Bioetica della vita nascente (diagnosi e terapia prenatali): aspetti etici 24 settembre 2005



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Transcript:

Bioetica della vita nascente (diagnosi e terapia prenatali): aspetti etici 24 settembre 2005 Prof. Maurizio P. Faggioni Sono professore di bioetica ed ho avuto una formazione medica. Qui parliamo della bioetica mirata al tema che è stato dato, quello della diagnosi e terapie prenatali. Cos è la diagnosi prenatale? E un atto medico che coinvolge la responsabilità del medico verso due pazienti: la madre ed il nascituro e questa sembra una porta aperta. Il mio discorso è infarcito di apparenti ovvietà, ma sappiamo che, nella pratica medica l integrazione nella vita di una persona dei suoi simili che le stanno intorno non è così immediata. Molte volte l etica è fatta di cose ragionevoli, quasi ovvie, ma tante volte ce ne dimentichiamo. Quindi, questa ovvietà è importante. C è questo triangolo ovvio del nascituro, dei genitori e del medico. Quando diciamo madre normalmente pensiamo alla donna che deve subire sul corpo un indagine ed è giusto, dal punto di vista biomedico, pensare al rischio che corre (i padri non corrono rischi con l amniocentesi). Quando si parla di decidere su un bambino che deve ancora nascere i genitori sono in una situazione squilibrata in quanto uno dei due è coinvolto anche come paziente. In pratica patisce, attraverso il proprio corpo. Già questa riflessione è importante e ci porta al punto di vista del medico, che dialoga con una donna madre e paziente al tempo stesso. Quindi già una prima riflessione potrebbe essere interessante, dal punto di vista poi della prassi. E bene sapere che la diagnosi è una gnosis, cioè un sapere e sapere è un diritto del paziente perché è un sapere finalizzato al poter capire e quindi al poter scegliere in modo consapevole. Perché, se non si sa, non si può capire e scegliere. E un potere perché il medico può avere questo sapere per orientare le scelte altrui (più avanti vedremo alcuni esempi). Parlo di counseling direttivi e di indicazioni mediche. Giustamente Branconi diceva che le donne decidono autonomamente. Questa autonomia è però condizionata dal tipo di informazione che viene data e dall ansia che viene alimentata, più o meno giustamente, o dal tipo di assicurazione che viene offerta. Quindi, c è la possibilità di un sapere che viene fornito come orientamento, anche se indiretto o velato, alle scelte altrui e non come un servizio per il paziente che deve potere scegliere. Poi c è il mercato del sapere: i bisogni indotti. Sul mercato delle diagnosi prenatali tutto questo è chiarissimo. Questo è un documento ormai un po datato, ma interessante: il Comitato nazionale per la bioetica parla proprio di questi bisogni indotti nel campo della diagnosi prenatale. Pensate alla pletora dei test genetici in USA. Si stanno raggruppando malattie che nessuno vedrà mai, che sono soltanto nelle note dei libri. E certo che quando una persona chiede: ma si può fare? e qualcuno che ha interessi in tali situazioni risponde: di per sé è raro, ma non si sa mai, dire non si sa mai è una voluta ambiguità. È vero, non si sa mai, ma tutto questo viene meno a un informazione fondata e serena e anche ad una gestione sana, oculata ed intelligente di quelle che sono le risorse pubbliche. Il contesto culturale e psicologico in cui si collocano le nostre diagnosi (è stato già detto molto bene dal Prof. Branconi) è piuttosto interessante. Intanto la gente non comprende bene i limiti e le possibilità della diagnosi prenatale. Pensate alla risposta al triplo test, che è una risposta probabilistica. Non è una diagnosi su una cellula in cui si vede la trisomia 21 e quindi la Sindrome di Down è accertata. In compenso ci dà una diagnosi che non è altro che una predizione probabilistica, anche se altamente specifica, ma con una forte quantità di falsi positivi. Tanto è vero che, quando il triplo test ha esito positivo, la donna viene indirizzata all approfondimento invasivo (amniocentesi). La gente è difficile che lo capisca immaginate come è difficile spiegare che cos è una certezza medica! Nel sapere scientifico non esiste la certezza assoluta. Quando ci buttiamo in un campo di predizione probabilistica, abbiamo ancora un ulteriore e diversa modalità di conoscenza che non è facilmente percepibile dalle persone. Quindi, attese probabilmente non adeguate. Vi racconto un episodio. La mia segretaria è rimasta incinta e si è assentata tre giorni per fare degli esami. So che è molto ansiosa e le ho chiesto come erano andati. Mi ha risposto: ho fatto qualcosa che Lei sicuramente non avrebbe voluto (era l amniocentesi), però ora sono tranquilla perché il bambino è sano. Ecco 1

due presunzioni della mia segretaria, che sono sbagliate. Chi ha detto che io non sono d accordo con la pratica dell amniocentesi e chi le ha detto che il bambino sia sano? Con quell esame abbiamo escluso alcune patologie. Lei temeva la trisomia 21 e io le auguro tutto il bene del mondo, però capite cosa passa alla gente nella comunicazione e nella comprensione. I pazienti si muovono così come altro potrebbe essere? Si è parlato prima delle attese sul figlio, quelle che qualcuno chiama la sindrome del bimbo perfetto. Sapete che la donna in gravidanza ha un bambino fantasmatico: si immagina il bambino e ci sono studi interessanti proprio sull impatto che ha l accertamento diagnostico sul bambino fantasmatico. Cioè, la donna si immagina un bambino e poi le fanno vedere sul video l ecografia. Ma quando per il bambino fantasmatico, che è perfetto, si scopre qualche problema, c è il dramma della profonda frustrazione. Quindi c è tutta una situazione psicologica importante che è lo sfondo dal quale parte poi una comprensione ed una decisione. La rimozione culturale del disagio è un fatto della nostra cultura; ma il disagio personale che una persona può avere da un handicap ed il disagio familiare possono essere terribili. Poi c è un dato, secondo me molto rilevante, che è quello della salute come buona qualità di vita. Cos è la qualità di vita? Perché, se stiamo alla definizione dell OMS, la salute è perfezione. La mia idea invece è che la salute sia la massima armonia possibile tra tutte le dimensioni della persona. La massima possibile vuol dire che dobbiamo lavorare per la salute, nei suoi aspetti fisici, spirituali e relazionali. Questo è vero, ma non l idea dell OMS che la salute sia perfezione. Ognuno ha la sua possibilità ed ovviamente ci sono dei livelli che sono di bassa qualità. Cioè, ci sono delle basse qualità di vita, ma questo non toglie che noi possiamo lavorare per la loro salute. Se abbiamo un bambino Down, dobbiamo aiutarlo a trovare, a partire dalle sue potenzialità, la massima armonia possibile dal punto di vista fisico, spirituale e relazionale. E un idea personalistica e non un idea astratta. Quale salute gli garantiamo? Possiamo garantirgli un armonia qualsiasi, per esempio? Che tipo di iter terapeutico? Il problema è molto grande e ho detto che non ci saremmo entrati. Ma questo fa parte, come sfondo culturale del problema delle diagnosi prenatali, perché la diagnosi prenatale serve a garantire ai genitori che il bambino avrà una buona qualità di vita, una vita sana. E un po strano dal punto di vista teoretico, perché la qualità di vita normalmente viene definita come la percezione che ognuno ha del valore e del senso della sua vita. Ma il bambino non ha questa percezione e quindi è qualcuno, per quanto sia molto importante per lui, che interpreta la sua percezione della qualità di vita, cosicché l idea oggettiva di salute refluisce sull idea di qualità di vita che i genitori proiettano sul loro bambino. Questo è ancora uno studio, ma non possiamo soffermarci su questo forse in qualche altro incontro qualcuno lo potrà fare. Quanti sono gli orientamenti etici alternativi di diagnosi prenatale? Fondamentalmente sono tre. Qualcuno (per esempio, i gruppi fondamentalisti americani, come i ProLife e altri del genere) dice che la diagnosi prenatale va rifiutata perché o è inutile, o è diretta all aborto selettivo. Questa è un idea piuttosto superficiale e che taglia la realtà con l accetta. Qualcuno dice che la diagnosi prenatale è utile ed al feto va riconosciuto il diritto alla vita, purché questa vita sia di qualità adeguata. Quindi, si riconosce l idea del feto come una persona all interno di questo processo decisionale, una persona che non decide, ma su cui abbiamo responsabilità. Ecco perché dico persona, perché persona è una realtà verso cui abbiamo responsabilità. Ha un diritto, anche se non assoluto alla vita, ma subordinato a raggiungere una qualità adeguata. Una terza possibilità è che la diagnosi prenatale è utile e al feto va riconosciuto il diritto incondizionato alla vita. Questo non c entra niente con l accanimento terapeutico, perché il diritto alla vita e l accanimento terapeutico sono due cose diverse, non mescoliamo i problemi. Il diritto alla vita vuol dire che il suo diritto ad esistere non dipende dalla qualità di vita. I nostri interventi terapeutici vanno valutati in base a criteri di stretta oggettività medica. Cioè, sotto 21 settimane, in questo momento sarebbe da incoscienti fare la diagnosi invasiva prenatale. Noi possiamo arrivare a 21 settimane, perché qualcuno l ha fatto qua con metodiche sperimentali. Riprenderemo anche per le terapie prenatali alcuni criteri abbastanza ovvi. Parliamo degli interventi diagnostici rischiosi (tralascio i problemi dell ecografia e degli interventi). Prima è stato detto ed è vero, lo confermo che questi interventi invasivi, anche se fatti nei tempi giusti (perché sapete che, se sono anticipati, aumenta il rischio), hanno sempre un rischio di aborto spontaneo (1 o 2%). 2

Parliamo dell etica personalista. Parlando di rischio che assume qualcuno che non può assumerlo, un rischio che grava su una creatura che non può decidere perché è ben diverso da un adulto che fa le sue valutazioni dei rischi, ovviamente dobbiamo agire in presunzione del vantaggio del concepito e, quindi, questi interventi devono essere finalizzati ad un interesse primario del concepito. Qui c è il problema: se non c è un indicazione (lo vedremo meglio più tardi) e la donna è soltanto molto ansiosa, è giusto sottoporlo? In Toscana l esame della traslucenza è aperto a tutti e lo hanno fatto in pratica tutte le donne, anche quelle con un indicazione discutibile. E poi ci sono state quelle che hanno avuto i risultati positivi su base probabilistica e che sono state tutte sottoposte all amniocentesi. Ci sono anche dei problemi molto delicati di gestione di politica sanitaria. Parliamo dell interesse primario del concepito. Non è possibile provvedere altrimenti al suo benessere: il rischio è proporzionato al beneficio ragionevolmente prevedibile, risk-beneficio e questo vale in tutti gli ambiti medici. E poi questo è quello che aggiunge la bioetica cattolica: in caso di anomalie cromosomiche o difetti di sviluppo, non deve prevedere l aborto, cioè l amniocentesi fatto non con intenzione puramente abortiva, ma con intenzione conoscitiva terapeutica. Questa è una domanda quotidiana, ma rischio per chi? Perché molte volte in questa valutazione rischio/beneficio entra in gioco (e non potrebbe essere altrimenti) anche il vertice genitori/madre. Ma per l interesse primario del concepito, non per escludere altri interessi, bensì per limitare una gerarchia di interessi. Su questo bisognerebbe forse fare un po di riflessione. In sostanza, bisognerebbe scegliere la metodica che comporta il minor rischio e che possiede la maggiore affidabilità. Giustamente prima si parlava della pletora di esami inutili, costosi, rischiosi, che vengono forniti per le motivazioni più diverse: per l eleganza dei risultati (magari per pubblicarli), per spendere denaro, per verificare qualcosa, per tranquillizzare la gente, per cautelarsi, ecc. Ma dal punto di vista etico, credo che tutti siano d accordo e ci capiamo. Parliamo adesso della situazione di altri contesti di diagnosi non invasive (è un caso un po diverso), dove il rischio di per sé per il feto non c è. In generale le diagnosi non invasive sono accettabili se riducono il numero delle diagnosi invasive: è un beneficio per il feto. Se faccio una diagnosi non invasiva, sul sangue della madre per esempio, evidentemente ciò è favorevole per il feto ed è meno spiacevole per la madre, perché è ovvio che è più agevole fare un prelievo che un amniocentesi. E c è minore dispendio di risorse: quindi ci sono molti elementi positivi. Questo in teoria, ma l etica troppo astratta genera mostri. La vita non è fatta di cose così lineari e le cose reali sono un po diverse. Il triplo-test esprime una probabilità, non una certezza diagnostica e quindi i falsi positivi di fatto aumentano la richiesta di controlli, come l amniocentesi, al di fuori delle indicazioni. Perché? Qui tutte le donne che vogliono possono accedere a certe diagnosi, ma poi queste diagnosi devono essere trasformate da probabilistiche in certezza ed è chiaro che alla fine abbiamo un aumento delle diagnosi invasive. Ecco quindi una domanda di politica sanitaria: c è utilità per uno screening con triplo test su tutta la popolazione in modo indiscriminato? Cioè, al di là delle indicazioni che già esistono per fare alcuni interventi diagnostici? Che cosa fare in caso di diagnosi infausta? Qui si può inserire anche un po il problema dei micronati o dei parti pretermine. Io ho studiato gli anencefali e mi cito addosso. Su Medicina e Morale, 3 o 4 anni fa, ho scritto un articolo sugli anencefali e ci fu anche una polemica. Qualcuno dice parto pretermine per evitare alla donna l angoscia di portare avanti una gravidanza, quando sa che potrà avere problemi. Comunque sia, è facilmente riscontrabile anche con esami usualmente fatti. L alternativa è portare a termine una gravidanza, magari con taglio cesareo (perché molte hanno sofferenze durante il parto), per usare alcune parti degli organi del piccolo anencefalo. Oppure fare direttamente l aborto, perché hanno una prognosi alla nascita molto bassa. Quindi problemi che sono legati alla diagnosi e alla sopravvivenza di una creatura che ha certamente una prognosi infausta. Solitamente muoiono tutti entro i primi dieci giorni. Una proposta è quella dell aborto eugenetico. Cioè, quando si scopre con la diagnosi prenatale che c è una patologia, qualcuno può fare l aborto eugenetico, che è l aborto praticato per evitare la nascita di un soggetto affetto da una grave malattia congenita o connatale. Non lo chiamiamo terapeutico, perché non è una terapia e a questo possiamo arrivarci anche con la logica. Non è certo una prevenzione. Se documentata, un anomalia porta all interruzione della gravidanza. 3

In questo caso, l unica prevenzione è quella della sofferenza di qualcuno. Però noi, in medicina, dobbiamo chiamare le cose col loro nome, perché sennò non ci capiamo più, lasciando ai giornalisti e anche ai moralisti, ai filosofi, l uso di parole in maniera evocativa. Terapia di cosa? Non è prevenzione perché la prevenzione significa impedire che sia concepita una creatura con dei problemi; non è terapia perché non cura una malattia, quindi non è terapia in nessun modo, neanche preventiva. E prevenzione di un dolore materno o familiare, ma è un modo di usare la parola certamente poco consono al modo di parlare della medicina. Lo chiamiamo eugenetico in maniera tecnica, perché è dovuto alla legge italiana, che come sapete è la legge più ipocrita della terra. Lasciamo dunque stare la legge italiana perché non si fa etica con questa, proprio perché è fatta male ed in essa tutto diventa terapeutico, cioè tutto fa bene alla madre. Ma noi le lasciamo ai giuristi queste cose: i formalismi giuridici li lasciamo al diritto. Questo è un aborto eugenetico, cioè abortisco perché il bambino è così e, essendo il bambino così, mi provoca del dolore psichico. Questa è la sequenza reale. Non è che la gravidanza porti un problema alla donna, non è una gestosi. Questo rapporto simbiotico, naturale, splendido diventa conflittuale e lì vi è un problema etico. Ma qui non abbiamo che la gravidanza faccia male alla donna; è la nascita del bambino in quelle condizioni che crea dolore alla donna. Questa è l unica citazione, dal De aborto procurato, che non dice niente che non sia autorevole: Nessuno, neppure il madre o la madre, può sostituirsi al bambino, neanche se è ancora allo stato embrionale, per preferire a suo nome la morte alla vita. Chi non è d accordo con questo perlomeno deve accettare che, quando si decide un aborto eugenetico, qualcuno decide per un altro. Questo è il fatto. I cattolici pensano che nessuno abbia il diritto di decidere la morte per un altro, il che può essere eticamente interpretato in modo diverso. Ma il fatto è che in questo caso qualcuno, più o meno ragionevolmente, decide la morte per un altro. Ma, se non è ragionevole dare la morte a uno che la chiede, non sarà ragionevole presuntivamente darla a qualcuno che non può chiederlo, soprattutto se sono il marito, la moglie, i figli o i genitori che lo decidono? Non è proibito dalla legge, però l etica ci insegna ad individuare le realtà nella loro dimensione relazionale. È un po contraddittorio che le leggi tutelino gli handicappati mentali e fisici, ma permettano di abortire un feto di 4 mesi perché portatore di quegli stessi handicap. Il problema del counseling è un problema di tutti i medici, cioè quanto vale la richiesta delle donne e la proposta del medico. Il medico dovrebbe essere libero di dire ad una donna se non ci sono indicazioni, così come credo che un medico anche debba poter proporre ad una donna che sarebbe bene fare un esame se lei non ci pensa. Questo è agire secondo scienza e coscienza. Non credo che un medico perché non gli piace la diagnosi prenatale, quando ci sono indicazioni condivise dalla comunità medica, si possa permettere di non dirlo. Su questo potrebbe esserci una discussione; ma io credo che tutte le persone abbiano diritto di sapere che cosa sia ragionevolmente previsto, in una certa situazione, da un medico che faccia buona pratica clinica. Il medico deve scegliere il test più idoneo. Per esempio, alcuni test allungano soltanto i tempi di diagnosi, alcuni sono anche più costosi, ma fanno parte della buona prestazione. Dopo il risultato, si deve informare e consigliare, senza dirigere (e questo è un punto molto dolente). È uscito su Toscana Medica 2004 un articolo da cui traggo questo schema che fa il punto, per noi medici, sullo screening ecografico precoce della Sindrome di Down. E un articolo molto corretto che, alla fine, dà delle indicazioni. Io ho soltanto aggiunto la divisione in paragrafi, ma le frasi sono tali e quali. Dice: quando viene fatto questo esame dello screening ecografico, bisogna sapere se si è disposti ad accettare un risultato di probabilità e non di certezza. Lo studio fa tutta una discussione molto buona su questo problema, cioè se c è la disponibilità ad accettare (ovviamente parlo della donna) l esame invasivo in caso di positività dello screening. E se la donna dice mi basta questo, non voglio sapere altro? Allora, dice lo studio, soprattutto in caso di Sindrome di Down, accertata da indagine invasiva (per esempio, l amniocentesi), deve essere disposta ad interrompere la gravidanza. Ma questi sono criteri veramente balordi. Se una donna decide di tenerlo, sono fatti suoi. Immaginate l impatto sui disabili (c è un enorme documentazione su questo) di questi modi di parlare e di scrivere. Ci sono disabili fisici e non fisici, che possono benissimo capire come la nostra cultura ritenga ragionevole, accettabile la soppressione del bambino malato. Qualcuno dice: uccidetelo perché la mia vita è 4

impossibile. Certamente! C è qualcuno che ha accettato la sua diversità a forza di terapie, accompagnamenti, sostegni, ha tutta una schiera di pedagogisti intorno a lui e poi però gli dicono: sì, va bene, accontentati, ma non è ragionevole che nasca qualcuno come te. Perché questi sono i messaggi ambivalenti che vengono anche dagli ambienti scientifici. Questa sequenza è veramente molto inquietante e conferma quello che dicevo prima sul primo test ed in rapporto l amniocentesi, ma non solo. E l amniocentesi subordinata a, cioè te la faccio solo se tu poi sei disposta ad abortire. Però questo non è più un sapere per decidere, perché la decisione è già preconfezionata dall esposto diagnostico. Informazione come diritto e come dovere: qui c è un elemento inquietante nell ultimo punto. C è il diritto della persona di sapere la verità e di chi gli è affidato. C è stato qualche medico che non ha comunicato una diagnosi ad una donna perché temeva che abortisse. Noi non abbiamo questo diritto, il detentore della propria verità e di chi gli è affidato è la donna. Il dovere del medico, quindi, è informare in modo chiaro, esauriente e senza direttività. Qui c è un idea un po sbagliata, anche se un po superata, ma la voglio ricordare, cioè quella possibilità di neutralità etica del counseling. L importante è che tu sia libera di scegliere. E eticamente buono ciò che è scelto liberamente, non il contenuto della tua scelta. E un etica che punta, più che sui contenuti della scelta morale, sul fatto che la scelta sia in sé libera. Anche scelte opposte sono buone, accettabili, ragionevoli, perché derivano da una ponderazione libera delle situazioni. Allora la neutralità etica è una pia illusione, diciamo che è una falsità. Se ho una minorenne di 17 anni incinta, posso parlare con lei, come ad una donna adulta, e le dico: tu sei libera di fare quello che vuoi, puoi tenere questo bambino, farti aiutare e io ti posso anche aiutare durante il percorso; o puoi interrompere questa gravidanza che in qualche modo ti rovina la vita. Ma questo è già un counseling direttivo velatamente perché io introduco un idea etica, che è che tu abortisca o tenga il bambino non è eticamente indifferente. Noi dobbiamo dialogare con la persona a partire dal suo mondo di valori (che a volte deve anche essere portato fuori perché è implicito), capire che cosa per questa persona sia rilevante, che cosa per questa persona sia valore, che cosa sia veramente significativo, dia senso alla sua vita e l aiuti a fare una scelta. Quindi è un accompagnamento della persona a scegliere, ma in base al suo mondo di valori ed il counseling dovrebbe tirare fuori dalla persona (soprattutto se questo non è ben chiaro, in una situazione di conflitto o di angoscia) qual sia il suo mondo di valori, cioè che cosa la donna possa fare senza poi pentirsi, senza vivere una profonda frustrazione, che può portare alla depressione, alla carenza di autostima. Questo spesso non viene fatto perché richiede il dialogo, richiede un grosso accompagnamento. Questo non fa parte del problema di oggi, perché è un problema di counseling, ma sullo sfondo non può non esserci questa situazione. Il Comitato nazionale per la bioetica, nel 1999, parlando di test genetici, parla giustamente del diritto a non sapere, quello di cui i medici parlano sempre, perché sappiamo che spesso la gente non vuole sapere. Invece noi, all americana, riteniamo che l interessato debba sapere; ma se non vuole sapere? Ora, per fortuna, si stanno aprendo brecce in questo. Però la questione del non sapere è sulle predizioni su malattie come la corea, che cambiano la vita alle persone, ma a 30-40 anni. Nel frattempo, chi decide di dire o no qualcosa su questa scottante verità? E un problema che dovremmo trattare qui, ma capite bene che sussistono migliaia di problemi intorno a questa cosa. In sostanza, il problema è per i test predittivi con un lasso di sviluppo della malattia molto lungo, in cui abbiamo una certezza quasi matematica, anche se non sappiamo la penetranza e a volte anche la sintomatologia è diversa. Quindi il problema è tra il sapere con certezza e il sapere che accadrà tra molto tempo, cioè una nostra diagnostica ci spinge al di là. Il dilemma è tra fare vivere una persona, farla sposare e fare figli, e poi, a 35 anni, lasciare una vedova e due o tre bambini orfani, oppure dirgli: goditi la vita, perché tanto morirai presto. Quindi, il sapere troppo non è facile da gestire. E il problema della differenza tra sapere e potere: sappiamo molto, ma possiamo ancora poco. Speriamo che un giorno potremo un po di più. Sul ricorso alla terapia prenatale, non è stato detto niente perché, anche se rientra nell argomento, non c è stato tempo probabilmente. Quindi, do per scontate alcune cose che si dovevano dire. Questa è una famosa fotografia. Ecco la manina del feto che stringe il dito del chirurgo è una foto che ha fatto il giro del mondo. Questo è il successo della medicina. Già dalla settima settimana, ci sono delle reazioni 5

di avvitamento da parte dell embrione. Abbiamo un divario tra possibilità diagnostiche e possibilità terapeutiche, che in Italia per fortuna si sta lentamente colmando. Cosa possiamo fare? La chirurgia, la farmacoterapia fetale, la chirurgia fetale, la terapia genica, le trasfusioni fetali insomma, tante cose, ma non voglio addentrarmi perché è un argomento che non fa parte della mia presentazione. Però una buona diagnosi può essere importante, anche quando non si può fare qualcosa in utero e si può forse anche migliorare l assistenza neonatale, quando i bambini nascono con delle immaturità o dei problemi. Poi c è la questione di quali interventi terapeutici siano da farsi. Quando sono interventi ormai protocollati, possiamo applicare normalmente l idea del rischio/beneficio, cioè il principio terapeutico generale. Sono ancora interventi sperimentali e possono essere fatti se non esiste altra possibilità per salvare la vita del concepito, cioè sono salvavita. Nel dilemma di vita o morte, perlomeno ci provo, imparo qualcosa e do una chance a questa creatura, se il rischio è proporzionato al beneficio ragionevolmente previsto. Questa è una seconda condizione che dovrebbe essere vista di volta in volta, ma si tratta sempre di rischio/beneficio rapportati a situazioni di estrema gravità. Qui c è stata una polemica, anche nel mese scorso, tra le riviste scientifiche sul dolore fetale. Dobbiamo intenderci: noi non sappiamo come soffrono gli animali, né come soffrono i feti. Però una riflessione che possiamo fare è questa, che un feto di 6 mesi è un prematuro di 24 settimane, cioè quando ha 6 mesi è feto, ma quando è nato a 24 settimane è un prematuro e prendiamo tutte le precauzioni. Volevo dire che c è un continuum, che dobbiamo mentalmente porre, tra lo sviluppo in utero e lo sviluppo extrauterino. E poi ci sono anche dei dati tecnici interessanti. Alla ventesima settimana, le connessioni nervose sono stabilite, anche se non sono ancora complete e incominciano le connessioni anche a livello corticale. Insomma, con tutto quello che sappiamo, soprattutto del talamo, che funzionerebbe anche con strutture celebrali superiori non sviluppate o che hanno perso la funzionalità. E un problema gravissimo, che è stato studiato in relazione allo stato vegetativo prersistente. Noi ne sappiamo molto poco, la letteratura è incerta, ma ci sono dati anatomici interessanti. Molti intervengono senza anestesia, ma il feto è un paziente! In America c è un protocollo che dice: facciamo l aborto, ma con l anestesia, perché difendiamo il diritto della donna di abortire, ma difendiamo anche il diritto di questa creatura di fare un eutanasia affinché non sia una macellazione, cioè muoia senza sofferenza. La polemica arriva a questo. La polemica quindi è stata anche un po ideologica. Noi non vogliamo ideologie, noi vogliamo basarci su dati concreti. Qui c è tutta l idea che abbiamo elaborato dei doveri della madre e della maternità. Cioè, che doveri ha la madre verso questa creatura? Ha il dovere di fare passare un chirurgo attraverso il proprio corpo? E una domanda che ha avuto svariate risposte. La domanda vale per le indagini anche di tipo conoscitivo, diagnostico, e a maggior ragione perché la donna è interessata a sapere come va la sua gravidanza. Ma quando c è l interesse primario del feto, la donna può rimandare un intervento e dire di non volere? Allora qui dovremmo riflettere su qual è il rapporto materno-fetale dal punto di vista personale della responsabilità, perché la tendenza è a scindere le due creature. C è un famoso scritto della Thompson, che è una bioetica femminista di cui avrete sentito parlare perché è molto nota, che fa il famoso esempio del violinista. Perché una donna deve essere obbligata a tenersi dentro una creatura, che magari le dà noia o che semplicemente non vuole? Ha preso il contraccettivo, il marito ha usato il profilattico, ha fatto tutto quello che si poteva fare ed il figlio è venuto lo stesso. Ma non lo voleva, ha fatto di tutto per non averlo. La Thompson dice: è carino se io lo tengo dentro di me, ma è un altra persona. E un idea del rapporto maternofetale di tipo individualistico (cioè, siamo due persone), perché parte da una concessione alla bioetica cattolica: ammettiamo che il feto sia una persona. E una concessione, ammettiamolo, soprattutto se non ho fatto niente per mettere questa persona dentro di me, come in caso di stupro. In questa impostazione della bioetica, che è etica dei diritti individuali, l aborto si giustifica in base proprio a un non dovere della donna. Qui dobbiamo però ripensare il tutto. Ecco l esempio del violinista che ha un gruppo sanguigno che ho soltanto io ed ha bisogno di una trasfusione. Gli amici mi dicono: ma dai, è soltanto un po di sangue! Ma io non voglio darlo; sarebbe carino fare il buon samaritano, però non voglio farlo. Allora gli amici del violinista mi rapiscono, mi mettono in un letto. Mi dicono: stia tranquilla, 9 mesi ed è tutto finito. Insomma, voi cosa direste? È una lesione a 6

questo diritto. Ma possiamo applicare esattamente quest idea di diritti individuali al rapporto materno-fetale? Normalmente, nella bioetica corrente, il rapporto materno-fetale viene percepito in un senso individualista, di opposizione o di autonomia, di non dovere. C è tutta una parte della bioetica, anche dal punto di vista della cura, che parla per esempio dell uso dell alcool e del fumo durante la gravidanza. Negli Stati Uniti c è molta letteratura sull uso della cocaina in gravidanza. Cioè, se la donna lo fa, chi è che ha il diritto di dirle che non può usare cocaina in gravidanza perché quando il bambino nasce avrà le convulsioni? E un problema eticamente molto interessante, che sullo sfondo ha la questione del rapporto materno-fetale e dell interpretazione, anche etica, di questo rapporto. I medici lo conoscono benissimo, ma eticamente deve ancora essere sviscerato. Un moralista del Cinquecento avrebbe detto che si deve fare l intervento sine grave incomodo, cioè se la madre non ha un danno eccessivo. Quindi, c è un dovere, ma limitato, non assoluto, perché la vita della madre e la sua autonomia hanno anch esse un valore. Ma nel Cinquecento facevano presto a parlare; noi abbiamo un altra medicina molto più complessa. Ho dato una sventagliata di problemi, perché questo era il mio compito: aspetti etici della diagnosi e terapia prenatale. 7