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Università della Calabria Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza (già Dipartimento di Economia e Statistica) Gruppo CALCOM La carenza di competitività della Calabria lezioni dalla crisi dell area euro Antonio Aquino Giugno 2013 1

La carenza di competitività della Calabria lezioni dalla crisi dell area euro Antonio Aquino Università della Calabria Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza (già Dipartimento di Economia e statistica) Sommario: 1. Introduzione. 2. L euro: come e perché. 3. Il principale indicatore della crisi dell area euro: lo spread sui rendimenti dei titoli di stato a lungo termine. 4. Le cause principali dello spread: squilibri di finanza pubblica e squilibri competitivi. 4.1. Gli squilibri di finanza pubblica. 4.2 Squilibri macroeconomici interni ed esterni. 4.3 Squilibri competitivi fra i paesi dell area euro. 4.4 Cause degli squilibri competitivi fra i paesi dell area euro. 4.5 Alcuni approfondimenti sulle cause fondamentali dello squilibrio competitivo fra Italia e Germania. 5. Fattori che hanno contribuito a determinare la perdita di competitività dell Italia. 6. Come riportare in equilibrio competitivo i paesi dell Unione monetaria europea. 7. Una nuova politica industriale per la Calabria. 8. Considerazioni conclusive. 1. Introduzione Due sono gli indicatori di sintesi che più efficacemente illustrano la situazione economica della Calabria: il tasso di occupazione e il tasso di dipendenza. Il tasso di occupazione è pari al numero di persone occupate (in modo sia regolare sia irregolare) per ogni cento abitanti in età da lavoro (tra 15 e 64 anni). Nel 2000, nel vertice di Lisbona, i capi di Governo dei paesi dell Unione europea avevano fissato come obiettivo per il 2010 un tasso di occupazione del 70 per cento. Nel 2012 il tasso di occupazione è stato in media di quasi il 68 per cento in Emilia Romagna (non molto distante 2

dall obiettivo di Lisbona nonostante gli effetti della crisi finanziaria internazionale), di circa il 65 per cento in media nelle regioni del Nord dell Italia, del 61 per cento nelle regioni del Centro, del 44 per cento nelle regioni del Mezzogiorno, del 41,6 per cento in Calabria (valori ancora più bassi che in Calabria sono stati registrati nel 2012 in Sicilia (41,2 per cento) e in Campania (40 per cento)). (Banca d Italia, l economia delle Regioni Italiane, giugno 2013, pag. 70). Il tasso di dipendenza è pari alle importazioni nette in percentuale del prodotto interno lordo; esso negli ultimi anni ha oscillato in Calabria intorno al 30 per cento, un valore che indica che per ogni 100 euro di beni prodotti in Calabria ne sono utilizzati in Calabria per consumi e per investimenti per un valore di circa 130 euro. Questo eccesso strutturale delle utilizzazioni rispetto alla produzione interna viene finanziato automaticamente attraverso la finanza pubblica, per il fatto che le spese pubbliche primarie sono proporzionali al numero di abitanti delle diverse regioni italiane, mentre le entrate tributarie crescono in modo progressivo al crescere del reddito delle diverse regioni. Le importazioni nette delle diverse regioni italiane nel lungo periodo corrispondono essenzialmente alla differenza fra entrate tributarie e spese pubbliche primarie ( residuo fiscale ). Le importazioni nette positive della Calabria e delle altre regioni del Mezzogiorno (in media circa il 20 per cento del prodotto interno lordo) sono compensate da importazioni nette negative (e quindi entrate tributarie maggiori delle spese pubbliche primarie) in gran parte delle regioni del Nord dell Italia, e in particolare in Lombardia (esportazioni nette pari a quasi il 15 per cento del prodotto interno lordo). In Calabria, nonostante una politica fiscale fortemente espansiva (entrate tributarie per imposte e contributi sociali dell ordine di meno della metà della spesa pubblica primaria ), gli indicatori di sintesi del mercato del lavoro evidenziano un accentuata carenza della domanda di lavoro; al contrario, in Lombardia, nonostante una politica fiscale fortemente restrittiva (entrate tributarie per imposte e contributi sociali di circa il 30 per cento più elevate della spesa pubblica primaria ), gli indicatori di sintesi del mercato del lavoro evidenziano una domanda di lavoro molto elevata. Questo paradosso deriva essenzialmente da un forte squilibrio competitivo fra Calabria e Lombardia, e, più in generale, fra regioni del Nord e del Sud dell Italia. La insufficiente competitività delle produzioni calabresi fa sì che per gran parte dei prodotti facilmente trasferibili nello spazio (soprattutto prodotti dell industria manifatturiera) il potere di acquisto disponibile in Calabria si trasformi in domanda di beni (e quindi di lavoro) al di fuori della Calabria. Al contrario, la forte competitività delle produzioni nelle regioni del Nord dell Italia, fa sì che in queste regioni vi sia una forte domanda di beni facilmente trasferibili nello spazio in esse prodotti, proveniente non soltanto 3

dai residenti in quelle regioni, ma anche da residenti in altri paesi e in altre regioni, anche del Mezzogiorno d Italia. Considerata l attuale situazione dell Italia dal punto di vista economico e politico, sarebbe del tutto irrealistico pensare di poter stimolare una crescita della domanda di lavoro in Calabria mediante una politica fiscale ancora più espansiva (meno tasse e/o più spesa pubblica). Appare quindi essenziale concentrare le risorse disponibili per stimolare una maggiore competitività delle produzioni calabresi di beni facilmente trasferibili nello spazio (manufatti, servizi informatici, servizi turistici, ecc.). In particolare, andrebbero riservati alle produzioni di beni facilmente trasferibili nello spazio, sia gli incentivi all occupazione, sia quelli volti a stimolare le innovazioni. Nei paragrafi successivi di questo lavoro vengono analizzati alcuni aspetti essenziali della crisi dell area euro, al fine di trarne delle utili indicazioni per quel che riguarda le principali debolezze strutturali dell economia della Calabria. 2. L euro: come e perché Il regolamento monetario degli scambi rappresenta l aspetto storicamente più complesso e controverso delle relazioni economiche internazionali. La moneta internazionale più utilizzata in passato è stata l oro, una moneta comune per gran parte dei paesi del mondo, in diversi paesi affiancata in alcuni periodi dall argento. Anche quando i pagamenti avvenivano non mediante trasferimenti di oro o monete auree, ma con monete cartacee o biglietti di banca, la rilevanza dell oro come moneta internazionale derivava dalla convertibilità, diretta o indiretta, delle monete cartacee in oro a un rapporto di cambio predeterminato, e quindi dal legame fra disponibilità di oro e quantità di moneta cartacea che ciascun paese poteva emettere. L oro è rimasto alla base del sistema dei pagamenti internazionali fino al 1971, quando fu abbandonato gradualmente il sistema di regolamento dei pagamenti internazionali concordato nel 1944 a Bretton Woods fra i principali paesi ad economia di mercato. Il sistema di Bretton Woods prevedeva la possibilità per le banche centrali dei paesi aderenti di convertire i dollari USA in oro al prezzo di 35 dollari per oncia, e la convertibilità in dollari delle monete dei paesi aderenti diversi dagli Stati Uniti a tassi di cambio fissi, modificabili soltanto nel caso di squilibri fondamentali delle bilance dei pagamenti, con il consenso di tutti i paesi. (La nozione di squilibri fondamentali di bilancia dei pagamenti tuttavia non fu mai definita concretamente). Nella conferenza del 1944 a Bretton Woods John Maynard Keynes, il grande economista che partecipava alla conferenza in rappresentanza del Regno Unito, aveva proposto come base del sistema monetario internazionale 4

fra i principali paesi ad economia di mercato una moneta internazionale cartacea unica (il bancor ) emessa da una banca centrale mondiale; prevalse tuttavia la proposta americana, basata sull utilizzazione dell oro e del dollaro USA come base del sistema monetario internazionale. Il sistema concordato a Bretton Woods venne attuato gradualmente, e soltanto nel 1960 fu stabilita la convertibilità in dollari delle monete di tutti i paesi aderenti. Due furono le cause principali del crollo del sistema di Bretton Woods: 1) la crescita della produzione mondiale di oro fu del tutto insufficiente rispetto alle esigenze di liquidità internazionale derivanti dalla fortissima crescita del reddito e degli scambi internazionali negli anni cinquanta e sessanta. Questa carenza avrebbe potuto essere colmata dal forte aumento della disponibilità di dollari provocata dai crescenti disavanzi della bilancia dei pagamenti americana; tuttavia, ma mano che crescevano le riserve in dollari delle banche centrali non americane in rapporto alle riserve in oro degli Stati Uniti, risultava sempre più evidente la difficoltà degli Stati Uniti di mantenere l impegno di convertire in oro le riserve in dollari delle banche centrali degli altri paesi, al prezzo stabilito a Bretton Woods di 35 dollari per oncia. Nel 1969 si pensò di poter rimediare a questo inconveniente istituendo una sorta di moneta virtuale internazionale emessa dal Fondo Monetario Internazionale (i diritti speciali di prelievo ) per rimpiazzare gradualmente l oro come base del sistema dei pagamenti internazionali ( orocarta ). 2) Forti squilibri nelle bilance dei pagamenti di alcuni fra i principali paesi, e in particolare forti disavanzi di bilancia dei pagamenti per Francia, Regno Unito e Stati Uniti, e forti avanzi per la Germania resero necessarie variazioni rilevanti nei tassi di cambio fra le monete di questi paesi. Una volta che i mercati si resero conto della possibilità che i tassi di cambio venissero modificati, la speculazione finanziaria internazionale, resa sempre più potente dalla crescita dei capitali finanziari e dalla sempre maggiore mobilità internazionale di questi capitali, cominciò a seguire con grande attenzione ogni possibile segnale premonitore delle difficoltà di bilancia dei pagamenti di singoli paesi, a volte imponendo variazioni dei tassi di cambio, anche in assenza di veri e propri squilibri fondamentali di bilancia dei pagamenti ( aspettative autorealizzantesi ). Dopo alcuni tentativi di preservare il controllo dei governi e delle banche centrali sui tassi di cambio, sia pur nell ambito di più ampie fasce di oscillazione, nel corso degli anni settanta i principali paesi passarono a un sistema di tassi di cambio flessibili, vale a dire determinati esclusivamente dai mercati. I paesi della Unione europea, tuttavia, cercarono di preservare la stabilità dei tassi di cambio, prima prevedendo fasce di oscillazione meno ampie (il serpente monetario europeo nell ambito del tunnel monetario mondiale), e poi mediante un vero e proprio sistema monetario europeo. 5

L esperienza mostrò tuttavia l impossibilità di mantenere a lungo stabili i tassi di cambio fino a quando i diversi paesi continuavano ad avere monete diverse. Il motivo fondamentale era che fino a quando i paesi avevano monete diverse l impegno dei governi di non consentire modifiche dei tassi di cambio non era credibile, e quindi la speculazione finanziaria internazionale era in grado di cogliere qualsiasi segnale premonitore di crisi di bilancia dei pagamenti per imporre variazioni dei tassi di cambio. Si pensò allora di poter risolvere alla radice il problema della variabilità dei tassi di cambio mediante l adozione da parte di diversi paesi dell Unione europea di una moneta comune, ed escludendo implicitamente la possibilità per i diversi paesi di uscire dall Unione monetaria. Purtroppo l esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che neppure questa soluzione estrema è in grado di sradicare la possibilità che si formino aspettative di variazioni dei tassi di cambio, poiché, anche se non previsto esplicitamente, non si può escludere del tutto la possibilità che alcuni paesi abbandonino la moneta comune per tornare ad adottare monete diverse. 3. Il principale indicatore della crisi dell area euro: lo spread sui rendimenti dei titoli di stato a lungo termine Il principale indicatore della crisi dell area euro è lo spread, vale a dire la differenza fra i tassi d interesse sui titoli di stato a lungo termine (convenzionalmente a 10 anni) dei diversi paesi dell area euro. Il termine di riferimento è la Germania, ritenuto il paese finanziariamente più affidabile dell area euro, i cui titoli di stato a lungo termine hanno il tasso di rendimento più basso fra i paesi dell area euro (circa l 1,47 per cento annuo a marzo 2013). Le tabelle 1 e 2 evidenziano che fino al 2007 lo spread fra titoli di stato italiani e titoli di stato tedeschi a 10 anni ha oscillato, come media annua, intorno a 0,3 punti percentuali o 30 punti base. Lo spread dell Italia rispetto alla Germania è poi aumentato gradualmente fino a un massimo di 4 punti percentuali (400 punti base) nella media del 2012 (con punte superiori a 500 punti base negli ultimi mesi del 2012), per diminuire poi verso 320 punti base nel marzo 2013 (a febbraio 2013 la differenza era diminuita fino a un minimo di circa 250 punti base). La tabella 1 evidenzia che, nonostante il forte aumento dello spread rispetto alla Germania, il tasso d interesse sui titoli di stato italiani a 10 anni era nel marzo 2013 anche più basso che nei primi anni dell euro; ciò perché il tasso d interesse sui titoli di stato tedeschi a 10 anni ha toccato nel 20122013 livelli storicamente estremamente bassi (circa 1,5 per cento all anno) per effetto della forte diminuzione della domanda di beni per investimenti provocata dalla crisi finanziaria internazionale. 6

Tabella 1 Tasso d'interesse sui titoli di stato a 10 anni. Germania Irlanda Stati Uniti Italia Francia Spagna Grecia Portogallo Giappone Regno Unito 1998 4,6 4,9 4,6 4,8 8,5 4,9 4,7 5,3 1,5 5,6 1999 4,5 4,7 4,6 4,7 6,3 4,8 4,8 5,6 1,7 5,1 2000 5,3 5,6 5,4 5,5 6,1 5,6 5,5 6,0 1,7 5,3 2001 4,8 5,2 4,9 5,1 5,3 5,2 5,0 5,0 1,3 4,9 2002 4,8 5,0 4,9 5,0 5,1 5,0 5,0 4,6 1,3 4,9 2003 4,1 4,3 4,1 4,1 4,3 4,2 4,1 4,0 1,0 4,5 2004 4,0 4,3 4,1 4,1 4,3 4,1 4,1 4,3 1,5 4,9 2005 3,4 3,6 3,4 3,4 3,6 3,4 3,3 4,3 1,4 4,4 2006 3,8 4,0 3,8 3,8 4,1 3,9 3,8 4,8 1,7 4,5 2007 4,2 4,5 4,3 4,3 4,5 4,4 4,3 4,6 1,7 5,0 2008 4,0 4,7 4,2 4,4 4,8 4,5 4,6 3,7 1,5 4,6 2009 3,2 4,3 3,6 4,0 5,2 4,2 5,2 3,3 1,3 3,6 2010 2,7 4,0 3,1 4,2 9,1 5,4 6,0 3,2 1,1 3,6 2011 2,6 5,4 3,3 5,4 15,7 10,2 9,6 2,8 1,1 3,1 2012 1,5 5,5 2,6 5,9 22,9 11,0 6,0 1,8 0,8 1,9 2013 03 1,5 4,7 2,1 4,7 10,7 5,9 3,6 2,0 0,6 2,2 Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 35; The Economist, 22 marzo 2013. Lo spread della Spagna rispetto alla Germania è stato leggermente più basso di quello dell Italia fra il 1998 e il 2009, sostanzialmente uguale nel biennio 20102011, leggermente più alto nel 20122013. Gli anni migliori per la Spagna sono stati quelli fra il 2003 e il 2007, quando il tasso d interesse sui titoli di stato spagnoli era sostanzialmente uguale a quello su titoli di stato tedeschi; l anno peggiore è stato il 2012, con uno spread medio annuo di circa 440 punti base. Pure nel caso della Spagna il tasso d interesse sui titoli di stato decennali si è mantenuto anche negli anni più difficili su livelli analoghi a quelli dei primi anni dell euro. Situazioni molto più critiche sono evidenziate dallo spread per l Irlanda, il Portogallo e, soprattutto, la Grecia. Per questi tre paesi lo spread rispetto alla Germania si è mantenuto fino al 2007 su livelli molto bassi; nel 2005 il tasso d interesse sui titoli di stato decennali era in Portogallo allo stesso livello che in Germania e in Irlanda addirittura 7

leggermente più basso che in Germania. Lo spread di questi tre paesi rispetto alla Germania ha cominciato ad aumentare gradualmente a partire dal 2008, raggiungendo un massimo di 700 punti base in Irlanda nel 2011, 950 punti base in Portogallo nel 2012 e addirittura di 2.140 punti base in Grecia nel 2012. Negli anni successivi la situazione è migliorata sensibilmente, soprattutto per l Irlanda il cui spread rispetto alla Germania è diminuito a 450 punti base nel 2012 e a 210 punti base nel marzo 2013, ma anche per il Portogallo (440 punti base a marzo 2013) e per la Grecia (920 punti base a marzo 2013). Leggermente critica appare anche la situazione della Francia, il cui spread rispetto alla Germania è stato pari a 110 punti base in media nel corso del 2012, diminuendo poi a circa 60 punti base a marzo 2013. Tabella 2 Spread rispetto alla Germania nel tasso d'interesse sui titoli di stato a 10 anni. Irlanda Stati Uniti Italia Francia Spagna Grecia Portogallo Giappone Regno Unito 1998 0,3 0,0 0,2 3,9 0,3 0,1 0,7 3,1 1,0 1999 0,2 0,1 0,2 1,8 0,3 0,3 1,1 2,8 0,6 2000 0,3 0,1 0,2 0,8 0,3 0,2 0,7 3,6 0,0 2001 0,4 0,1 0,3 0,5 0,4 0,2 0,2 3,5 0,1 2002 0,2 0,1 0,2 0,3 0,2 0,2 0,2 3,5 0,1 2003 0,2 0,0 0,0 0,2 0,1 0,0 0,1 3,1 0,4 2004 0,3 0,1 0,1 0,3 0,1 0,1 0,3 2,5 0,9 2005 0,2 0,0 0,0 0,2 0,0 0,1 0,9 2,0 1,0 2006 0,2 0,0 0,0 0,3 0,1 0,0 1,0 2,1 0,7 2007 0,3 0,1 0,1 0,3 0,2 0,1 0,4 2,5 0,8 2008 0,7 0,2 0,4 0,8 0,5 0,6 0,3 2,5 0,6 2009 1,1 0,4 0,8 2,0 1,0 2,0 0,1 1,9 0,4 2010 1,3 0,4 1,5 6,4 2,7 3,3 0,5 1,6 0,9 2011 2,8 0,7 2,8 13,1 7,6 7,0 0,2 1,5 0,5 2012 4,0 1,1 4,4 21,4 9,5 4,5 0,3 0,7 0,4 2013 03 3,2 0,6 3,2 9,2 4,4 2,1 0,5 0,9 0,7 Fonti: Elaborazioni su dati tabella 1. 8

4. Le cause principali dello spread: squilibri di finanza pubblica e squilibri competitivi. 4.1 Gli squilibri di finanza pubblica Lo spread fra i rendimenti dei titoli di stato dei diversi paesi dell area euro fino al 2010 è stato principalmente attribuito a differenze dal punto di vista della finanza pubblica, e in particolare all ammontare di debito pubblico accumulato in passato e al disavanzo corrente delle amministrazioni pubbliche in rapporto al prodotto interno lordo. Questa spiegazione dello spread non sembra essere tuttavia del tutto coerente con i valori degli indicatori di finanza pubblica riportati nelle tabelle 3 e 4. Per quel che riguarda i valori del debito delle amministrazioni pubbliche in percentuale del prodotto interno lordo riportati nella tabella 3, la percentuale relativa all Italia per il 2012 (127,6), pur molto elevata, è tuttavia più bassa di quella del 1998 (131,8). Inoltre, mentre il debito pubblico dell Italia in rapporto al prodotto interno lordo è tornato nel 20122013 verso i livelli dei primi anni dell euro, dopo essere diminuito fino a un minimo del 112% del prodotto interno lordo nel 2007, il debito pubblico della Germania è aumentato dal 60% del prodotto interno lordo nel 2001, al 66% nel 2007, all 88% nel 2012. Un aumento del debito pubblico ancora più forte è stato registrato dalla Francia dal 70% del prodotto interno lordo nel 1998, al 73% nel 2007, al 105% nel 2012, mentre anche la Spagna, così come l Italia, aveva fino al 2011 un debito pubblico in rapporto al PIL analogo a quello del 1998 (7577 per cento). Guardando ad alcuni grandi paesi al di fuori dell area euro, fortissimi aumenti del debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo sono stati registrati, soprattutto per effetto della crisi finanziaria internazionale, dagli Stati Uniti (dal 54% del PIL nel 20002001, al 66% nel 2007, al 110% nel 2012) e dal Regno Unito (dal 40% del PIL nel 2001, al 47% nel 2007, al 105% nel 2012), e ancora di più dal Giappone (dall 88% del PIL nel 1995, al 162% nel 2007, al 214% nel 2012). Ciononostante, il tasso d interesse sui titoli di stato a lungo termine è stato negli ultimi anni soltanto di poco più alto che in Germania in Francia, Stati Uniti e Regno Unito, e addirittura più basso che in Germania in Giappone. Guardando al saldo delle amministrazioni pubbliche nel 2012, troviamo un disavanzo sensibilmente più basso in Italia (3% del PIL) che in Francia (4,5%), Spagna (8%), Stati Uniti (8,5%), Giappone (9,9%), e Regno Unito (6,6%). Sembra quindi difficile poter spiegare in termini di squilibri di finanza pubblica tassi d interesse sui titoli di stato a lungo termine molto più alti in Italia e Spagna che in Francia, Stati Uniti, Regno Unito, e Giappone. 9

Tabella 3 Debito lordo delle amministrazioni pubbliche in percentuale del prodotto interno lordo. Italia Greci a Porto gallo Stati Uniti Germania Francia Spagna Irlanda Giappone Regno Unito Area euro 1995 55,7 121,9 62,6 69,3 101,1 66,7 nd 70,7 87,7 51,0 75,5 1996 58,8 128,1 66,4 76,0 103,1 66,5 nd 69,9 95,4 50,8 80 1997 60,4 129,6 68,9 75,0 100,0 65,2 nd 67,4 102,0 51,7 81 1998 62,3 131,8 70,4 75,4 97,7 64,6 62,4 64,2 114,9 52,3 81,6 1999 61,8 125,7 66,8 69,4 101,5 62,3 51,5 60,5 129,0 47,4 78,2 2000 60,8 120,8 65,7 66,5 115,3 62,4 39,3 54,5 137,6 45,2 76 2001 60,1 120,1 64,3 61,9 118,1 64,2 36,5 54,4 144,7 40,5 74,4 2002 62,5 118,8 67,5 60,3 117,6 68,0 35,5 56,8 153,5 41,1 75,4 2003 65,9 116,3 71,7 55,3 112,3 70,2 34,2 60,2 158,3 41,6 76,1 2004 69,3 115,8 74,1 53,3 114,8 73,5 32,8 67,8 166,3 43,9 77,3 2005 71,8 119,4 76,0 50,8 113,4 77,7 32,7 67,4 169,5 46,1 78,2 2006 69,8 117,0 71,2 46,2 117,2 77,5 28,8 66,1 166,8 45,9 74,7 2007 65,6 112,4 73,0 42,4 115,2 75,5 28,7 66,5 162,4 47,0 71,9 2008 69,9 114,9 79,3 47,7 118,5 80,8 49,7 75,4 171,1 57,1 77,1 2009 77,5 128,0 91,2 62,9 134,3 93,5 70,7 88,8 188,7 72,0 87,8 2010 86,3 126,7 95,5 67,7 153,0 103,9 98,1 97,8 192,7 85,6 93,1 2011 86,4 119,8 100,0 76,9 175,2 118,1 112,2 102,2 205,3 99,9 95,2 2012 87,6 127,0 105,1 93,8 181,3 125,6 123,2 109,8 214,3 105,3 100,6 2013(*) 86,2 129,6 108,2 100,2 193,2 133,1 127,7 113,0 224,3 110,4 102,5 2014(*) 85,1 131,4 109,7 105,3 199,9 134,6 127,8 114,1 230,0 113,9 103,4 nd: non disponibile; (*) Previsioni. Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 32. 10

Tabella 4 Saldo delle amministrazioni pubbliche in percentuale del prodotto interno lordo. Italia Grecia Irlanda Stati Uniti Germania Francia Spagna Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 9,5 7,4 5,5 7,2 9,1 5,4 2,2 3,3 4,6 5,8 7,5 3,3 7,0 4,0 5,5 6,6 4,8 0,3 2,3 4,9 4,1 4,3 2,7 2,7 3,3 4,0 5,9 3,7 1,3 0,9 3,8 2,2 2,8 2,3 2,9 2,6 3,0 3,8 3,9 2,1 0,3 11,0 0,1 2,4 1 2,0 1,8 1,2 3,1 3,1 2,5 0,7 7,1 0,9 1,5 1,1 0,9 1,5 1,0 3,7 3,3 4,8 1,5 7,4 3,7 0,1 3,1 3,2 1,7 0,5 4,4 4,8 1,0 0,6 6,0 0,6 2,0 3,6 3,2 3,3 0,2 4,8 3,4 0,3 4,0 7,7 2,0 2,7 4,1 3,6 4,1 0,4 5,7 3,7 0,4 5,0 7,7 3,7 3,2 3,8 3,6 3,6 0,1 7,4 4,0 1,4 4,4 5,9 3,6 2,9 3,3 4,5 3,0 1,3 5,6 6,5 1,7 3,3 4,8 3,3 2,6 1,7 3,4 2,4 2,4 6,0 4,6 2,9 2,2 1,3 2,7 1,4 0,2 1,6 2,7 1,9 6,8 3,2 0,1 2,9 2,1 2,8 0,7 0,1 2,7 3,3 4,5 9,9 3,7 7,4 6,6 1,9 5,0 2,1 3,1 5,4 7,6 11,2 15,6 10,2 13,9 11,9 8,8 10,9 6,3 4,2 4,3 7,1 9,7 10,8 9,8 30,9 11,4 8,4 10,1 6,2 0,8 3,8 5,2 9,4 9,5 4,4 13,3 10,2 9,3 8,3 4,1 2012 0,2 3,0 4,5 8,1 6,9 5,2 8,1 8,5 9,9 6,6 3,3 2013 03 0,1 3,0 4,5 8,0 6,6 5,1 8,3 7,0 9,8 8,3 3,3 2013(*) 2014(*) 0,4 2,9 3,4 6,3 5,6 4,9 7,5 6,8 10,1 6,9 2,8 0,7 3,4 2,9 5,9 4,6 2,9 5,3 5,2 7,9 6,0 2,6 (*) Previsioni. Fonti: OECD, Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 27; The Economist, 9 marzo 2013. 4.2 Squilibri macroeconomici interni ed esterni Nel definire gli impegni dei paesi aderenti all Unione monetaria europea l attenzione fu concentrata prevalentemente sugli equilibri di finanza pubblica (impegno a mantenere i disavanzi delle amministrazioni pubbliche entro il limite massimo del 3 per cento del prodotto interno lordo e il debito pubblico complessivo entro il limite massimo del 60 per cento del prodotto interno lordo, o comunque decrescente verso questo livello). Non venne prestata sufficiente attenzione alla possibilità che il mantenimento della moneta 11

comune potesse essere reso difficile dall emergere di squilibri competitivi determinati da dinamiche differenziate del costo del lavoro, e quindi dei prezzi dei prodotti, nei diversi paesi. Forse ciò accadde perché si diede per scontato che una politica monetaria comune avesse come conseguenza automatica dinamiche analoghe dei prezzi dei prodotti nei diversi paesi. Purtroppo l esperienza ha dimostrato che una politica monetaria comune non comporta automaticamente analoghe dinamiche dei prezzi dei prodotti nei diversi paesi, e la presenza di dinamiche differenziate del costo del lavoro e dei prezzi dei prodotti sembra essere stata la causa fondamentale della crisi dell area euro 1. Un altro motivo per cui fu data poca importanza agli squilibri competitivi fra paesi dell area euro fu un eccesso di ottimismo sul processo di convergenza. Si riteneva cioè che i movimenti di capitale dai paesi più efficienti verso quelli meno efficienti, derivanti dagli avanzi correnti di bilancia dei pagamenti dei paesi più efficienti e conseguenti disavanzi dei paesi meno efficienti, avrebbero ridotto rapidamente le differenze di produttività, eliminando così gli squilibri competitivi. Questa convinzione si basava sull ipotesi che le differenze di produttività fra i diversi paesi dell ara euro derivassero esclusivamente, o almeno principalmente, da differenze nella dotazione di capitale per abitante (EEAG, 2013, capitolo 2) 2. Una convinzione 1 Secondo the EEAG Report on the European Economy per il 2013 (EEAG, 2013, capitolo 2) un altro motivo per cui fu data poca importanza agli squilibri competitivi fra paesi dell area euro fu un eccesso di ottimismo sul processo di convergenza. Si riteneva cioè che i movimenti di capitale dai paesi più efficienti verso i paesi meno efficienti, derivanti dagli avanzi correnti di bilancia dei pagamenti dei paesi più efficienti e conseguenti disavanzi dei paesi meno efficienti, avrebbero ridotto rapidamente le differenze di produttività, eliminando così gli squilibri competitivi. Questa convinzione si basava sull ipotesi che le differenze di produttività fra i diversi paesi dell area euro derivassero esclusivamente, o almeno principalmente, da differenze nella dotazione di capitale per abitante. Una convinzione analoga sembra essere alla base delle politiche strutturali di riequilibrio regionale dell Unione europea, anche in questo caso con risultati fortemente insoddisfacenti, almeno per il Sud dell Italia. 2 Un analisi teorica a sostegno di questa convinzione fu presentata nei primi anni duemila da Blanchard e Giavazzi:... we discuss whether the current attitude of benign neglect vis a vis the current account in Euro area countries is appropriate, or whether countries such as Portugal and Greece should worry and take measures to reduce their deficits. We conclude that, to a first order, they should not (Blanchard e Giavazzi, 2002, p. 149). Valutazioni negative sugli squilibri di bilancia dei pagamenti fra i paesi dell area euro sono state però espresse successivamente da Giavazzi e Spaventa (2010), soprattutto per il fatto che gli afflussi di capitale consentiti dai disavanzi correnti di bilanci dei pagamenti hanno finanziato spesso non lo 12

analoga sembra essere alla base delle politiche strutturali di riequilibrio regionale dell Unione europea, anche in questo caso con risultati fortemente insoddisfacenti, almeno per il Sud dell Italia. A partire dal 2010, emerse sempre più chiaramente la consapevolezza che altri squilibri, e in particolare gli squilibri competitivi, possono essere pericolosi per la stabilità dell Unione monetaria europea. A partire dagli ultimi mesi del 2011 fu concordata a livello europeo una procedura per la prevenzione e la correzione di eventuali squilibri di natura macroeconomica, sia interni che esterni (MIP = macroeconomic imbalance procedure). Questa procedura prevede la pubblicazione periodica dei rapporti aventi l obiettivo di individuare segnali di eventuali squilibri macroeconomici nei paesi dell Unione europea (Alert Mechanism Report). Ai paesi per i quali vengono evidenziati segnali premonitori di squilibrio macroeconomico vengono successivamente dedicate analisi più approfondite. I primi due rapporti di questo tipo sono stati pubblicati a febbraio e a novembre 2012 3. In seguito ai risultati del rapporto pubblicato a febbraio 2012 furono effettuate entro maggio 2012 delle analisi di approfondimento per 12 paesi dell Unione europea: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Francia,Italia, Cipro, Ungheria, Slovenia, Finlandia, Svezia, Regno Unito. Sulla base di queste analisi approfondite furono formulate delle raccomandazioni specifiche per i singoli paesi da parte del Consiglio dell Unione europea a luglio 2012. Nei rapporti periodici vengono considerati indicatori di squilibri macroeconomici sia esterni che interni. Quali indicatori premonitori di squilibri macroeconomici esterni vengono considerati il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti in % del PIL per gli ultimi 3 anni, la posizione dal punto di vista degli investimenti internazionali netti, la variazione del tasso di cambio effettivo reale sulla base dell indice armonizzato dei prezzi al consumo negli ultimi 3 anni, la variazione della quota di mercato all esportazione negli ultimi 5 anni, la variazione nominale del costo unitario del lavoro negli ultimi 3 anni. Gli indicatori premonitori di squilibri macroeconomici interni sono la variazione dell indice dei prezzi delle case, il flusso dei crediti verso il settore privato, il debito complessivo del settore privato in % del prodotto interno lordo, il debito pubblico in % del sviluppo di settori produttivi a mercato internazionale ma il boom edilizio in Spagna e Irlanda e la crescita del numero e delle retribuzioni dei dipendenti pubblici in Grecia. Distorsioni analoghe a quelle verificatesi in Grecia sono state probabilmente generate dai flussi di risorse pubbliche verso il Sud dell Italia (Alesina, Danninger e Rostagno, 2001). 3 European Parliament and European Council (2011), European Commission (2012a, 2012b) 13

prodotto interno lordo, il tasso di disoccupazione medio negli ultimi 3 anni, la variazione delle passività complessive del settore finanziario. Indicatori addizionali utilizzati nei rapporti periodici previsti dalla procedura per gli squilibri macroeconomici sono il tasso di crescita del PIL, gli investimenti lordi in % del PIL, la spesa in ricerca e sviluppo in % del PIL, il saldo corrente di bilancia dei pagamenti in % del PIL, l indebitamento netto verso l estero in % del PIL, il debito netto verso l estero in % del PIL, gli afflussi di investimenti diretti esteri in % del PIL, le importazioni nette di prodotti energetici in % del PIL, la variazione per gli ultimi 3 anni del tasso di cambio effettivo reale nei confronti dell Unione monetaria europea, la variazione della quota di mercato delle esportazioni in volume, la crescita della produttività del lavoro, la crescita dell occupazione, la variazione del conto unitario nominale del lavoro negli ultimi 10 anni, la variazione negli ultimi 10 anni del costo unitario del lavoro in rapporto ai paesi dell Unione monetaria europea, la variazione triennale nel prezzo nominale della case, le costruzioni residenziali in % del PIL, il debito consolidato del settore privato in % del PIL, il rapporto di leverage del settore finanziario (debito/azioni). 4.3 Squilibri competitivi fra i paesi dell area euro La causa fondamentale della crisi dell euro è uno squilibrio competitivo fra i paesi dell area euro, e in particolare fra la Germania, l Olanda e l Austria da un lato, e Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna, e forse anche Francia, dall altro. L indicatore più significativo della situazione competitiva di un paese è il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Per l Italia, il saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l estero aveva registrato un avanzo massimo corrispondente al 3 per cento del prodotto interno lordo nel 1996, come conseguenza del forte aumento di competitività derivante dalla svalutazione della lira negli anni fra il 1992 e il 1995; nello stesso anno il saldo degli scambi con l estero di merci e servizi aveva registrato un avanzo pari a quasi 60 miliardi di dollari. Negli anni successivi, tuttavia, diminuì rapidamente sia l avanzo degli scambi con l estero di merci e servizi (47 miliardi nel 1997, 39 nel 1998, 23 nel 1999, 11 nel 2000) sia l avanzo del conto corrente (2,7% del PIL nel 1997, 1,7% nel 1998, 0,7% nel 1999, 0,5% nel 2000); al saldo negativo del conto corrente registrato nel 2000 contribuì forse anche un forte aumento della domanda interna che stimolò una crescita del PIL pari al 3,9%, il tasso annuo di crescita più elevato registrato dall Italia negli ultimi 20 anni. Negli anni successivi l Italia registrò disavanzi crescenti nel conto corrente della bilancia dei pagamenti con l estero, fino a un massimo 14

del 3,5% nel 2010; il disavanzo diminuì poi al 3,2% del PIL nel 2011 e allo 0,9% nel 2012, e l OECD prevedeva a fine 2012 leggeri avanzi per il 2013 e il 2014 (l Economist del 22 marzo 2013 prevede tuttavia per il 2013 un disavanzo corrente pari allo 0,7% del PIL). Il forte disavanzo corrente del 2010 fu determinato da disavanzi di 40 miliardi di dollari negli scambi con l estero di merci e servizi, di 11 miliardi nei redditi da investimenti internazionali e di 22 miliardi nei trasferimenti internazionali unilaterali netti. Fra il 2010 e il 2012 si è avuto un fortissimo miglioramento nel saldo degli scambi con l estero di merci e servizi (da un disavanzo di 40 miliardi di dollari a un avanzo di 14 miliardi, mentre è rimasto sostanzialmente inalterato il disavanzo complessivo dei redditi da investimenti e internazionali e dei trasferimenti unilaterali. Per il 2013 l OECD prevede un aumento a 32 miliardi di dollari del saldo degli scambi con l estero di merci e servizi, e leggere diminuzioni dei disavanzi dei redditi da investimenti e dei trasferimenti unilaterali. Al forte miglioramento del saldo degli scambi con l estero di merci e servizi nel 2012 ha contribuito certamente la forte riduzione della domanda interna, che ha comportato una diminuzione del prodotto interno lordo del 2,8%; anche la previsione di un ulteriore miglioramento del saldo corrente per il 2013 dipende dalla previsione di una diminuzione della domanda interna che potrebbe provocare una diminuzione del PIL di oltre l 1%; il problema è cosa accadrà al saldo degli scambi con l estero di merci e servizi, e più in generale al saldo corrente della bilancia dei pagamenti con l estero, dell Italia quando la domanda interna di merci e servizi riprenderà ad aumentare. Il contributo della riduzione della domanda interna al miglioramento del saldo degli scambi con l estero di merci e servizi è evidente soprattutto per quel che riguarda le importazioni di merci, il cui valore complessivo è diminuito nel 2012 del 5,7%, in misura quindi circa doppia rispetto alla riduzione complessiva della domanda interna; le diminuzioni più forti si sono verificate per le importazioni di beni strumentali (13%), di prodotti intermedi (10%), di beni di consumo durevoli (7%). Significativa è stata però anche la crescita del valore delle esportazioni di merci (+3,7%, in totale; +2,8% escludendo i prodotti energetici). 15

Tabella 5 Saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti in percentuale del prodotto interno lordo. Italia Grecia Irlanda Stati Uniti Germania Francia Spagna Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 03 2013(*) 2014(*) 1,2 2,1 0,7 0,3 2,4 0,1 2,5 1,5 2,1 1,4 0,7 0,6 3,0 1,3 0,2 3,7 4,1 2,7 1,6 1,4 0,9 1,0 0,4 2,7 2,6 0,1 3,9 5,9 2,4 1,7 2,2 0,1 1,4 0,8 1,7 2,6 1,2 2,8 7,1 0,8 2,4 3,0 0,4 0,8 1,3 0,7 3,2 2,9 5,6 8,7 0,6 3,2 2,6 2,7 0,3 1,8 0,5 1,4 4,0 7,8 10,3 0,0 4,2 2,5 2,9 0,6 0,0 0,0 1,8 3,9 7,2 10,3 0,6 3,9 2,1 2,3 0,1 2,0 0,9 1,2 3,3 6,5 8,2 1,0 4,3 2,8 2,1 0,6 1,9 1,4 0,8 3,5 6,5 6,4 0,0 4,7 3,2 1,7 0,5 4,6 0,9 0,5 5,2 5,8 8,3 0,6 5,3 3,7 2,1 1,2 5,0 1,6 0,5 7,4 7,6 10,3 3,5 5,9 3,7 2,1 0,4 6,2 2,5 0,6 9,0 11,4 10,7 3,5 6,0 3,9 2,9 0,3 7,5 2,4 1,0 10,0 14,6 10,1 5,4 5,1 4,8 2,3 0,2 6,2 3,1 1,8 9,6 14,9 12,6 5,7 4,7 3,4 1,0 0,7 5,9 1,9 1,3 4,8 11,2 10,9 2,3 2,7 2,9 1,3 0,3 5,9 3,5 1,6 4,5 10,1 10,0 1,1 3,0 3,7 2,5 0,5 5,7 3,2 2,0 3,5 9,9 6,5 1,1 3,1 2,1 1,9 0,5 6,4 0,9 2,1 2,0 5,5 2,9 4,0 3,0 1,1 3,3 1,4 6,0 1,5 2,1 2,2 2,9 2,4 3,3 3,0 1,0 3,5 0,6 5,9 0,3 2,0 0,5 4,6 1,5 5,2 3 1,2 3,5 1,9 5,3 0,7 1,9 1,8 2,3 0,6 6,4 3,2 1,5 3,1 2,2 (*) Previsioni. Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 51; The Economist, 9 marzo 2013. 16

Tabella 6 Saldo degli scambi con l'estero di merci e servizi (miliardi di dollari USA). Germania Grecia Irlanda Stati Uniti Italia Francia Spagna Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 03 2013(*) 2014(*) 15,0 43,6 23,2 0,0 12,6 7,9 7,8 90,7 73,1 6,6 116,8 23,6 59,7 25,0 3,3 14,4 8,7 8,7 96,3 21,8 5,6 135,3 27,9 47,0 40,6 5,0 13,3 9,4 10,4 101,4 46,3 9,6 147,2 29,7 39,2 37,3 1,4 15,0 11,4 10,2 161,8 73,2 9,0 128,2 18,2 23,2 31,3 11,3 16,0 13,0 13,3 262,1 70,6 21,9 89,3 6,1 10,6 13,3 18,2 17,6 10,3 12,9 382,1 68,6 27,1 39,3 37,7 15,5 15,4 15,4 17,6 12,3 16,3 371,0 26,6 33,4 87,9 91,8 11,4 22,0 14,7 20,5 11,0 21,3 427,2 53,5 43,8 167,3 96,5 8,3 16,1 21,2 24,3 11,0 25,5 504,1 71,7 42,2 165,2 135,2 12,1 8,6 41,9 23,5 15,5 27,8 618,7 91,2 60,4 194,8 143,6 0,9 13,0 59,4 22,3 18,1 23,9 722,7 64,6 64,5 148,1 164,7 15,1 23,6 78,7 30,0 17,5 21,6 769,3 54,7 64,5 122,1 236,0 5,3 40,5 97,3 43,4 18,6 23,4 713,1 73,7 75,3 182,5 229,2 19,1 60,0 93,7 50,0 25,5 23,8 709,7 8,4 62,6 126,9 163,7 11,1 47,8 27,3 36,9 17,4 36,3 388,7 18,8 31,9 164,7 181,3 39,8 55,3 30,5 27,4 16,4 39,1 511,6 65,5 48,7 161,6 180,4 32,6 77,7 11,7 23,5 9,1 48,6 568,1 54,6 38,0 186,5 191,9 13,9 58,8 15,8 14,7 0,2 52,2 564,1 117,2 68,7 306,2 241,9 13,9 86,1 39,6 25,9 13,7 55,3 735,7 67,4 109,1 104,4 175,7 32,5 56,0 49,7 10,0 5,0 56,6 586,4 121,8 77,0 365,0 159,5 41,5 56,0 69,0 3,5 6,9 61,4 653,5 106,4 70,6 404,7 (*) Previsioni. Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 47; The Economist, 9 marzo 2013. Anche la crescita delle esportazioni è stata probabilmente spinta dalla riduzione della domanda interna, poiché molte imprese hanno presumibilmente reagito alla riduzione della domanda interna aumentando gli sforzi di vendita sui mercati esteri. 17

Tabella 7 Saldo dei redditi da investimenti internazionali (miliardi di dollari USA). Italia Grecia Irlanda Stati Uniti Germania Francia Spagna Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013(*) 2014(*) 2,8 14,1 8,4 5,4 1,9 0,2 7,3 20,9 45,3 3,1 30,1 0,7 14,8 1,9 7,5 2,4 0,9 8,2 22,3 53,3 5,4 27,5 2,7 11,2 7,1 7,4 1,7 1,3 9,7 12,6 58,0 1,9 17,2 10,8 12,3 8,7 8,6 1,6 1,5 10,5 4,3 54,3 17,1 37,3 13,5 11,1 22,8 9,5 0,7 1,6 13,5 11,9 57,5 6,5 22,8 9,2 12,0 19,4 6,9 0,9 2,4 13,8 19,2 60,8 0,4 27,4 10,5 10,4 19,5 11,3 1,8 3,5 16,4 29,7 68,7 8,4 36,0 18,3 14,6 8,7 11,6 2,0 3,0 22,4 25,2 65,8 23,6 65,0 18,2 20,2 14,9 11,7 4,5 2,6 24,8 43,7 71,8 26,5 69,7 23,6 18,4 22,6 15,1 5,4 3,7 28,0 65,1 86,2 32,4 16,2 29,1 17,1 29,5 21,3 7,0 4,8 30,9 68,6 105,2 39,1 25,3 55,0 17,1 37,2 29,2 9,1 7,9 30,2 44,2 119,7 14,1 7,5 59,1 26,8 42,8 41,3 12,7 9,7 38,2 101,5 139,1 38,4 44,6 48,9 28,3 48,6 52,1 15,6 11,5 36,9 147,1 156,6 62,4 74,9 82,2 14,3 45,6 35,5 12,5 12,2 38,9 119,7 136,6 28,3 6,4 66,4 11,0 53,9 26,2 10,2 10,5 34,4 183,9 143,0 22,6 26,0 68,8 16,6 65,3 36,3 12,0 11,9 44,3 227,0 178,2 27,5 20,2 71,6 9,1 45,2 31,7 5,4 10,6 42,1 217,3 180,9 21,3 17,4 75,9 9,0 46,2 35,0 7,1 11,4 43,8 241,4 193,1 23,8 14,7 79,0 9,0 46,2 37,2 8,1 11,4 45,7 253,8 197,7 23,5 11,9 (*) Previsioni. Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 48; The Economist, 9 marzo 2013. 18

Tabella 8 Saldo dei trasferimenti unilaterali internazionali (miliardi di dollari USA). Italia Germania Francia Irlanda Stati Uniti Spagna Grecia Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013(*) 2014(*) 38,8 4,1 5,9 4,8 9,0 7,2 1,8 38,1 7,8 11,6 39,2 34,0 7,2 7,4 3,2 8,9 4,4 2,2 43,0 9,2 7,1 43,9 30,5 4,2 13,1 3,0 8,3 3,8 2,0 45,1 8,6 9,0 43,4 30,2 7,3 12,4 3,2 7,9 4,0 1,5 53,2 8,7 13,8 47,4 26,2 5,5 13,2 3,0 4,1 3,8 1,3 50,4 10,8 11,0 46,6 25,8 4,4 14,0 1,6 3,3 3,4 0,9 53,8 9,8 14,7 47,5 24,0 5,9 14,8 1,3 3,5 3,4 0,3 64,6 8,1 9,4 49,7 25,4 5,4 14,2 2,4 3,6 2,8 0,7 65,0 5,6 13,3 48,7 31,8 8,0 19,2 0,6 4,3 3,3 0,5 71,8 7,7 16,0 68,1 34,3 10,3 21,8 0,1 4,5 3,5 0,5 88,2 8,0 18,9 79 35,8 12,5 27,3 4,2 3,8 2,8 0,3 105,7 7,4 21,5 95,8 35,9 16,6 27,5 8,2 4,3 3,2 0,6 91,5 10,8 21,9 106 45,0 19,6 32,1 9,8 2,2 3,6 1,4 115,1 11,6 27,2 131 48,5 21,8 36,5 13,7 4,1 3,6 1,7 125,9 13,1 25,8 149 46,5 16,4 46,3 11,3 1,8 3,0 2,0 122,5 11,9 23,6 145 50,8 21,6 44,6 9,7 0,1 2,9 1,9 131,1 12,5 31,6 154 46,7 22,5 50,9 8,2 0,8 4,2 1,6 133,1 15,0 35,6 156 49,5 22,8 48,2 9,5 0,8 4,1 1,7 134,0 14,1 35,4 157 48,4 17,4 47,8 7,6 0,8 3,6 1,8 136,8 12,0 36,6 149 50,2 17,8 47,8 7,1 0,8 3,6 1,9 140,1 11,1 37,6 151 (*) Previsioni. Fonti: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 49; The Economist, 9 marzo 2013. La situazione competitiva dell Italia può essere meglio apprezzata svolgendo una disaggregazione per prodotti e per regioni degli scambi con l estero. La disaggregazione per prodotti evidenzia che l Italia nel 2012 è riuscita a registrare un avanzo di 11 miliardi di euro negli scambi con l estero di merci, nonostante un maxidisavanzo strutturale di circa 63 miliardi di euro negli scambi con l estero di prodotti energetici, e un ulteriore disavanzo strutturale dell ordine di circa 15 miliardi di euro negli scambi di altri prodotti 19

primari (minerali ferrosi e non ferrosi, prodotti delle foreste, prodotti agricoli). Ciò soprattutto grazie al forte avanzo negli scambi con l estero di macchinari industriali, più che nei tradizionali prodotti del made in Italy (abiti, mobili, ecc.). Disavanzi negli scambi con l estero sono invece tipicamente registrati dall Italia nei prodotti chimici ed elettronici. La disaggregazione territoriale delle esportazioni mette in evidenza che l Italia riesce a realizzare consistenti avanzi negli scambi con l estero di manufatti, nonostante gran parte del Mezzogiorno, in cui risiede circa un terzo della popolazione italiana, registri una fortissima carenza di competitività. Secondo i dati Istat, nel 2012 circa il 70 per cento delle esportazioni italiane di merci è stato effettuato da imprese operati nelle regioni del Nord (in particolare Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, e Piemonte), e soltanto il 12 per cento da imprese operanti nelle regioni del Mezzogiorno (soprattutto Sicilia, Campania, Puglia e Sardegna). In particolare, dalla Calabria, regione in cui risiede il 3,3% della popolazione italiana, proviene soltanto un millesimo delle esportazioni italiane! Oltre a ciò, c è da considerare che più dei due terzi delle esportazioni della Sicilia e della Sardegna sono rappresentate da prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio, il cui contributo in termini di valore aggiunto e di occupazione è relativamente modesto. Guardando alle previsioni dell OECD sul saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti per il 2013 e il 2014, l Irlanda, paese per il quale l OECD prevedeva a fine 2012 avanzi pari, rispettivamente, al 5,2 e al 6,4 per cento del prodotto interno lordo per il 2013 e il 2014, dopo un avanzo del 4% nel 2012, sembra avere ormai superato la crisi dal punto di vista della competitività, la più rilevante dal punto di vista della permanenza nell Unione monetaria europea, nonostante dal punto di vista della finanza pubblica le prospettive rimangano critiche, con un debito pubblico che l OECD prevede ancora in crescita fino al 128 per cento del PIL nel 2013 e 2014, per effetto di disavanzi pubblici decrescenti lentamente dall 8,1% nel 2012 al 5,2% nel 2014. Questa valutazione sembra essere condivisa dai mercati finanziari, visto che lo spread sui titoli di stato a 10 anni rispetto alla Germania è diminuito per l Irlanda da 700 punti base nel 2011, a 450 nel 2012, a 210 a marzo 2013. La situazione dell Irlanda sembra essere positiva anche dal punto di vista della crescita del prodotto interno lordo, già positiva dal 2011 in poi, sia pure a tassi annui inferiori al 2%. Dal punto di vista del saldo di bilancia dei pagamenti le prospettive sembrano essere discretamente buone anche per l Italia e la Spagna, paesi per i quali l OECD a fine 2012 prevedeva per il 2013 e il 2014 leggeri avanzi del conto corrente della bilancia dei pagamenti; dal punto di vista della finanza pubblica, il debito pubblico dovrebbe stabilizzarsi nel 201314 intorno al 130% del PIL per l Italia, mentre sarebbe 20

destinato a crescere ancora per la Spagna, dal 94% del PIL nel 2012 al 105% del PIL nel 2014. La crescita del PIL per entrambi i paesi dovrebbe essere ancora leggermente negativa nel 2013 e cominciare ad essere lievemente positiva nel 2014. Per Italia e Spagna lo spread dei rendimenti dei titoli di stato decennali oscilla a marzo 2013 fra i 300 e i 350 punti base. Ancora critiche, ma in sensibile miglioramento, appaiono le prospettive del Portogallo e della Grecia. Per entrambi questi paesi l OCSE prevede disavanzi correnti fino al 2014, anche se per ammontari decrescenti e nettamente più bassi rispetto agli anni fra il 2005 e il 2011. La dinamica del PIL è prevista ancora negativa per entrambi i paesi nel 2013, mentre nel 2014 il PIL dovrebbe riprendere a crescere in Portogallo, ma non ancora in Grecia. Lo spread dei rendimenti dei titoli di stato rispetto alla Germania a marzo 2013 oscilla intorno ai 1000 punti base per la Grecia e ai 500 punti base per il Portogallo, livelli sicuramente ancora molto elevati, ma pari a circa la metà di quelli medi del 2012. Dal punto di vista delle previsioni dell OECD sul saldo corrente della bilancia dei pagamenti, potrebbero peggiorare nei prossimi mesi le prospettive per la Francia; per questo paese, infatti, l OECD prevede un disavanzo del conto corrente stabile intorno al 2 per cento del prodotto interno lordo fino al 2014, e un debito pubblico ancora in crescita dal 105% del PIL nel 2012 al 110 per cento nel 2014, nonostante tassi di crescita del PIL positivi, sia pure su livelli piuttosto bassi, fra il 2010 e il 2014. Alle prospettive economicofinanziarie della Francia è dedicato un approfondimento contenuto nel numero di febbraio 2013 del CESifo World Economic Survey (pagina 10). In particolare l analisi presenta un confronto tra Francia, Germania e Italia dal punto di vista di diversi indicatori, per alcuni dei quali la situazione della Francia appare più critica di quella dell Italia; in particolare, per quel che riguarda la finanza pubblica, nel 2012 l Italia ha registrato un avanzo primario pari al 2,6% del PIL e la Francia un disavanzo primario dell 1,9%; pur essendo nel 2012 il debito pubblico della Francia sensibilmente inferiore di quello dell Italia in rapporto al PIL, l analisi mette in evidenza che fra il 1999 e il 2012 la Francia ha registrato un peggioramento di 31 punti percentuali del PIL e l Italia di 13 punti; la spesa pubblica è pari al 56% del Pil in Francia e al 51% in Italia. Pur avendo la Francia passività nette verso l estero, pari al 16% del PIL, minori dell Italia (21% del PIL), il disavanzo corrente nei pagamenti con l estero è stato pari nel 2012 al 2,2% del PIL per la Francia e all 1,2% per l Italia, avendo registrato la Francia un peggioramento del saldo corrente pari a 4,8 punti percentuali del PIL fra il 1999 e 2012, a fronte di un peggioramento di 2,2 punti per l Italia. Sulla base delle previsioni OECD sui saldi correnti di bilancia dei pagamenti, nel 2014 le passività nette verso l estero di Italia e Francia in rapporto al PIL potrebbero eguagliarsi. Secondo le stime del CESifo World Economic Survey fra il 1999 e 21

il 2012, il livello medio dei prezzi dei beni prodotti all interno dei diversi paesi (deflatore implicito del PIL) è cresciuto in Francia (26%) non molto meno che in Italia (31%), e molto più che in Germania (12%). Nello stesso periodo il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato dell 8% in Germania, del 29% in Francia e del 36% in Italia. Il tasso di disoccupazione complessivo nel 2012 era sostanzialmente uguale in Italia e in Francia (10,5%) e doppio rispetto a quello della Germania (5,5%), anche se il tasso di disoccupazione giovanile era molto più alto in Italia (34%) che in Francia (22%). Tabella 9 Tasso annuo di crescita del prodotto interno lordo, 19882014. Italia Germania Francia Spagna Irlanda Stati Uniti Grecia Portogallo Giappone Regno Unito Area euro 19881998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013(*) 2014(*) 19992007 20082012 19992012 2,4 1,6 2,0 2,7 nd 3,2 6,7 3,1 2,0 2,5 2,2 1,7 1,4 3,2 4,7 3,4 4,1 11,0 4,7 0,2 3,2 2,8 3,3 3,9 3,8 5,0 4,5 3,9 10,7 4,1 2,3 4,2 3,9 1,6 1,8 1,8 3,7 4,2 2,0 5,3 1,1 0,4 2,9 2,0 0,0 0,4 0,9 2,7 3,4 0,8 5,7 1,8 0,3 2,4 0,9 0,4 0,0 0,9 3,1 5,9 0,9 3,9 2,5 1,7 3,8 0,7 0,7 1,6 2,3 3,3 4,4 1,6 4,4 3,5 2,4 2,9 2,0 0,8 1,1 1,8 3,6 2,3 0,8 5,9 3,1 1,3 2,8 1,8 3,9 2,3 2,6 4,1 5,5 1,4 5,4 2,7 1,7 2,6 3,4 3,4 1,5 2,2 3,5 3,5 2,4 5,4 1,9 2,2 3,6 3,0 0,8 1,2 0,2 0,9 0,2 0,0 2,1 0,3 1,0 1,0 0,3 5,1 5,5 3,1 3,7 3,1 2,9 5,5 3,1 5,5 4,0 4,3 4,0 1,8 1,6 0,3 4,9 1,4 0,8 2,4 4,5 1,8 1,9 3,1 0,6 1,7 0,4 7,1 1,7 1,4 1,8 0,7 0,9 1,5 0,9 2,2 0,2 1,3 6,3 3,1 0,5 2,2 1,6 0,1 0,4 0,6 1,0 0,3 1,4 4,5 1,8 1,3 2,0 0,7 0,9 0,1 1,9 0,6 1,3 0,5 1,3 0,9 2,2 2,8 0,8 1,6 1,3 1,7 1,6 2,2 3,7 4,1 1,8 6,4 2,8 1,3 3,2 2,3 0,7 1,3 0,0 0,8 4,3 1,3 1,3 0,6 0,2 0,5 0,2 1,2 0,4 1,3 2,0 1,0 0,6 3,6 1,9 0,7 1,8 1,3 nd: non disponibile; (*) previsioni. Fonte: OECD Economic Outlook, 2012, n. 2, Statistical annex, tabella 1. 22

4.4 Cause degli squilibri competitivi fra i paesi dell area euro Due indicatori fondamentali per evidenziare come si sono accumulati gli squilibri competitivi fra alcuni paesi dell area euro sono riportati nelle tabelle 10 e 11. Nella tabella 10 è riportato il tasso annuo di crescita dei prezzi medi dei beni prodotti nei diversi paesi o deflatore implicito del prodotto interno lordo. Nella tabella 11 è riportato l indice di questi stessi prezzi con base 1998=100. Dalla tabella 11 si può vedere come gli squilibri competitivi fra Germania da un lato e Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna ( e anche Francia) dall altro abbiano cominciato ad accumularsi fin dai primi anni dell Unione monetaria europea. Fra il 1998 e il 2002 il livello medio dei prezzi dei beni prodotti all interno aumentò soltanto del 2% in Germania, ma del 6% in Francia, del 7% nella media dell area euro, del 10% in Italia, del 14% in Grecia, del 15% in Portogallo, del 16% in Spagna, del 22% in Irlanda. Nel 2007, l ultimo anno normale prima dello scoppio della crisi finanziaria internazionale, l indice dei prezzi dei beni prodotti in ciascun paese era arrivato a 107 in Germania, 118 in Francia, 119 nell area euro, 123 in Italia, 131 in Grecia e Portogallo, 137 in Irlanda, 140 in Spagna. Nel 2012 l indice arrivò a 112 in Germania, 126 in Francia, 126 nell area euro, 127 in Irlanda, 133 in Italia, 137 in Portogallo, 143 in Grecia, 146 in Spagna. Questi dati evidenziano fra il 1998 e il 2012 aumenti dei prezzi nettamente più bassi che nell insieme dell area euro in Germania, in linea con la media dell area euro in Francia e Irlanda, più alti della media in Italia, e ancora di più in Portogallo, Grecia e Spagna. Questi dati evidenziano i termini essenziali della crisi dell area euro: per riportare in equilibrio competitivo i paesi dell area euro, è necessario che si abbia una convergenza dei valori di questo indice. Mantenendo la moneta comune, ciò può avvenire accelerando il tasso di crescita dei prezzi della produzione interna in Germania e/o riducendo il livello, o almeno il tasso di crescita, dei prezzi in Francia, Irlanda, Italia, Portogallo, Grecia e Spagna. In qualche misura ciò ha cominciato a verificarsi, in particolare per l Irlanda, paese in cui l indice dei prezzi è diminuito da un massimo di 137 nel 2007 a 127 nel 2012, e in misura ancora appena percettibile in Spagna (tasso annuo di aumento dei prezzi leggermente minore che in Germania nel 2009 e il 2010 e dal 2012 in poi, anche in Grecia (leggera diminuzione dei prezzi registrata nel 2012 e prevista anche per il 2013 e il 2014), Portogallo (crescita dei prezzi minore che in Germania dal 2011 in poi), Italia (crescita dei prezzi minore che in Germania nel 2010 e 2012, e prevista anche nel 2013 e 2014), e dal 2013 in poi forse anche in Francia. Il problema è che diminuire il livello dei prezzi, o anche il suo tasso di crescita, nei paesi che 23