1 Marina Graziosi. Salute della donna e detenzione 1. Il dato di fatto più macroscopico da cui si parte in ogni discorso sulla criminalità femminile è il basso numero di reati commessi dalle donne e la loro irrilevante presenza in carcere. In Italia la popolazione femminile detenuta oscilla tra il 4% e il 5% del totale: un dato che si è mantenuto costante nel corso del tempo, già a partire dai primi decenni dell Ottocento, pur registrando, ovviamente, grandissimi cambiamenti sia nel tipo di reati commessi, sia nei soggetti coinvolti. Come è noto, una delle più importanti recenti trasformazioni che hanno investito il carcere femminile riguarda, in costanza pressoché omogenea del totale delle presenze, l aumento esponenziale delle donne migranti: oggi in carcere sono circa il 37% delle donne recluse. Più che aggiungersi alle donne italiane, le migranti sembrano progressivamente sostituirsi ad esse. Questa tendenza si registra già a partire dalla fine degli anni Ottanta. Nel 1990 le straniere in carcere, secondo i dati ministeriali, erano il 16% delle recluse; la loro presenza andrà costantemente incrementandosi fino a raggiungere il livello attuale senza che il numero complessivo delle donne detenute sia significativamente aumentato. Si tratta di un fenomeno complesso, analogo a quanto sta accadendo negli Stati Uniti, dove le donne di origine ispanica e asiatica stanno rimpiazzando progressivamente in carcere le donne di origine anglosassone, affiancandosi alla ormai dominante popolazione afroamericana. In Italia, come del resto in tutta Europa, il fenomeno trae origine dal sempre più ampio coinvolgimento femminile nelle grandi migrazioni, determinate dall avanzare della globalizzazione e da fenomeni ormai
2 consolidati come la radicale trasformazione sociale e politica dei paesi dell Est Europa. 2. Nella maggior parte dei casi le donne vivono in piccole sezioni femminili di grandi carceri maschili e solo da pochi anni da parte delle istituzioni europee e delle Nazioni Unite si sono approntati nuovi strumenti normativi che dovrebbero tutelare i diritti e i bisogni specifici delle donne recluse. Certamente l assegnazione delle donne detenute alle tante piccole sezioni delle svariate carceri del nostro paese consente di soddisfare il principio della territorialità, cioè della vicinanza della persona ai luoghi nei quali essa risiede insieme alla sua famiglia. E altrettanto certo, tuttavia, che la destinazione delle donne in carceri interamente femminili, porterebbe una migliore organizzazione del servizio sanitario e sarebbe perciò preferibile quanto meno per le detenute prive di stabili relazioni esterne, come sono gran parte delle detenute migranti. In particolare, solo strutture femminili di relativa grandezza consentirebbero quella maggiore specializzazione delle prestazioni mediche richieste da quella che è stata chiamata medicina di genere, aderente a talune caratteristiche della salute delle donne messe in evidenza, in questi ultimi anni, da studi e ricerche sulla specificità della salute femminile. Secondo questi studi l essere donna o uomo condiziona sia l insorgenza che il decorso delle malattie, e spesso dà luogo a sintomi e risposte ai farmaci molto diverse fra loro. Come è noto il corpo maschile metabolizza i farmaci in modo diverso da quello femminile e c è l ipotesi che il farmaco stesso possa agire in maniera differente su uomini e donne. Negli studi epidemiologici, negli studi clinici, le donne sono da sempre sottostimate. Per molto tempo si è pensato di poter
3 sperimentare un farmaco, realizzare una terapia, avendo presente come modello di rifermento un uomo medio del peso di settanta chili in base al paradigma testato sull uomo, valido per tutta la popolazione. Oggi, anche se persistono ancora delle diffidenze, questa prospettiva è sicuramente tramontata e si è compreso quanto sia rilevante che le cure mediche rivolte alle donne tengano conto della differenza di genere. In passato si pensava che la salute della donna fosse prevalentemente messa a rischio dalle patologie ginecologiche e riproduttive, mentre è ovviamente errato limitarsi a quella sfera. E quindi decisiva la specifica rilevanza associata alla differenza di genere in tutta la questione della salute delle donne in carcere. La salute della popolazione detenuta è infatti condizionata non solo dall età ma soprattutto dagli stili di vita, ovviamente differenti a seconda che si tratti di uomini o di donne. Si aggiunga che i detenuti ammalati non sono dei semplici pazienti: la loro condizione sociale, l esposizione per tanti anni ad una vita di trascuratezza delle più elementari dimensioni di cura, ne fanno dei soggetti bisognosi di particolare attenzione e di competenze specifiche da parte degli operatori. 3. Cosa è cambiato con il trasferimento definitivo nel 2008 al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni svolte dalla medicina penitenziaria in precedenza responsabilità del Ministero della Giustizia? Si parlò, allora, delle incognite della riforma. Oggi siamo in grado di fare un bilancio in ordine ai vantaggi e agli svantaggi prodotti dalla riforma. I vantaggi sono ovviamente determinati dalla maggiori risorse e dalle migliori strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Lo svantaggio, soprattutto per quanto riguarda le donne detenute, è stato in molti casi, e rischia
4 ancora di essere, la dispersione della specifica professionalità che i medici penitenziari avevano maturato all interno del servizio sanitario penitenziario. Nelle carceri, infatti, i medici si confrontano quotidianamente con patologie specifiche e con comportamenti difficilmente riscontrabili nella vita esterna: si pensi al ricorrente fenomeno dell autolesionismo, ai tentativi di suicidio - molto più frequenti tra la popolazione detenuta che tra quella libera - alla politossicodipendenza, al recente fenomeno, riscontrato già all ingresso in carcere, dell abuso o uso improprio di farmaci legali, soprattutto da parte di giovani donne. C è poi una questione specifica che riguarda i medici penitenziari inseriti nell Ordinamento penitenziario nello staff competente per i procedimenti disciplinari. Tale presenza può alterare il rapporto di fiducia medico-paziente che richiede la massima indipendenza e la netta separazione delle funzioni di sicurezza da quelle sanitarie. Sarebbe perciò opportuno ripensare l attuale articolo 40, che prevede la partecipazione del medico al consiglio di disciplina. 4. Problemi specifici sono infine sono generati dalla carenza di talune figure di specialisti. Sappiamo che la figura dello psicologo è ormai quasi del tutto scomparsa nelle carceri italiane. Il loro numero è esiguo, le prestazioni scarsamente pagate e il carico di lavoro per ognuno di essi molto pesante. Gli psicologi sono esperti, non dipendenti dal Ministero della Giustizia che lavorano a parcella, secondo convenzioni confermate di anno in anno. Lo psichiatra è invece presente in tutte le carceri e oggi il suo peso risulta rafforzato anche in previsione delle necessità determinate dalla chiusura degli Opg. Si tratta di una figura di
5 medico che può che può offrire come lo psicologo ascolto e sostegno ma anche che può prescrivere farmaci, con il rischio di una progressiva psichiatrizzazione anche del semplice disagio sociale. Tra le figure che non dovrebbero mai mancare in un carcere femminile oltre alla ginecologa vi è poi quella dell ostetrica, che possa svolgere un adeguata preparazione al parto e in generale di assistere le donne incinta. Infine sarebbe essenziale assicurare, come ormai esplicitamente richiesto da molte detenute, la presenza anche di medici donna in tutte le sezioni femminili. Argomento particolarmente spinoso è quello che riguarda i ricoveri ospedalieri e le visite specialistiche all esterno del carcere. I ricoveri sollevano il problema logistico del piantonamento in ospedale, che comporta almeno quattro turni di sorveglianza, con un minimo, ciascuno, di due agenti impegnati. Di qui la loro difficile e costosa organizzazione, a causa della carenza del personale di polizia penitenziaria già largamente utilizzato in numerose attività esterne. Tema fondamentale, in materia di salute penitenziaria, è infine quello della prevenzione che dovrebbe essere garantita non solo da pur benemeriti interventi sporadici ed eccezionali, ma da un presidio permanente all interno di ciascun carcere. In tema di prevenzione, peraltro, non può essere ignorato un argomento apparentemente banale ma assi spinoso: la questione del fumo. Si sa e molti medici lo hanno confermato che tra le motivazioni più importanti che sono all origine della resistenza e della indisponibilità dei detenuti, donne e uomini, ai ricoveri ospedalieri esterni c è quella, spesso sottaciuta, che in ospedale non è consentito fumare. Argomento delicatissimo perché urta la suscettibilità sia dei medici che del personale penitenziario,
6 soprattutto se fumatori. Stranamente la libertà di fumare è considerata uno dei pochi diritti di libertà che si possono esercitare all interno del carcere trascurando la libertà di non fumare, quasi un obbligo di subire il fumo passivo. E la previsione di stanze separate specificamente destinate ai fumatori comporterebbe un ulteriore complicazione nella difficile arte di assegnare a ciascuno il suo posto. Inserire anche questo criterio a quelli già innumerevoli riguardanti la sicurezza e altre esigenze, aggiungerebbe per gli operatori un nuovo lavoro. E nel quadro della prevenzione che si segnala infine una proposta che riguarda il difficile momento dell uscita: secondo alcuni medici è quello il momento in cui la salute della donna è più a rischio. Una volta fuori dal carcere non solo si riprendono le vecchie abitudini di vita, ma è più difficile curarsi e pensare a se stesse: sulle donne sembrano ricadere tutte le responsabilità familiari. Per chi è riuscita a curarsi ed è stata seguita nel corso della detenzione, sarebbe necessaria una immediata presa in carico da parte del Servizio Sanitario Nazionale anche attraverso il banale metodo della prenotazione di visite di controllo.
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