L'IMPATTO DEI SOCIAL NETWORK SULLA COMUNITA' GIOVANILE ISLAMICA



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Transcript:

ISTITUTO STUDI RICERCHE INFORMAZIONI DIFESA DANIELE CELLAMARE, ROBERTO ANGIUONI L'IMPATTO DEI SOCIAL NETWORK SULLA COMUNITA' GIOVANILE ISLAMICA A CURA DI DANIELE CELLAMARE 2012

INDICE 1. Introduzione alla comunicazione di massa 2. La stampa e la televisione nel panorama arabo-islamico 3. La diffusione di internet, tra potenzialità e censure 4. Media e Sicurezza 5. Comunicazione e social network nel Nord Africa e nel Grande Medio Oriente 6. Media e social network un anno dopo la Primavera Araba 7. Il caso siriano 8. L ascesa di Ahmadinejad e l onda verde iraniana Appendice. Innocence of Muslim: i giovani arabi s infiammano Schede Bibliografia Gli autori Capitolo Primo

Introduzione alla comunicazione di massa L insieme dei mezzi per diffondere e divulgare messaggi di diverso valore a un pubblico anonimo, indifferenziato e disperso (Enciclopedia Italiana Treccani), noti come mass media 1, sono oggetto di studio, polemiche e dibattiti da diversi decenni. Cartelloni pubblicitari, manifesti murali, stampe popolari, giornali e, avvicinandoci ai nostri giorni, radio, televisione ed internet, hanno segnato la quotidianità e la vita di intere generazioni di uomini. L esigenza di comunicare con la moltitudine degli individui (recettori), con l obiettivo di coinvolgerli, informarli, plasmarli, ha radici antiche, ma è con l Illuminismo e la Rivoluzione Industriale che il bisogno di diffondere il sapere e di scuotere le masse si fa più concreto e incisivo. Il Professor Paolo Vidali propone una periodizzazione dello sviluppo della media che tenga conto di quattro fasi: Primo periodo (1880-1925): sviluppo delle tecnologie moderne, prima formazione del pubblico di massa, prima definizione di generi e linguaggi (cinema, rotocalco, radio, generi musicali); Secondo periodo (1925-1975): maggior presenza dello stato, affermazione dell industria radiotelevisiva, televisiva, delle grandi imprese editoriali, cinematografiche, musicali; Terzo periodo (da 1975 ad oggi): nascita di imprese multimediali, uso massiccio di tecniche informatiche, integrazione con le imprese di telecomunicazione; Quarto periodo (in previsione): intensificazione dei self-media, personalizzazione della domanda e dell offerta comunicativa, stretta integrazione multimediale, unico mercato dei prodotti di massa. Oggi il giornale e la libertà di stampa sono i capisaldi delle democrazie più avanzate. Giornali e giornalisti costituiscono quello che è comunemente indicato come "il quarto potere". L'importanza del giornale nella nostra società è tale che un importantissimo filosofo, uno dei pilastri del pensiero occidentale, il tedesco Hegel, scrisse nell'ottocento: "la lettura del quotidiano è la preghiera del mattino dell'uomo moderno". Oggi l'offerta di giornali, in tutto il mondo è più che ricca ed è in grado di soddisfare qualsiasi tipo di bisogno informativo e culturale. Tra le poche realtà che limitano l informazione cartacea figurano però i regimi islamici, che avversano la libera stampa, scorgendo in essa un grave pericolo per la loro sopravvivenza e per la perpetuazione del potere. La stampa nazionale e internazionale vive oggi un periodo di profonda crisi, iniziato con l'avvento di nuovi media come la radio e la televisione e acuitosi con la grande rivoluzione 1 "Mass medium" e il suo plurale "mass media" sono locuzioni mutuate dalla lingua inglese dove sono nate come unione della parola inglese "mass" (in italiano "massa") con le parola latine "medium" e "media" (Wikipedia)

digitale degli ultimi decenni e l'affermarsi di internet. Molte testate faticano a riorganizzarsi e temono di ritrovarsi al più presto con i conti in rosso. È per questo motivo che l informazione cartacea si è spostata progressivamente sulla rete. I siti internet dei giornali sono tra i più vivaci e cliccati e le giovani generazioni sembrano prediligere questo modo di informarsi rapido, aggiornato e spesso gratuito. L'affermarsi di blog e di siti giornalistici indipendenti sul web indicano che stiamo andando verso un'ulteriore diffusione delle conoscenze e delle informazioni, persino verso un interessante sviluppo dell'informazione locale. Tramite i forum aperti dalle testate digitali, i cittadini possono portare testimonianze e dibattere sui più importanti problemi internazionali, nazionali e locali, come mai era avvenuto in passato. Nondimeno, la facilità con cui si può comunicare in rete, la possibilità di inserire su internet (quando non interviene la censura dall alto) qualunque tipo di notizia omettendo fonti e riscontri oggettivi apre pericolosi scenari d incertezza sugli effetti che una tale informazione libera può generare. Il web non produce solo democrazia e piena fruibilità del diritto di opinione, ma comporta parimenti l apertura di nuovi spazi di propaganda e reclutamento a vantaggio di chi la democrazia la combatte e la ignora. I nuovi media, nel garantire l informazione grazie alla possibilità di sfruttare le nuove tecnologie di trasmissione satellitare e digitale, sono in grado di raggiungere ogni angolo del pianeta veicolando immagini e messaggi di terrore, spettacolarizzando i contenuti e conferendo quindi una visibilità inedita. Così, proprio gli strumenti d informazione e comunicazione, dai più considerati le nostre bandiere di libertà e democrazia, diventano la principale arma nelle mani dei terroristi per destabilizzare le società occidentali. Internet si trova, in tal senso, al centro di uno scontro geopolitico i cui sviluppi sono tutti ancora da scrivere. Secondo Reportes sans frontières, la libertà dei cibernauti oggi è minacciata in paesi come Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran, Arabia Saudita, Bahrein, Vietnam e Siria. Sarebbero invece sotto osservazione Egitto, India, Tunisia, Thailandia, Turchia, Russia, Malaysia, Sri Lanka, Corea del Sud, Australia e Francia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, usano il web per promuovere i diritti universali o più concretamente per sostenere cause amiche in territori ostili, come è accaduto in Libia per sostenere i ribelli nella lotta contro il raìs o in Siria, contro Bashar al-assad. Tra gli strumenti più utilizzati nel conflitto geopolitico rientrano quelli propri del web 2.0, come Twitter, Facebook e gli altri social network. La rivoluzione verde in Iran 2 e la Twitter revolution in Moldova nel 2009, le primavere arabe del 2011 hanno dimostrato quale impatto possano avere i social network sui giovani e sulla lettura dell opinione pubblica 2 Secondo alcuni analisti, la Rivoluzione Verde del 2009 in Iran o la "Rivoluzione di Twitter" (come l hanno descritta il «Washington Times» e la «Bbc World Service») sarebbe in realtà un enorme bluff. A differenza del famoso scrittore Clay Shirky che ha dichiarato È questa. La più grande. Questa è la prima rivoluzione ad essere catapultata su un palcoscenico globale e trasformata dai social media", Eugeny Morozov, nel suo libro The Net Delusion dimostra che, in base all analisi effettuata da Sysomos (una società di analisi dei social media), solo 19.235 contatti Twitter erano registrati in Iran (cioè lo 0,027% della popolazione) alla vigilia delle elezioni del 2009" In altre parole, così come Hamid Tehrani, il direttore iraniano di «Global Voices», disse un anno dopo: "L'Occidente si è focalizzato non sul popolo iraniano, ma sul ruolo della tecnologia occidentale. Twitter è stato importante nel pubblicizzare ciò che accadeva, ma il suo ruolo è stato sovrastimato".

internazionale circa gli sconvolgimenti in aree geograficamente lontane e politicamente ermetiche. Il Dipartimento americano, impegnato da anni in una laboriosa ricerca su Twitter diplomacy ha riconosciuto di aver stanziato, tra il 2008 e il 2011 e insieme all agenzia Usaid 3, circa settantasei milioni di dollari per promuovere l Internet freedom in Medio Oriente. Nel 2012 i finanziamenti americani per la democratizzazione tecnologica in Siria e nelle aree critiche ha raggiunto i venticinque milioni di dollari. In Iran, l amministrazione Obama ha esentato dall embargo economico e commerciale imposto da Washington a Teheran alcune tecnologie e servizi informatici che possono favorire il libero flusso di informazioni ai cittadini dell Iran. Secondo Luca Mainoldi 4, il web 2.0 è stato integrato nelle strategie di intelligence, psicologiche e militari americane. Esso è allo stesso tempo fonte di informazioni, anche militari, e un luogo dove esercitare sofisticate operazioni informative-disinformative e psicologiche. Anche sul piano interno, come proposto da un consulente di Obama, Cass Sunstein, che parla di infiltrazione cognitiva dei gruppi estremisti. Tra questi, secondo Sunstein, vi sono quelli che professano teorie cospirative sul web ( ). Il controcanto alla promozione dell Internet Freedom da parte del Dipartimento di Stato è pertanto la costituzione da parte del Pentagono del CyberCommand, incaricato di condurre azioni difensive ed offensive nello spazio cibernetico, centrate su un imponente apparato di sorveglianza delle comunicazioni interne e internazionali basato sulla Nsa. Chi si sorprende per quest uso politico, o se vogliamo bellicistico, della rete forse ignora che internet nasce nel corso della guerra fredda, e per la guerra fredda. Il 4 ottobre 1957 i sovietici lanciavano lo Sputnik, il primo satellite artificiale messo in orbita intorno alla terra. In risposta a questa notizia, che colse di sorpresa gli Usa, Eisenhower istituì l Agenzia per i progetti di ricerca avanzata della Difesa (Arpa) con l obiettivo di surclassare l avanzamento tecnologico dei russi. Leonard Kleinrock 5 ha spiegato che una delle sezioni che componevano l Arpa era l Information Processing Techniques Office (Ipto) che finanziava la ricerca in campo informatico e che, fin dalla sua formazione, conseguì enormi passi avanti nell area del time-sharing, l uso interattivo del processore, del computer networking, della trasmissione a pacchetto dei dati via satellite e via radio; dell intelligenza artificiale; dell elaborazione digitale dei segnali; del calcolo a elevate prestazioni; dell ipertesto. Licklider che ebbe per primo l idea di collegare tra loro alcuni computer per moltiplicare la ricezione delle informazioni, così come lo stesso Kleinrock che mise a punto la teoria 3 L agenzia «Usaid», che opera in Russia dalla caduta dell'urss con dieci diplomatici americani e sessanta impiegati russi, e che ha speso fino ai nostri giorni circa 2,6 miliardi di dollari in programmi per combattere il disagio, proteggere l'ambiente, rafforzare la società civile, modernizzare l'economia, è stata espulsa nel settembre 2012 dal territorio russo. L'espulsione di Usaid rientra in un piano del Cremlino per tagliare i fondi a quelle organizzazioni che il presidente Putin percepisce come una minaccia. Il ministro degli Esteri russo ha affermato che quelle come Usaid sono organizzazioni che, attraverso la distribuzione di fondi, cercano di influenzare i processi politici a vari livelli, comprese le elezioni e la società civile. 4 Luca Mainoldi, I Padroni di Internet, in Limes, anno 4, n.1, aprile 2012. 5 Leonard Kleinrock, Ho inventato la Rete (e vi spiego come cambierà), in Limes, anno 4, n.1, aprile 2012.

matematica dei pacchetti delle reti posero le basi per la creazione di internet, all inizio degli anni Sessanta. Nel 1963. l ingegnere Ivan Sutherland propose la creazione di un network a tre nodi che avrebbe dovuto collegare tre identici Ibm situati in altrettanti dipartimenti del campus dell Università di California di Los Angeles (Ucla) e nel 1966 lo scienziato texano Robert Taylor riconobbe immediatamente la necessità di realizzare un intranet che connettesse diversi computer, per consentire la condivisione tra di loro di hardware, software ed applicazioni. Nel 1967, Larry Roberts lanciò una gara d appalto sulla progettazione dell Arpanet e il contratto fu assegnato nel dicembre 1968 alla società di Cambridge Bolt, Beranek e Newman (Bbn). La società elaborò il primo router il dispositivo elettronico che si occupa di estradare i dati in una rete informatica a commutazione di pacchetto in tempi record. Un importante passo in avanti (Leonard Kleirock parla della pietra miliare nella storia del web) venne compiuto il 2 settembre 1969, quando il router Imp fu collegato al computer host dell Ucla stabilendo il primo nodo della neonata Rete. Alle 22 e 30 del 29 ottobre 1969 Internet pronunciò le sue prime parole. Questo il racconto di Kleirock: seduti al terminale Ucla nella Boelter Hall 3420, io e lo studente programmatore Charley Kline dovevamo autenticarci dal nostro host a quello di Standford, dove il ricercatore Bill Duval aspettava di ricevere il messaggio. La procedura prevedeva che noi avremmo digitato la parola log e il sistema di Stanford, intelligente abbastanza da completare il resto della frase, avrebbe aggiunto la preposizione in, creando così il comando login. Charley e Bill avevano entrambi una cuffia telefonica per comunicare via voce mentre il messaggio veniva trasmesso. Dall Ucla Kline digitò la lettera l e chiese a Stanford conferma della sua ricezione. È arrivata, gli rispose Duvall. Quindi digitammo la lettera o e chiedemmo di nuovo se era stata ricevuta. Arrivata anche la o, ci assicurò. Poi prememmo la g, ma a quel punto il sistema andò in tilt. Non male come inizio! In ogni caso, al secondo tentativo tutto funzionò alla perfezione. E dopo un ora riuscimmo a scrivere login. Possiamo dunque dire che il primo messaggio inviato via Internet provocò un crash informatico. O più accuratamente, che la prima parola lanciata nella Rete fu lo, come nell espressione idiomatica inglese lo and behold. Con il collegamento stabilito con l Università della California di Santa Barbara e con quello di Utah, il 5 dicembre 1969 furono completati i quattro nodi annunciati. Nel marzo 1970 Arpanet raggiunse la costa orientale degli Stati Uniti, quando un router Imp posto nella sede della Bbn, nei pressi di Boston, fu allacciato al network. Alla fine del 1981 c erano già in rete 213 host computer 6. Così è nato quel fenomeno che oggi conosciamo come internet. Un sistema che man mano si è evoluto con i social network del nuovo millennio, le rete di sensori, gli smart spaces (luoghi pubblici forniti dei dispositivi più avanzati) e tantissimi altri servizi e applicazioni. Un sistema che ha introdotto nelle nostre esistenze una dipendenza quasi assoluta da attuatori, sensori, videocamere, microfoni e display. 6 Si definisce host o end system (terminali) ogni terminale collegato ad internet. Gli host possono essere di diverso tipo, ad esempio computer, palmari, dispositivi mobili e così via, fino a includere web Tv, dispositivi domestici e thin client. L'host è definito in questo modo perché ospita programmi di livello applicativo che sono sia client (ad esempio browser web, reader di posta elettronica), sia server (ad esempio, i web server).

Un fenomeno che ha completamente cambiato il nostro modo di agire, di vivere la giornata,e che sembra promettere ancora strabilianti rivoluzioni. Perfino le realtà più chiuse al progresso, nemiche da sempre dell innovazione e del cambiamento, dovranno fare i conti, in un modo o nell altro, con un infrastruttura invisibile che fungerà da sistema nervoso globale per le persone e i computer di questo pianeta.

Capitolo Secondo La stampa e la televisione nel panorama arabo-islamico È sull onda della cosiddetta penny press statunitense 7 che si diffondono i giornali in tutto il mondo, come accade in Italia durante il Risorgimento e nei primi anni dell Unità 8. Nel mondo arabo, la prima pubblicazione periodica compare a Baghdad nel 1816, sotto il nome di «Jurnal al-iraq», scritta in arabo e turco. Al Cairo compaiono due giornali nel 1820, seguiti dai periodici algerini nel 1847, da bollettini stampati a Beirut nel 1858, a Tunisi, Damasco e Tripoli nel 1860, a San a nel 1879 e alla Mecca nel 1908 9. Allo scoccare del Ventunesimo secolo, si registra un ampia distribuzione di quotidiani solo in Egitto, unico paese africano e mussulmano con tirature oltre il mezzo milione di copie. «Al-Ahram» o «al-akhbar» è acquistato da circa 700.000 persone, mentre «al- Jumhuriyya» vende intorno a 400.000 copie. I paesi del Golfo Persico hanno sfruttato negli anni giovani talenti provenienti da Libano, Egitto, Giordania e Palestina, tuttavia paesi come il Qatar, il Bahrain e Oman hanno goduto di una discreta distribuzione sono nel 1970 e le loro tirature non hanno mai superato poche decine di migliaia di copie. Indubbiamente, a primeggiare tra gli stati del Golfo Persico è l Arabia Saudita, che possiede una lunga tradizione pubblicistica e la più antica tradizione di giornali. Giornali come «al-bilad» e «Almadina» erano fiorenti già nel 1930, mentre il giornale «Ukaz e al-nadwa» compare nella parte occidentale del paese nel 1960. Nei primi anni Sessanta a Riad vengono distribuite le prime copie di «Al-Jazira» e «al- Riyadh», e a Damman vede la luce il giornale «al Yawm». Stando ad alcune statistiche dell Unesco, ad oggi solo cinque paesi arabi hanno più di centomila copie quotidiane in circolazione e sono solo trenta milioni gli arabi che leggono costantemente un giornale. La distribuzione limitata dei giornali nei paesi arabi e africani ha una spiegazione alquanto elementare: la povertà diffusa in questi paesi, unitamente alla scarsa alfabetizzazione delle 7 Alla metà dell Ottocento nascevano negli Usa giornali come il Sun e il New York Transcript, venduti in piazza dagli strilloni al prezzo di un penny e dedicati agli immigrati newyorkesi. 8 Nel 1859 nasce «la Nazione», nel 1876 Eugenio Torelli fonda il «Corriere della Sera» e nel 1865 esce il «Sole». Nel 1896 il Partito Socialista Italiano crea il primo giornale di partito, «Avanti». Ma in Italia forme embrionali di giornalismo moderno risalgono addirittura al 1664, con la stampa del primo numero della «Gazzetta di Mantova» (al tempo «Aviso»), giornale ufficiale della corte di Carlo II di Gonzaga Nevers. La «Gazzetta di Mantova» ha cambiato spesso nome e ha interrotto le sue uscite durante il fascismo, a differenza della «Gazzetta di Parma» che, sebbene sia nata dopo il quotidiano mantovano, è uscita costantemente negli anni e ha un solo cambio di nome nella testata. 9 Gale Encyclopedia of the Mideast and Nord Africa, Newspapers and Print Media, Arab Countries.

popolazioni e il ripiego degli imprenditori locali su settori più redditizi (o su media stranieri) condizionano in maniera decisiva la diffusione dell informazione nell area. Va da sé che un quotidiano senza pubblicità, senza sponsor e con pochi lettori istruiti non è destinato a superare un lustro di vita. Tanto più se la linea editoriale scelta dal giornale non corrisponde ai desiderata del regime o della monarchia dominante nel paese in cui è diffuso. Un giornalista iraniano, saudita o yemenita, ad esempio, potrebbe mai pronunciarsi criticamente sulla sharia senza rischi per la sua professione o per la sua incolumità fisica? Una testata araba potrebbe mai parlare di diritti femminili o di multiculturalismo con la stessa libertà di un suo collega europeo o americano? Non a caso, i primi giornali arabi hanno avuto una natura strettamente filo-governativa e burocratica, come è accaduto per i giornali egiziani «Jurnal al-khadyu» e «al-waqa i al- Misriyya», con il «Jurnal al-iraq» in Iraq e con «Suriya» a Damasco. Con qualche eccezione circoscritta nel tempo e nello spazio geografico, lo stesso fenomeno si è registrato per i giornali fondati ai tempi del nazionalismo arabo e dell anti-colonialismo. La Gale Enciclopedia del Medio Oriente e del Nord Africa suggerisce una distinzione tra stampa militante, stampa lealista, stampa alternativa e stampa transitoria. La mobilization press è sotto il più stretto controllo del governo. Questo tipo di stampa, sovente tenuta in piedi per contenere e sondare i malumori popolari, raramente si concentra sugli alti funzionari di stato e sul governo, preferendo denunciare l azione dei funzionari locali e di figure di rango inferiore. Prima della guerra del 2003, la mobilization press (controllata dal governo) era molto diffusa in Iraq. Diversa è la stampa squisitamente lealista, che pur essendo di proprietà privata si rivolge ad un pubblico fedele al governo e sostiene la burocrazia in carica. Modelli esemplari sono i quotidiani diffusi nella monarchie conservatrici di Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, e anche in Palestina. Il giornalismo palestinese e filo palestinese ha trovato sbocchi interessanti in diversi paesi arabi, fuorché nel territorio di Palestina, almeno fino alla metà degli anni Novanta, quando il clima di distensione con Israele ha consentito all Autorità palestinese e a piccoli imprenditori di sponsorizzarlo in loco. Nel mondo arabo esistono anche quotidiani più o meno liberi o alternativi, laddove sono poteri forti significativi, se non cordate vicine ai partiti d opposizione più radicati, a farsi carico dei finanziamenti e della pubblicizzazione della testata. Esempi più evidenti di questo tipo di stampa si trovano in Libano 10, ma anche in Marocco, Kuwait e Yemen. Un quarto tipo di stampa può essere definita "transitoria, perché la sua struttura ha subito diversi cambiamenti negli ultimi anni, è oggetto di dibattito nel paese e potrebbe cambiare ulteriormente. Questa è la situazione che vivono diverse pubblicazioni in Egitto, Giordania, Tunisia e Algeria. Infine, vi è una categoria separata di giornali arabi che hanno sede in Europa, ma sono precipuamente destinati ai lettori di tutto il mondo arabo. Questo fenomeno è iniziato approssimativamente negli anni Settanta, quando la guerra civile libanese ha costretto alcuni editori e giornalisti libanesi ad abbandonare il paese e a trasferirsi a Londra, Parigi e Roma. Alcuni hanno chiuso la loro attività dopo pochi anni, altri sono sopravvissuti e tornati a Beirut, come il settimanale «al-hawadith», altri ancora hanno mantenuto la loro 10 Nondimeno, l ascesa di Hezbollah sta mettendo a dura prova la libertà d informazione nel Paese dei Cedri.

sede in Europa. L ausilio di internet e il rafforzamento del collegamento postale hanno reso possibile una migliore distribuzione di queste pubblicazione off-shore. A Londra hanno sede tre importanti case editrici arabe di proprietà di facoltosi cittadini sauditi che distribuiscono il loro materiale in tutto il mondo. Il «Saudi Research and Marketing Group» dal 1977 pubblica il quotidiano «al-sharq Alawsat» e ha lanciato più di una dozzina di altre riviste, tra cui il noto settimanale «al- Majalla». Un altra casa editrice, originariamente libanese ed oggi di proprietà di un principe saudita, ha curato l uscita di un settimanale e di un quotidiano, «al-hayat» e possiede una joint venture con una società di televisione satellitare. Un terzo quotidiano arabo che si pubblica a Londra e si rivolge ad un pubblico panarabo è «al-quds al-arabi», redatto a cura di palestinesi e rivolto a questioni strettamente palestinesi. Ma aldilà delle distinzioni formali, è notorio il problema che affligge la maggior parte delle testate arabe, ovvero un quadro normativo generale che impone limiti su ciò che si può scrivere e raccontare sulla carta stampata. La legge sulla stampa e le pubblicazioni approvata in Yemen nel 1990, ad esempio, vieta la diffusione di notizie che pregiudichino la fede islamica o i principi che ne derivano, che riconducano a questioni tribali, razziali o settarie, che creino sospetti di apostasia, che mettano in discussione la storia e i fondamenti della rivoluzione yemenita 11, che possano ledere l unita nazionale e danneggiare l immagine dello stato, che minino la morale pubblica o che critichino il capo dello stato. La riforma kuwaitiana sulla stampa, datata 2006, criminalizza la pubblicazione di materiale critico sulla costituzione, sul ruolo dell emiro e sulla fede islamica, ovvero su scritti lesivi della pubblica morale. Per quanto concerne la comunicazione televisiva, nei paesi arabi, fino al 1990, non è esistita altra forma di controllo del mezzo al di fuori di quello pubblico e governativo. La diffusione della televisione satellitare ha in parte rovesciato questo quadro, premettendo ai privati anche con l ausilio della pubblicità e di laute sponsorizzazioni di mandare in onda programma d intrattenimento leggero, promozioni commerciali e propaganda panaraba. La parabola si rivela uno strumento estremamente potente per arrivare a migliaia di spettatori e per aggirare la censura dei governi arabi, che dapprima sottovalutano il fenomeno e successivamente si acconciano a limitare e monopolizzare questo nuovo strumento di comunicazione. La proprietà del primo satellite di comunicazione conosciuto come «ArabSat» viene condiviso dai principali governi arabi. L Arabia Saudita è la più attiva nella gestione del satellite, sfruttando tutte le potenzialità di ArabSat, ma chiudendo al contempo decine di canali. L archetipo di riferimento per questa rivoluzione è stata la nascita a Doha di «al-jazeera», l emittente araba per eccellenza, formalmente indipendente ma sponsorizzata e sostenuta dal governo del Qatar. 11 Per rivoluzione yemenita s intende il colpo di stato o rivoluzione repubblicana del 1962, figlia del nazionalismo arabo e del modello nasseriano, e genericamente tutto il percorso storico-politico che ha portato alla formazione dello Yemen del Nord e alla successiva riunificazione con il Sud.

Al-Jazeera 12 nasce nel novembre del 1996, pochi mesi dopo la chiusura 13 della Bbc in lingua araba, entrata in conflitto con il governo saudita per un documentario che mostrava le barbare uccisioni perpetrate in nome della sharia. Al-Jazeera ha ereditato uno slot su «ArabSa»t grazie alla chiusura di un altro canale, di capitale francese, che aveva mandato in onda (ufficialmente per errore) un film pornografico al posto di un programma didattico rivolto ai bambini arabi. Con il supporto della «Qatar Corporation» e della monarchia locale, l emittente manda in onda i primi notiziari in arabo e i programmi d attualità. Al-Jazeera mirava ad offrire un focus sulla politica del Golfo Persico, in tutte le sue molteplicità, ma nel giro di pochi anni il canale è diventato il megafono mondiale delle rivendicazioni e delle agitazioni più accese della penisola, pur presentandosi come una piattaforma neutrale. I primi finanziamenti ad Al-Jazeera arrivano nel 1996 dall emiro Hamad bin Hhalifa Al Thani 14 che destina alla nuova emittente centotrentasette milioni di dollari come prestito per i primi cinque anni di attività. Hamar bin Thamer Al-Thani, allora vice ministro dell Informazione, diventa il presidente del network. I primi duecentocinquanta giornalisti che prendono parte al progetto di Al-Jazeera sono gli esuberi della Bbc Arabic. Nel giro di pochi anni, Al Jazeera produce animate discussioni, trasmettendo prima delle interviste a cittadini israeliani in nessuna tv araba era mai accaduto di ascoltare un commento in lingua ebraica e suscitando subito dopo serie preoccupazioni dei governi saudita e algerino, sia per format controversi sui temi della religione sia per la presenza di volti femminili in video. Al-Jazeera cresce notevolmente e nell arco di un lustro riesce a filmare e pubblicizzare l operazione militare Desert Fox contro l Iraq (1998), la Seconda Guerra cecena (1999) e la Seconda Intifada (2000), scelte editoriali che rafforzano il suo marchio nel mondo, ma che al contempo attirano sul canale le accuse d intelligenza con il terrorismo anti-ebraico (meglio, con Hamas) e anti-russo. Il 1 gennaio 1999 la rete, per la prima volta, lancia un palinsesto di 24 ore di trasmissione, i dipendenti superano le 500 unità e il network apre uffici e agenzie in Europa e in Russia. Ma l apogeo del canale si raggiunge con la guerra in Afghanistan scatenata dagli attacchi alle Torri Gemelle dell 11 settembre 2001. Al Jazeera non solo mostra la guerra in diretta, ma diventa suscitando scandalo e polemiche il diffusore esclusivo dei video di bin- Laden inneggianti alla lotta contro gli Usa e l Occidente intero. Diversi stati si adeguano e rispondono allo sceicco del terrore attraverso lo stesso network, come è accaduto nel caso di Tony Blair. Nel 2003 è la volta della guerra in Iraq e anche qui arriva al Jazeera, trasmettendo immagini (selezionate) del conflitto e vendendo i suoi servizi ai più importanti media stranieri. 12 Il nome Al-Jazeera sta indicare "l'isola" o "la penisola (araba)", ovvero il nome attraverso il quale i geografi mussulmani identificavano i territori della Mesopotamia settentrionale siti fra il Tigri e l'eufrate e che attualmente fanno parte della Siria settentrionale, dell'iraq settentrionale e dell'anatolia meridionale. 13 Nel gennaio 1996, un misterioso blackout fermò la trasmissione di un programma di servizio di BBC Arabic TV mentre parlava il dissidente saudita Mohamed al-mas ari. 14 L emiro contemplava già da due anni l ipotesi di lanciare un proprio canale satellitare per migliorare l immagine del Qatar come centro democratico di sviluppo commerciale e di progresso.

Oggi Al Jazeera copre uno spazio che va dall Africa araba ai paesi sauditi, fino all Indonesia. Il 15 novembre 2006 è nata inoltre «al Jazeera English» che trasmette solo in lingua inglese e ha sedi a Doha, Washington, Kuala Lumpur e a Londra. Contestualmente, è nato un sito web in inglese collegato all attività del nuovo canale. L occidentalizzazione del canale è stata interpretata non solo come un efficace strategia commerciale, ma anche come un tentativo di sdoganamento politico del network. L obiettivo, non celato, dell impresa qatariana è quello di arrivare alla nutrita categoria di arabi che è cresciuta lontano dalla penisola e che spesso ignora la lingua araba. Recentemente, l emittente è approdata anche in Turchia e nei Balcani e non esclude di creare un canale in lingua urdu. Un espansione interessante quanto problematica, stante negli anni le tensioni registratesi tra al Jazeera e i governi di: Israele, che lamenta il presunto antisemitismo del canale; Egitto, che rimproverava la cronaca partigiana della primavera araba; Bahrain, che denuncia un informazione schiacciata sulla difesa del sionismo ; Somalia, che ha manifestato le sue rimostranze in seguito alla messa in onda di un documentario sui rifiuti tossici, ritenuto falso, e al rifiuto della rete di concedere il diritto di replica all ex presidente Ali Mahdi Muhammad, accusato di svendere il proprio territorio all Italia per la costruzione di discariche; Iraq, dove la morte del giornalista Tareq Ayoub ha aperto un dibattito sulla presenza dei giornalisti qatariani nel paese; Kuwait, dove l ufficio locale di al Jazeera è stato chiuso; Libia, dove i sostenitori di Gheddafi hanno denunciato un accordo tra Al-Jazeera e il Consiglio di Cooperazione del Golfo per promuovere politiche anti-regime. Analoghe tensioni si sono registrate tra Al Jazeera e i governi di Spagna, Siria, Regno Unito e Stati Uniti. Di stampo apparentemente più moderato, è invece il canale «Al Arabiya» 15, nato il 3 marzo 2003 sotto l egida della monarchia saudita e che si è proposto al pubblico come concorrente diretto di Al-Jazeera 16. L emittente è stata finanziata da privati del Kuwait e del Libano come l «Hariri Group» e ha goduto nel 2003 di un finanziamento di circa trecento milioni di dollari provenienti dalla «Mbc» (Middle East Broadcasting Center). L emittente, interamente dedicata a notiziari e a programmi d approfondimento giornalistico, ha sede a Dubai Media City, negli Emirati Arabi Uniti, e il suo direttore generale (2012) è Abdulrahman al Rashed. Nel 2009 Al Arabiya è riuscita a trasmettere la prima intervista ufficiale al presidente americano Barack Obama. Il format di punta del canale è «Saudi Special Mission», un programma d inchiesta giornalistica e di attualità, che si ripropone di documentare drammi e scandali dei paesi asiatici, africani e del Golfo, partendo dalla cronaca di episodi di criminalità, corruzione, illeciti e arrivando alla denuncia dei misfatti della politica regionale. 15 In lingua inglese, The Arabic One. 16 Nelle parole del suo direttore generale, sarebbe nata per curare la televisione araba dalla sua propensione per la politica radicale e la violenza.

Pur godendo del sostegno dei Saud, Al Arabiya è tuttora vista come un agenzia dell imperialismo occidentale, tanto da subire attentati come accaduto più volte in Iraq (il 22 febbraio 2006, ad esempio, l inviato Atwar Bahjat veniva drogato ed ucciso dagli oppositori del nuovo governo locale) e in terra di Palestina (il 22 gennaio 2007 la sede di Gaza City è saltata in aria dopo che, alcuni giorni prima, l'emittente aveva mandato in onda un servizio critico su Hamas). Molto più marcata politicamente e meno apprezzata in Occidente è l emittente «Al Manar», una stazione televisiva nata a Beirut il 3 giugno 1991 come braccio mediatico del Partito di Dio, Hezbollah. La stazione, divenuta satellitare nel 2000 con un investimento di due milioni di dollari, è situata nel quartiere sciita di Harat Hurayk nella periferia sud di Beirut, roccaforte della stessa Hezbollah. Partita con l obiettivo d informare per poche al giorno i cittadini libanesi, dalle elezioni del 1992 in poi ha iniziato a trasmettere con maggiore regolarità, fino a sette-otto ore giornaliere, con il proposito di ampliare il bacino elettorale dei miliziani sciiti. Per cinque anni Al Manar trasmette senza licenza, fino a quando le pressioni del presidente Hafiz al-asad, interessato alla diffusione dello sciismo in Siria per il tramite della televisione, non costringono il governo libanese a cedere e a riconoscere il canale. Nel 1996 la televisione si espande e nuove antenne dell emittente vengono eretta al nord del Libano e su tutto il Monte Libano per arrivare a coprire non solo tutto il paese, ma anche la parte occidentale della Siria e il nord di Israele. La gamma di notizie trasmesse dalla rete nel corso degli anni si è sempre più ampliata, riprendendo notizie della stampa estera sulle questioni arabe e sul conflitto israelopalestinese, garantendo otto telegiornali quotidiani in lingua araba, uno in inglese e un altro in francese. Emblematico il talk show «Beit al-ankabut», la Casa del Ragno, una metafora che Hassan Nasrallah utilizza spesso per descrivere Israele. Il programma tende a ridicolizzare i vicini sionisti, mettendone in luce le debolezze e provando a smontare l immagine di uno stato imbattibile, guadagnatasi in Libano e dintorni. A parlare sono quasi esclusivamente dirigenti di Hezbollah, giornalisti, scrittori e studiosi islamici. Questo, come altri formati, puntano glorificare il martirio, a rafforzare la propaganda anti-israeliana, a diffondere l anti-americanismo e, più in generale, a fornire un etica e un salvacondotto per le azioni terroristiche. Non sono mancate, in particolare nei periodi di Ramadan, perfino sit-com dietrologiche sui protocolli dei Savi di Sion, sul ruolo degli ebrei nella storia dell Europa e mondiale e persino sulla Diaspora, supportate da contributi di tecnici egiziani e palestinesi. È chiaro che, pur evitando di osannare le azioni di al-qaeda e di giustificare attentati come quello alle Torri Gemelle, Al Manar non sia minimamente paragonabile ad Al Jazeera o ad Al Arabiya, e che faccia della lotta politica contro gli avversari del mondo arabo la sua bandiera. Pochi anni fa, il direttore del telegiornale di Al Manar, Hassan Fadlallah, ha sostenuto: copriamo solo la vittima, non l aggressore. La Cnn è il notiziario dei sionisti. Al Jazeera è neutrale. Al Manar si schiera dalla parte dei palestinesi. Nel mentre, Al Manar prova ad espandersi utilizzando la tecnologia di Google ed Apple per arrivare sui cellulari dei più giovani con i comunicati di Nasrallah, ma le maggiori potenze straniere lo hanno messo al bando nel proprio paese (gli Stati Uniti che parlano apertamente di canale terroristico la Spagna, la Francia, l Italia, la Germania e, con

qualche difficoltà, il Canada hanno bloccato la visione di Al Manar) e Israele dichiara guerra aperta. Già nel 2006, in occasione del conflitto israelo-libanese, le forze dell Idf avevano bombardato le strutture di Al Manar e ucciso diversi collaboratori della rete. In questo quadro, nel 2008, in una riunione convocata da Egitto e Arabia Saudita, i ministri di informazione arabi hanno approvato uno statuto per regolare la diffusione dell informazione via satellite Un tentativo patente e prepotente per affermare il controllo del mezzo nei paesi islamici. Venti dei ventidue paesi membri della Lega Araba hanno approvato il nuove codice sull emittenza televisiva, che invita le emittenti arabe a non danneggiare l armonia sociale, l unità nazionale, l ordine pubblico ed i valori tradizionali dei paesi in cui trasmettono o hanno sede. Il documento permette ai governi arabi di prendere le necessarie misure legislative per sanzionare le violazioni, comprese la confisca delle attrezzature televisive e la revoca dell autorizzazione a trasmettere. Importante notare come tra questi paesi il Qatar si sia astenuto e il Libano, pioniere dei mass-media nel mondo arabo, abbia votato contro.

Capitolo Terzo La diffusione di internet, tra potenzialità e censure Così come ha cambiato il nostro modo di rapportarci alla vita, di comunicare e perfino di leggere e scrivere, internet ha rivoluzionato il sistema delle comunicazioni, del commercio e dell azione politica. Internet oggi è il più potente diffusore di informazioni planetario, uno strumento eccellente di relazioni tra differenti reti geografiche, un veicolo di cultura, sentimenti e paure che ha contagiato una parte rilevante (quasi la metà) del pianeta. La rete ci permette di comunicare in tempo reale, di condividere tecnologia, dati e informazioni con persone normalmente irraggiungibili. I media, che hanno spadroneggiato per una buona parte del secolo scorso, hanno ceduto il passo a questo nuovo comunicatore di massa, che pare aver assorbito tutti gli altri strumenti di comunicazione, dal telefono (a vantaggio di Skype) al giornale (con blog e siti di notizie on-line), passando per la televisione (Youtube del gruppo Google potrebbe essere considerata la prima televisione mondiale). A differenza della radio o della Tv, media che come ha affermato Richard Sennett hanno la capacità di accrescere in maniera esponenziale la conoscenza della gente su quanto accade nella società, ma inibiscono direttamente la capacità di tradurre questo sapere in azione politica, la Rete si alimenta infatti per definizione della capacità attiva di produrre interazione, di stimolare dibattito, di organizzare e mobilitare rapidamente gli individui ed i gruppi 17. Quando alludiamo ad internet e alla comunicazione in rete, facciamo riferimento soprattutto a: Siti Internet, ovvero un insieme organizzato di pagine web collegate tra loro per mezzo di collegamenti ipertestuali. È considerato come un punto d incontro tra domanda e offerta, tra un fornitore e un potenziale cliente. È il veicolo ideale per diffondere informazioni (politiche e commerciali). La pubblicazione del primo sito internet risale al 6 agosto 1991, quando il ricercatore Tim Berners-Lee, presso il Cern di Ginevra, definisce il protocollo http e inaugura il primo indirizzo con le fatidiche www (Word Wide Web) che permette la lettura intertestuale dei documenti. Per il professor Morcellini, docente presso l Università Sapienza di Roma, Il world wide web ha creato tre rivoluzioni principali: ha innanzitutto cambiato il concetto di cambiamento scientifico. Le scoperte non sono più epocali e quindi si relativizzano gli anniversari perché un invenzione diventa progressiva. Tutto ciò è conseguenza anche del moltiplicarsi di comunicazione e ricerca scientifica e della facilità con cui circolano in rete [ ] Allo stesso tempo il web ha allargato la base delle discussioni: non ci sono più solamente piccole cerchie di studiosi un po snob e autoreferenziali ma è la base sociale della rete a diventare il soggetto capace di provocare cambiamento. Le 17 S.Epifani, A.Jacona, R.Lippi, M.Paolillo, Manuale di comunicazione politica in rete, Editrice Apes, Roma 2011.

informazioni circolano e si allargano a tutti quelli che vogliono riceverle, ampliando a dismisura il possibile uditorio, facendo quindi circolare cultura [ ] La scoperta ha inoltre cambiato il linguaggio contaminandolo e rendendolo fluido. La forza del progetto di Barners-Lee è stata quella di rendere pubblico e gratuito il linguaggio di programmazione, in questo modo ampliando la possibilità di interagire e comunicare. E stata la gratuità la chiave di volta del successo dell invenzione e allo stesso tempo della circolazione della conoscenza online. L agenzia di ricerche e statistiche internazionali Netcraft ha individuato l esistenza in rete di circa 550 milioni di siti internet, ma il numero è sempre in forte crescita. Blog, contrazione di web-log (diario in rete), sito web in cui i contenuti pubblicati da uno o più blogger compaiono generalmente in forma cronologica. È precipuamente utilizzato dai più giovani e da giornalisti free lance (da qualche anno anche da giornalisti professionisti e politici 18 ) per rivolgersi ai propri amici e per diffondere articoli, notizie di varia natura e contenuti multimediali tra un pubblico più o meno vasto. Il fenomeno nasce negli Stati Uniti nel 1997. Il primo blog è stato pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno ad opera di un appassionato di caccia, Jom Barger, ma fino al 1999 il blog resta una semplice lista di link. Il boom del diario in rete si registra tra il 2002 e il 2007: i bassi costi di gestione (in molti casi, nulli), la possibilità eccezionali di personalizzare uno spazio web in piena libertà, la possibilità di commentare una notizia con un livello di censura quasi sempre inesistente ne hanno favorito la diffusione, fino all esplosione del fenomeno dei social network, che hanno distrutto la visibilità del diario e demotivato i più giovani, spesso riluttanti ad elaborare concetti e contenuti di una certa lunghezza e consistenza. Ciò nonostante, il blog resta la piattaforma preferita dei cittadini di paesi dipendenti e a rischio democratico, ove televisione e giornali non danno spazio a proteste e denunce contro i governi. Social Network, ovvero siti di aggregazione sociale che permettono agli utenti che vi accedono di far parte e di creare reti (network) di individui (social). Secondo la definizione data da Boyd-Ellison, i social network sono quei servizi web che permettono: la creazione di un profilo pubblico o semi-pubblico all interno di un sistema vincolato, l articolazione di una lista di contatti, la possibilità di scorrere la lista di amici tra i propri contatti. I social network si configurano parimenti come delle piazze virtuali che espandono la nostra possibilità di comunicare, trasformandoci in agenti attivi di campagne politiche e sociali in cui crediamo. I social network sites nascono ufficialmente nel 2003, grazie a siti web come «Friendster», «abctribe» e «LinkedIn». In Italia il primo portale paragonabile ad un social network è stato «supereva». I social network più utilizzati al mondo sono, in estrema sintesi, «Facebook», «Twitter» e «Youtube». 18 In America, Obama ha utilizzato tutte le risorse tecnologiche e telematiche a sua disposizione (tra cui i blog) per rafforzare la campagna per le presidenziali del 2008. Particolarmente importante è stato l uso della blogosfera in Iran al tempo dell onda verde. In Italia, il comico Beppe Grillo usa il suo blog come mezzo di reclutamento dei più giovani al Movimento 5 stelle, ma anche per vendere i suoi dvd.

Facebook è stato fondato il 4 febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, all epoca studente diciannovenne di Harvard. Il nome si riferisce agli annuari utilizzati dai college americani per raffigurare gli studenti delle università e per mettere in contatto le persone appartenenti allo stesso campus. Da Harvard, Facebook si è allargato agli studenti di Boston, della Ivy League e della Stanford University. Da allora Facebook ha raggiunto un enorme successo: è diventato il secondo sito più visitato al mondo, preceduto solo da Google 19 ; è disponibile in oltre settanta lingue e nel giugno 2012 conta più di 955 milioni di utenti attivi che effettuano l'accesso almeno una volta al mese, classificandosi come primo servizio di rete sociale per numero di utenti attivi. Twitter è un servizio gratuito di social network e microblogging che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con una lunghezza massima di 140 caratteri. Il nome twitter deriva dal verbo inglese to tweet che significa cinguettare. Twitter non prevede rapporti di mutua amicizia, ma offre la possibilità di seguire passivamente altri utenti. Questo social network è popolare quasi quanto Facebook e ha raggiunto nel 2012 quasi 600 milioni di utenti attivi. YouTube è un sito web che consente la condivisione e visualizzazione di video. È la piattaforma di videosharing più usata al mondo e funziona ormai alla maniera di una televisione gestita direttamente dagli utenti. Youtube è stato fondato nel febbraio 2005 da Chad Hurtley, Steven Chen e Jawed Karim, tutti dipendenti di PayPal. Il primo video caricato, alle 20:27 del 23 aprile del 2005, è stato Me at the zoo da Jawed Karim. Il video ha una durata di 19 secondi ed è stato girato di fronte alla gabbia degli elefanti dello zoo di San Diego. Questi mezzi sono diventati sempre più importanti nella vita delle persone, e in particolare dei giovanissimi, che percepiscono tali servizi come sempre più indispensabili nella propria quotidianità. La conoscenza di Facebook e YouTube registra picchi altissimi tra i giovani di 14-29 anni (il 90,3% e l 89,2% rispettivamente), risulta elevata tra gli adulti (il 64,2% e il 64%) e scende notevolmente tra gli anziani. Più della metà dei giovani utilizza Facebook (56,8%) e più di due terzi YouTube (67,8%), e non è trascurabile l impiego di YouTube anche tra gli adulti (23,5%). Facebook è il più comune e popolare fra i social network utilizzati nel mondo arabo. Il numero complessivo di utenti nella regione si attesta intorno ai 27,7 milioni di persone (ad aprile 2011), circa il doppio rispetto all anno precedente e il 30% in più rispetto all inizio dell anno. Uno studio recente di «GlobalWebIndex» rivela che il 90% della totalità degli utenti di internet nel mondo ha oggi almeno un profilo social. Numeri decisamente impressionanti, sebbene trainati maggiormente dai paesi emergenti. I primi cinque paesi più social del mondo sono infatti Cina, Sud Korea, Filippine, Russia e l impressionante Indonesia, nella quale il 99% degli utenti Internet possiede un profilo Facebook. 19 Alcune società sostengono che nel 2011 Facebook ha superato Google per quantità di visite

Quasi tutti hanno sottolineato ed evidenziato le grosse potenzialità dei social network quanto alla capacità di ridurre le distanze a favorire i rapporti interpersonali. E, ancora, è stata esaltata l enorme rivoluzione garantita dalla possibilità di pubblicare notizie in tempo reale e farle girare, in pochi minuti, in tutto il pianeta. Nondimeno, i social network hanno ridotto le capacità di discernimento dei più giovani e le iniziative di ricerca individuali, hanno prodotto un annullamento della privacy, impensabile sino a pochi anni fa, hanno favorito la socializzazione dell ignoranza e la semplificazione estrema e asettica del linguaggio comunicativo. Nel mondo arabo il fenomeno internet si è affermato con una difficoltà superiore rispetto al resto del mondo. Sostanzialmente, sono mancati la tecnologia adeguata, la strumentazione di base come le tastiere in arabo i mezzi economici per supportare gli oneri di connessione e l apertura dei governi nei confronti di una rete che appariva (ed appare) come un pericoloso diffusore di deviazioni politico-religiose. La situazione è cambiata per la maggior parte dei paesi verso la fine degli anni Novanta e, per Arabia Saudita ed Iraq, tra la fine e l inizio del secolo. La tendenza è mutata negli ultimi cinque anni: nel 2008 più di trentotto milioni di arabi si connettevano almeno una volta al mese e più dell 11% della popolazione ha iniziato ad usare internet con costanza. I paesi che presentano il maggior numero di internauti sono Egitto, Marocco e Arabia Saudita, mentre i paesi in cui lo scarto, tra chi non fa uso della rete e chi si connette abitualmente, è più ridotto sono Emirati Arabi Uniti (metà popolazione usa internet 20 ), Qatar (38 percento circa), Bahrain (34,8%) e Kuwait (34,7 percento), tutti ben al di sopra della media mondiale 21. Libano, Arabia Saudita e Marocco seguono subito dopo. Dopo un periodo di crisi e rigetto del fenomeno, durante il quale si è temuta l esaltazione delle opposizioni e contestazioni di tipo religioso (o semplicemente il superamento di alcuni dogmi, in specie in materia di diritti femminili), i regimi arabi hanno deciso di accettare internet e di plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Nell Iraq di Saddam, causa embargo economico, sanzioni Onu e alti costi dei personali computer, l uso delle rete è stata di fatto inibito a tutti fino al 1999. Negli anni successivi l accesso ad Internet è stato veicolato dalla Società Generale di Internet e dai Servizi d Informazione monopolizzati dal governo. I messaggi di posta elettronica in entrata ed uscita venivano filtrati dal Dipartimento della Censura, ritardando così di alcuni giorni la ricezione delle mail. Fino a pochi anni fa, un abbonamento internet in Iraq costava 750 dollari annui (costo proibitivo per la maggioranza degli iracheni) e coloro che potevano permetterselo dovevano firmare una richiesta particolarmente severa che imponeva all utente di non visitare siti ostili (a meno che non seguisse un immediata segnalazione), di non copiare o stampare materiale che potesse compromettere la politica o la sicurezza dello stato, di dichiararsi disponibile a ricevere visite periodiche di ispettori che avrebbero ispezionato computer, files e abitazione del richiedente. 20 Per fare un raffronto, basti pensare che in Italia gli internauti sono circa 25 milioni (molto meno della metà della popolazione). Una buona parte di questi si connette sporadicamente e con l aiuto di parenti ed amici. 21 Fonte: www.al-bab.com.

Gli internet caffè (o centri di internet) prevedevano un controllo ancor più rigoroso: gli internauti dovevano presentare una domanda scritta, sottoporsi ad un interrogatorio, presegnalare i siti web che avrebbero visitato, utilizzare un computer col monitor rivolto verso la porta del centro internet e mantenere intatta la cronologia dei siti visitati. Accettate queste condizioni, gli internauti avrebbero potuto cliccare su pagine web raffiguranti Saddam e inneggianti alla politica del governo, con rare eccezioni riguardanti siti web di pubblicità locale. Nello stesso periodo, in Arabia Saudita, il Consiglio dei ministri vietava agli utenti di visualizzare tutto ciò che potesse violare i principi fondamentali e le leggi dello stato, qualunque sito che criticasse l islam o sfidare la sharia, tutto quello che andasse contro la pubblica morale, tutto ciò che potesse danneggiare la dignità dei capi di stato e dei capi di missioni diplomatiche accreditate nel regno, come i loro paesi di provenienza, la propagazione delle idee sovversive e di materiale diffamatorio e calunnioso nei confronti dei singoli o il disturbo dell ordine pubblico. Le regole comprendevano anche vari altri divieti contro l'attività commerciale e pubblicitaria su internet, se non con "le licenze necessarie". I fornitori di servizi internet (Isp) erano tenuti a registrare dettagliatamente gli utenti e le loro attività, come la "destinazione d'uso", il tempo impiegato per la connessione, gli indirizzi delle pagine visitate o alle quali si è stato tentato l accesso, le dimensioni e il tipo di file copiati. I fornitori di servizi internet erano tenuti vieppiù ad indirizzare tutto il traffico attraverso la «Unità di Servizi Internet» (Isu) a King Abdulaziz. L'Isu ospita il più grande e più sofisticato sistema di censura su internet in Medio Oriente, basato su una tecnologia addirittura invidiata dalle società occidentali. È una tecnologia molto simile ai sistemi di filtraggio che i genitori e le scuole possono acquistare per evitare che i bambini accedano a siti inadatti. L'Isu giustifica il blocco della pornografia per motivi religiosi, ma non fa alcun tentativo di giustificare la censura di siti web non pornografici, operata "su richiesta diretta degli organi di sicurezza all'interno del governo. Il sistema Isu sfrutta un elenco di siti indesiderabili forniti da «SmartFilter» e dallo stesso governo saudita. Il sistema è particolarmente subdolo perché non blocca tutti i siti indesiderati, ma spesso chiede all utente una conferma circa l accesso alla pagina web ostile e lo sblocco della stessa, tanto per avere conferma delle reali intenzioni dell utente, che di fatto si autodenuncia. Dal 2001 al 2004 l Isu ha bloccato 200 pagine al giorno. La «OpenNet Initiative» (Oni), dopo aver testato 60.000 indirizzi web, ha riferito che il regno saudita concentra la sua censura su: pornografia (98%), gioco d azzardo (93%), farmaci (86%), siti per aggirare i filtri (41%). C è un controllo minore sui siti internet riguardanti l omosessualità (11%), la politica generalista (3%), lo Stato di Israele (2%), la religione (meno dell 1%) e l'alcol. L Oni ha scoperto che la maggior parte dei siti religiosi bloccati sono quelli delle sette sufi, sciite o collegate alla fede bahai. Provvedimenti di censura sono stati adottati anche nei confronti della tv al-manar e della brigate palestinesi al-quds. Nonostante la continua chiusura di siti, i sauditi più coraggiosi ed esperti d informatica riescono facilmente a superare i filtri e ad accedere alle pagine bloccate. I provvedimenti del governo hanno avuto successo esclusivamente sui bambini (in questo caso realmente

salvaguardati dal mercato della pornografia) e su fette della popolazione passive e poco inclini ad informarsi, o ad abbracciare qualsivoglia causa di lotta sociale. L uso di connessione dial-up 22 dei paesi vicini e l utilizzo di tecnologia a pagamento (si è creato un business notevole intorno ad hacker e società straniere che offrono tutto ciò che è necessario per aggirare i divieti) ha reso nulla l azione della monarchia, costringendola a studiare ogni giorno forme di censura più aggiornate. Secondo l Icann, nel 2011-2012, sotto la lente d ingrandimento del governo saudita sono finiti alcuni domini come.sex,.casino,.baby,.vodka,.gay, che possono in qualche modo offendere alcuni valori morali e invogliare gli utenti a ricercare materiale immorale. A finire sotto accusa nella lista nera saudita c è anche il dominio.baby, richiesto dalla «Johnson&Johnson» per pubblicizzare i suoi prodotti dedicati alle giovani fasce d età. Secondo l Arabia Saudita dietro questo tipo di domini (come anche.virgin, richiesto dalla società «Virgin») si potrebbero facilmente celare siti pedopornografici o comunque inclini al mondo della trasgressione e dell'illegalità. Tra i domini contestati rientra anche.islam, sostenendo come una singola azienda non possa farsi portavoce di un intera comunità, o di gran parte della cultura mussulmana mondiale. I siti che richiamano all omosessualità restano sotto l occhio vigile dei Saud 23, tuttavia le proteste delle comunità internazionale hanno attenuato questo genere di controllo (l omosessualità è un tema che spaventa, ma è considerato fondamentalmente meno pericoloso della denuncia politico-religiosa tout court). Attualmente l Oni tiene sotto osservazione paesi ad alto tasso di censura come Oman, Sudan, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti e Yemen. Subito dopo vengono Bahrain, Giordania, Libia e Marocco. 22 Con il termine dial-up si fa riferimento alle connessioni tra computer realizzate con l'utilizzo di modem tramite la composizione di una normale numerazione telefonica, utilizzando quindi l'usuale banda fonica a bassa frequenza. 23 Il governo ha ricevuto numerosi reclami quando ha cercato di chiudere Gme, un portale dedicato alle persone gay e lesbiche della regione, nel giugno 2011. Dopo i reclami, il governo ha eliminato i blocchi.