Aristotele 384 a.c. 322 a.c.

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Transcript:

Aristotele 384 a.c. 322 a.c.. PARTE TERZA. fig. 3 statua di Aristotele (Friburgo, Germania) 1

10. I MOTI E LA COSMOLOGIA DI ARISTOTELE Aristotele utilizza la sua teoria delle cause soprattutto in relazione alle mutazioni dei primi tre tipi: la nascita/morte, l alterazione e l accrescimento/diminuzione. In effetti, spiegare il quarto tipo di moto, moto in senso stretto o moto locale, nei termini delle quattro cause appare piuttosto difficile. La caduta di un sasso da una rupe, per esempio, appare piuttosto difficilmente spiegabile in quei termini. D altra parte, il moto locale è uno dei fenomeni fondamentali all interno della natura e, in qualche modo, occorre spiegarlo! Aristotele fa rientrare la sua dottrina dei moti nella cosmologia. In effetti sono proprio i moti locali sono quelli che giustificano l assetto cosmologico che egli assume. La cosmologia aristotelica è impegnata a stabilire quale sia l ordine di insieme di tutte le cose che sono, garantendo così la stabilità di tale ordine. Siamo qui nell opera De caelo ( Il cielo, o Sul cielo ). Aristotele assunse come base della sua cosmologia quella comunemente accettata all epoca: il cosmo è una grande sfera finita, le cui zone più esterne sono costituite dai cieli, dotati di moti circolari e uniformi; all'interno di questi, nella zona detta "sublunare", ci sono gli elementi che si muovono disordinatamente, mescolandosi per dare origine ai corpi. Aristotele distingue, all interno di questa struttura, i moti semplici e i moti composti. I moti semplici sono di due tipi: il moto circolare (caratteristico dei cieli) e il moto rettilineo. I corpi al di sotto del primo cielo, nel mondo sub-lunare, si muovono di moto semplice in linea retta e lo fanno o verso il basso (cioè verso il centro della sfera) o verso l alto (cioè verso l esterno della sfera). Ad ognuno dei quattro elementi tradizionali, poi, Aristotele assegna un moto che gli è connaturato. Così accade che la terra e l acqua si muovono naturalmente verso il centro, il basso, mentre l aria ed il fuoco, per la loro leggerezza, tendono naturalmente a salire. Da sottolineare il fatto che, se non impediti o deviati, gli elementi presenterebbero proprio questi movimenti, che sono loro propri. Dunque, in relazione al loro differente peso, gli elementi tenderebbero a formare, al di sotto dei cieli, quattro sfere concentriche, dalla più grande alla più piccola: fuoco, aria, acqua, terra. Tali sfere costituiscono i luoghi naturali degli elementi, quello verso cui il loro moto naturale, rettilineo, tende a portarli. Ogni elemento, raggiunto il proprio luogo naturale, permarrebbe in quiete. L assetto del mondo risulta così ordinato proprio dall ordine necessario dei moti. Da sottolineare il fatto che il luogo naturale non è visto come il vero e proprio fine degli elementi. Ma come si spiega, allora, il moto di un sasso che sale verso l alto (perché qualcuno lo ha scagliato con forza, per esempio)? Aristotele ci dice che questo avviene in seguito ad una violenza esterna, una spinta od una trazione, la quale produce un moto innaturale. Esiste anche, poi, una dimensione di quiete innaturale (ad esempio, quando tengo un gas rinchiuso in un contenitore...). Da quanto detto, emerge come nessuno dei quattro elementi costituisca i cieli, perché essi si muovono circolarmente. Aristotele dunque introduce un quinto elemento, il cosiddetto etere o quintessenza, che per natura si muove circolarmente. Tale elemento non interagisce mai con gli altri, ma si muove solo all interno della propria sfera: nei cieli non c è dunque né generazione né alcun mutamento che non sia il moto locale (peraltro circolare, dunque eternamente ritornante su se stesso). 2

Ma come sono costituiti i cieli e come se ne spiegano i moti? Il grande matematico Eudosso aveva ideato un sistema fatto di 26 sfere concentriche, che presto divennero 33 ad opera di Callippo. Nel lavoro di questi astronomi le sfere si presentavano come essenzialmente facenti parte di un modello matematico. Aristotele invece, una volta introdotto l elemento corporeo proprio del cielo, l etere, attribuisce una fisicità a queste sfere, che appaiono come tante trottole rotanti l una dentro l altra. Ognuna delle sfere di Aristotele, che ne prevede ben 55, è imperniata su quella di grandezza immediatamente superiore. Questi perni costituiscono un collegamento meccanico fra tutte le sfere. Questo preciso modello non durerà molto a lungo, ma l idea delle sfere concentriche, seppure notevolmente modificata, durerà fino al sorgere della scienza moderna. Aristotele dice che il fattore principale della regolazione delle trasformazioni sublunari è il sole che, attraverso il suo calore, provoca il ciclo delle stagioni e stabilisce il ciclo e il ritmo delle trasformazioni. - Nella Fisica e nel De caelo Aristotele affronta altri problemi generali di cosmologia. Innanzitutto stabilisce la finitezza del cosmo. Infatti, se il mondo fosse infinito non sarebbe possibile stabilire, neppure concettualmente, dei luoghi naturali per gli elementi. Nella Fisica, poi, Aristotele considera l infinito come proprietà possibile di un corpo, una sua potenza. Dice che un corpo non può mai essere infinito in atto, ma solo in potenza. La nozione di infinito esiste, ed è presente nei corpi, seppure solo in potenza e mai si può realizzare in atto. Del pari anche la serie numerica è potenzialmente infinita, ma in atto dovremo sempre considerare una quantità finita di numeri. D altro canto, ogni corpo è potenzialmente divisibile all infinito (Aristotele non accetta gli atomi), ma tale divisione, in atto, dovrà essere finita. Lo spazio, per Aristotele, è il limite del corpo contenente. Tutti i luoghi, poi, sono contenuti nel luogo più grande, che è quello del mondo. Oltre non c è nulla, non c è più spazio, dato che esso si dà solo con i corpi. Il vuoto per Aristotele assolutamente non esiste. Così come lo spazio non esiste senza il corpo, il tempo non esiste senza il movimento. Il tempo è una dimensione misurabile del movimento. Esso è, per sua stessa natura infinito, non ha origine né fine. Infatti ogni movimento è generato da un altro movimento, né potrebbe essere altrimenti. Con questo assunto Aristotele scarta ogni possibile cosmogonia (ovvero origine dell universo ). Aristotele, a questo punto, poteva tutto sommato ritenersi soddisfatto di aver dato un ordine sufficientemente stabile al mondo. Questo però non gli basta: infatti dota il mondo di un ulteriore garanzia di ordine teologico. Lo fa sia nella Fisica che nella Metafisica. 11. LA METAFISICA Come abbiamo già detto, il termine metafisica fu introdotto da Andronico di Rodi nella sua famosa edizione delle opere aristoteliche. L espressione utilizzata da Aristotele era, invece, filosofia prima. L aggettivo prima non sta ad indicare il fatto che essa è il primo momento del processo conoscitivo, anzi! L oggetto della Metafisica viene per ultimo, solo dopo tutte le indagini sulla natura. Questo ambito di indagine è però primo in sé : esso è il termine più lontano dalla nostra conoscenza, ma quello primo in se stesso, cioè quello di maggiore importanza. 3

Ma qual è l oggetto di tale scienza? Aristotele ne dà due definizioni. La prima: la filosofia prima studia l essere in quanto essere (ontologia). Come già sappiamo, tutte le scienze "ritagliano" come proprio oggetto di studio un ben preciso campo nell insieme delle cose reali. La biologia, per esempio, si occupa degli esseri viventi e solo di quelli, le matematiche si occupano degli aspetti quantitativi del reale, la chimica delle proprietà e delle trasformazioni della materia, ecc. La Metafisica, invece, concerne quelle caratteristiche, quelle strutture basilari comuni a tutte le cose appunto in quanto sono, in quanto esistono. Ammettiamo, idealmente, di togliere tutti i possibili oggetti di studio delle scienze particolari, ecco: quanto resterebbe, ciò che è comune a tutte le scienze, è appunto l oggetto della Metafisica. In questo ambito Aristotele riconsidera altre teorie assai generali, quella delle categorie, della potenza e dell atto, dei principi e delle cause, seppure ad un livello diverso, cioè distaccato da qualsiasi altra determinazione specifica. La primarietà della metafisica è data dalla massima generalità del suo oggetto. La metafisica non è solo un ontologia, ma anche una teologia. In un passo famosissimo Aristotele dice che se esistessero solo le cose naturali, e quindi le cose mobili, sarebbe la fisica la filosofia prima, ma dato che esiste una sostanza non naturale, e dunque immobile (la divinità), allora la filosofia prima è appunto la teologia. Se la metafisica come ontologia, cioè come scienza dell essere in quanto essere, ha per oggetto tutte le cose esistenti, la metafisica come teologia ha per oggetto un unica e particolarissima sostanza. Questa sostanza sarà, di fatto, il principio motore di tutta la catena causale, e quindi di tutta la catena della mutazione naturale. Dal punto di vista ontologico, la questione più importante che pone la Metafisica è la domanda di massima generalità di ogni ontologia: che cos è l essere? Aristotele dice che, in effetti, questa domanda si può ricondurre alla seguente, più chiara: che cos è la sostanza? Per capire questo passo basta ripensare alla teoria delle categorie, dove tutti i termini di predicazione si sostenevano, e avevano consistenza, grazie all esistenza delle sostanze prime, ovvero degli oggetti particolari. Perché di una cosa, cioè di una sostanza prima, si possa dire che esiste, essa deve rispondere a queste due fondamentali caratteristiche: la cosa deve essere separabile e deve essere determinata. La cosa, insomma, deve esistere in se stessa (cioè non deve dipendere da altro, deve dunque essere separabile da tutto il resto), e allo stesso tempo deve essere identificabile (ovvero riconoscibile come questa cosa, questa cosa determinata). Potremmo dire che l essere è la materia indeterminata, sostrato di tutte le cose (come l àpeiron di Anassimandro), questo però non è sufficiente per dire che tale materia esiste: visto che è priva di qualunque determinazione non può essere identificata. L essere vero e proprio dunque è il cosiddetto sinolo, ovvero la materia e la forma insieme, che si attua negli individui concreti. La sostanza, l essere è dunque, come già detto, primariamente dato dai singoli individui concreti. In effetti, nei singoli individui, la separabilità e la determinatezza è data dalla forma. La forma dunque è primaria rispetto alla materia. Si vede bene come questo fatto si accorda assai bene con quanto detto sin qui. Tutte le scienze si occupano di sostanze, di individui esistenti, composti di materia e forma. Materia e forma però non esistono separatamente, al di fuori del sinolo, ma solo insieme in esso, dunque nell individuo concreto. È vero che l oggetto dell esperienza è l individuo concreto mentre la scienza si occupa dell universale, ma l universale è presente solo in ogni individuo concreto come forma. Vedremo però, adesso, che esiste anche un altro tipo di sostanza. 4

Abbiamo già detto di come Aristotele avrebbe potuto ritenersi soddisfatto del grado di stabilità ed ordine raggiunto dal suo sistema cosmologico. Ma non è così. Infatti non basta dire in che modo la totalità delle cose naturali e quindi mobili mutano naturalmente. Tale mobilità, infatti, richiede nel suo complesso un qualche principio che la causi e la mantenga. Se così non fosse tutto l equilibrio sarebbe instabile o, comunque, non ben fondato. Questo principio è il celebre primo motore immobile. Per Aristotele tutte le cose che si muovono lo fanno in virtù di un motore esterno, o nel senso che le spinge (moti innaturali) o nel senso che determina la condizione per cui l oggetto si possa muovere (moti naturali). Ora anche i "motori", a loro volta, si muovono, e il loro movimento deve essere quindi causato da un altro motore... Se non esistesse un Motore primo la catena causale del moto regredirebbe all infinito, cosa che distruggerebbe l ordine causale. Abbiamo visto come la sfera sublunare, quella degli elementi, abbia nel sole il proprio motore. Ma anche il sole si muove e, lo abbiamo visto, non è possibile che il primo motore sia a sua volta mobile. In quanto mobile, infatti, dovrebbe essere soggetto alla dinamica della struttura potenza/atto, ma sappiamo che tale passaggio (dalla potenza all'atto) richiede una causa che, in quanto tale deve essere a) già in atto. b) sempre in atto, perché diversamente non potrebbe fungere da causa di un eterno movimento. c) essenzialmente ed esclusivamente in atto, cioè del tutto scevra di potenza. Se questo primo motore avesse un qualche aspetto di potenzialità infatti, il movimento non sarebbe garantito: la potenza non necessariamente si attua! Tale motore però, perché sia esclusivamente atto, deve essere immobile. Ma in che modo, essendo esso stesso immobile, il Primo Motore muove le altre cose? Esso muove le cose come l oggetto amato muove l oggetto amante. Il cielo quindi si muove circolarmente perché, avendo come oggetto del proprio "desiderio" e del proprio "pensiero" tale motore, cerca di imitarlo al meglio. Vediamo qui come i cieli hanno la caratteristica del divino. Si ricordi ora che le sfere celesti sono, per Aristotele, 55 e, pur essendo incentrate l una nell altra, hanno ognuna un moto proprio. Da ciò deriva che ci sono 55 motori immobili e a tutti si potrebbe attribuire il titolo divino. Potremmo, però, immaginarli in un ordine gerarchico, per cui tale titolo spetti solo al primo motore immobile, cioè a quello che causa il movimento della prima sfera, quella più esterna. Sia anche detto che questo motore è puramente forma, perché alla materia è necessariamente associata la potenza e dunque il mutamento. Si tratta di una teologia razionale, alla quale si è giunti cioè non grazie ad una rivelazione divina, ma con il solo pensiero. È anche "naturale", nel senso che da sempre per gli uomini le sostanze più alte sono gli déi. Soprattutto, questi déi sono posti come primaria garanzia dell ordine e della stabilità del mondo. Sono assai poche, ma famosissime, le pagine in cui Aristotele tratteggia le caratteristiche di questa divinità, al di là della sua funzione. Visto che è Dio, la cosa più bella e perfetta, non può che essere l oggetto del desiderio e del pensiero migliori, in particolare del pensiero, perché è questo che orienta il desiderio. Ma il fine in vista del quale questo pensiero migliore pensa, altro non può essere che questo stesso pensiero pienamente in atto. Dio, allora, è quella sostanza che è pensiero pienamente in atto. Ma cosa può pensare questo pensiero, se non la cosa migliore, cioè se stesso? Dunque Dio non pensa affatto al mondo, ma solo a se stesso, e rimane immobile nella contemplazione di se stesso: esso è pensiero di pensiero. Poi, pensando a se stesso, 5

pensa anche all ordine ed alla stabilità del mondo dato che queste cose sono determinate da Lui medesimo. Questo Dio dunque non si cura degli uomini, né ha senso rivolgergli delle preghiere. Sbagliano quelli che dipingono gli déi come garanti della giustizia e, con questo, intendono solo ottenere l obbedienza alle leggi. C è però una figura di uomo per cui Dio ha un significato particolare, e si tratta del filosofo primo. Questi, occupandosi degli oggetti primi della scienza, quando giunge a contemplare i principi primi, seppure dopo molto tempo e per brevi momenti, si assimila ad essi. Va anche detto che tutte le altre scienze non hanno bisogno di risalire sino al primo motore immobile per trovare giustificazione: esse sono di fatto indipendenti rispetto alla teologia. fig. 4 statua di Aristotele (Grecia) 12. LA CONCEZIONE DELL'ANIMA: IL DE ANIMA Il discorso sull anima è da considerarsi preliminare a tutta la biologia di Aristotele: l anima infatti è una caratteristica peculiare a tutti gli esseri viventi e non un proprio dell uomo. Il trattato De Anima, dunque, tratta anche di animali e piante. Inoltre non tratta di ciò che riguarda il comportamento degli uomini fra di loro, dominio questo dell etica e della politica. - Possiamo facilmente dividere le cose in viventi e non viventi. I viventi, rispetto ai non viventi, possiedono due precisi requisiti: 6

1) hanno una struttura complessa organizzata in vista dello svolgimento di determinate funzioni. 2) hanno in sé un principio che costituisce la facoltà di esercitare tali funzioni: si tratta, appunto, dell anima. È vero che anche molti oggetti inanimati hanno una struttura creata in vista di un fine - la cosa, in effetti, vale per tutti gli oggetti artificiali - ma non hanno in se stessi il principio dello svolgersi di tale funzione. In questo, senso, il concetto aristotelico di anima è assai vicino al nostro concetto di vita. L anima è la realizzazione compiuta, insomma l atto, della potenzialità ad esercitare determinate funzioni garantita dalla struttura di cui sopra. Un importante precisazione: l anima non è l esercizio attuale delle funzioni, infatti essa permane anche quando le funzioni non vengono esercitate appieno (come ad esempio nel sonno). Per Platone, come del resto per tutta la tradizione precedente, l anima era invece qualcosa di fondamentalmente separato dal corpo, qualcosa che si aggiungeva ad esso, fosse essa stessa un principio materiale o meno. L anima, dunque, poteva esistere indipendentemente dal corpo. Questo per Aristotele non ha senso. L anima è per Aristotele semplicemente la facoltà di esercitare, di attuare determinate funzioni, determinate potenzialità: nel momento in cui non vi fosse un corpo non vi sarebbero neppure funzioni da esercitare ad esso peculiari! Questo si spiega anche con la coppia potenza-atto, infatti ogni potenza è potenza di realizzare un determinato atto, ed ogni atto è atto di una determinata potenza. Le due cose non sono assolutamente scindibili. Da tutto questo emerge, netto, un fatto: l anima è mortale. A questo punto il De Anima distingue diversi tipi di anima, a partire dai diversi tipi di funzione che i viventi possono assolvere. Le funzioni irriducibili dei viventi sono tre: vegetativo-riproduttiva, sensitiva, intellettiva. La prima è propria delle piante, la seconda (che comprende anche la prima) lo è degli animali e la terza (che comprende le prime due) lo è dell uomo. Funzione propria dell anima sensitiva è appunto la sensazione. La sensazione si organizza attorno a due poli: l organo di senso e l oggetto percepito. L occhio, di un qualunque oggetto, percepisce le forme che gli sono proprie, ovvero la luce e i colori, mentre l orecchio, dello stesso oggetto, percepirà altre forme, quelle sue proprie: i suoni. L organo di senso è, in potenza, l insieme di tutte le forme che gli sono proprie, nel momento in cui percepisce è una o molte forme precise in atto. C è dunque una sorta di assimilazione da parte dell organo nei confronti dell oggetto. Non c è alcuno scambio di materia (si pensi all esempio del timbro che imprime il suo sigillo nella cera: il timbro è l oggetto e la cera è l organo sensoriale). Si notino due cose importantissime: per Aristotele l organo di senso è passivo, ovvero riceve le forme ad esso proprie e ad esse si assimila. Inoltre la percezione è infallibile, risulta sempre vera. La questione non è conclusa: esistono anche quelli che Aristotele chiama percepibili comuni, che sono quelle forme percepite non da un solo senso, ma da diversi sensi (movimento, quiete, figura, grandezza). Bisogna anche dire che ogni forma non viene percepita isolatamente, ma tutte le forme sono assimilate su un unico oggetto. Io non sento un canto e vedo un giallo e un movimento, come cose separate e distinte, ma, ad esempio, percepisco un canarino che vola e canta. Un altra cosa: l anima sensibile sente che sta percependo, ha ciò consapevolezza del suo sentire. Come avviene tutto questo? Per spiegare i tre fenomeni Aristotele introduce il cosiddetto senso comune, non una specie di sesto senso (infatti non 7

ha un organo) ma una funzione che svolge quanto detto sopra. Se la sensazione è infallibile il senso comune può però sbagliare. È infatti possibilissimo assegnare un dato suono ad una fonte sbagliata. Problemi più complessi riguardano la facoltà dell anima tipica solo dell uomo, l intellezione. Anche qui abbiamo una bipolarità: da una parte c è il cosiddetto intelletto passivo, che si può paragonare in via metaforica a una tavoletta di cera vergine, che è in potenza tutte le forme. Dall altra parte c è ciò che si imprime sulla cera, sull intelletto passivo, mediante l intellezione. Anche qui si ha un processo di assimilazione da parte dell intelletto passivo alla cosa percepita. La differenza è che la sensazione riguarda la forma percepibile, mentre l intellezione la forma intelligibile. Tale forma si crea sulla base della forma percepibile. Ad esempio: il mio occhio vede un tavolo e la mia mano lo tocca. Sulla base di queste sensazioni il mio intelletto assimila la struttura del tavolo, la sua forma intelligibile, insomma la definizione del tavolo. Una difficoltà sta nel fatto che l intellezione non ha alcun organo di senso corporeo. Una difficoltà maggiore è un altra: perché l intellezione possa avvenire, ovvero affinché l intelligibile si imprima sull intelletto passivo, è necessaria l azione di un altro ente, l intelletto attivo, che è pensiero sempre in atto. Questo non è legato all individuo, è inoltre immortale ed eterno. Aristotele parla dell intelletto attivo solo in poche righe ed è questa forse la questione più lungamente dibattuta della sua filosofia. Taluni interpreti hanno identificato questo intelletto con Dio, altri (Tommaso d Aquino) hanno sostenuto che esso appartiene a ciascuna anima individuale. Si può forse, concludendo, dire che l intelletto attivo sta nell anima individuale, seppure non ha nulla a che fare con la dimensione individuale, essendo del tutto slegato dalle circostanze della vita, come la memoria o il corpo. In effetti questo ultimo carattere, l intelletto attivo, non sembra ben integrabile in una prospettiva naturalistica. 8