CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N DEL 22 SETTEMBRE 2010

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N 23/2010 13 Ottobre 2010(*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di LICENZIAMENTO COLLETTIVO. PROCEDURA DI MOBILITA. DIRITTO DI PRECEDENZA. RIASSUNZIONE DEL LAVORATORE CON ALTRA QUALIFICA. SPETTANO I BENEFICI CONTRIBUTIVI DELLA LEGGE 223/91. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 20005 DEL 22 SETTEMBRE 2010 Anche la sentenza in informativa acquista notevole importanza per l attualità che essa evidenzia con l attività quotidiana della Categoria. Sarà pure capitato, al termine di una procedura per licenziamento collettivo ed iscrizione nelle liste di mobilità, di dover riassumere qualcuno dei lavoratori precedentemente licenziato per adibirlo, tuttavia, ad una qualifica e mansione diversa senza, con ciò, ottemperare al diritto di precedenza del lavoratore stesso che, come è noto, si materializza qualora il datore di lavoro procede a nuova assunzione di personale, avente la medesima qualifica, entro i 12 mesi (art. 15 Legge 29/4/1949 n. 264). In quel caso ci siamo arrovellati il cervello chiedendoci se potessero essere richiesti i benefici di cui alla legge 1

223/91 trattandosi, comunque, di un ex dipendente che, a quel punto, aziona indirettamente il diritto di precedenza. La Corte di Cassazione ha stabilito, invece, che una riassunzione con qualifica diversa, ancorchè avvenuta entro il periodo in cui il lavoratore disoccupato è titolare del diritto di precedenza, non può essere ostativa alla fruizione dei benefici ex legge 223/91 giacchè non può essere riconducibile a tale diritto in quanto il lavoratore viene riassunto per soddisfare un esigenza diversa del datore di lavoro attraverso l espletamento di mansioni totalmente diverse da quelle svolte nel precedente rapporto. TARDIVO OD OMESSO INVIO DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI. NE RISPONDE L INTERMEDIARIO DELLA TRASMISSIONE SE TUTTO GLI E STATO CONSEGNATO IN TEMPO. LO SANCISCE LA CTP DI VERCELLI. COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VERCELLI N. 42/2/10 Ecco una pronuncia che, se da un lato, nobilita la professione per il ruolo che le attribuisce, dall altro dovrebbe prevedere l esistenza di tariffe professionali adeguate all incombenza ed alle responsabilità. Ci riferiamo alla recente sentenza n. 42/2/10 della CTP di Vercelli nella quale è stato sancito il principio secondo il quale non risponde del ritardato od omesso invio della dichiarazione il contribuente che ha regolarmente consegnato in tempo utile la stessa all intermediario della trasmissione (che brutta parola, però) ricevendone idonea attestazione di ricevuta. La responsabilità del contribuente termina, a giudizio della CTP di Vercelli, nel momento della consegna all intermediario laddove questo, nel medesimo istante, è personalmente responsabile dell inadempimento. L importanza del principio, emerso nella pronuncia in informativa, è proprio questo: la responsabilità diretta e personale dell intermediario nei confronti dell amministrazione. Dovrà essere, quindi, lui ad opporsi, avverso l irrogazione delle sanzioni, innanzi alla CTP e non anche il contribuente per il quale la responsabilità è, appunto, terminata con la consegna in tempo utile della dichiarazione all intermediario. 2

LA RISPOSTA AD UN INTERPELLO DIVIENE VINCOLANTE PER LA STESSA AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA. IN CASO CONTRARIO VERREBBERO VIOLATI I PRINCIPI DI RAZIONALITA, AFFIDAMENTO E BUONA FEDE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 20421 DEL 29 SETTEMBRE 2010 C è un vecchio brocardo latino che afferma electa una via, non datur recursus ad alteram volendo così significare che imboccata una strada, presa una decisione, iniziato un atto non si può tornare indietro, né sono possibili ripensamenti. A maggior ragione è valido tale principio se a dettare la regola di comportamento è lo stesso soggetto che è creditore dell obbligazione. E il caso, allora, del contribuente che si rivolge al Fisco (id: Amministrazione Finanziaria) con una istanza di interpello. Ricevuta la risposta (id: la regola di comportamento) l applica. Il Fisco, quindi, su quella fattispecie, per la quale ha dettato, in interpello, la regola, non può tornare indietro e sanzionare il contribuente che ha osservato la regola. Il contribuente non può e non deve tornare indietro. Di questo aspetto, recentemente, si è occupata la S.C. di Cassazione, con pronuncia n. 20421 del 29 settembre 2010, che ha accolto il ricorso di un contribuente cui il Fisco aveva addebitato sanzioni per alcune irregolarità formali, non collegate, quindi, ad omissioni di tributi, nonostante che lo stesso contribuente, sulla scorta di una istanza di interpello proposta dal suo consulente, avesse, conformemente, aderito al c.d. condono tombale. Gli Ermellini hanno, dunque, imputato all Amministrazione Finanziaria la violazione del principio di affidamento, razionalità e buona fede oltre che dello statuto del contribuente per il quale la risposta dell Amministrazione vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell istanza di interpello e limitatamente al richiedente. 3

NON CONFIGURA IL REATO DI INGIURIA IL CONTENUTO DELL ISTANZA RIVOLTA ALLA D.P.L. PER IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE PRIMA DI ADIRE IL MAGISTRATO. CORTE DI CASSAZIONE SEZ. PENALE SENTENZA N. 35888 DEL 6 OTTOBRE 2010 Molto interessante la sentenza in informativa poiché sancisce un principio fondamentale in materia penale per un atto che interessa, da vicino, la nostra professione. Ci riferiamo al tentativo obbligatorio di conciliazione (Decreto Legislativo n. 33/1980) prima di adire il Giudice del lavoro che, per fortuna, cesserà di esistere nel momento in cui entrerà in vigore il Collegato Lavoro 2010 il quale ha posto la parola fine a questa inutile perdita di tempo. Il giudizio della Categoria su tale tentativo obbligatorio lo conoscete bene: è solo un area di parcheggio provvisorio prima che la controversia pervenga al Giudice del Lavoro nei successivi 60 giorni. Abbiamo detto area di parcheggio e non finalità deflattiva che, invece, costituiva la ratio legis. Oggi tale tentativo è solo un passaggio obbligato. Sono rarissime le conciliazioni effettuate dalla Commissione in seno alla D.P.L. Il 98% dei verbali di conciliazione sottoscritti sono, invece, frutto dell incessante attività di mediazione dei consulenti del lavoro e costituiscono solo la sacramentazione definitiva di un accordo che noi abbiamo provveduto a far raggiungere alle parti in lite. Quante volte ci siamo trovati innanzi alla Commissione per una vertenza promossa in danno di un nostro cliente da un sedicente lavoratore che nemmeno conoscevamo? Abbiamo pensato, magari in un impeto di rabbia, che costui meritasse una denuncia per diffamazione od ingiuria avendo prospettato fatti non veritieri. Nella istanza che l interessato (a seconda dei casi lavoratore o datore di lavoro, debitore o creditore) rivolge alla D.P.L. si indicano, infatti, soggetti da convenire, titoli su cui si poggia la pretesa del credito, fatti e circostanze. Orbene, la pronuncia che ci occupa è importante perché la sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza N. 35888 del 6 ottobre 2010, ha stabilito che non sussiste il reato di ingiuria e, quindi, non è punibile colui il quale, in forza dell esercizio di un diritto, si deve rivolgere alla Commissione di Conciliazione presso la D.P.L. esponendo fatti ed indicando soggetti. 4

Non è altro, secondo la S.C. di Cassazione, che l esimente (id: impunibilità) stabilita dall art. 51 c.p. quando l azione è motivata, appunto, dall esercizio di un diritto. Quindi i Giudici dell interpretazione hanno sancito questo principio non integra i reati di ingiuria e diffamazione la condotta di chi, intendendo iniziare una causa, nell atto di richiesta di conciliazione ai sensi dell art. 410 c.p.c., indica fatti e contestazioni addebitabili a un terzo, oggetto dell eventuale fase contenziosa, dovendo ritenersi applicabile l esimente dell esercizio di un diritto di cui all art. 51c.p. SE IN UNA SOCIETA DI CAPITALE SI ACCERTANO COSTI FITTIZI APPOSTI CON FATTURE FALSE DEVONO ESSERE IMPUTATI, COME RICAVI, AI SOCI E, QUINDI, IMPONIBILI SEMPRE CHE IL CONTRIBUENTE NON OFFRA LA PROVA CONTRARIA. CORTE DI CASSAZIONE SEZ. TRIBUTARIA- SENTENZA N. 20721 DEL 6 OTTOBRE 2010 Ancora una volta la Corte di Cassazione, sezione tributaria, è protagonista in materia di accertamento dettando un importante principio che questa volta risulta essere favorevole al fisco. Con la sentenza n. 20721 della Corte di Cassazione, depositata il 6 ottobre, in accoglimento di un ricorso del fisco, è stato stabilito che, in una società di capitali, i costi fittizi iscritti in bilancio con fatture false sono imputabili al socio come ricavi e, quindi, risultano imponibili salvo prova contraria, ovviamente rigorosa, da parte del contribuente. I Giudici della S.C. di Cassazione hanno, pertanto, stabilito una presunzione legale relativa nel senso che c è la presunzione, salva prova contraria, che a costi fittizi, peraltro appostati con fatture false, corrispondano delle distribuzioni di utili in nero ai soci e, quindi, tali importi sono imponibili. Secondo i giudici del Palazzaccio in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base di partecipazione è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essi reinvestiti. 5

Da tale principio è palese arguire, quindi, che opera la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci medesimi, che può essere vinta da prova contraria fornita dal contribuente. Il caso riguardava una piccola s.r.l. composta da due soci soltanto nei confronti dei quali l amministrazione finanziaria aveva emesso un avviso d accertamento in seguito ad alcune verifiche della Guardia di finanza. In particolare, gli agenti avevano trovato delle fatture false, emesse da società cartiere e regolarmente iscritte in contabilità. Da qui gli uffici finanziari avevano accertato un maggior reddito a carico dei soci imputando come guadagno in nero. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HANNO COLLABORATO ALLA REDAZIONE DI QUESTO NUMERO VINCENZO BALZANO, FRANCESCO DURACCIO, ANNA MARIA GRANATA, FRANCESCO CAPACCIO, GIUSEPPE CAPPIELLO 6