TERRE E ROCCE DA SCAVO: IL GEOLOGO PROGETTISTA DEL "PIANO DI UTILIZZO" di Gian Vito Graziano, Presidente Consiglio Nazionale dei Geologi

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TERRE E ROCCE DA SCAVO: IL GEOLOGO PROGETTISTA DEL "PIANO DI UTILIZZO" di Gian Vito Graziano, Presidente Consiglio Nazionale dei Geologi Dal 6 ottobre 2012 la gestione dei materiali da scavo come sottoprodotti è disciplinata dalle nuove regole dettate dal D.M. Ambiente del 10 agosto 2012 n. 161 (pubblicato in G.U. del 21 settembre 2012, n. 221). La nuova disciplina sostituisce quella prevista dall'art. 186 del D.Lgs. 152/2006, conosciuto come "Codice ambientale", in virtù della delegificazione proposta dallo stesso codice. L'art. 186 consentiva di inserire le terre e le rocce provenienti dagli scavi, purché con caratteristiche merceologiche ed ambientali idonee, nel campo dei sottoprodotti gestibili con uno specifico "progetto di utilizzo", fuori dal più oneroso regime dei rifiuti. Sono sempre stati del tutto evidenti i benefici ambientali che derivano dall'utilizzo come sottoprodotto del materiale da scavo non inquinato, comportando un risparmio di risorse primarie, una limitazione degli interventi, spesso invasivi, per l'estrazione dei materiali (in primo luogo di sabbie e ghiaie) e la diminuzione di rifiuti inerti da portare a discarica. Il nuovo decreto ministeriale stabilisce ora criteri e adempimenti burocratici per gestire le terre e le rocce da scavo, prevedendo un controllo rigido lungo la filiera che va dalla produzione (scavo) al riutilizzo e disciplinando la stessa gestione in maniera in qualche modo diversa dal precedente regime di cui all'art. 186. Le nuove regole recate dal decreto riguardano il suolo ed il sottosuolo, compresi eventuali materiali di riporto in essi presenti, derivanti dalla realizzazione di opere di costruzione, demolizione (ad esclusione dell'abbattimento di edifici), recupero, restauro, ristrutturazione e manutenzione. Nel dettaglio si tratta di terre e rocce provenienti da scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.), dalla costruzione di opere infrastrutturali (gallerie, dighe, strade, ecc.) e dalla rimozione e dal livellamento di opere in terra. Sono assimilati a materiali gestibili come sottoprodotto i materiali litoidi e tutte le altre frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali, che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini; ed ancora sono assimilati i residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre), anche non connessi alla realizzazione di un opera. Purché la composizione media della massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal regolamento, i materiali da scavo possono contenere anche

calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per lo scavo meccanizzato. Il nuovo decreto ammette dunque tra i materiali di scavo gestibili come sottoprodotti quelli che contengono materiali di riporto, utilizzati ad esempio per riempimenti del terreno. Questa previsione è la conseguenza diretta dell'art. 3 del D.L. 2/2012, che stabilisce che la nozione di suolo di cui all'art. 185 del D.Lgs. 152/2006 deve essere riferita anche alla matrice "materiali di riporto". Secondo il decreto le condizioni per una legittima gestione dei materiali da scavo devono soddisfare i seguenti criteri: - devono essere generati dalla realizzazione di un opera senza costituirne la finalità diretta; - devono essere riutilizzati nella stessa opera o in opera diversa, oppure in processi produttivi in sostituzione della materia prima; - devono essere riutilizzati senza trattamenti diversi della "normale pratica industriale"; - devono rispondere a precisi requisiti di qualità ambientale. Qualora siano soddisfatti questi criteri, i materiali potranno essere gestiti come sottoprodotti nel rispetto del "Piano di Utilizzo" previsto all'art. 5 del decreto, che dovrà essere concordato con la pubblica Autorità responsabile dell'autorizzazione. Il "Piano di Utilizzo", che dovrà essere presentato dal soggetto che intende gestire i materiali di scavo, costituisce la spina dorsale dell'intervento di riutilizzo, vero e proprio progetto dell'utilizzo di terre e rocce. Esso deve definire (allegato 5 del decreto): - l'ubicazione dei siti di produzione dei materiali da scavo con l indicazione dei relativi volumi in banco suddivisi nelle diverse litologie; - l'ubicazione dei siti di utilizzo e l'individuazione dei processi industriali di impiego dei materiali da scavo con l indicazione dei relativi volumi di utilizzo suddivisi nelle diverse tipologie e sulla base della provenienza dai vari siti di produzione; - le operazioni di normale pratica industriale finalizzate a migliorare le caratteristiche merceologiche, tecniche e prestazionali dei materiali da scavo per il loro utilizzo (con riferimento a quanto indicato all allegato 3); - le modalità di esecuzione e le risultanze della caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo eseguita in fase progettuale; - l'ubicazione delle eventuali siti di deposito intermedio in attesa di utilizzo e individuazione dei percorsi previsti per il trasporto. Le modalità di esecuzione e le risultanze della caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo eseguita in fase progettuale devono indicare:

- i risultati dell indagine conoscitiva dell area di intervento (fonti bibliografiche, studi pregressi, fonti cartografiche, ecc) con particolare attenzione alle attività antropiche svolte nel sito o di caratteristiche naturali dei siti che possono comportare la presenza di materiali con sostanze specifiche; - le modalità di campionamento, preparazione dei campioni ed analisi con indicazione del set dei parametri analitici considerati che tenga conto della composizione naturale dei materiali da scavo, delle attività antropiche pregresse svolte nel sito di produzione e delle tecniche di scavo che si prevede di adottare e che comunque espliciti quanto indicato agli allegati 2 e 4 del Regolamento; - l'indicazione della necessità o meno di ulteriori approfondimenti in corso d opera e dei relativi criteri generali da eseguirsi secondo quanto indicato nell allegato 8. Non è superfluo sottolineare che tra le diverse competenze necessarie alla definizione degli aspetti squisitamente ambientali, quella del geologo risulta determinante e per certi versi strategica, per il suo bagaglio di conoscenze geoambientali, geochimiche ed idrogeologiche. Ma oltre agli aspetti prettamente geoambientali, la gestione delle terre e rocce da scavo impone anche una conoscenza di carattere geologico-tecnico ad ampio spettro. Non a caso il "Piano di Utilizzo" si compone di diverse parti, tra cui quella relativa alla modellazione geologica ed idrogeologica, nelle quali il geologo si configura a tutti gli effetti come progettista. Il paino deve infatti comprendere: 1. l'inquadramento territoriale (cartografie generali, di dettaglio, ecc.); 2. l'inquadramento urbanistico (destinazione d uso attuale e futura, con stralci cartografici); 3. l'inquadramento geologico ed idrogeologico: 4. la descrizione delle attività svolte sul sito (uso pregresso del sito, cronistoria delle attività antropiche, definizione delle aree a maggiore possibilità di inquinamento e dei possibili percorsi di migrazione, identificazione delle possibili sostanze presenti, risultati di eventuali pregresse indagini ambientali e relative analisi chimiche e fisiche); 5. il piano di campionamento e analisi (descrizione delle indagini svolte e delle modalità di esecuzione, localizzazione dei punti mediante planimetrie, elenco delle sostanze da ricercare come dettagliato nell allegato 4, descrizione delle metodiche analitiche e dei relativi limiti di quantificazione). L'inquadramento geologico e idrogeologico a sua volta impone:

- la descrizione del contesto geologico della zona, anche mediante l utilizzo di informazioni derivanti da pregresse relazioni geologiche e geotecniche; - la ricostruzione stratigrafica del suolo/sottosuolo, mediante l utilizzo dei risultati di eventuali indagini geognostiche e geofisiche già attuate. I riporti se presenti dovranno essere evidenziati nella ricostruzione stratigrafica del suolo/sottosuolo; - la descrizione del contesto idrogeologico della zona (presenza o meno di acquiferi e loro tipologia) anche mediante indagini pregresse; - la conoscenza dei livelli piezometrici degli acquiferi principali, direzione di flusso, con eventuale ubicazione dei pozzi e piezometri se presenti (cartografia preferibilmente a scala 1:5.000). Dunque la norma chiama il geologo a fornire una competenza molto ampia, che spazia dai temi dell'ambiente a quelli dell'idrogeologia, dalla geofisica alla geotecnica, affinché si verifichino condizioni di tutela dell'ambiente e di riduzione di costi sociali, ma sempre tenendo presenti le istanze di sicurezza del territorio e della popolazione (stabilità dei versanti interessati, stabilità degli accumuli, regimazione delle acque, ecc.). Una attenzione ambientale e sociale che la norma impone e per la quale, non a caso, prevede anche sanzioni penalmente rilevanti: infatti l eventuale operato svolto dal titolare dei lavori (proprietario, impresa edile, azienda industriale, ecc.) in difformità (assenza di autorizzazione del Piano di Utilizzo ) comporta, in automatico, la modifica dello status giuridico delle terre e rocce da scavo da sottoprodotto a rifiuto speciale e, pertanto, l intera attività di cantiere si configurerebbe come gestione non autorizzata di rifiuti speciali, alla quale si applica il regime sanzionatorio penale di cui all art. 256 del D. Lgs. 152/06 aggravato nelle regioni in vigenza dello stato di emergenza rifiuti dall applicazione dell art. 6 comma 1 lettera b) del D.L. 178/2008 (reclusione da 3 mesi a 4 anni per rifiuti speciali non pericolosi e da 6 mesi a 5 anni per i rifiuti speciali pericolosi). E' il caso infine di sottolineare che il decreto prevede anche il caso in cui la realizzazione dell'opera ed i relativi scavi interessino un sito in cui, per fenomeni naturali, nel materiale da scavo le concentrazioni degli elementi e dei composti superino le Concentrazioni soglia di contaminazione (colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5, Parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006): in questo caso è fatta salva la possibilità che le concentrazioni di tali elementi e composti vengano assunte pari al valore di fondo naturale esistente per tutti i parametri superati.

Per poter stabilire che i superamenti siano legati a fenomeni naturali, e non quindi ad eventuale inquinamento, occorre conoscere la storia geologica del luogo, i contenuti mineralogici e petrografici delle rocce presenti, la composizione geochimica delle acque, ecc. Ancora una volta il geologo diventa protagonista di uno articolato sviluppo di idee e di conoscenze, che gli conferiscono una meritata collocazione tra le figure chiave della gestione e dell'utilizzo delle terre e delle rocce da scavo. Qualora ricorra questa condizione, in fase di predisposizione del "Piano di Utilizzo", il proponente segnala il superamento dei valori soglia all'autorità competente, presentando un piano di accertamento per definire i valori di fondo da assumere. Tale piano è eseguito in contraddittorio con l'agenzia regionale di protezione ambientale (Arpa) o con l'agenzia provinciale di protezione ambientale (Appa) competente per territorio. Sulla base dei valori di fondo definiti dal piano di accertamento, il proponente presenta poi il "Piano di Utilizzo". In tal caso l'utilizzo del materiale da scavo sarà consentito nell'ambito dello stesso sito di produzione, mentre l'ipotesi di utilizzo in sito diverso rispetto a quello di produzione ricorre soltanto in un ambito territoriale con fondo naturale caratterizzato da caratteristiche analoghe e confrontabili per tutti i parametri oggetto di superamento nel sito di produzione. Per un approfondimento della materia si rimanda all'edizione prossima della rivista Geologia Tecnica ed Ambientale, nella quale sarà pubblicato un articolo, frutto dell'attività del Gruppo di lavoro costituito dal Consiglio Nazionale dei Geologi su terre e rocce da scavo, composto dallo scrivente e dai colleghi Bellomo e Corezzi, componenti del Comitato di Coordinamento della Commissione Tecnica per la Valutazione di Impatto Ambientale del Ministero dell Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.