REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO terminata la discussione orale, pronunzia, mediante lettura in udienza pubblica, la presente S E N T E N Z A nel proc. n. 287/2012 RG promosso da P. T. con l avv. O. B. contro P. con l avv. N. P., L. B. e M. C. nonché contro T. R. contumace OGGETTO: pubblico impiego privatizzato contratto nullo prestazione di fatto (art. 2126 c.c.) - indennità di maternità fuori nomina MOTIVAZIONE La prof. T. P., cittadina della Moldavia, espone di aver lavorato come docente supplente temporanea presso l Istituto comprensivo di Cembra (Tn) per i periodi 23.09-24.11.2010, e 29.11-22.12.2010, a 1

seguito di chiamata diretta da parte del dirigente scolastico dott. R. T.. Il 3.12.2010, prima della cessazione del rapporto, aveva luogo la sospensione dal servizio a seguito di astensione obbligatoria anticipata per maternità. La prof. P. chiedeva quindi la corresponsione dell indennità di maternità fuori nomina, ma la sua istanza veniva rigettata in quanto lei non aveva la cittadinanza italiana né di altro paese dell Unione europea. Precisava la P. che tale circostanza non era mai stata da lei taciuta, essendo stata anzi espressamente dichiarata anche nel curriculum vitae inviato all Istituto scolastico. Per tale motivo, la prof. T. P. ha adito questo Giudice del lavoro chiedendo che la P. (alla quale fa capo il predetto Istituto scolastico) venga condannata al pagamento della cit. indennità, pari alla somma di euro 12.908,02; oppure, in subordine, che sia condannato al pagamento della medesima somma il cit. dott. R. T. (e per lui anche la medesima P. ex art. 2049 c.c.) a titolo di risarcimento del danno, considerando che essa ricorrente non poteva sapere che, ai fini di una valida assunzione, era necessaria la cittadinanza italiana o comunque di un paese dell Unione europea, mentre il dirigente scolastico non poteva non saperlo. La Provincia resiste. Il dott. R. T. è invece rimasto contumace. La causa è stata istruita mediante sole produzioni documentali e, dopo il deposito delle note conclusive e lo svolgimento della discussione orale, viene ora decisa mediante lettura della presente sentenza in udienza pubblica. ******* 2

Ciò premesso, osserva questo Tribunale che se da un lato è pacifico che al fine della valida instaurazione di un rapporto di lavoro - anche temporaneo - con la P. (che gestisce l Istituto scolastico suddetto), era senz altro necessario il possesso della cittadinanza italiana o di un altro paese dell Unione europea (v. art. 2 del D.P.R. 9.05.1994, n. 487; e art. 7 del decreto del presidente della Provincia autonoma di Trento, 12.10.2007, n. 22-102/Leg), cittadinanza invece senz altro non posseduta dalla ricorrente; nondimeno, alla fattispecie deve applicarsi l art. 2126 c.c. (prestazione di fatto con violazione di legge), in base al quale, come noto, la nullità o l annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall illiceità dell oggetto o della causa. Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione. La norma si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (v. Cass., sez. L, 3.02.2012, n. 1639; e Cass., sez. L, 20.05.2008, n. 12.749). Come si legge al n. 861 della relazione del ministro guardasigilli al codice civile (in G.U. 4.04.1942, n. 79 bis, parte prima), al legislatore è parso opportuno stabilire (art. 2126) che in ogni caso la nullità o l annullamento del contratti di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Tale norma si giustifica, da una parte, per l irrevocabilità degli effetti determinati dall attuazione del rapporto di lavoro, dall altra parte e 3

soprattutto per l esigenza di tutelare le legittime aspettative dei prestatori di lavoro col permettere ad essi di realizzare i benefici inerenti al lavoro compiuto, tanto se tali benefici siano attribuiti direttamente dalla legge o dalle norme corporative, quanto se dipendano esclusivamente dal contratto nullo o annullato. Si è solo logicamente eccettuato il caso che la nullità derivi dalla illiceità dell oggetto o della causa, di cui non può non essere compartecipe e quindi corresponsabile il prestatore di lavoro. Inoltre, risolvendo una questione controversa secondo l indirizzo giustamente prevalso in giurisprudenza, si è nel secondo comma dell art. 2126 fatto sempre salvo il diritto alla retribuzione quando il lavoro è stato prestato in contrasto con una norma imperativa, che sia ispirata solo dall intento di proteggere il prestatore di lavoro, come per es. nel caso della limitazione di orario, di riposo settimanale, ecc.. Sulla stessa scia, la dottrina è concorde nel ribadire che il cit. art. 2126 c.c. ha una funzione protettiva del lavoratore, essendo finalizzata a garantirgli la titolarità del diritti nascenti dal contratto invalido e dal rapporto che ne scaturisce per effetto della sua esecuzione. In sostanza, la declaratoria di nullità del contratto di lavoro determina sì la cessazione del rapporto, ma il lavoratore, per il periodo in cui il rapporto ha comunque - di fatto - avuto attuazione, ha gli stessi diritti che spettano al lavoratore assunto sulla base di un contratto valido. L art. 2126 c.c., pertanto, adatta il regime generale della nullità dei contratti alla specificità del contratto di lavoro. Secondo i principi generali, infatti, l applicazione della sanzione della 4

nullità del contratto, farebbe sorgere in capo a ciascun contraente l obbligo di restituire la prestazione ricevuta. Sennonché, mentre il lavoratore potrebbe restituire la retribuzione percepita, non potrebbe vedersi restituite le energie spese, con la conseguenza che vi sarebbe un ingiustificato arricchimento del datore di lavoro. Per tale motivo, il cit. art. 2126 c.c. sancisce la irretroattività della declaratoria di nullità-annullamento del contratto di lavoro. E peraltro pacifico che l art. 2126 c.c. ha esclusivamente la funzione di regolare la posizione delle parti per quanto riguarda il passato, rivestendo una portata solo retrospettiva, e non già anche proiettiva. Relativamente al periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, al lavoratore spetta quindi la retribuzione ed ogni altro emolumento previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva o individuale, compresa l indennità sostituiva del preavviso, l indennità per causa di morte, il trattamento di fine rapporto ed il trattamento previdenziale. Non gli spettano invece quei diritti che attengono alla prosecuzione del rapporto di lavoro, come ad esempio quelli legati ai limiti che incontra la facoltà di recesso del datore di lavoro (se così non fosse, infatti, il rapporto di lavoro sarebbe definitivamente valido). Tale tutela del lavoratore in direzione retrospettiva (nel senso che, ripetesi, durante il periodo in cui il rapporto ha avuto di fatto esecuzione, il lavoratore assunto con contratto invalido ha gli stessi diritti del lavoratore assunto con contratto valido), incontra un limite esclusivamente nel caso in cui la nullità del contratto derivi dalla 5

illiceità dell oggetto o della causa. Ciò accade non in ogni caso di contrarietà del contratto di lavoro a norme di legge imperative, ma esclusivamente quando il contratto è contrario ai principi di ordine pubblico strettamente intesi, vale a dire ai principi etici fondamentali dello Stato. In casi del genere, è chiaro che l ordinamento non può apprestare alcuna tutela giuridica al lavoratore che abbia come propria mansione lo svolgimento di un attività illecita (come ad esempio il commercio di sostanze stupefacenti). E invece pacifico che la mera mancanza di un requisito soggettivo in capo al lavoratore (come ad esempio un abilitazione professionale oppure la cittadinanza), non integrano una ipotesi di contratto di lavoro avente oggetto o causa illecita. Non è affetto da una simile nullità nemmeno il contratto di lavoro stipulato con un cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno, in quanto, pur integrandosi una fattispecie di reato (art. 22 del decreto legislativo 25.07.1998, n. 286), anche in tal caso trova applicazione, a favore del lavoratore, la tutela prevista dal cit. art. 2126 c.c., compreso il suo diritto alla copertura previdenziale (v. Cass., sez. L, 26.03.2010, n. 7380). Ciò puntualizzato, venendo ora al caso della prof. P., è pacifico che il suo contratto di lavoro presso l Istituto comprensivo di Cembra (Tn), è nullo, in quanto ella non aveva né la cittadinanza italiana, né quella di altro paese dell Unione europea. Tale circostanza, tuttavia, non ha dato luogo ad un contratto di lavoro avente oggetto o causa illecita. In via retrospettiva, opera quindi - a favore della prof. P. - la tutela della lavoratrice sancita dal cit. art. 2126 c.c., con la 6

conseguenza che ella, durante il periodo in cui ha lavorato, aveva gli stessi identici diritti spettanti ai suoi colleghi assunti con contratto di lavoro valido, incluso - non si vede perché no - quello all indennità di maternità (non può pertanto essere condiviso il pur autorevole orientamento giurisprudenziale menzionato dalla P.) Il ricorso della prof. P., va dunque accolto, con condanna della P. a pagarle l indennità, ammontante alla non contestata somma di euro 12.908,02. Oltre accessori di legge. La domanda subordinata proposta dalla prof. P. nei confronti del dott. R. T., resta assorbita. Le spese di giudizio seguono la soccombenza. La liquidazione del compenso professionale deve essere effettuata in base ai criteri previsti dal D.M. 20.07.2012 n. 140, atteso che l art. 41 dello stesso D.M. prevede che essi debbano applicarsi alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore, avvenuta il 23.08.2012 (v. Cass., sez. un., 12.10.2012, n. 17.405; e Cass., sez. I, 18.12.2012, n. 23.318). P Q M Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunziando, accoglie il ricorso e condanna la P. a pagare a P. T. l indennità di maternità, pari alla somma di euro 12.908,02, con interessi legali e rivalutazione dalla data di maturazione fino al saldo. Condanna la medesima P. a rifondere alla ricorrente anche le spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di 2.490,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge. Trento, 27.06.2013 7

Il Giudice del lavoro - dott. Roberto Beghini - 8