Alcuni complementi sulla misura di Lebesgue in R N Notazioni m Misura di Lebesgue in R N m e Misura esterna di Lebesgue in R N ; m e (E) = inf m(v ) V aperti V E m i Misura interna di Lebesgue in R N ; m i (E) = sup m(k) Kcompatti K E M B σ algebra degli insiemi misurabili secondo Lebesgue in R N σ algebra degli insiemi boreliani in R N B r L insieme {x R N : x < r} # Cardinalità: #(A) indica la cardinalità dell insieme A Cominciamo con una proposizione che stabilisce che un insieme è misurabile se e solo se si può approssimare bene come si vuole, nel senso della misura, dall interno e dall esterno con insiemi misurabili. Proposizione 1. Sia E R N. Allora E M ε > 0 E 1, E 2 M : E 1 E E 2 e m(e 2 E 1 ) < ε. Dim. L implicazione = è ovvia: basta prendere E 1 = E 2 = E. Vediamo il viceversa: fissiamo ε > 0, e siano E 1, E 2 M tali che E 1 E E 2 e m(e 2 E 1 ) < ε. Allora, per un generico r > 0 abbiamo E 1 B r E B r E 2 B r Essendo E 1 B r, E 2 B r misurabili e limitati, risulta m(e 1 B r ) = m i (E 1 B r ) m i (E B r ) m e (E B r ) m e (E 2 B r ) = m(e 2 B r ) 1
2 e pertanto m e (E B r ) m i (E B r ) m(e 2 B r ) m(e 1 B r ) = m((e 2 E 1 ) B r ) m(e 2 E 1 ) < ε. Dall arbitrarietà di ε segue che m e (E B r ) m i (E B r ) = 0, quindi E B r M r; pertanto E M. Corollario 2. La misura di Lebesgue è completa. Dim. Sia E trascurabile, e E 1 E. Allora E 1 E, e m(e ) = m(e) = 0. A questo punto la misurabilità di E 1 segue dalla proposizione precedente. Vediamo ora come, fissato ε > 0, ogni insieme misurabile E abbia un intorno aperto V tale che m(v E) < ε. Se E è limitato questo è ovvio, essendo conseguenza della definizione di misurabilità per insiemi limitati; dimostriamo il caso generale. Proposizione 3. Sia E M. Allora, ε V aperto tale che E V e m(v E) < ε. Dim. Poniamo F 1 = B 1, F n = B n B n 1, n 2. Fissiamo ε > 0. L insieme E F n è limitato e misurabile, e pertanto esiste un aperto V n tale che E F n V n e m(v n E F n ) < ε 2. n Poniamo V = V n. Risulta E = E F n e n n V E = n (V n E) n (V n E F n ) da cui m(v E) n m(v n E F n ) < ε. Una conseguenza immediata della proposizione 3 è che nella proposizione 1 possiamo sempre scegliere E 1 come un chiuso ed E 2 come un aperto. Proposizione 4. Sia E R N. Allora E M ε > 0 C chiuso e V aperto tali che C E V e m(v C) < ε. Dim. L implicazione = segue immediatamente dalla proposizione 1. Mostriamo ora il viceversa; fissiamo ε > 0. Dalla proposizione 3 sappiamo che esiste un aperto V tale che E V e m(v E) < ε 2 ; analogamente, essendo anche Ec M, esiste un aperto W tale che E c W e m(w E c ) < ε 2. Posto C = W c, C è un chiuso, e C E; inoltre W E c = W E = E W c = E C. Pertanto m(v C) = m(v E) + m(e C) < ε. Nella proposizione precedente ε può essere portato a zero, a condizione di sostituire aperti e chiusi rispettivamente con insiemi di tipo G δ e F σ. Proposizione 5. Sia E R N. Allora E M F F σ, G G δ : F E G e m(g F ) = 0. Dim. L implicazione = segue immediatamente dalla proposizione 1, ricordando che gli insiemi del tipo F σ e G δ sono boreliani, e dunque misurabili. Mostriamo ora il viceversa; dalla proposizione 4 segue che n N esistono un aperto V n e un chiuso C n tali che C n E V n e m(v n C n ) < 1 n. Poniamo F = C n, G = V n. Allora F F σ, G G δ, F E G e n n G F V n C n n, da cui m(g F ) = 0.
3 Corollario 6. Ogni insieme E M è l unione di un insieme di tipo F σ e di un trascurabile. Dim. Dalla tesi della proposizione precedente abbiamo E = F (E F ), con F F σ e E F trascurabile, perché è un misurabile incluso nel trascurabile G F. In particolare, dato che gli insiemi F σ sono boreliani, abbiamo dimostrato che ogni insieme misurabile secondo Lebesgue in R N è l unione di un boreliano con un trascurabile. Vogliamo ora indagare il legame che sussiste fra la misura di un insieme E M e m i (E), m e (E). Se E è limitato già sappiamo, per definizione, che E M m i (E) = m e (E), e in questo caso si pone m(e) = m i (E) = m e (E). Le proposizioni seguenti risolvono il problema nel caso generale. Proposizione 7. Sia E M. Allora m i (E) = m e (E) = m(e). Dim. Come abbiamo già detto, non c è nulla da dimostrare nel caso in cui E sia limitato. Mostriamo che m e (E) = m(e). Innanzitutto, dalla definizione di misura esterna segue banalmente che m e (E) m(e), dato che m(e) è un minorante per le misure degli aperti includenti E; vogliamo dunque far vedere che m e (E) m(e). Questo è ovvio se m(e) =, quindi ci resta da esaminare il caso m(e) <. Fissiamo ε > 0; dalla proposizione 3 sappiamo che esiste un aperto V tale che E V e m(v E) < ε. Avendo E misura finita, dalla relazione m(e)+m(v E) = m(v ) deduciamo che anche V ha misura finita e che m(v ) < m(e) + ε, da cui m e (E) m(v ) < m(e) + ε. Per l arbitrarietà di ε si ha m e (E) m(e), e quindi m e (E) = m(e). Mostriamo ora che m i (E) = m(e). Poniamo E n = E B n. Gli E n sono misurabili limitati, risulta E n E n+1 e E = n E n ; pertanto m(e n ) m(e). Per ogni n sia K n E n un compatto tale che m(k n ) > m(e n ) 1 n ; allora m(e n) m(k n ) 0. Dato che m(e n ) m(e), anche m(k n ) m(e). Dunque m(e) è un maggiorante per le misure dei compatti K E; inoltre c è una successione di compatti K n E tali che m(k n ) m(e). Questo mostra che m i (E) = m(e). Data una σ algebra su uno spazio topologico che contenga i boreliani, e definita una misura µ su di essa, si dice che µ è esternamente regolare se µ(e) = µ e (E) per tutti gli insiemi misurabili E, e che µ è internamente regolare se µ(e) = µ i (E) per tutti gli insiemi misurabili E, naturalmente intendendosi la misura esterna come l inf delle misure degli aperti includenti e la misura interna come il sup delle misure dei compatti inclusi. Inoltre, una misura si dice regolare se è contemporaneamente esternamente e internamente regolare. Utilizzando questa terminologia possiamo quindi asserire che, in base alla proposizione 7, la misura di Lebesgue è regolare. Possiamo chiederci se valga il viceversa della proposizione 7; precisamente, se E R N è tale che m i (E) = m e (E), è vero che E M? La risposta a questa domanda è in generale negativa nel caso m i (E) = m e (E) = (come vedremo in seguito), mentre è affermativa se m i (E) = m e (E) < ; di questo si occupa la seguente Proposizione 8. Sia E R N : m i (E) = m e (E) = λ <. Allora E M e m(e) = λ. Dim. Fissiamo ε > 0. Dalla definizione di estremo inferiore sappiamo che esiste un aperto V tale che E V e m(v ) < λ + ε 2. Analogamente, dalla definizione di estremo superiore sappiamo che esiste un compatto K tale che K E e m(k) > λ ε 2.
4 Pertanto K E V e m(v K) = m(v ) m(k) < ε; dalla proposizione 1 segue che E M. Il fatto che m(e) = λ è invece conseguenza della proposizione 7. Studiamo ora come si comporta la misura di Lebesgue rispetto a certe trasformazioni R N R N. Cominciamo con le traslazioni. Proposizione 9. Sia E M. Allora x R N E + x M e m(e + x) = m(e). Dim. Se P è un pluriintervallo, anche P + x lo è, e vol(p ) = vol(p + x). Sia ora A R N un aperto; allora anche A + x è un aperto, ed essendo la misura di un aperto pari all estremo superiore dei volumi dei pluriintervalli inclusi si ha subito che m(a + x) = m(a). Sia ora E M, e fissiamo ε > 0. Dalla Proposizione 4 sappiamo che esistono V aperto e C chiuso tali che C E V e m(v C) < ε. Traslando tutto di un vettore x abbiamo che C + x E + x V + x; C + x è un chiuso, V + x è un aperto e, per il passo precedente, l aperto (V + x) (C + x) = (V C) + x ha misura m((v + x) (C + x)) < ε. Quindi, dalla Proposizione 4 abbiamo che E + x M. Sempre dall invarianza per traslazione della misura degli aperti abbiamo m e (E +x) = m e (E), e quindi m(e +x) = m e (E +x) = m e (E) = m(e). È interessante osservare come la misura di Lebesgue, a meno di moltiplicazioni per un fattore costante, sia l unica misura ragionevole su R N invariante per traslazioni: Proposizione 10. Sia µ una misura positiva boreliana su R N finita sui compatti, esternamente regolare e invariante per traslazioni. Allora c 0 : µ = c m. Osservazione In realtà potremmo omettere l ipotesi che µ sia esternamente regolare, perchè tutte le misure boreliane su R N finite sui compatti sono regolari. La dimostrazione di questa proprietà è però al di là dei limiti di queste dispense. Dim. della Proposizione 10. Definiamo Q 0 come l ipercubo unitario Q 0 = {x R N : 0 x i < 1, i = 1... N}; Q 0 è un boreliano. Poniamo c = µ(q 0 ); sappiamo che c < perchè µ è finita sui compatti. Definiamo ora una successione di famiglie di ipercubi. Siano Ω i = {2 i (Q 0 + v), v Z N }, i N. Le famiglie Ω i godono delle seguenti proprietà: a) ciascuna famiglia Ω i è costituita da ipercubi disgiunti di spigolo 2 i ; b) l unione degli ipercubi di ciascuna famiglia Ω i è uguale a R N ; c) ogni ipercubo di una famiglia Ω i è unione disgiunta di 2 N(j i) ipercubi della famiglia Ω j, j i; d) dati Q Ω i, Q Ω j, i j, si ha Q Q o Q Q =. La misura di Lebesgue m è invariante per traslazioni, e quindi m assume un valore costante sugli ipercubi di una specifica famiglia Ω i ; in particolare, sapendo che 2 Ni ipercubi di Ω i pavimentano Q 0, si ha che m(q) = 2 Ni Q Ω i. Ma anche µ è invariante per traslazioni, e con lo stesso ragionamento si ottiene che µ(q) = 2 Ni c Q Ω i. Pertanto risulta µ(q) = c m(q) Q Ω i, i N.
5 Fissiamo ora un aperto V R N, e dimostriamo che V è unione disgiunta di ipercubi appartenenti alle famiglie Ω i. Definiamo induttivamente, a tale scopo, le seguenti sottofamiglie Γ i Ω i : Γ 0 = {Q Ω 0 : Q V } Γ 1 = {Q Ω 0 : Q V e Q Q = Q Γ 0 }... Γ i = {Q Ω i : Q V e Q Q Q Γ 0 Γ i 1 }... Le sottofamiglie Γ i potrebbero anche essere vuote per i sufficientemente piccolo; in ogni caso osserviamo che valgono le seguenti due proprietà: i) Q Q = se Q Q e Q Γ i, Q Γ j, i j; ii) V = Q. Q Γ i i 0 Verifica di i): se Q Q e Q, Q appartengono alla stessa sottofamiglia Γ i, allora appartengono anche alla stessa Ω i, e le famiglie Ω i sono costituite da ipercubi a due a due disgiunti. Se invece Q Γ i e Q Γ j con j > i, allora nella definizione delle sottofamiglie Γ è richiesto che Q Q ; ma allora, dalla proprietà d) segue che Q Q =. Verifica di ii): sia x V ; dalla b) segue che j! Q x,j Ω j : x Q x,j. Essendo V un aperto, c è tutto un intorno di x incluso in V ; in particolare, per j sufficientemente alto, Q x,j V. Sia i = min{j : Q x,j V }; allora Q x,i Γ i. Dunque V è unione disgiunta di ipercubi appartenenti alle famiglie Ω i. Poiché sugli ipercubi di tali famiglie vale la relazione µ = c m, da i) e ii) segue che µ(v ) = c m(v ), e questo vale per ogni aperto V in R N. A questo punto la tesi, cioè la relazione µ(e) = c m(e) per ogni boreliano E, segue per regolarità esterna. Abbiamo cosí visto che la misura di Lebesgue su R N è invariante per traslazioni ed è l unica misura a godere di questa proprietà, a meno ovviamente di multipli. Vediamo ora che relazioni intercorrono tra la misura di Lebesgue e le trasformazioni lineari di R N in sè, fra le quali ci sono anche le rotazioni; in particolare la proposizione seguente mostra che la misura di Lebesgue è invariante per rotazioni. Proposizione 11. Sia T : R N R N lineare. Allora T (E) M E M, ed esiste una costante (T ) 0 tale che m(t (E)) = (T )m(e) E M. In particolare (T ) = 1 se T è una rotazione. Dim. Distinguiamo due casi: T è non singolare; T è singolare. Supponiamo dapprima T non singolare. Allora, come è noto, T è un omeomorfismo R N R N, cioè una bigezione bicontinua, e pertanto T manda boreliani in boreliani. Definiamo una nuova misura µ su B nel modo seguente: E B, µ(e) = m(t (E)). Verifichiamo che in effetti µ è una misura, cioè è numerabilmente additiva. Se E i è una
6 collezione numerabile di boreliani a due a due disgiunti, allora dalla numerabile additività di m e dal fatto che T manda insiemi disgiunti in insiemi disgiunti otteniamo µ( i E i ) = m(t ( i E i )) = m( i T (E i )) = i m(t (E i )) = i µ(e i ). Asseriamo che: a) µ è finita sui compatti; b) µ è esternamente regolare; c) µ è invariante per traslazioni. La proprietà a) è ovvia, dato che T manda compatti in compatti. Per quanto riguarda la b), dalla regolarità di m segue che esiste una successione di aperti V n tali che T (E) V n e m(v n ) m(t (E)). Posto W n = T 1 (V n ), i W n sono aperti, E W n e µ(w n ) = m(t (W n )) = m(v n ) m(t (E)) = µ(e); pertanto µ è esternamente regolare (e di fatto anche internamente regolare). Mostriamo ora la c). Dalla linearità di T e dall invarianza per traslazioni di m si ha µ(e + x) = m(t (E + x)) = m(t (E) + T x) = m(t (E)) = µ(e). Siamo dunque nelle ipotesi della proposizione 10; pertanto esiste una costante = (T ) tale che µ(e) = (T )m(e). Abbiamo così provato che m(t (E)) = (T )m(e) E B. Vogliamo ora passare a tutti gli insiemi misurabili E M. Cominciamo con l osservare che T manda trascurabili in trascurabili; infatti, se X R N è un insieme trascurabile, allora ε > 0 V ε aperto tale che X V ε e m(v ε ) < ε. Allora T (X) T (V ε ) e, dal passo precedente, sappiamo che m(t (V ε )) = (T )m(v ε ) < (T )ε. Per l arbitrarietà di ε abbiamo che m e (T (X)) = 0, e quindi T (X) è un trascurabile. Sia ora E M; dal corollario 6 sappiamo che E è unione disgiunta di F B e X trascurabile. Quindi T (E) = T (F ) T (X). Ma T (X) è trascurabile, dunque T (E) M e m(t (E)) = m(t (F )) = (T )m(f ) = (T )m(e). Ovviamente, per conoscere (T ) basta calcolare il rapporto m(t (E))/m(E) su un qualsiasi insieme misurabile non trascurabile. Se, in particolare, T è una rotazione, allora T (B 1 ) = B 1, e pertanto (T ) = 1, il che mostra che la misura di Lebesgue è invariante per rotazioni. Passiamo ora al caso in cui T è singolare. Allora, posto Y=T (R N ), sappiamo che Y è un sottospazio vettoriale di R N di dimensione k, con k < N. Con un opportuna rotazione possiamo mandare Y in Y definito da Y = {x R N : x k+1 = = x N = 0}. Dato che la misura di Lebesgue è invariante per rotazioni, abbiamo che m(y ) = m(y ). Consideriamo ora gli intervalli (degeneri) Q n = {x R N : x i < n per i = 1... k; x i = 0 per i = k + 1... N} ; risulta Y = n Q n. Gli intervalli Q n hanno tutti volume (N dimensionale) pari a zero, e quindi sono tutti trascurabili; pertanto m(y ) = 0. Come è noto, la misura di Lebesgue generalizza la misura di Peano Jordan, nel senso che ogni insieme di R N misurabile secondo Peano Jordan è anche misurabile secondo Lebesgue, e le due misure coincidono. Si può dare un facile criterio per determinare quali degli insiemi misurabili secondo Lebesgue sono anche misurabili secondo Peano Jordan.
7 Proposizione 12. Sia E R N un insieme limitato. Allora E è misurabile secondo Peano Jordan se e solo se la sua frontiera E è trascurabile (secondo Lebesgue). Dim. Se E è misurabile secondo Peano Jordan, allora la sua frontiera è trascurabile secondo Peano Jordan, e quindi anche secondo Lebesgue. Viceversa, sia E R N limitato e tale che m( E) = 0. Allora, essendo E = E E, si ha che m( E) = m(e) = λ <. Dalla definizione di misura per un aperto e per un compatto, fissato ε > 0 esiste un pluriintervallo P 1 tale che P 1 E e vol(p 1 ) > λ ε 2 ; analogamente esiste un pluriintervallo P 2 tale che E P 2 e vol(p 2 ) < λ + ε 2. Pertanto P 1 E P 2 e vol(p 2 ) vol(p 1 ) < ε, il che vuol dire che E è misurabile secondo Peano Jordan. Ad esempio, l insieme E R definito come E = Q [0, 1] è un unione numerabile di punti, e come tale è misurabile secondo Lebesgue, e ovviamente m(e) = 0. Ma E non è misurabile secondo Peano Jordan, dato che E = [0, 1]. Ci poniamo ora i seguenti problemi: gli insiemi misurabili secondo Lebesgue sono tutti boreliani? I sottoinsiemi di R N sono tutti misurabili secondo Lebesgue? La risposta a entrambe le domande è negativa. Indichiamo con P(R N ) l insieme delle parti di R N. Allora vale la seguente catena di inclusioni strette: B M P(R N ) La prima inclusione dipende dal fatto che #(B) = c, dove c indica la cardinalità del continuo (non dimostreremo questa affermazione), mentre #(M) = 2 c. Questa seconda affermazione è molto più facile da verificare: nasce dal fatto che, se E R N è un insieme trascurabile tale che #(E) = c, allora, dato che la misura di Lebesgue è completa, tutti i sottoinsiemi di E sono misurabili, e la cardinalità delle parti di E è pari a 2 c, uguale alla cardinalità delle parti di R N. Quindi #(M) = 2 c. Resta solo da verificare che in R N esistono insiemi trascurabili con cardinalità del continuo. Questo è ovvio per N 2 (basta prendere un segmento); è un po meno ovvio nel caso N = 1. Un esempio di insieme trascurabile in R la cui cardinalità sia pari a c è dato dall insieme di Cantor. L inclusione stretta M P(R N ) è invece diretta conseguenza della seguente Proposizione 13. Sia A R N, e supponiamo che ogni sottoinsieme di A sia misurabile secondo Lebesgue; allora m(a) = 0. Corollario 14. Sia E M : m(e) > 0. Allora esistono sottoinsiemi di E non misurabili secondo Lebesgue. Dim. della Proposizione 13. Definiamo una relazione di equivalenza fra i punti di R N. Diciamo che x y x y Q N, e poniamo E = R N /. In E c è quindi uno e un solo elemento per ciascuna classe di equivalenza definita dalla relazione. Asseriamo che E gode delle seguenti due proprietà: a) (E + r) (E + s) = se r, s Q N, r s; b) x R N r Q N : x E + r. Dimostriamo a). Se per assurdo x (E +r) (E +s), allora x = y +r = z +s per opportuni y, z E. Ma allora y z = s r, quindi y z e y z, dato che r s. Questo è assurdo perché E contiene uno e un solo elemento per ciascuna classe di equivalenza. Dimostriamo b). Sia y il rappresentante in E della classe di equivalenza cui appartiene x. Quindi r Q N : x y = r, e pertanto x E + r.
8 Ora possiamo dimostrare la tesi della proposizione. Fissiamo per il momento t Q N, e definiamo A t = A (E +t). Per ipotesi, A t è misurabile. Sia K A t un compatto e definiamo H = (K +r); H è quindi un insieme misurabile limitato. Dato che K A t E+t, e che r Q N, r 1 quindi K+r E+t+r, K+s E+t+s, dalla a) abbiamo che (K+r) (K+s) = per r s, quindi gli insiemi K + r, K + s sono a due a due disgiunti; pertanto m(h) = m(k + r). r Q N, r 1 In questa serie il valore di ciascun addendo è lo stesso, dato che la misura di Lebesgue è invariante per traslazioni, e quindi la serie può valere solo 0 o. Ma H è limitato, e quindi il valore di ciascun addendo non può che essere pari a zero. Dunque m(k) = 0; ma K era un generico compatto incluso in A t. Passando al sup otteniamo che m i (A t ) = 0, e quindi m(a t ) = 0. Infine, dalla b) abbiamo che A = A R N = A ( r Q N E + r) = r Q N A (E + r) = r Q N A r e dunque A è trascurabile, in quanto unione numerabile di insiemi trascurabili. Ora diamo un esempio di un insieme E R N non misurabile ma tale che m i (E) = m e (E) = ; questo ci farà comprendere meglio la necessità delle ipotesi della proposizione 8 e anche la ragione della differenza fra insiemi limitati e insiemi non limitati nella definizione di insieme misurabile secondo Lebesgue. Consideriamo dunque B 1 ; dal corollario precedente sappiamo che X B 1 : X M. Prendiamo ora l insieme E = X B1 c. E non è misurabile: se per assurdo lo fosse, allora sarebbe misurabile anche E B 1 ; ma E B 1 = X, e X non è misurabile. D altronde m i (E) m i (B1 c) =, e quindi a maggior ragione m e(e) =.