idee degli adulti, bisogna offrire loro la possibilità di conservarle nel tempo (es: progettare un libro che non sia da leggere; ecc.); valorizzazione dell errore: partire dall errore per immaginare nuove situazioni che da esso possono scaturire, sospendere i giudizi di fronte alla possibilità di esprimere proposte utilizzando strutture concettuali nuove. (es: cosa ne faresti di una scatola bucata? La butteresti? Oppure?...) 71 L obiettivo non deve essere cercare la risposta, ma diverse modalità di ragionamento per affrontare situazioni problematiche.