Il caso. Il social network quale strumento di diffusione dell espressione lesiva della reputazione



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Messaggi offensivi su Facebook: scatta la condanna al risarcimento del danno Tribunale Monza, sez. IV civile, sentenza 02.03.2010 n. 770 (Simone Marani) E tenuto al risarcimento del danno colui che lede la reputazione, l onore o il decoro di una persona mediante l invio di un messaggio per il tramite del social network Facebook. Lo ha deciso il Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, con la sentenza 2 marzo 2010, che segnaliamo per essere stata la prima, in Italia, a trattare di uno dei siti di condivisione più popolari al mondo. Il caso Tizia, portatrice di una particolare tipologia di strabismo, definita esotropia congenita, conosce Caio, tramite Facebook, con il quale incomincia una vera e propria relazione sentimentale. Il ragazzo, evidentemente assillato dalle continue e pressanti attenzioni della donna, decide di inviare a quest ultima, sempre mediante l utilizzo del social network in questione, un messaggio, ben visibile da altri utenti, con il quale, oltre ad intimarle di cessare ogni rapporto con il medesimo, non solo infieriva sull aspetto fisico della giovane, ma rendeva palesi determinati gusti sessuali di quest ultima, ledendo, in tal modo, la reputazione, l onore ed il decoro della ragazza. Per tale motivo, Caia decide di adire le vie legali, chiedendo al magistrato il risarcimento del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale, conseguente alla lesione subita. Il social network quale strumento di diffusione dell espressione lesiva della reputazione Facebook è, attualmente, di sicuro uno dei più noti social network ad accesso gratuito, sorto nel 2004 ad opera del giovane studente di Harvard Mark Zuckerberg, all interno del quale gli utenti possono creare dei propri profili personali contenenti fotografie, video, informazioni personali e liste di interessi, oppure scambiarsi messaggi, sia pubblici che privati, ed aderire a gruppi di amici. In altre parole, Facebook consente agli utenti di fruire di alcuni servizi tra i quali l invio e la ricezione di messaggi, fino alla possibilità di scrivere sulla bacheca di altri amici, decidendo di impostare diversi livelli di condivisione di tali informazioni. E evidente di come gli utenti del social network siano consapevoli del fatto che altre persone possano prendere visione delle informazioni scambiate in rete, anche indipendentemente dal loro consenso. E quello che accade mediante lo strumento del tagging, il quale permette al soggetto taggato di copiare fotografie, video e messaggi pubblicati all interno delle bacheche o profili altrui.

Come rilevato dal Tribunale di Monza, sebbene il sito offra ai soggetti iscritti grandi possibilità di relazionarsi con gli altri, molti sono i rischi delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi si inseriscono, contenuti il più delle volte sottratti alla disponibilità dell autore per effetto della procedura appena accennata. La soluzione accolta dalla giurisprudenza di merito L istituto del danno non patrimoniale è, probabilmente, quello che più di ogni altro, negli ultimi anni ha visto un progressivo innalzamento dell attenzione da parte della giurisprudenza, in particolare di legittimità. A tal proposito si ricorda come, secondo l orientamento tradizionale di tipo restrittivo, si rinvenisse la risarcibilità del danno non patrimoniale solo nei casi in cui il fatto costituisse reato, interpretando limitatamente il disposto dell art. 2059 c.c., il quale restringe la risarcibilità di tale voce di danno ai soli casi determinati dalla legge. Com è risaputo, la Corte Costituzionale, con la sentenza 30 giugno - 11 luglio 2003, n. 233 disattese tale impostazione, affermando il principio secondo il quale il risarcimento del danno non patrimoniale doveva essere concesso in caso di lesione di qualsiasi valore di rilievo costituzionale. Il danno non patrimoniale è sì risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, ma questi si dividono in due gruppi: a) le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (fatto illecito integrante reato); b) quelle in cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norma di legge, deve ammettersi sulla base di un interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato, in modo grave, un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge (Cass., Sez. Un., sentenza 16 febbraio 2009, n. 3677). Sul punto, il Tribunale di Monza, richiamando la recente giurisprudenza di legittimità, precisa come nell ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive tra i vari pregiudizi non patrimoniali un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata: sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento (Cass. Sez. Un., sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26975). Secondo il giudice territoriale, nella specie deve essere affermata la risarcibilità del danno morale soggettivo, quest ultimo inteso come transeunte turbamento dello stato d animo della vittima del fatto illecito, ovvero come insieme delle sofferenze inflitte alla danneggiata dall evento dannoso, del tutto indipendentemente dalla rilevanza penalistica del fatto. Rilevanza che, secondo il giudice, si potrebbe ravvisare nel fatto sussumibile nell ambito della previsione normativa di cui all art. 594 (ingiuria) e, soprattutto all art. 595 (diffamazione) c.p. alla luce del cennato carattere pubblico del contesto che ebbe ad ospitare il messaggio de quo, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione a seguito di tagging. (Altalex, 30 marzo 2010. Nota di Simone Marani)

facebook reputazione danno social network Simone Marani E risarcibile il danno non patrimoniale derivante da messaggio scritto su facebook idoneo a ledere reputazione e/o decoro e/o onore. (*) Riferimenti normativi: art. 2059 c.c.. NDR: la presenta sentenza si segnala per importanza, in quanto è la prima (in Italia) che si occupa direttamente del problema inerente i messaggi scritti da privati sul social network denominato facebook. (Fonte: Massimario.it - 12/2010. Cfr. nota di Simone Marani) facebook messaggio lesione dell onore risarcimento Tribunale di Monza Sezione IV Civile Sentenza 2 marzo 2010, n. 770 Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano TRIBUNALE DI MONZA Sezione IV Civile Il Tribunale di Monza, Sezione Quarta Civile, in persona del magistrato dott. PIERO CALABRO in funzione di Giudice Unico ha pronunziato la seguente

SENTENZA nella causa civile iscritta al RG n.4456/09, promossa con atto di citazione notificato in data 12.3.2009 da F. B., rappresentata e difesa dagli avvocati M.Costantin e R.Mandelli, presso lo studio dei quali in Meda largo Europa n.7 ha eletto domicilio...... PARTE ATTRICE contro T. P., rappresentato e difeso dagli avvocati S.Paganessi, G.Violini e C.Dehò, presso lo studio della quale in Monza via Magellano n.38 ha eletto domicilio... PARTE CONVENUTA Oggetto della causa : risarcimento danni da fatto illecito All udienza del 22.12.2009 i procuratori delle parti precisavano le CONCLUSIONI come da n.3 fogli vistati dal G.U. ed allegati al processo verbale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 12.3.2009 F. B. conveniva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, T. P. per sentirlo condannare all integrale risarcimento del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale sofferti in conseguenza della subìta lesione alla reputazione, all onore e al decoro cagionatale in data 1.10.2008 dal convenuto mediante l invio di un messaggio per il tramite del social network Facebook. Deduceva F. B.:

-che, conosciuto T. P. su Facebook, ebbe ad intraprendere con il medesimo una relazione sentimentale; -che, anche al termine di tale relazione, continuò a comunicare ed interagire con il convenuto e con i numerosi comuni amici del sito; -che, portatrice di una patologia (una forma di strabismo definita esotropia congenita ) ben nota a T. P., si vide inviare da quest ultimo tramite Facebook in data 1.10.2008 il seguente messaggio: Senti brutta troia strabica che nn sei altro T consiglio di smetterla. Nn voglio fare il cattivo sputtanandoti nella tua sfera sociale dove le persone t stimano (facebook, myspaces, ecc.).purtroppo nn siamo Tommy Vee o Filippo Nardi quindi nn appetibili sessualmente per te. T consiglio di caricare le foto ove la frangia nn t nasconde il litigio continuo dei tuoi occhi e nello stesso tempo il numero di un bravo psichiatra che può prescriverti al più presto possibile, pastigle rettali da cavallo con funzione antidepressiva (se t piaceva il dito nn mi immagino il farmaco). Con queste affermazioni, vere, chiedo di eclissarti e di smetterla di ossessionarmi come il tuo grande idolo e modello comportamentale Mentos! Ah Tutti i miei orgasmi erano finti =) ihoho ; -che tale messaggio, oltre ad infierire sul predetto difetto visivo (per il quale era solita nascondere l occhio sinistro con la capigliatura), aveva in modo grave leso la propria reputazione, il proprio onore e il proprio decoro; -che il conseguente pregiudizio morale o, comunque, non patrimoniale era suscettibile di essere liquidato nella misura di 26.000,00 ovvero in quella ritenuta di giustizia. T. P., costituitosi in giudizio, contestava l avversa domanda e ne chiedeva la reiezione. Eccepiva, in particolare, l assenza di prova della riconducibilità a sé, quale autore, del messaggio de quo e la sua riferibilità all attrice quale destinataria (non apparendo il suo nome sulla pubblicazione chat prodotta in atti). Invocava, in via subordinata, l esimente di cui all art.599 comma II CP e la ulteriore norma di cui all art. 1227 CC, avendo reagito al comportamento persecutorio tenuto da F. B. a seguito dell interruzione del rapporto sentimentale, decisa dallo stesso convenuto. Compiutamente trattato il processo e precisate le conclusioni, la causa era trattenuta per la decisione dal Tribunale in composizione monocratica ai sensi dell art.50ter CPC. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente controversia, di indubbia peculiarità, trae le proprie origini dal rapporto instaurato tra le odierne parti per il tramite del sito web denominato Facebook.

Trattasi, come è ormai notorio, di un c.d. social network ad accesso gratuito fondato nel 2004 da uno studente dell Università di Harvard al quale, a far tempo dal settembre 2006, può partecipare chiunque abbia compiuto dodici anni di età: peraltro, se scopo iniziale di Facebook era il mantenimento dei contatti tra studenti di università e scuole superiori di tutto il mondo, in soli pochi anni ha assunto i connotati di una vera e proprie rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet. Questi ultimi partecipano creando profili contenenti fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi (privati o pubblici) e aderendo ad un gruppo di c.d. amici : quest ultimo aspetto è rilevante, anche ai fini della presente decisione, in quanto la visione dei dati dettagliati del profilo di ogni singolo utente è di solito ristretta agli amici dallo stesso accettati. Facebook, come detto, include alcuni servizi tra i quali la possibilità per gli utenti di ricevere ed inviare messaggi e di scrivere sulla bacheca di altri utenti e consente di impostare l accesso ai vari contenuti del proprio profilo attraverso una serie di livelli via via più ristretti e /o restrittivi ( dal livello Tutti a quello intermedio Amici di amici ai soli Amici ) per di più in modo selettivo quanto ai contenuti o alle stesse categorie di informazioni inserite nel profilo medesimo. Quindi, agendo opportunamente sul livello e sulle impostazioni del proprio profilo, è possibile limitare l accesso e la diffusione dei propri contenuti, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo. E peraltro nota agli utenti di Facebook l eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso: trattasi dell attività di c.d. tagging (tradotta in lingua italiana con l uso del neologismo taggare ) che consente, ad esempio, di copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure email e conversazioni in chat, che di fatto sottrae questo materiale dalla disponibilità dell autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network. I gestori del sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati, declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativa (come dimostra, eloquentemente, una recentissima e dibattuta controversia giudiziaria riguardante il motore di ricerca Google ). In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di Facebook sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono : rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto. Il caso di specie è emblematico in tal senso.

Due giovani si conoscono e socializzano tramite Facebook e tra loro ha inizio una relazione da entrambi definita sentimentale, con sviluppi non lineari ed irreprensibili, descritti dal convenuto in modo minuzioso, pur se irrilevanti ai fini della presente decisione. In tale contesto si inserisce l invio da parte di T. P. di un messaggio a mezzo Facebook a F. B., datato 1.10.2008 e del seguente eloquentissimo tenore: Senti brutta troia strabica che nn sei altro T consiglio di smetterla. Nn voglio fare il cattivo sputtanandoti nella tua sfera sociale dove le persone t stimano (facebook, myspace, ecc.). Purtroppo nn siamo Tommy Vee o Filippo Nardi quindi nn appetibili sessualmente per te. T consiglio di caricare le foto ove la frangia nn t nasconde il litigio continuo dei tuoi occhi e nello stesso tempo il numero di un bravo psichiatra che può prescriverti al più presto possibile, pastigle rettali da cavallo con funzione antidepressiva (se t piaceva il dito nn mi immagino il farmaco). Con queste affermazioni, vere, chiedo di eclissarti e di smetterla di ossessionarmi come il tuo grande idolo e modello comportamentale Mentos! Ah Tutti i miei orgasmi erano finti =) ihoho. Trattasi, in tutta evidenza, di un messaggio denotante la conoscenza non solo della imperfezione fisica sofferta da F. B., ma anche e soprattutto di alcune sue presunte preferenze maschili e abitudini sessuali. Per di più, il messaggio presuppone precedenti conversazioni non gradite al mittente ( T consiglio di smetterla ) e che trovano riscontro nelle difese del convenuto, laddove ha lamentato il preteso comportamento persecutorio di parte attrice e la propria conseguente giustificata reazione. Difese che, ad onor del vero, si appalesano ictu oculi come contraddittorie nel momento in cui alla contestazione della provenienza del messaggio è poi soggiunta la non riferibilità a F. B. del suo contenuto. Immeritevoli di accoglienza appaiono, comunque, le generiche eccezioni svolte dal convenuto in relazione alla effettiva provenienza del messaggio de quo, posto che è ampiamente documentata dall attrice la partecipazione di T. P. alla discussione in chat messaggistica sul profilo di un comune amico Facebook (tale G. F.) a commento di una foto che li ritrae assieme, l inserimento di F. B. in tale conversazione web e la replica finale suggellata dal messaggio del quale oggi si discute (doc.2). Maggiormente dimostrativo della provenienza dal convenuto del messaggio in esame è l ulteriore scambio di messaggi avvenuto tra le parti in ora tarda (ore 22,37 attrice - ore 1,03 convenuto: doc.3), dal quale si evince anche la volontà di T. P. di rivendicare nuovamente il contenuto di quanto in precedenza scritto ( Se fosse stato per me il commento l avrei lasciato, ma il mio amico l ha voluto cancellare ) e di voler sin da allora individuare una possibile scappatoia nella pretesa non riferibilità all attrice delle gravi espressioni adottate ( Non vedo il tuo nome scritto nel commento pubblico della mia foto con i miei amici ). Quest ultima affermazione del convenuto è, di contro, dimostrativa del carattere pubblico delle offese arrecate: offese certamente riconducibili in modo immediato e diretto a F. B., non solo per la riferita forzata condivisione con i comuni amici Facebook delle abitudini di vita dell attrice e

dei suoi asseriti comportamenti vessatori (v. pag.4 comparsa di risposta), ma anche più semplicemente per la evidente circostanza che il messaggio ingiurioso è immediatamente successivo a quello inviato dalla stessa F. B. a commento della foto pubblicata dal comune amico Facebook G. F. (il quale, poi, a detta dello stesso convenuto ebbe a cancellare il messaggio de quo). La nota impossibilità di registrazione nel social network a nome di un utente già registrato (confermata anche in via documentale dall attrice: docc.4-5-6) e l assenza di formali denunzie del convenuto concernenti eventuali e non dimostrati furti d identità (anzi escludibili, alla luce dell utilizzazione del medesimo recapito email, in altre occasioni pubblicato: doc.7) consentono di affermare la provenienza del messaggio da T. P.. Se a ciò si aggiungono le ulteriori considerazioni già ampiamente svolte in relazione alle note caratteristiche di Facebook, ai suoi altrettanto notori e conosciuti limiti ed alla consapevole accettazione dei conseguenti rischi di una sua non corretta utilizzazione, non possono sussistere ragionevoli dubbi sulla affermazione di civile responsabilità del convenuto quanto agli effetti ed ai pregiudizi arrecati dal messaggio del giorno 1.10.2008 e dalla reale (e (ancor potenziale) sua diffusione. Dunque, T. P. dev essere condannato al risarcimento dei danni arrecati per tale via a F. B., dovendosi al riguardo escludere le invocate scriminanti o diminuenti di cui all art.599 c.ii CP ed all art. 1227 CC, certamente apparse incongrue anche in ossequio alla stessa prospettazione dei fatti offerta dalla difesa del convenuto. Relativamente al quantum debeatur, ribadito che parte attrice ha limitato le proprie richieste al risarcimento del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale sofferto quale diretta conseguenza della subìta lesione alla reputazione, all onore e al decoro cagionatale dal convenuto mediante l invio del messaggio oggetto di causa, appare utile brevemente in diritto premettere come, recentemente, la Suprema Corte abbia riaffermato l autonomia del danno morale rispetto alla più ampia categoria del danno non patrimoniale (Cass. 12.12.2008 n.29191), in apparente contrasto con le note decisioni adottate dalle Sezioni Unite (Cass.Sez.Un. 11.11.2008 numeri 26972 e 26975), che hanno negato valenza autonoma al danno morale, relegandolo al rango di sottocategoria del danno non patrimoniale. Peraltro, per quel che qui rileva, le Sezioni Unite avevano affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive -tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali- un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata: sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento. Nel caso di specie, avendo parte attrice invocato la liquidazione del danno morale soggettivo o, comunque, del danno non patrimoniale per tale via e in modo esclusivo individuato, le anzidette problematiche interpretative ben possono considerarsi irrilevanti, così come la stessa querelle riguardante la eccepita necessità di individuare, ai fini della liquidazione, una fattispecie di reato nell ambito delle vicende discusse in giudizio.

Come è noto, il danno non patrimoniale trae la propria specifica origine dall art.2059 CC, alla luce del quale simile pregiudizio deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge : tale possibilità risarcitoria sembrava dunque limitata alle sole ipotesi di reato, così come previsto dall art.185 CP. A seguito dell intervento della Corte Costituzionale (sent. 30.6.2003 n.233) può ormai dirsi del tutto superata questa interpretazione limitativa, di talchè ogni lesione di valori di rilievo costituzionale inerenti la persona comporta il ristoro del danno non patrimoniale sofferto. Qui va rimarcata la risarcibilità, attesi i limiti della domanda attrice, del solo danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento dello stato d animo della vittima del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica. Rilevanza che, peraltro, ben potrebbe essere ravvisata nel fatto dedotto in giudizio, concretamente sussumibile nell ambito della astratta previsione di cui all art.594 CP (ingiuria) ovvero in quella più grave di cui all art.595 CP (diffamazione) alla luce del cennato carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare il messaggio de quo, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione a seguito di tagging. Elemento, quest ultimo, idoneo ad ulteriormente qualificare la potenzialità lesiva del fatto illecito, in uno con i documentati problemi di natura fisica ed estetica sofferti da F. B. (doc.1). Alla luce di quanto accertato in fatto, della evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti (la reputazione, l onore, il decoro della vittima) e delle conseguenti indubbie sofferenze inferte all attrice dalla vicenda della quale si discute, in via di equità, può essere liquidata ai valori attuali, a titolo di danno morale ovvero non patrimoniale, la somma di 15.000,00. Le spese processuali seguono la soccombenza del convenuto e si liquidano come da dispositivo. La presente sentenza dev essere munita, ai sensi di legge, della clausola di provvisoria esecutività di cui all art. 282 C.P.C.. p.q.m. Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta con atto di citazione notificato il 12.3.2009 da F. B. nei confronti di T. P., così provvede: 1)condanna T. P. al pagamento, in favore di F. B., della somma di 15.000,00 oltre agli interessi legali dalla data del fatto al saldo;

2)lo condanna, altresì, al pagamento delle spese processuali in favore di parte attrice, liquidate nella misura di 4.400,58 (di cui 186,58 per esborsi, 1.214,00 per diritti ed 3.000,00 per onorari), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; 3)dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. MONZA, 2.3.2010 IL GIUDICE UNICO (dott. Piero Calabrò) ( da www.altalex.it )