SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE



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IL NUOVO PROCESSO DEL LAVORO Milano 27 maggio - Firenze 1 luglio Formazione commercialisti: 7 CFP (Milano e Roma) - Avvocati: accred. 7 ore In mancanza di apposita disciplina, l'infortunio in itinere è da ricomprendere nella tutela assicurativa obbligatoria in quanto sia riconducibile alla comune ipotesi di infortunio avvenuto "in occasione di lavoro", secondo la previsione dell'articolo 2 del T.U. 1124/1965. Ai fini dell'indennizzabilità dell'infortunio, ai sensi dell'articolo 2 del Dpr 1124/1965, non è strettamente necessaria la circostanza che esso si sia verificato nel tempo e del luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece la sussistenza di un nesso eziologico fra attività lavorativa e rischio. L'assicurazione infortuni non è finalizzata, infatti, a coprire rischi generici, ai quali il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall'esplicazione di attività lavorativa, né ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l'integrità fisica o mentale (In tal senso Cass. 6088/1995). Ne consegue che il rischio, se non può essere quello proprio, normalmente e tipicamente insito nelle mansioni svolte dall'assicurato, non può essere totalmente estraneo all'attività lavorativa, privo cioè di qualsiasi rapporto o attinenza con essa, come nel caso di rischio elettivo, scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi personali, crei ad affronti volutamente una situazione diversa da quelle inerente all'attività lavorativa, pur latamente intesa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento (Si veda anche Cass. 6088/1995, 3744/93, 10961/92,11172/92, 131/90). L'indennizzabilità dell'infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con un mezzo proprio, la distanza tra la sua abitazione ed il luogo di lavoro postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento, nel senso che tale percorso costituisca, per l'infortunato, quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione; b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito e attività lavorativa nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento fra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto e tenuto conto della possibilità di soggiornare in luogo diverso dalla propria abitazione, purché la distanza tra tali luoghi sia ragionevole. (Cass. 9099/1994). Il quid pluris caratterizzante il rischio proprio dell'infortunio in itinere può essere ravvisato non solo nel caso di obiettive caratteristiche del percorso obbligato conducente al posto di lavoro, ma anche in presenza di situazioni, che pur potendo teoricamente riguardare la generalità degli utenti della pubblica strada, siano collegate a determinate ed inconsuete circostanze (quali le condizioni meteorologiche particolarmente negative) e comportino un rischio aggravato che l'assicurato è obbligato ad affrontare proprio per necessità dovute all'espletamento del suo lavoro (in tal senso Cass. 12122/1998). SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO Sentenza 18 aprile 2000 n. 5063 (Pres. Trezza, Est. Filadoro - D. c. Inail) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza 14 maggio - 30 agosto 1996, il Tribunale di Treviso rigettava l'appello proposto da D. avverso la sentenza del locale pretore che aveva respinto la domanda dello stesso assicurato, intesa ad ottenere dall'inail la costituzione di una rendita per i postumi permanenti residuati dall'incidente stradale occorsogli il 27 settembre 1991, valutabili nelle misura dell'80%. Il D. nel ricorso introduttivo aveva precisato che egli all'epoca dei fatti prestava attività lavorativa presso l'hotel T., e che essendo residente in una località situata ad oltre 45 chilometri di distanza dal luogo di lavoro, e quindi impossibilitato a ritornare ogni sera a casa al termine del servizio, aveva eletto a propria dimora la abitazione della fidanzata, situata a soli 20 chilometri del luogo di lavoro, dandone comunicazione al proprio datore di lavoro. Poiché tale luogo non era comunque collegato a quello di lavoro da mezzi pubblici, almeno in orari compatibili con quelli di inizio e termine della prestazione lavorativa del ricorrente, l'incidente stradale del 27 settembre 1991 doveva essere considerato alla stregua di un infortunio sul lavoro, con tutte le conseguenze previste dalla legge in tema di prestazioni. Il ricorrente precisava infatti che egli, alla guida di una vettura, era uscito di strada, al termine della giornata lavorativa, mentre rientrava alla abitazione della propria fidanzata. Il tribunale osservava che, in base alla normativa vigente, l'infortunio in itinere non trova nell'ordinamento una tutela assicurativa generalizzata e pur tuttavia esso è comunque indennizzabile ove ricorre l'occasione di lavoro, ai sensi dell'articolo 2 del Tu 1124/1965. L'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, postula - ricordano i giudici di appello - la normalità del percorso e la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra l'itinerario seguito e l'attività svolta. Dopo tali premesse di carattere generale, il tribunale osservava, con riferimento al caso di specie, che era stata la libera scelta del lavoratore a determinare il meccanismo causale dell'incidente stradale, non essendo ravvisabile un nesso eziologico tra questo e l'attività lavorativa del D'Agostina. Infatti, la decisione di recarsi presso l'abitazione della fidanzata a fine lavoro ed in ora notturna era stata presa, nonostante le condizioni meteorologiche definite "da lupi" dallo stesso difensore del ricorrente e nonostante egli disponesse di un idoneo alloggio di servizio presso il luogo di lavoro. I giudici di appello rilevavano che il ricorrente si fermava regolarmente per circa quattro notti a settimana presso l'albergo e che egli avrebbe potuto recarsi dalla fidanzata all'indomani, giorno di riposo, meno stanco ed in condizioni meteorologiche migliori. Concludevano, pertanto, che la decisione di recarsi presso la casa della fidanzata era stata compiuta "per soddisfare necessità personali che non possono considerarsi connesse alla prestazione lavorativa". Sotto altro profilo, i giudici di appello rilevavano che "d'altro canto, la necessità di smacchiare la divisa non appare apprezzabile, poiché il

lavoratore sarebbe giunto a casa della fidanzata in piena notte, e le operazioni di pulizia sarebbero certamente comunque iniziate il giorno dopo". Tra l'altro, poiché la famiglia del ricorrente si trovava in luogo diverso da quello cui egli era diretto (e precisamente a Campoformio), non poteva trovare neppure applicazione in questo caso il principio costituzionale ispirato alla tutela della famiglia del lavoratore. Avverso tale decisione il D'Agostina propone ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo. Resiste l'inail con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'unico motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 del Dpr 1124/1965, nonché motivazione errata ed insufficiente circa un punto decisivo della controversia (il tutto in relazione all'articolo 360, nn. 3 e 5 codice di procedura civile). Secondo il ricorrente, le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sarebbero in aperto contrasto con l'interpretazione comunemente data all'articolo 2 del citato Dpr 1124/1965. Contro ogni principio di ragionevolezza, i giudici di appello hanno ritenuto che, per essere ammesso alla tutela assicurativa di cui si discute, il lavoratore avrebbe dovuto recarsi presso la propria famiglia di origine, e quindi presso il luogo di residenza (anche se più lontano dalla sede di lavoro di quello della propria dimora). L'interpretazione seguita dal tribunale, limitata come è alla sola tutela dei doveri familiari -osserva ancora il ricorrente - finisce per penalizzare il lavoratore non sposato, e con una famiglia di fatto, il quale verrebbe a perdere ogni tutela con riferimento all'infortunio in itinere. Ciò in aperto contrasto con la Costituzione che tutela non solo i diritti della famiglia costituita, ma anche quelli della famiglia in formazione. Il ricorso è fondato. Va innanzitutto ricordato che la figura dell'infortunio in itinere non è espressamente prevista dalla normativa in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di cui al T.u. 1124/1965, nonostante le legge 15/1963 avesse attribuito al Governo la delega a disciplinare tale materia, comprendendo nella tutela assicurativa anche gli infortuni occorsi al lavoratore durate il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro. In mancanza di apposita disciplina, deve pertanto concludersi che l'infortunio in itinere è da ricomprendere nella tutela assicurativa obbligatoria in quanto sia riconducibile alla comune ipotesi di infortunio avvenuto "in occasione di lavoro", secondo la previsione dell'articolo 2 del più volte citato testo unico del 1965. Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte suprema (Cass. 6088/1995), "ai fini dell'indennizzabilità dell'infortunio, ai sensi dell'articolo 2 del Dpr 1124/1965, non è strettamente necessaria la circostanza che esso si (sia) verificato nel tempo e del luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece la sussistenza di un nesso eziologico fra attività lavorativa e rischio". "L'assicurazione infortuni non è finalizzata, infatti, a coprire rischi generici, ai quali il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, a prescindere cioè dall'esplicazione di attività lavorativa, né ad apprestare una speciale tutela in favore del lavoratore per il solo fatto che al medesimo sia occorso, in attualità di lavoro, un qualsiasi evento che in qualche modo ne abbia leso l'integrità fisica o mentale".

"Ne consegue che il rischio, se non può essere quello proprio, normalmente e tipicamente insito nelle mansioni svolte dall'assicurato, non può essere totalmente estraneo all'attività lavorativa, privo cioè di qualsiasi rapporto o attinenza con essa, come nel caso di rischio elettivo, scaturito cioè da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale, mosso da impulsi personali, crei ad affronti volutamente una situazione diversa da quelle inerente all'attività lavorativa, pur latamente intesa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento" (Cass. 6088/1995, 3744/93, 10961/92,11172/92, 131/90). Nella giurisprudenza di questa Corte, è possibile rinvenire una serie di decisioni, anche recenti che negano la copertura assicurativa a quegli eventi dannosi che colpiscono il lavoratore sul luogo di lavoro, se non dipendenti da fonte di rischio specifica (Cass. 10973/1933). Per altra parte, vi è tutta una serie di decisioni, non meno numerose, le quali, con interpretazione più coerente alla causa dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ed alla sua disciplina positiva, identificano la professionalità del rischio nella sua inerenza alla prestazione dovuta dal lavoratore. Con riferimento specifico all'infortunio in itinere, il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che lo stesso può ritenersi indennizzabile - nella carenza di una esplicita previsione normativa, rinvenibile solo per il personale marittimo nell'articolo 5 del Dpr 1124/1965- allorquando l'attività strumentale e preparatoria, anteriore o successiva alla vera e propria prestazione lavorativa, e tra essa dunque anche l'attività di spostamento su strada tra abitazione e luogo di lavoro, sia obbligata e si renda necessaria per le particolari modalità e caratteristiche della stessa prestazione lavorativa: di guisa che, in quest'ultimo caso, il generico rischio della strada, al quale sono indistintamente esposti tutti gli utenti della stessa, può diventare, rischio specifico di lavoro quando a quel rischio si accompagni un elemento aggiuntivo e qualificante, per il quale l'infortunio su strada viene a trovarsi in rapporto di stretta e necessaria connessione con gli obblighi lavorativi (Cass. 3970/1999, 12122/1998, 11635/1998, 10582/1998, 6449/1998, 455/1998, 12903/1997, 11746/1997, 8269/1997, 7259/1997, 8396/1996, 12881/1995, 8519/1995, 6531/1995). Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, condiviso dal Collegio, l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con un mezzo proprio, la distanza tra la sua abitazione ed il luogo di lavoro postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento, nel senso che tale percorso costituisca, per l'infortunato, quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione; b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito e attività lavorativa nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento fra abitazione e luogo di lavoro, considerati i suoi orari di lavoro e quelli dei pubblici servizi di trasporto e tenuto conto della possibilità di soggiornare in luogo diverso dalla propria abitazione, purché la distanza tra tali luoghi sia ragionevole. (Cass. 9099/1994). Ancora, il quid pluris caratterizzante il rischio proprio dell'infortunio in itinere può essere ravvisato non solo nel caso di obiettive caratteristiche del percorso obbligato conducente al posto di lavoro, ma anche in presenza di situazioni, che pur potendo teoricamente riguardare la generalità degli utenti della pubblica strada, siano collegate a determinate ed inconsuete circostanze

(quali le condizioni mateorologiche particolarmente negative) e comportino un rischio aggravato che l'assicurato è obbligato ad affrontare proprio per necessità dovute all'espletamento del suo lavoro (Cass. 12122/1998). Orbene, con riferimento al caso di specie, i giudici di appello hanno immotivatamente escluso l'infortunio sottoposto al loro esame dalla tutela assicurativa obbligatoria con la semplice osservazione che la scelta di tornare al luogo di dimora, invece di quella di tornare presso la famiglia di origine presso il luogo di residenza, al termine della settimana lavorativa ed alla vigilia di un giorno festivo (cfr. pagina 8 della sentenza impugnata) costituiva rischio elettivo del lavoratore. In tal modo, tuttavia, il tribunale non solo non ha tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra specificati, in particolare di quello indicato alla lettera a), e non ha preso in considerazione neppure l'esistenza in concreto dei requisiti di cui alle lettere b) e c), ma è incorso anche nel denunciato vizio di motivazione, laddove ha affermato contraddittoriamente che sarebbe stato indennizzabile un infortunio occorso sulla strada verso la propria residenza, al contrario di quello avvenuto sul percorso verso la propria dimora (ben più vicina al luogo di lavoro e resa nota al datore di lavoro), percorso quindi, più sicuro di quello da e per la sua residenza anagrafica. Il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio ad altro giudice, che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Vicenza anche per le spese di questo giudizio.