umero 22 /2012 Processo Eternit: relazione dose risposta e livelli espositivi



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umero 22 /2012 Processo Eternit: relazione dose risposta e livelli espositivi 12 - Conclusioni in ordine alla relazione dose-risposta nelle patologie asbesto-correlate Alla luce delle emergenze processuali come finora sintetizzate, può dirsi scientificamente incontestata la dose-dipendenza dell asbestosi e del carcinoma polmonare, e deve altresì considerarsi opinione del tutto minoritaria quella secondo la quale l asbestosi dovrebbe essere considerata una pre-condizione per attribuire all esposizione ad amianto un ruolo sostanziale nella causazione del tumore polmonare. Per il mesotelioma il discorso si presenta invece decisamente più complesso. Se da un lato, infatti, risulta unanimemente accettato che per innescare il meccanismo patogenetico del mesotelioma sia sufficiente una dose anche molto bassa, e che tale meccanismo provochi la neoplasia maligna dopo un lungo periodo di latenza, risulta discusso, d altro lato, se esista o meno un rapporto inverso tra entità della esposizione e durata della latenza o, comunque, se le tre patologie debbano essere trattate in modo analogo in quanto tutte, in definitiva, dosecorrelate, oppure distinguendo tra asbestosi e carcinoma (dose-dipendenti) e mesotelioma. Le conseguenze applicative derivanti dall adozione dell una o dell altra soluzione sono evidenti, tenuto conto della successione di chi gestiva le società durante l ampio arco temporale dello sviluppo delle malattie, nelle imprese in cui si lavorava con l amianto. Se si ritiene che tutte le patologie siano dose-dipendenti e che, quindi, non si debba distinguere tra le diverse tipologie, l esposizione successiva risulta rilevante per tutti, in quanto l aumento della dose di amianto

inalata è in grado di accorciare la latenza della malattia o comunque di aggravarne gli effetti, con la conseguenza ulteriore che tutte le condotte possono assumere pari rilevanza. Se invece si ritiene che il mesotelioma sia dose-indipendente, la conseguenza è che la difesa di chi sia intervenuto in un periodo successivo a precedenti esposizioni potrebbe invocare l estraneità del proprio assistito sul piano causale. Secondo un indirizzo maggioritario della Corte di Cassazione, tutte e tre le patologie sono per così dire dose-dipendenti. La Suprema Corte ha più volte affermato, infatti, che sussiste un rapporto esponenziale tra dose di cancerogeno assorbita (determinata dalla concentrazione e dalla durata dell esposizione) e risposta tumorale: aumentando la dose di cancerogeno, non solo è maggiore l incidenza dei tumori che derivano dall esposizione, ma minore è la durata della latenza, il che significa aumento degli anni di vita perduti o, per converso, anticipazione della morte. In particolare, si è fatto riferimento, anche di recente, ad un riconoscimento condiviso, se non generalizzato, della comunità scientifica peraltro fatto già proprio da sentenze di merito e di legittimità [ ] sul rapporto esponenziale tra dose di cancerogeno assorbita (determinata dalla concentrazione e dalla durata della esposizione) e risposta tumorale, con la conseguente maggiore incidenza dei tumori e minore durata della latenza della malattia nelle ipotesi di aumento della dose di cancerogeno (così, Cass. Sez. IV sentenza n. 988 dell 11 luglio 2002 ud. dep. 14 gennaio 2003 imp. Macola e altro rv. 227000; Cass. Sez. III sentenza n. 11570 del 21 gennaio 2009 ud. dep. 17 marzo 2009 imp. Chivilò e altri, la quale precisa che «la Corte territoriale, mediante un esame puntuale e preciso del contesto ambientale in cui si era svolta l attività lavorativa delle persone offese [ ] ha accertato, con congrua motivazione: [ ] b) che il perdurare delle esposizioni nocive nell intervallo di tempo in cui gli attuali ricorrenti avevano svolto attività dirigenziale presso le vetrerie Lodi/Gav [ ] aveva prolungato ed aggravato in modo significativo il rischio malattia con conseguente incidenza causale nella determinazione dell evento morte»). Sullo stesso caso, e sempre nello stesso senso, si era già espressa Cass. Sez. IV sentenza n. 39393 del 12 luglio 2005 ud. dep. 27 ottobre 2005 imp. Chivilò e

altri, secondo la quale «va in sostanza ribadito che aumentando le assunzioni di dosi cancerogene aumenta l incidenza dei tumori e si abbrevia la durata del periodo di latenza con accelerazione nella produzione dell evento morte. Sussiste il nesso causale allorché la condotta considerata abbia avuto durata apprezzabile». Così, ancora, Cass. Sez. IV sentenza n. 22165 dell 11 aprile 2008 ud. dep. 3 giugno 2008 imp. Mascarin e altri rv. 240517, che con riferimento al «mesotelioma maligno epiteliomorfo», nel condividere le conclusioni della Corte di Appello, conclude che «la scienza medica riconosce un rapporto esponenziale tra dose cancerogena assorbita determinata dalla durata e dalla concentrazione dell esposizione e risposta tumorale [ ] el caso di specie la corte territoriale, servendosi delle conclusioni e delle spiegazioni del perito, indica le conoscenze scientifiche attraverso le quali giunge ad affermare che sussiste nesso di causa tra condotta ed evento anche quando non si può stabilire il momento preciso dell insorgenza della malattia tumorale, perché è sufficiente che la condotta abbia prodotto un aggravamento della malattia o ne abbia ridotto il periodo di latenza» (cfr. anche Cass. Sez. IV sentenza n. 7630 del 29 novembre 2004 ud. dep. 1 marzo 2005 imp. Marchiorello e altri rv. 231136; Cass. Sez. IV sentenza n. 37432 del 9 maggio 2003 ud. dep. 9 maggio 2003 imp. Monti e altri rv. 225989; Cass. Sez. IV sentenza n. 14400 del 12 marzo 2002 ud. dep. 16 aprile 2002 imp. Balbo di Vinadio). Si discosta da tale orientamento la recente sentenza della Sez. IV sentenza n. 43786 del 17 settembre 2010 ud. dep. 13 dicembre 2010 imp. Cozzini e altri rv. 248944, secondo la quale, con riferimento alla questione della dose-dipendenza del mesotelioma, il giudice di merito deve appurare: 1) se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide ed obiettive basi, una legge scientifica in ordine all effetto acceleratore della protrazione dell esposizione dopo l iniziazione del processo carcinogenetico; 2) nell affermativa, deve determinare se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; 3) nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, deve chiarire se l effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definitive e significative acquisizioni fattuali; 4) per ciò che attiene alle condotte anteriori all iniziazione e che hanno avuto durata inferiore all arco di tempo compreso tra

inizio dell attività lavorativa dannosa e iniziazione, deve infine appurare se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all innesco del processo carcinogenetico. Va tuttavia osservato che se il giudice si adoperasse secondo le indicazioni fornite da tale pronuncia, finirebbe per divenire artefice delle leggi scientifiche anziché fruitore delle stesse, oltre tutto nell evidente assenza di strumenti tecnici per pervenire ad un tale risultato: con la conseguenza di avanzare opinioni esplicative al di fuori dei crismi che caratterizzano il sapere scientifico. E che tale osservazione sia corretta lo si ricava da una coeva sentenza della Suprema Corte (Sez. IV sentenza n. 38991 del 10 giugno 2010 ud. dep. 4 novembre 2010 imp. Quaglierini e altri rv. 248853), la quale ricorda che a) non è il giudice ad elaborare la legge scientifica, essa deve essere allegata ed asseverata dalle parti; sarà compito del giudice, con la razionalità della sua motivazione, valutarne l attendibilità, b) la norma penale, per la sua applicazione, non fa rinvio al sapere scientifico, in quanto esso è utilizzato a soli fini probatori, ed osserva che partendo dal presupposto che in ambito scientifico ben difficilmente c è unitarietà di vedute e che non è consentito al giudice defilarsi con un non liquet, è suo compito dare conto con la motivazione, della legge scientifica che ritiene più convincente ed idonea o meno a spiegare l efficacia causale di una determinata condotta, tenendo sempre conto di tre parametri di valutazione: il ragionamento epistemologico deve essere ancorato ad una preventiva dialettica tra le varie opinioni; il giudice non crea la legge ma la rileva; il riconoscimento del legame causale deve essere affermato al di là di ogni ragionevole dubbio, concludendo che nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura deve attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria di quest ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di motivare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti. Una opinione ricostruttiva fondata sulla mera opinione del giudice attribuirebbe a questi, in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non invece, come consentito, della sola utilizzazione.

Tale pronuncia appare, a parere del Collegio, maggiormente condivisibile perché, nel prendere atto dell esistenza di opinioni scientifiche difformi sulla questione della dose-dipendenza del mesotelioma, richiede al giudice non già di decidere quale di tali opinioni sia preferibile, ma quale sia la soluzione ancorata ai presupposti scientifici più solidi, e ciò dopo avere vagliato le diverse opzioni provenienti dal contraddittorio. A tale ultimo riguardo, l articolata istruttoria dibattimentale consente di concludere fondatamente che la tesi della trigger dose (contestata al dibattimento dallo stesso consulente dell imputato S., Canzio Romano) e quella c.d delle fibre ultracorte e ultrafini la quale ultima sostiene, come si è visto, la preponderanza di tali fibre in taluni specifici siti pleurici e ne ipotizza un ruolo non trascurabile nella causazione della patologia mesoteliomatosa, con le conseguenze favorevoli alla posizione dei datori di lavoro che si sono menzionate - abbiano in realtà incontrato, nella comunità scientifica, un favore assai limitato. Se, dunque, non può negarsi che sulla questione della teoria del mesotelioma pleurico come patologia dose-correlata si registrino opinioni divergenti, può dirsi tuttavia smentita l affermazione (contenuta in alcune recenti pronunce della Corte Suprema e da qualche autore in dottrina) secondo la quale le opinioni scientifiche più accreditate e recenti sarebbero, sostanzialmente, divise in due inconciliabili filoni. La copiosa letteratura menzionata nel corso degli esami dibattimentali e, soprattutto, nelle relazioni scritte dei consulenti tecnici dà, invece, conto di una netta prevalenza, nella comunità scientifica, della tesi secondo la quale anche il mesotelioma, come il tumore polmonare e l asbestosi, può definirsi patologia dosecorrelata: con la differenza che alle esposizioni successive, soprattutto se assai modeste, viene attribuito un ruolo meno incisivo. In sintesi, può dunque dirsi accettato da larghissima parte della comunità scientifica (e i lavori, anche molto recenti, citati da tutti i consulenti tecnici lo attestano) che la promozione dovuta all asbesto è cancerogeneticamente attiva fino a induzione compiuta (il che attribuisce rilevanza anche alle esposizioni successive), e che la proporzione dei mesoteliomi aumenta con l aumentare del livello di esposizione. Non ha, infine, trovato convincente smentita la recente tesi (ben spiegata al dibattimento da Barone Adesi) secondo la quale le esposizioni successive

avrebbero rilievo, oltre che per tutte le ragioni sopra esposte, per il fenomeno della clearance, cioè dell eliminazione delle fibre e/o della riparazione del danno cellulare da loro provocato: il che costituisce ulteriore riscontro della maggiore credibilità scientifica della tesi della rilevanza delle esposizioni successive propugnata dai consulenti del pubblico ministero e delle parti civili. Non può, attualmente, parlarsi di legge universale, il che impedisce di articolare il sillogismo deduttivo indicato (per escluderlo) nella citata, recente pronuncia della Suprema Corte (sentenza citata n. 43786 del 2010 imp. Cozzini e altri: l esposizione protratta all amianto dopo l iniziazione determina sempre l accelerazione dell evento tumorale; l esposizione si è concretata; l esposizione ha con certezza abbreviato la latenza e quindi la durata della vita ). Può tuttavia, a tal riguardo, essere enunciata, alla luce di quanto si è finora esposto, una affidabile relazione causale di tipo probabilistico accolta in via maggioritaria dalla comunità scientifica, che rende possibile giungere, nel caso concreto, ad un giudizio di certezza, espresso in termini di probabilità logica o credibilità razionale. 13 - I livelli di esposizione all amianto Parallelamente agli sviluppi della ricerca scientifica in ordine alla cancerogenicità dell amianto, si registravano, come si è già anticipato, fin dalla seconda metà degli anni trenta, quelli tesi ad individuare livelli di esposizione all amianto idonei a ridurre significativamente la quantità complessiva di fibre inalata dai lavoratori, che portavano a ridurre nel tempo (in particolare dal 1976) i relativi valore limite. Il consulente tecnico della difesa DC., Danilo Cottica, ha rilevato, con riferimento alle tecniche utilizzate negli anni per il conteggio delle fibre d amianto, che il passaggio dalla semplice microscopia ottica a 100-200 ingrandimenti alla microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF) ha portato un miglioramento significativo circa l attendibilità delle misure, ma ha lasciato comunque un certo margine d incertezza legato alla professionalità del tecnico che eseguiva il conteggio ed alla sua auto formazione/accreditamento. Ciò in quanto, all inizio degli anni settanta, non esistevano né standard analitici, ne tanto meno circuiti interlaboratoriali che consentissero ai tecnici di migliorare le loro capacità in termini di valutazione quali-quantitativa delle fibre da conteggiare.

Il microscopio ottico prima, e la MOCF in seguito, non permetterebbero dunque un riconoscimento qualitativo delle fibre durante il conteggio per l analisi quantitativa, il che comporta il conteggio di tutte le fibre ed i corpuscoli con aspetto fibroso che hanno le dimensioni tipiche delle fibre in termini di rapporto lunghezza/larghezza. La misura risultava e risulta, quindi, meno precisa nei casi in cui l inquinamento ambientale sia costituito da fibre di varia natura oltre che di amianto, come quelle vegetali, animali od artificiali o corpuscoli fibrosi che possono esser confuse con quelle di amianto, portando a sovrastime più o meno significative. Tali situazioni d incertezza nell identificazione delle fibre da conteggiare sono state risolte solo con l impiego della microscopia elettronica a scansione con sonda a raggi X (SEM-EDXA), che consente l analisi strutturale delle fibre con un elevato potere di scansione e contemporaneamente, mediante la sonda a raggi X, consente l analisi elementare della fibra e quindi la sua identificazione (Cottica, relazione tecnica, fald. 58). Ha concordato con tale analisi il consulente tecnico della difesa DC., Domenico Cavallo, che ha affermato che misurazioni ragionevolmente affidabili della concentrazione ambientale ad amianto sono possibili solo dalla metà degli anni settanta. E del tutto lecito affermare che almeno fino al 1975, ma ragionevolmente anche in seguito, i limiti proposti in Italia e negli USA siano stati certamente inadeguati a proteggere dall asbestosi e anche la più scrupolosa osservanza del limite di 5 ff/cc applicato nel periodo 1976-1979 non avrebbe protetto i lavoratori dal rischio di asbestosi e tanto meno dal rischio di mesotelioma, non abbattuto nemmeno dai limiti proposti negli anni successivi, sino a tutt oggi, dato che ancora la normativa non prevede la misura della frazione ultrafine, attualmente indicata, in base alle conoscenze disponibili, come quella a cui probabilmente è da attribuire la capacità di causare tale malattia (Cavallo, consulenza tecnica cit. fald. 59). E tuttavia agevole replicare al riguardo che il documento del NIOSH n.77/169 REVISED RECOMMENDED ASBESTOS STANDARD del dicembre del 1976 evidenziava che quando il documento asbestos criteria fu pubblicato la prima volta nel 1972, il ational Institute for Occupational Safety and Health ( IOSH) raccomandò uno standard di 2,0 fibre di asbesto/centimetro cubo di aria, basato sul conteggio di fibre maggiori di 5 micron di lunghezza. Questo standard fu

raccomandato con la convinzione dichiarata che avrebbe prevenuto l asbestosi e con l aperto riconoscimento che non avrebbe prevenuto i neoplasmi indotti dall asbesto. Nel capitolo VI dello stesso documento concernente lo standard raccomandato, si legge inoltre: Gli studi disponibili forniscono la prova conclusiva che le fibre di asbesto causano cancro e asbestosi all uomo. ( ) Vi sono dati che dimostrano che più è bassa l esposizione, più basso è il rischio che si sviluppi il cancro. ( ) La valutazione di tutti i dati riferiti agli esseri umani non fornisce prova che vi sia un limite di sicurezza o un livello sicuro di esposizione ad asbesto. ( ) Dal momento che la microscopia a contrasto di fase è attualmente l unica tecnica analitica generalmente disponibile e praticabile, questo livello è definito pari a 100.000 fibre > di 5 micron in lunghezza /metro cubo (= 0,1 fibre/cc) per un periodo di 8 ore giornaliere, con concentrazioni di picco non superiori a 500.000 fibre/metro cubo (= 0,5 fibre/cc) per periodi di 15 minuti ( ) Questo standard raccomandato di 100.000 fibre/metro cubo (= 0,1 fibre/millilitro) è inteso a: (1) proteggere dagli effetti non cancerogeni dell asbesto (2) ridurre concretamente il rischio di tumori indotti dall asbesto (relazione di consulenza tecnica Mara e Thieme depositata il 22/11/2010, fald. 54). Il NIOSH, nell indicare i limiti massimi di esposizione, aveva cioè contemporaneamente avvertito, fin dall inizio degli anni settanta, che essi non avrebbero prevenuto le neoplasie indotte dall asbesto, e che - se si fosse almeno rispettato il limite massimo di esposizione fissato già nel 1968 in Gran Bretagna dal British Occupational Hygiene Society in 2 fibre/ml, e in seguito quello fissato dal NIOSH nel 1976 di 0,1fibre/ml - si sarebbe quantomeno ridotta significativamente la quantità complessiva di fibre di amianto inalata dai lavoratori e si sarebbe, di conseguenza, differito il verificarsi delle patologie neoplastiche e non neoplastiche e ridotta la frequenza del loro accadimento. Risulta inoltre dal citato lavoro di Castleman (Asbestos medical and legal aspects, cit., capitolo 4, fald. 56 bis) che l OSHA, fin dal 1975, aveva proposto di abbassare a 0,5 fibre/ml il limite di esposizione ammissibile, mentre l ACGIH, pur consapevole della cancerogenicità dell amianto, aveva per lungo tempo aggirato la questione della determinazione dei limiti di sicurezza per le sostanze industriali. Fino al 1966, infatti, solo tre sostanze vennero dall associazione etichettate come

cancerogene, senza che venisse comunque prescritto alcun limite; quanto poi all amianto, la Documentazione per i valori limite di soglia pubblicata nel 1966 liquidò in una sola pagina il problema della sua pericolosità, non includendo nessun riferimento tecnico più recente del 1955 e non menzionando neppure una volta il termine cancro. Hanno inoltre replicato i consulenti Mara e Thieme, quanto alle tecniche di misurazione, che i metodi di lettura al microscopio prevedono che non siano conteggiate tutte le fibre, ma solo quelle (definire regolamentate ) che soddisfano alcuni requisiti morfologici e cioè che abbiano un diametro minore di 3 micron e una lunghezza maggiore di 5 micron, con un rapporto di allungamento (rapporto lunghezza/diametro) maggiore di 3:1. Tali requisiti morfologici sono stati stabiliti perché a) il diametro inferiore a 3 micron indica che la fibra è respirabile; b) il rapporto di allungamento maggiore di 3:1 dimostra che si tratta di una particella allungata - fibrosa di amianto; c) la lunghezza maggiore di 5 micron indica che la fibra è biologicamente attiva, cioè è troppo grande per essere interamente fagocitata da un macrofago alveolare e quindi eliminata dal polmone. E hanno aggiunto, tali consulenti, che - di norma - le fibre conteggiate in microscopia ottica (MOCF) sono tutte fibre regolamentate. Con la microscopia elettronica, invece, dato il suo maggior potere di risoluzione e i maggiori ingrandimenti consentiti, è possibile contare anche le fibre ultracorte, cosicché vengono generalmente forniti due dati: il numero di fibre di amianto e il numero di fibre di amianto regolamentate (lunghezza > 5 micron). Poiché, tuttavia, tutti i valori limite di legge (stabiliti nel tempo sulla base di rilevazioni effettuate con la tecnica MOCF) sono espressi come numero di fibre regolamentate nell unità di volume, per il confronto con i valori limite e per la valutazione del rischio è corretto usare tale metodologia, per mezzo della quale un analista esperto può distinguere, sulla base di caratteristiche morfologiche specifiche e/o usando filtri polarizzatori incrociati, particelle allungate non costituite da amianto dalle fibre di amianto. Inoltre, se è vero che la microscopia elettronica a scansione con sonda a raggi X e la microscopia ottica possono portare a conteggi differenti, non si può affermare che la MOCF porti a sovrastimare il rischio, considerato che recenti studi dimostrerebbero, invero, il contrario. In diversi casi, infatti, le fibre di amianto rilevate con la tecnica della microscopia

elettronica a scansione (SEM) sono risultate più numerose rispetto a quelle determinate con la tecnica della microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF). A tacere del fatto che, in Italia, anche con il decreto legislativo n. 257/2006 si è ribadito che il conteggio delle fibre di amianto va effettuato, di preferenza, tramite microscopia a contrasto di fase, cioè proprio con la metodologia MOCF. E, soprattutto, che nell attuale contesto legislativo non vi è spazio per una interpretazione del concetto dei valori-limite come soglia a partire dalla quale sorga per i destinatari dei precetti l obbligo prevenzionale, di tal che tali valori-limite vanno intesi come soglie d allarme, il cui superamento, fermo restando il dovere di attuare sul piano oggettivo le misure tecniche organizzative e procedurali concretamente realizzabili per eliminare o ridurre al minimo i rischi, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, comporti l avvio di una ulteriore e complementare attività di prevenzione soggettiva, articolata su un complesso e graduale programma di informazioni, controlli e fornitura di mezzi personali di protezione diretto a limitare la durata dell esposizione degli addetti alle fonti di pericolo (Cass. Sez. IV sentenza n. 38991 del 2010 cit.). Tale orientamento è stato avallato in altre pronunce della Suprema Corte, laddove è stato anche affermato che la mancata individuazione della soglia di esposizione all'amianto (individuazione peraltro oramai impossibile) non è idonea ad infirmare la correttezza del ragionamento del giudice di merito secondo cui un significativo abbattimento dell'esposizione avrebbe comunque agito positivamente sui tempi di latenza o di insorgenza delle malattie mortali (cfr. Cass. Sentenza n. 988 del 2003 cit.); nonché laddove è stato affermato che, in caso di morti da amianto, il datore di lavoro ne risponde anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all'epoca dell'esecuzione dell'attività lavorativa (il che non può dirsi avvenuto nel caso di specie), non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all'obbligo di garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro (Cass. Sez. 4 - sentenza n. 5117 del 22 novembre 2007 ud. - dep. 1 febbraio 2008 imp. Biasotti e altri - rv. 238777). Pare opportuno, a questo punto, affrontare alcune questioni e richieste che la difesa degli imputati ha proposto, in quanto esse, qualora convise o accolte, renderebbero

superflua l analisi dei reati oggetto di imputazione. Tutta la documentazione citata può essere richiesta alla Consulenza Medico-Legale Nazionale via e-mail all indirizzo m.bottazzi@inca.it, r.bottini@inca.it