CLASSIFICAZIONE DANNI



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In tema di illeciti civili nelle relazioni familiari, la giurisprudenza ha elaborato la figura del cd. danno endofamiliare o intrafamiliare, inteso come violazione del complesso dei doveri parentali e coniugali, sanzionato non soltanto con le misure tipiche previste dal diritto di famiglia (art. 143, 145, 146, 148, 155, 315, 138 c.c. e 570, 572 c.p.), ma anche con l obbligo del risarcimento dei danni non patrimoniali, sancito dall art. 2059 c.c. In proposito si segnalano le seguenti pronunce giurisprudenziali. Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 10 maggio 2005 Numero: n. 9801 Parti: S. C. B. Fonti: Dir. & Formazione 2005, 958, D&G - Dir. e giust. 2005, 22, 14 (nota di: DOSI) CLASSIFICAZIONE DANNI - Patrimoniali e non patrimoniali non patrimoniali (morali) TESTO Nell'ambito dell'art. 2059 c.c. trovavano collocazione e protezione tutte quelle situazioni soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona per fatti illeciti determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o specificamente tutelati da leggi speciali, non riguardando il rinvio recettizio dello stesso art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge le sole ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato, ma valendo esso ad assicurare la tutela anche alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo costituzionale di tali diritti il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla norma richiamata. Tra tali diritti, è da ricomprendere quello al rispetto della dignità e della personalità di ogni componente del nucleo familiare, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, coma da parte di un terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile. Cassazione civile sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 10 maggio 2005 Numero: n. 9801 CLASSIFICAZIONE DANNI - Patrimoniali e non patrimoniali in genere MATRIMONIO - Diritti e doveri dei coniugi in genere DANNI - Patrimoniali e non patrimoniali non patrimoniali (morali) DIVORZIO - Cause matrimonio non consumato Matrimonio - Diritti e doveri dei coniugi - Grave lesione dei diritti inviolabili del "partner" derivante da un comportamento non iure dell'altro coniuge - Tutela risarcitoria - Sussistenza - Ragioni e fondamento - Obbligo di lealtà e correttezza tra i futuri sposi nella fase precedente il matrimonio - Configurabilità - Conseguenze - Mancata informazione da parte del futuro marito della propria impotentia coeundi a causa di una malformazione, con compromissione del diritto alla sessualità del coniuge, della comunione materiale e spirituale e dei progetti di maternità - Danno ingiusto risarcibile - Sussistenza. INTESTAZIONE

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Alessandro CRISCUOLO - Presidente - Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Rel. Consigliere - Dott. Renato RORDORF - Consigliere - Dott. Aldo CECCHERINI - Consigliere - Dott. Luciano PANZANI - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 173, presso l'avvocato LILIANA TERRANOVA, rappresentata e difesa dall'avvocato ANTONINO CATALANO, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro B.S.; - intimato - e sul 2 ricorso n 21279/02 proposto da: B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VIGLIENA 2, presso l'avvocato ANTONIO IELO, rappresentato e difeso dall'avvocato SERGIO CONIGLIARO, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro S.C.; - intimata - avverso la sentenza n. 555/01 della Corte d'appello di PALERMO, depositata il 19/06/01; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/04/2005 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione; per l'assorbimento o il rigetto del ricorso incidentale. FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 4 marzo - 21 aprile 1998 il Tribunale di Palermo rigettava la domanda con la quale C.S. dopo aver ottenuto dall' autorità eccelsiastica la dispensa dal matrimonio contratto con S.B. e dallo stesso Tribunale la sentenza di divorzio per inconsumazione, aveva chiesto che l'ex coniuge fosse condannato al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito a causa della sua condotta illecita e contraria ai canoni di lealtà, correttezza e buona fede, per non averla informata prima delle nozze delle sue condizioni fisico-psichiche o della sua incapacità coeundi, e per aver omesso dopo il matrimonio, onde evitare che le sue condizioni di salute fossero conosciute da terzi, di sottoporsi alle opportune cure. Proposto appello dalla S. ed appello incidentale dal B. in ordine alla disposta compensazione delle spese, con sentenza del 2 maggio - 19 giugno 2001 la Corte di Appello di Palermo rigettava entrambe le impugnazioni e compensava le spese del grado. Osservava in motivazione la Corte territoriale, quanto alla condotta posta in essere precedentemente alle nozze, che il dovere di informazione asseritamente violato presupponeva la consapevolezza da parte del B. della sua malformazione; che tale circostanza poteva ritenersi acquisita in giudizio; che il predetto aveva volontariamente disatteso l'obbligo di comunicare alla fidanzata i suoi problemi sessuali; che parimenti certo era che la S. non avrebbe contratto le nozze se fosse stata di essi informata; che tuttavia, trovando il danno ingiusto dedotto la propria fonte nella celebrazione di un matrimonio infelice, tale evento non

poteva che essere disciplinato dai corrispondenti istituti del diritto di famiglia, non residuando margini per l'applicazione della norma generale di cui all'art. 2043 c.c. Osservava in particolare che il mancato assolvimento del debito coniugale da parte del marito, determinato da causa patologica, non costituiva in sé fatto doloso o colposo al quale collegare la lesione dell' interesse della S. a vedersi realizzata come donna, come moglie e come possibile madre, essendo stata in realtà tale aspirazione frustrata dalla malattia del marito, al medesimo non addebitabile; né detta aspirazione avrebbe potuto realizzarsi ove ella avesse saputo preventivamente della malformazione del futuro coniuge. E pertanto l'unico evento suscettibile di essere evitato ove il promesso sposo avesse informato la fidanzata sarebbe stato il matrimonio stesso, ma tale evenienza era emendabile solo mediante annullamento per errore essenziale sulle qualità personali o con il divorzio per mancata consumazione, conseguito appunto nella specie. Aggiungeva che a diversa soluzione avrebbe potuto pervenirsi se la S. avesse esercitato, nel prescritto termine annuale, l'azione di nullità del matrimonio, sanzionando gli artt. 129 bis e 139 c.c. la reticenza del coniuge cui sia addebitabile la nullità. Rilevava infine, in relazione alla successiva condotta del B. oggetto di denuncia, che il mancato ricorso a cure specialistiche non si configurava come illecito civile, non solo perché in qualche misura il predetto aveva cercato di farsi curare, quanto perché l'esercizio del diritto sancito dall' art. 32 Cost., in base al quale nessuno può essere obbligato a sottoporsi a trattamento sanitario, non può valutarsi come fonte di responsabilità aquiliana, ed anzi ha carattere preminente rispetto al dovere della traditio corporis nascente dal matrimonio. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S. deducendo sei motivi. Il B. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE Va innanzi tutto disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell' art. 335 c.p.c. Con il primo motivo del proprio ricorso la S. denunciando erronea e falsa applicazione degli artt. 122 e 129 bis c.c., violazione dell' art. 2043 c.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.c., omissione e/o insufficienza di motivazione, sostiene che la sentenza impugnata ha erroneamente scisso la condotta del B. prospettata come fonte di responsabilità civile in due distinte frazioni, relative al periodo precedente e a quello successivo al matrimonio, traendo da tale scissione altrettanto erronee conseguenze, atteso che con l'azione proposta era stato dedotto un unico comportamento illecito e l'ingiustizia dei danni dallo stesso derivati. Più in particolare, richiamato il principio secondo il quale solo l'impotenza perpetua costituisce causa di nullità del matrimonio, osserva la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe dovuto accertare, a fronte delle contestazioni del B. ed in accoglimento di istanza dell' appellante, se l'impotenza denunciata avesse natura permanente o fosse emendabile con le opportune cure e se nel procedimento dinanzi all' autorità ecclesiastica, che aveva concesso la dispensa super rato, fosse emerso che l'inconsumazione era riferibile ad impotenza perpetua del coniuge. Con il secondo motivo si deduce che la sentenza impugnata, nell' affermare che la S. disponeva dell' alternativa di chiedere l'annullamento del matrimonio, beneficiando dei contributi economici previsti dalla relativa disciplina, o ottenere il divorzio, con esclusione di ogni pretesa risarcitoria, stante la possibilità di ottenere l'assegno divorzile, ha disatteso la consolidata giurisprudenza che attribuisce a detto assegno funzione assistenziale, e non risarcitoria, ed ha violato i principi elaborati in sede di legittimità circa la risarcibilità del danno ingiusto. Con il terzo motivo, denunciando erronea e falsa applicazione degli artt. 122 e 129 bis c.c., violazione dell' art. 2043 c.c., si sostiene che la sentenza impugnata non ha spiegato la ragione per la quale l'azione risarcitoria sarebbe incompatibile con la pretesa indennitaria a tutela del coniuge di buona fede prevista dall' art. 129 bis c.c. nel caso di annullamento del matrimonio.

Con il quarto motivo, denunciando violazione dell' art. 143 c.c. in relazione agli artt. 2 e 29 Cost., erronea applicazione dell' art. 32 Cost., si deduce, in relazione alla condotta tenuta dal B. durante la vita matrimoniale, che la libertà costituzionalmente garantita a ciascuno di non sottoporsi a trattamenti sanitari non può essere causa di conseguenze pregiudizievoli nei confronti di altri soggetti, e che pertanto detta libertà non escludeva che egli potesse sottoporsi spontaneamente alle opportune cure, nel rispetto dell' altro principio costituzionale di cui all' art. 29 Cost. Con il quinto motivo, denunciando violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2043 c.c., si osserva che l'affermazione della sentenza impugnata secondo la quale il mancato assolvimento del debito coniugale non era imputabile al B. è priva di riscontri obiettivi, essendo stata preclusa all' attrice la possibilità di fornire le prove al riguardo dedotte e disattesa la sua richiesta di consulenza tecnica, dalla quale avrebbe potuto risultare l'esistenza di una patologia emendabile, e quindi la colpa del coniuge nel sottrarsi alle cure necessarie. Con l'ultimo motivo, denunciando violazione degli artt. 2043 e 143 c.c., 2 e 29 Cost., si sostiene che, una volta ritenuto il comportamento colpevole del B. per non aver informato la fidanzata dei propri problemi sessuali, avrebbe dovuto ravvisarsi la lesione di un interesse giuridicamente rilevante della medesima, suscettibile di ristoro in forza della clausola generale di cui all' art. 2043 c.c., sulla base dei principi elaborati in materia di responsabilità aquiliana dalla più recente giurisprudenza di legittimità. In applicazione di tali principi, e tenuto conto che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio può essere causa di danno ingiusto, fonte di responsabilità risarcitoria, avrebbe dovuto procedersi ad una comparazione degli interessi in conflitto al fine di accertare se il sacrificio dell' interesse del soggetto danneggiato trovasse o meno giustificazione nella realizzazione di un contrapposto interesse dell' autore della condotta, in ragione della sua prevalenza. I motivi così sintetizzati vanno esaminati congiuntamente, in quanto investono sotto diversi profili la complessa problematica relativa alla configurabilità di una responsabilità aquiliana nell' ambito dei rapporti coniugali e familiari, sulla quale questa Suprema Corte ha fornito non numerose e non univoche risposte, ed anche la dottrina specialistica è approdata a conclusioni differenziate. Nella risalente sentenza n. 2468 del 1975 la soluzione positiva della questione appare quasi scontata, lì dove si afferma non potersi escludere a priori che l'adulterio, nel particolare ambiente in cui vivono i coniugi, sia causa di tanto discredito da costituire per l'altro coniuge fonte di danno, a carattere patrimoniale, nella vita di relazione, e che pertanto la violazione da parte di un coniuge dell' obbligo di fedeltà, a prescindere dalle conseguenze sui rapporti di natura personale, possa determinare, in concorso di particolari circostanze, un obbligo risarcitorio in favore del coniuge danneggiato. A diversa soluzione sono pervenute le due sentenze n. 3367 e n. 4108 del 1993, la prima delle quali ha affermato che nel caso di addebito della separazione la tutela risarcitoria di cui all' art. 2043 c.c. non può essere invocata per la mancanza di un danno ingiusto, non integrando l'addebito della separazione la violazione di un diritto dell' altro coniuge, mentre la seconda ha osservato che dalla separazione personale dei coniugi può nascere, sul piano economico, soltanto il diritto all' assegno di mantenimento, sempre che ne sussistano i presupposti di legge, e che tale diritto esclude la possibilità di chiedere anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo subiti a causa della separazione imputabile all' altro coniuge, costituendo la separazione personale un diritto attinente alla libertà della persona ed avendo il legislatore specificamente, e quindi esaustivamente previsto le sue conseguenze all' interno della disciplina del diritto di famiglia. Da tale orientamento, che chiaramente si fonda sul convincimento che le regole che disciplinano la materia familiare costituiscano un sistema chiuso e completo, a sua volta si è discostata la successiva sentenza n. 5866 del 1995, la quale, pur affermando che l'addebito della separazione non costituisce di per sé fonte di responsabilità extracontrattuale, ha

ammesso in linea teorica la risarcibilità del danno, oltre l'eventuale diritto all' assegno, ove i fatti che hanno dato luogo all' addebito integrino gli estremi dell' illecito ipotizzato dall' art. 2043 c.c. Va infine richiamata la più recente sentenza di questa sezione n. 7713 del 2000, relativa alla diversa pretesa risarcitoria di un figlio nei confronti di un genitore, riconosciuto tale a seguito di dichiarazione giudiziale di paternità, che per anni gli aveva rifiutato i mezzi di sussistenza, secondo la quale siffatta condotta dà luogo ad una lesione in sé di fondamentali diritti della persona inerenti alla qualità di figlio e di minore, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, e conseguentemente può costituire fonte di responsabilità risarcitoria, indipendentemente dalla esistenza di perdite patrimoniali del danneggiato: si è osservato in tale decisione che una lettura costituzionalmente orientata dell' art. 2043 c.c. impone di ritenere che tale disposizione sia diretta a compensare il sacrificio che detti valori subiscono a causa dell' illecito, così che la norma stessa, correlata agli artt. 2 e ss. Cost., deve necessariamente intendersi come comprensiva del risarcimento di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la lesione possa comportare. In tale direzione sembra muoversi la giurisprudenza di merito, sempre più incline a ravvisare una responsabilità risarcitoria per violazione degli obblighi familiari. Come appare evidente, la problematica si innesta in quella più ampia relativa alla risarcibilità della lesione di diritti fondamentali della persona, oggetto di ampia elaborazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, nel solco tracciato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986, che nel dichiarare infondata la questione di costituzionalità dell' art. 2059 c.c. - proposta, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 Cost., sotto il profilo che esso prevederebbe la risarcibilità del danno per lesione del diritto alla salute solo in conseguenza di un reato - ebbe ad affermare che la norma scrutinata riguarda soltanto i danni morali soggettivi, mentre il pregiudizio ai diritti fondamentali della persona, come il decoro, il prestigio, la dignità e la salute, deve trovare indefettibile ristoro, in applicazione dell' art. 2043 c.c., al di là dei limiti previsti per il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da reato. È altresì noto che il più recente orientamento di questa Suprema Corte, del quale le sentenze n. 8827 e 8828 del 2003 costituiscono fondamentali arresti, si esprime nel senso che nel sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale l'art. 2059 c.c. riveste una funzione non più sanzionatoria, ma tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale, così che l'astratta previsione normativa deve intendersi come comprensiva di ogni danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione dei valori della persona, e dunque sia del danno morale soggettivo, consistente nella mera sofferenza psichica e nel patema d'animo, sia del danno biologico in senso stretto, configurabile in presenza di lesioni all' integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica (art. 32 Cost.), sia del danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale relativi alla persona. In tale prospettiva, nell' ambito dell' art. 2059 c.c. trovano collocazione e protezione tutte quelle situazioni soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona, per fatti illeciti determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o specificamente tutelati da leggi speciali: ciò vale a dire che il rinvio recettizio dell' art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge non riguarda le sole ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato, ma vale ad assicurare la tutela anche alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo costituzionale di tali diritti il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla norma richiamata. Tale impostazione ha ricevuto l'avallo della Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 2003, che, investita ancora una volta della questione di incostituzionalità dell' art. 2059 c.c., ha affermato essere ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall' art. 2059 c.c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale

soggettivo, ed ha dato espressamente atto che le sentenze n. 8827 e 8828 del 2003 della Corte di Cassazione hanno l'indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona. Sul principio che il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche in quelli di lesione di valori della persona costituzionalmente protetti, non potendo il legislatore ordinario rifiutare, per la forza implicita nell' inviolabilità di detti diritti, la riparazione mediante indennizzo, che costituisce la forma minima ed essenziale di tutela, la giurisprudenza di questa Suprema Corte è ormai saldamente attestata (v. in tal senso, tra le altre, Cass. 2003 n. 16716; 2003 n. 17429; 2003 n. 19057; 2004 n. 10482; 2004 n. 14488). Sulla base di tale impostazione, cui il Collegio intende dare continuità, assume rilievo essenziale, non solo in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale, ma anche, e prima ancora, ai fini della esperibilità dell' azione di responsabilità, l'indagine se il diritto oggetto di lesione sia riconducibile a quelli meritevoli di tutela secondo il parametro costituzionale. Né può fondatamente ritenersi che una disamina siffatta non abbia ragione di essere svolta nella fattispecie in esame, non trovando spazio applicativo il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria per violazione di diritti fondamentali all' interno dell' istituto familiare, in ragione di una presunta completezza della relativa disciplina, tale da imporre di reperire unicamente al suo interno la regolamentazione dei rapporti familiari, anche in contrasto con le norme di altri rami del diritto o con i principi generali dell' ordinamento. Costituisce acquisizione da tempo condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina che nel sistema delineato dal legislatore del 1975 il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, è stato superato da quello di famiglia-comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato, ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura ora come il luogo di incontro e di vita comune dei suoi membri, tra i quali si stabiliscono relazioni di affetto e di solidarietà riferibili a ciascuno di essi. Come si è osservato da alcuni Autori, di tale processo di valorizzazione della sfera individuale dei singoli componenti del nucleo costituisce emblematica espressione la recente legge n. 154 del 2001 sulla violenza familiare, che prevede l'allontanamento per ordine del giudice dalla casa familiare dell' autore della violenza, nell' implicita attribuzione di prevalenza alla tutela della persona che ne sia stata vittima rispetto alle ragioni dell' unità della famiglia. L'art. 29 Cost., se da un lato giustifica l'articolata previsione di diritti ed obblighi derivanti dal matrimonio, dall' altro lato garantisce una eguaglianza fondata sui vincoli della responsabilità e della solidarietà: il principio di eguaglianza tra i coniugi costituisce mera specificazione del principio generale di eguaglianza dettato dall' art. 3 Cost., e comporta il riconoscimento di uguali responsabilità dei coniugi nello svolgimento dei rapporti familiari e pari diritti di sviluppo e di arricchimento della loro personalità sia all' interno del nucleo che nella vita di relazione. La famiglia si configura quindi non già come un luogo di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili, ma come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell' ambito della quali i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell' art. 2 Cost., che nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell' uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa. E pertanto il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all' interno di un contesto familiare.

È noto peraltro che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono soltanto di carattere morale, ma hanno natura giuridica, come può desumersi dal reiterato riferimento contenuto nell' art. 143 c.c. alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto, dall' espresso riconoscimento nell' art. 160 c.c. della loro inderogabilità, dalle conseguenze che l'ordinamento giuridico fa derivare dalla loro violazione, onde è certamente ravvisabile un diritto soggettivo di un coniuge nei confronti dell' altro a comportamenti conformi a detti obblighi (v. sul punto Cass. 2000 n. 7859, che ha qualificato l'obbligo di fedeltà coniugale regola di condotta imperativa). Né potrebbe sostenersi, seguendo la richiamata impostazione volta ad esaltare la specificità e completezza del diritto di famiglia, che la violazione di obblighi siffatti trovi la propria sanzione nelle misure tipiche in esso previste, quali la stessa separazione o il divorzio, l'addebito della separazione, con i suoi riflessi in tema di perdita del diritto all' assegno e dei diritti successori, la sospensione del diritto all' assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare ai sensi dell' art. 146 c.c., l'assegno di divorzio. È invero agevole osservare che la separazione e il divorzio costituiscono strumenti accordati dall' ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo; che la circostanza che il comportamento di un coniuge costituisca causa della separazione o del divorzio non esclude che esso possa integrare gli estremi di un illecito civile; che l'assegno di separazione e di divorzio hanno funzione assistenziale, e non risarcitoria; che la perdita del diritto all' assegno di separazione a causa dell' addebito può trovare applicazione soltanto in via eventuale, in quanto colpisce solo il coniuge che ne avrebbe diritto, e non quello che deve corrisponderlo, e non opera quando il soggetto responsabile non sia titolare di mezzi. La natura, la funzione ed i limiti di ciascuno degli istituti innanzi richiamati rendono evidente che essi non sono strutturalmente incompatibili con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale la concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di responsabilità aquiliana. Appare peraltro opportuno precisare che non vengono qui in rilievo i comportamenti di minima efficacia lesiva, suscettibili di trovare composizione all' interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona. Deve pertanto escludersi che la mera violazione dei doveri matrimoniali o anche la pronuncia di addebito della separazione possano di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria; così come deve affermarsi la necessità che sia accertato in giudizio il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto della lesione, nonché il nesso eziologico tra il fatto aggressivo ed il danno. L'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo - un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, che si sostanzia anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente le proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto. Applicando i richiamati principi alla fattispecie in esame, osserva la Corte che il diritto del quale la ricorrente assume la lesione assurge certamente al rango di diritto fondamentale della persona. È qui in discussione il diritto alla sessualità, che la dottrina costituzionalistica degli anni ottanta annoverava tra i nuovi diritti, e che certamente si sostanzia in una posizione soggettiva tutelata dalla Costituzione. Va al riguardo richiamata la sentenza n. 561 del 1987 della Corte Costituzionale, la quale affermò che la sessualità costituisce uno degli essenziali

modi di espressione della persona umana, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire. Soccorre ancora la sentenza n. 6607 del 1986 di questa Suprema Corte, che nell' esaminare la pretesa risarcitoria di un coniuge nei confronti del terzo che aveva cagionato alla moglie l'impossibilità di rapporti, qualificò il diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l'altro coniuge come un diritto inerente alla persona, che ha per contenuto un modo di essere, un aspetto dello svolgimento della persona di ciascun coniuge nell' ambito della famiglia, e precisò che la sua lesione è di per sé risarcibile, quale danno che non è né patrimoniale, né non patrimoniale, ma comunque rientra nella previsione dell' art. 2043 c.c. Viene ancora in discussione il diritto alla sessualità nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità del matrimonio. Viene insomma in rilievo una violazione della persona umana intesa nella sua totalità, nella sua libertà - dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell' ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. Né può validamente sostenersi che il mancato ricorso da parte della S. alla tutela concessa dall' art. 129 bis c.c. al coniuge di buona fede, per avere la medesima optato per la domanda di divorzio piuttosto che per l'azione di impugnazione del matrimonio ai sensi dell' art. 122 c.c., le precluda di avvalersi di uno strumento di tutela che le spetta nei confronti di tutti i consociati: ed invero l'indennità prevista dall' art. 129 bis c.c. - della quale è generalmente affermata la natura risarcitoria (v. sul punto Cass. 1990 n. 8703), pur non disgiunta da profili a carattere sanzionatorio, in quanto spettante anche in difetto di prova del danno sofferto e facente carico al coniuge in mala fede - costituisce misura specifica, conseguente alla pronuncia di nullità del vincolo, che per la sua precisa funzione ed il suo limitato ambito di applicazione non si pone in termini di esclusione rispetto alla responsabilità generale conseguente all' attentato ad un valore dotato di tutela costituzionale. La Corte di Appello ha ritenuto come acquisito in giudizio che il B. fosse pienamente consapevole prima del matrimonio della sua malformazione: tale apprezzamento in fatto non è ovviamente censurabile in questa sede. Altrettanto incensurabile è l'ulteriore affermazione della stessa Corte che la S. non avrebbe contratto matrimonio ove fosse stata edotta dei problemi sessuali che affliggevano il fidanzato. La Corte territoriale ha peraltro ritenuto, sulla base di una inaccettabile scissione tra omessa informazione alla fidanzata da parte del B. circa la sua condizione fisica e mancato assolvimento dell' obbligo coniugale, che non fosse ravvisabile un illecito per non essere il medesimo responsabile di tale mancato assolvimento: in tale percorso argomentativo si annida chiaramente un errore di prospettiva, in quanto non si considera che è appunto l'omessa informazione ad integrare l'illecito, quale fatto violativo dell' obbligo di lealtà innanzi richiamato, tale da indurre la S. - secondo l'accertamento compiuto dalla stessa Corte - ad un matrimonio che ove informata non avrebbe contratto, e che era destinato a sfociare nella dispensa e quindi nello scioglimento in sede civile. Non appare per contro meritevole di censure la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato i profili dell' illecito nel rifiuto del B. di sottoporsi alle opportune cure mediche, atteso che il necessario bilanciamento del diritto della S. con quello costituzionalmente tutelato di disporre liberamente del proprio corpo, sancito dall' art. 32 Cost., non consente di attribuire prevalenza al primo di essi. L'accertamento, nei limiti innanzi precisati, della lesione del diritto fondamentale della S. a realizzarsi pienamente nella famiglia e nella società come donna, come moglie ed

eventualmente come madre vale a qualificare il danno subito in termini di ingiustizia, mentre restano da accertare le conseguenze pregiudizievoli alla medesima derivate sia sotto il profilo del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale. Resta invero onere dell' attrice provare l'entità del nocumento recato dall' illecito, salvo ovviamente l'intervento suppletivo del giudice ove i danni subiti non possano essere provati nel loro preciso ammontare. In tali limiti va accolto il ricorso principale. Il ricorso incidentale del B. diretto a censurare la sentenza impugnata per aver disposto la compensazione delle spese del grado e confermato la compensazione di quelle dinanzi al Tribunale, resta logicamente assorbito. La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa in altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che si atterrà ai principi di diritto innanzi espressi, procederà all' espletamento della attività istruttoria richiesta dalle parti ai fini della prova del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dall' illecito e pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 18 aprile 2005. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 MAG. 2005 NOTE REDAZIONALI - Non si rinvengono precedenti in termini. CONFORMI E DIFFORMI Non si rinvengono precedenti in termini. Cassazione civile sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 15 settembre 2011 Numero: n. 18853 Parti: G.M. C. G.P. Fonti: Diritto & Giustizia 2011, 16 settembre, Guida al diritto 2011, 42, 12 (s.m.) (nota di: FIORINI), Giust. civ. Mass. 2011, 9, 1296, Dir. famiglia 2012, 1, 159 (s.m.) (nota di: GIACOBBE; CICERO, DI FRANCO), Giust. civ. 2012, 2, I, 375, Vita not. 2012, 1, 250 CLASSIFICAZIONE DANNI - Patrimoniali e non patrimoniali - non patrimoniali (morali) MATRIMONIO - Diritti e doveri dei coniugi - in genere TESTO I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti danni (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha riconosciuto un risarcimento in favore della moglie che aveva dovuto subire le sofferenze per la relazione extraconiugale del marito, ampiamente pubblica e quindi particolarmente frustrante).

CONFORMI E DIFFORMI (1) Non si rinvengono precedenti in termini. NOTE GIURISPRUDENZIALI Giust. civ. 2012, 02, 0375 (Principio enunciato a norma dell'art. 384 c.p.c). Cassazione civile sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853 Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 15 settembre 2011 Numero: n. 18853 CLASSIFICAZIONE MATRIMONIO - Diritti e doveri dei coniugi - in genere DANNI - Patrimoniali e non patrimoniali - non patrimoniali (morali) INTESTAZIONE LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente - Dott. FELICETTI Francesco - rel. Consigliere - Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere - Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere - Dott. SCALDAFERRI Andrea - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 19358/2007 proposto da: G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA F. MOROSINI 12, presso l'avvocato DE MARCHI ANDREA, rappresentata e difesa dagli avvocati GEMMA Maria, PALEOLOGO ELIO, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro GH.PA. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso l'avvocato CONTALDI Mario, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FERRARI GIAMPAOLO, giusta procura a margine del controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 547/2006 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 20/05/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI; udito, per la ricorrente, l'avvocato GEMMA M. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per il controricorrente, l'avvocato RICCI ROMANO, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso. FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sig.ra G.M. con citazione del 22 giugno 2001 convenne dinanzi al tribunale di Savona il marito Gh.Pa. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni (biologico ed esistenziale) causatile dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e, in particolare, dell'obbligo di

fedeltà, avvenuta con modalità per lei particolarmente frustranti, stante la notorietà della relazione da lui intrattenuta con altra donna, anch'essa sposata. Il convenuto si costituì chiedendo che la domanda fosse dichiarata inammissibile, trovando la violazione dei doveri coniugali tutela unicamente attraverso il procedimento di separazione personale, e comunque infondata. Istruita la causa anche con CTU sulle condizioni di salute dell'attrice, il tribunale respinse la domanda. L'attrice propose appello e il convenuto propose appello incidentale relativamente alla compensazione delle spese di primo grado. La Corte d'appello di Genova, con sentenza depositata il 20 maggio 2006, rigettò entrambi gli appelli. Avverso tale sentenza la sig.ra G. ha proposto ricorso per cassazione, con atto notificato il 29 giugno 2007 alla controparte, formulando due motivi, ai quali il sig. Gh. resiste con controricorso notificato il 4 settembre 2007. Entrambe le parti hanno depositato memorie. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE 1. All'esame dei motivi va premessa la reiezione delle eccezioni d'inammissibilità del ricorso nel suo insieme prospettate dal controricorrente risultando, contrariamente a quanto dedotto con esse, il ricorso autosufficiente, essendo chiaramente indicate nei motivi le ragioni della decisione impugnata che s'intendono censurare ed i necessari riferimenti agli atti del processo, mentre del tutto irrilevanti ai fini della eccepita inammissibilità è la citazione (in memoria) di sentenze di merito (di alcuni tribunali) conformi alla decisione impugnata. 2.1. Con il primo motivo si denuncia insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si deduce al riguardo che la Corte di appello, dopo avere affermato di condividere la tesi secondo la quale le regole che disciplinano la materia familiare non costituiscono un sistema chiuso, che impedisca alla violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio di comportare l'applicabilità delle norme generali in tema di responsabilità aquiliana, ha poi affermato che nel caso di specie mancherebbe il presupposto per il diritto al risarcimento. Tale mancanza emergerebbe dall'avere la ricorrente "in un primo tempo proposto domanda di separazione con addebito, successivamente abbandonando la procedura per addivenire alla separazione consensuale". Secondo la ricorrente detta motivazione sarebbe incongrua, non comprendendosi in che cosa consista quel "presupposto", nè perchè mancherebbe la prova di esso. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2043-2059 - 151 cod. civ.). Si deduce al riguardo che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere non risarcibile il danno ove non vi sia, come nella specie, una pronuncia di addebito in sede di separazione. Il diritto al risarcimento, infatti, trova fondamento nel caso di specie nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto e sarebbe indipendente dalla pronuncia di addebito in sede di separazione personale. Avrebbe pertanto errato la Corte d'appello nel ritenere che l'abbandono della domanda di addebito presupporrebbe la volontà, da parte dei coniugi, di non accertare la causa della crisi coniugale, "così erroneamente trasponendo in un giudizio risarcitorio le regole e i limiti specificamente, ad altro fine, dettati dall'art. 151 cod. civ.". Regole e limiti validi per la pronuncia di separazione con addebito e comportanti il divieto di mutamento del titolo, ma non la proponibilità di una domanda di risarcimento, come quella proposta dalla ricorrente. L'addebito, infatti, comporta conseguenze del tutto peculiari e limitate, e in certi casi può essere anche privo di conseguenze pratiche, come lo sarebbe stato nel caso di specie per la ricorrente la quale, rinunciando al giudizio di separazione, non aveva espresso alcuna rinuncia al diritto al risarcimento dei danni. L'azione di risarcimento pertanto, secondo la ricorrente, era comunque esercitabile, in relazione ad una condotta dell'altro coniuge posta in essere nella consapevolezza della sua attitudine a recarle pregiudizio, in quanto contraria ai doveri nascenti dal matrimonio e

produttiva di un danno ingiusto. Ciò troverebbe conferma sia nei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 9801 del 2005, circa la concorrente rilevanza di determinati comportamenti sia ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti statuizioni di natura patrimoniale, sia quale fatto generatore di responsabilità aquiliana; sia nella dottrina la quale ha evidenziato la frequente sussistenza, nella disciplina codicistica e della legislazione speciale, di tutele concorrenti con l'azione risarcitoria. Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Posto che la ricorrente ha proposto domanda giudiziale nei confronti del coniuge al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dei di lui comportamenti violativi dei doveri nascenti dal matrimonio e lesivi di diritti assoluti e costituzionalmente protetti (salute, immagine, riservatezza, relazioni sociali, dignità del coniuge, ecc.) affermi la Corte il principio che la mancanza di addebito in sede di separazione per mutuo consenso non è preclusiva di separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti". 2.2. Deve premettersi che la "ratio" della decisione impugnata va ravvisata nella statuizione in essa contenuta secondo la quale la domanda di risarcimento proposta in relazione alla violazione di un dovere nascente dal matrimonio "non può trovare accoglimento" in mancanza della pronuncia di addebito in sede di giudizio di separazione. In relazione a tale "ratio" va esaminato con precedenza il secondo motivo. 2.3. In proposito deve muoversi dai principi già affermati da questa Corte nella sentenza 10 maggio 2005, n. 9801, ai quali la stessa sentenza impugnata si richiama condividendoli. Secondo quella sentenza i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento contenuto nell'art. 143 cod. civ., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e dall'espresso riconoscimento nell'art. 160 cod. civ., della loro inderogabilità, nonchè dalle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione, cosicchè deve ritenersi che l'interesse di ciascun coniuge nei confronti dell'altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo. Ne deriva che la violazione di quei doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quali la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare ai sensi dell'art. 146 cod. civ., l'addebito della separazione, con i suoi riflessi in tema di perdita del diritto all'assegno e dei diritti successori, il divorzio e il relativo assegno, con gl'istituti connessi. Discende infatti dalla natura giuridica degli obblighi su detti che il comportamento di un coniuge non soltanto può costituire causa di separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile. In proposito si è rilevato che la separazione e il divorzio costituiscono strumenti accordati dall'ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo; che l'assegno di separazione e di divorzio hanno funzione assistenziale e non risarcitoria; che la perdita del diritto all'assegno di separazione a causa dell'addebito può trovare applicazione soltanto in via eventuale, in quanto colpisce solo il coniuge che ne avrebbe diritto e non quello che deve corrisponderlo. La natura, la funzione ed i limiti di ciascuno dei su detti istituti rendono evidente che essi sono strutturalmente compatibili con la tutela generale dei diritti, tanto più se costituzionalmente garantiti, non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale la concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di responsabilità aquiliana. Anche nell'ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono infatti tali, cosicchè la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di

responsabilità civile. Fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sè ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 cod. civ., riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai quali è stata formulata la domanda dell'odierna ricorrente. 2.4. Dovrà pertanto considerarsi al riguardo - in conformità da quanto statuito in detta sentenza delle Sezioni Unite - che l'art. 2059 cod. civ., non prevede un'autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all'art. 2043, ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali di ogni tipo, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 cod. civ.: e cioè la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. L'unica differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consiste pertanto nel fatto che quest'ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. Cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorchè privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato: in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento; c) quando, al di fuori delle due ipotesi precedenti, il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. In tale ultima ipotesi il danno non patrimoniale sarà risarcibile ove ricorrano contestualmente le seguenti condizioni: a) che l'interesse leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia rilevanza costituzionale; b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità, come impone il dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.; c) che il danno non sia futile, ma abbia una consistenza che possa considerarsi giuridicamente rilevante. 2.5. Con specifico riferimento al caso di specie, in cui la condotta illecita in relazione alla quale è chiesto il risarcimento del danno è costituita dalla violazione del dovere di fedeltà nascente dal matrimonio, va specificamente osservato quanto segue. Nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell'altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all'art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo "ius in corpus" - da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva - valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti dell'altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge.

Nell'ottica di tale assetto normativo, se l'obbligo di fedeltà viene violato in costanza di convivenza matrimoniale, la sanzione tipica prevista dall'ordinamento è costituita dall'addebito con le relative conseguenze giuridiche, ove la relativa violazione si ponga come causa determinante della separazione fra i coniugi, non essendo detta violazione idonea e sufficiente di per sè a integrare una responsabilità risarcitoria del coniuge che l'abbia compiuta, nè tanto meno del terzo, che al su detto obbligo è del tutto estraneo. In particolare, quanto alla responsabilità per danni non patrimoniali - ai quali è limitato il tema del decidere - sulla base dei principi già sopra esposti, perchè possa sussistere una responsabilità risarcitoria, accertata la violazione del dovere di fedeltà, al di fuori dell'ipotesi di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta violazione:, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione dell'offesa che ne deriva - obbiettivamente insita nella violazione dell'obbligo di fedeltà - di per sè non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto. Evenienza che può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l'infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità). Ovvero ove l'infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto. 2.6. In relazione ai su detti principi, deve darsi risposta positiva al quesito posto dalla ricorrente, con il quale si è chiesto a questa Corte di affermare che la mancanza di addebito della separazione non è preclusiva di separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti. Deve infatti ritenersi incompatibile con i principi sopra enunciati l'affermazione della sentenza impugnata (che ne costituisce la "ratio decidendi") censurata con il motivo, secondo la quale la prova della colpevole violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ai fini dell'esperibilità dell'azione di risarcimento, sarebbe preclusa ove i coniugi, come nel caso di specie, siano addivenuti a separazione consensuale, rinunciando il coniuge interessato alla pronuncia di addebito, dovendosi tale rinuncia interpretare come rinuncia all'accertamento delle cause della crisi del matrimonio, in quanto giudizialmente accertabili solo nel giudizio di separazione con specifica domanda di addebito. Tale statuizione viene erroneamente collegata alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la dichiarazione di addebito della separazione può essere richiesta e adottata solo nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità di domande di addebito fuori da tale giudizio (ex multis Cass. sez. un. 4 dicembre 2001, n. 15279; 29 marzo 2005, n. 6625). Quella giurisprudenza pone a fondamento del su detto principio la statuizione dell'art. 151 cod. civ., comma 2, che attribuisce espressamente la cognizione della domanda di addebito al giudice della separazione. Ma ai fini che qui interessano va rilevato che l'art. 151 cod. civ., attribuisce al giudice della separazione la cognizione sulla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio unicamente in relazione alla pronuncia sull'addebito, che in essi trova la "causa petendi". Cioè in relazione a quello specifico "petitum", costituito dalle conseguenze giuridiche che si collegano alla pronuncia di addebito e che sono, per il coniuge a carico del quale venga presa, l'esclusione del diritto al mantenimento (con salvezza del solo credito alimentare ove ne ricorrano i requisiti) e la perdita della qualità di erede riservatario e di erede legittimo, con salvezza del diritto ad un assegno vitalizio in caso di godimento degli alimenti al momento

dell'apertura della successione (artt. 156, 548 e 585 cod. civ.). "Petitum" al quale si può non avere interesse, avendo invece interesse, sussistendone i presupposti, al diritto al risarcimento. Non essendo rinvenibile una norma di diritto positivo, nè essendo rinvenibili ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito (inidonea di per sè a dare fondamento all'azione di risarcimento) pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento, una volta affermato - come sopra si è fatto - che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma, ove ne sussistano i presupposti secondo le regole generali, può integrare gli estremi di un illecito civile, la relativa azione deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima "causa petendi" dare luogo a una pluralità di azioni autonome contrassegnate ciascuna da un diverso "petitum". Ne deriva, inoltre, che ove nel giudizio di separazione non sia stato domandato l'addebito, o si sia rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si forma, coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente in relazione al "petitum" azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione all'esperimento dell'azione di risarcimento per violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in caso di separazione consensuale. Ciò trova ulteriore conferma sistematica per un verso nella considerazione che, come sopra si è osservato con specifico riferimento alla violazione dell'obbligo di fedeltà, diverse sono anche la rilevanza e le caratteristiche fattuali che tale violazione può avere ai fini dell'addebitabilità della separazione rispetto a quelle che deve avere per dare fondamento ad un'azione di risarcimento. Per altro verso, nella considerazione che sarebbe del tutto al di fuori della logica del sistema subordinare - risultato al quale condurrebbe la "ratio" della decisione impugnata - alla dichiarazione di addebito il risarcimento del danno per violazione di obblighi nascenti dal matrimonio ove tale violazione costituisca reato e abbia dato luogo a condanna penale. Il secondo motivo del ricorso va pertanto accolto - dichiarandosi assorbito il primo - e la sentenza va cassata con rinvio anche per le spese alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione che farà applicazione del principio secondo il quale: "I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia preclusiva dell'azione di risarcimento relativa a detti danni". P.Q.M. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il secondo motivo. Dichiara assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Genova in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 maggio 2011. Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2011 CONFORMI E DIFFORMI (1) Non si rinvengono precedenti in termini. NOTE GIURISPRUDENZIALI Giust. civ. 2012, 02, 0375 (Principio enunciato a norma dell'art. 384 c.p.c). Giust. civ. 2012, 02, 0379

(1) Sostanzialmente nello stesso senso della pronunzia in rassegna, Cass. 10 maggio 2005 n. 9801, in questa Rivista, 2006, I, 93, secondo cui, dovendosi escludere che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio se e in quanto posta in essere attraverso condotte che, per la loro intrinseca gravità, si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona riceva la propria sanzione, in nome di una presunta specificità, completezza ed autosufficienza del diritto di famiglia, esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca del diritto (quali la separazione e il divorzio, l'addebito della separazione, la sospensione del diritto all'assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare) e dovendosi invece predicare una strutturale compatibilità degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, è configurabile un danno ingiusto risarcibile allorché l'omessa informazione, in violazione dell'obbligo di lealtà, da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacità coeundi a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato, così ledendo quest'ultima nel suo diritto alla sessualità, in sé e nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità del matrimonio (cioè una condotta, che non costituisce violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, in quanto posta in essere anteriormente a questo, ma ciononostante rilevante perché l'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva di tale vincolo un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, sostanziantesi anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente alle proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto). Sempre nella stessa ottica, si è precisato, altresì: la violazione da parte di un coniuge dell'obbligo di fedeltà, a parte le conseguenze sui rapporti di natura personale, può anche costituire, in concorso di particolari circostanze, fonte di danno patrimoniale per l'altro coniuge, per effetto del discredito derivantegli; trattandosi però di un danno non necessariamente conseguente alla subita infedeltà, né da essa desumibile come potenziale, ma solo possibile nel caso concreto, per la pronuncia di una condanna generica al risarcimento di esso non può ritenersi sufficiente la semplice dimostrazione dell'infedeltà medesima, occorrendo anche la prova delle circostanze che abbiano determinato, nel caso specifico, l'incidenza patrimoniale concreta, o quantomeno potenziale, di quell'illecito, Cass. 19 giugno 1975 n. 2468; in caso di violazione dei doveri nascenti dal matrimonio la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dall'art. 2043 c.c., Cass. 26 maggio 1995 n. 5866. Nello stesso senso, in sede di merito si è affermato: ritenuto che i doveri coniugali ex art. 143 c.c. hanno contenuto e rilevanza strettamente giuridici, oltre che morali; ritenuto che l'infedeltà coniugale consumata qualora non preesista, tra le parti, una irrimediabile situazione di crisi affettiva e spirituale, costituisce grave violazione dei doveri giuridici scaturenti dal vincolo matrimoniale, violazione che è fonte di responsabilità risarcitoria aquiliana del coniuge infedele in quanto anche per le modalità, la frequenza e le circostanze dell'adulterio quest'ultimo ha certamente leso diritti fondamentali ed inviolabili della persona anche costituzionalmente rilevanti (l'onore e la dignità); ritenuto che le sanzioni collegate all'addebitabilità della separazione (e del divorzio) possono essere, non di rado, inapplicabili, o inutili, o dannose per il coniuge offeso, e, in ogni caso, hanno una funzione meramente punitiva e non satisfattoria, il coniuge infedele deve risarcire, ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 2043 e 2059 (art. 2 e 29 cost.), il coniuge tradito con l'esborso di

una somma di denaro, quantificabile anche in via presuntiva, per i danni a quest'ultimo, senza alcun dubbio, arrecati con la propria condotta gravemente illecita, Trib. Prato 18 febbraio 2010, in Dir. fam., 2010, 1269, con nota di LOMBARDO, L'illecito endofamiliare trova un ulteriore riconoscimento nella giurisprudenza; affinché la violazione del dovere di fedeltà fra coniugi rilevi sul terreno della responsabilità civile, dando luogo ad obblighi risarcitori, in particolare per quanto riguarda i danni non patrimoniali, occorrerà che il comportamento dello sposo «fedifrago» attinga certe soglie di intensità, tendenzialmente quelle del dolo o della colpa grave. In tal caso saranno risarcibili, quali capitoli negativi autonomi, sia il danno corrispondente ai disturbi psichici risentiti dalla vittima (nel caso specifico, la moglie), sia quello inerente alla lesione della sfera della dignità, da cui siano derivate compromissioni nella sfera relazionale della stessa, Trib. Venezia 14 maggio 2009, in Resp. civ. prev., 2009, 1885, con nota di CENDON, Giudici a Venezia: scricchiola l'impianto delle sezioni unite...; va addebitata al marito la separazione personale richiesta dalla moglie, alla quale il coniuge, solo dopo molti anni di normale convivenza, ha confessato di essere omosessuale e di avere avuto già una relazione con persona dello stesso sesso, lasciando la casa familiare per andare a convivere con un altro uomo, casa familiare abbandonata anche dalla moglie dopo la confessione del marito: alla moglie va riconosciuto peraltro anche il diritto al risarcimento del danno esistenziale da essa subito, Trib. Brescia 14 ottobre 2006, in Dir. fam., 2007, 778, statuizione, peraltro, totalmente riformata, in punto risarcimento danni da App. Brescia 7 marzo 2007 (in Resp. civ. prev., 2008, 2073, con nota di CATERBI, Infedeltà coniugale e responsabilità civile), secondo cui la mera violazione del dovere di fedeltà coniugale, pur se perpetrata con l'instaurazione di una relazione omosessuale, non è fonte di responsabilità da atto illecito; la stessa, pertanto, non può dare luogo a pronuncia di risarcimento del danno esistenziale; per il rilievo che pronunciata la separazione personale dei coniugi con addebito della stessa a uno di essi è ipotizzabile, a carico di quest'ultimo, una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. in quanto inadempiente ai doveri coniugali, ove venga accertata sia l'obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più dei doveri nascenti dal matrimonio, sia la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali, Trib. Milano 4 giugno 2002 (in Guida al diritto, 2002, n. 24, p. 49, con nota di FINOCCHIARO M., La ricerca di tutela per la parte più debole non deve generare diritti al di là della legge; in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 278, con nota di FUSARO, Responsabilità aquiliana nei rapporti tra coniugi e tutela della personalità; in Vita not., 2003, 720, con nota di MARTINI, In margine a un orientamento giurisprudenziale sulla violazione degli obblighi coniugali e danno esistenziale), che, in applicazione del riferito principio, «?considerata la durata limitata del periodo di tempo nel quale si è spiegata la condotta lesiva dell'agente, dai primi mesi di gravidanza della moglie sino al suo allontanamento dall'abitazione coniugale, nonché il carattere meramente temporaneo della compromissione subita dalla moglie nella sfera esistenziale e relazione, anch'essa contenuta nel medesimo periodo?» il marito è stato condannato al risarcimento dei danni liquidati in lire dieci milioni); nel senso che i danni da violazione dei doveri coniugali sono risarcibili, non sussistendo, al riguardo, deroga alcuna alla clausola generale di responsabilità di cui all'art. 2043 c.c.: difatti, ai doveri derivanti dal matrimonio si deve riconoscere natura sicuramente giuridica e non soltanto morale, con la conseguenza che può affermarsi come da essi discenda un diritto soggettivo di un coniuge nei confronti dell'altro a comportamenti rispondenti a tali obblighi; inoltre, le sanzioni specifiche, quali l'addebito, non esauriscono i rimedi posti a tutela del coniuge in quanto persona, per il quale la famiglia può e deve costituire un ambito di

autorealizzazione e non di compressione dei diritti irrinunciabili, quali quello alla salute, all'incolumità personale, all'onore e gli altri diritti personalissimi dell'individuo, Trib. Milano 10 febbraio 1999 (in Fam. dir., 2001, 185, con nota di BONA, Violazione dei doeveri genitoriali e coniugali una nuova frontiera della responsabilità civile), in una fattispecie in cui non è stato riconosciuto il risarcimento del danno all'attrice, che asseriva di aver subito un pregiudizio di natura psichica a causa dell'incapacità sessuale del di lei marito, avendo la stessa liberamente scelto di proseguire il rapporto matrimoniale per altri venti anni dalla scoperta delle patologie dello sposo e dalla rinunzia di questo a sottoporsi a delle terapie. In termini opposti, peraltro, si è affermato: l'addebito della separazione ad un coniuge comporta solo gli effetti previsti dalla legge, ma non comporta la violazione di un diritto dell'altro coniuge in relazione alla quale poter invocare la tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., Cass. 22 marzo 1993 n. 3367; dalla separazione personale dei coniugi può nascere, sul piano economico a prescindere dai provvedimenti sull'affidamento dei figli e della casa coniugale solo il diritto ad un assegno di mantenimento dell'uno nei confronti dell'altro, quando ne ricorrono le circostanze specificamente previste dalla legge, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere, ex art. 2043 c.c., ancorché la separazione si addebitabile ad uno di essi, anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo risentiti a causa della separazione stessa, Cass. 6 aprile 1993 n. 4108. Nel senso che non esistendo da parte dei terzi un dovere di astensione da ogni interferenza nella vita familiare dei coniugi, la violazione da parte di un coniuge dell'obbligo di fedeltà non fa sorgere nell'altro coniuge il diritto al risarcimento del danno nei confronti del terzo partecipe del rapporto adulterino, Trib. Monza 15 marzo 1997 (ivi, 1997, 462, con nota di ZACCARIA, Adulterio e risarcimento dei danni per violazione dell'obbligo di fedeltà). Per utili riferimenti, cfr., inoltre: per il rilievo che nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma, Cass., sez. un., 4 dicembre 2001 n. 15248, in questa Rivista, 2001, I, 2905, con nota di MORACE PINELLI, Autonomia della domanda di addebito e sentenza non definitiva sulla separazione, ivi, 2002, I, 341; nel senso che in tema di separazione personale tra i coniugi, non è ammissibile, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, così come all'omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa, da consensuale a giudiziale con addebito, né per fatti sopravvenuti né per fatti anteriori alla separazione ma emersi successivamente, stante il disposto dell'art. 151, comma 2, c.c. che attribuisce espressamente al giudice della separazione la competenza ad emettere l'eventuale e accessoria pronuncia di addebito (e, quindi, è precluso fuori del giudizio di separazione ogni indagine sulla violazione, o meno, da parte di uno dei coniugi, dei doveri nascenti dal matrimonio), Cass. 20 marzo 2008 n. 7450 nonché Cass. 29 marzo 2005 n. 6625. In dottrina, oltre gli autori ricordati supra, cfr., tutti a commento di Cass. 10 maggio 2005 n. 9801, cit.: GALUPPI, Effetti ed implicazioni d'ordine psicologico e psichico dell'inosservanza dei doveri di lealtà, correttezza e solidarietà tra nubendi, in Dir. fam., 2005, 1164; DOSI, L'illecito civile sbarca in famiglia, in Diritto e giustizia, 2005, n. 22, p. 14; CARICATO, Impotenza taciuta prima delle nozze: risarcimento o indennità?, in Familia, 2005, 875; SESTA, Diritti inviolabili della persona e rapporti familiari: la privatizzazione "arriva" in Cassazione, in Fam dir., 2005, 365; FACCI, L'illecito endofamiliare al vaglio della Cassazione, ivi, 372; DE MARZO, La Cassazione e la responsabilità civile nelle relazioni familiari, in Corr. giur., 2005, 921; MORACE PINELLI, Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile, in questa Rivista, 2006, I, 93; GIAZZI, Anche i matrimoni in bianco hanno un costo, in Danno resp., 2006, 37; IANNICELLI, La lesione del diritto alla sessualità: illecito contrattuale o extracontrattuale?, in Dir. giur., 2006,

261; FRACCON, Nuovi approdi della responsabilità civile. Anche la Cassazione oltrepassa la soglia dei rapporti tra coniugi, in Giur. it., 2006, 691. In dottrina, in margine alla pronunzia in rassegna, in termini generali, cfr.: FIORINI, La violazione dei doveri matrimoniali integra gli estremi dell'illecito civile, in Guida al diritto, 2011, n. 42, p. 17; FINOCCHIARO M., Solo il giudice della separazione sanziona i comportamenti contrari ai doveri matrimoniali, in Fam. minori, 2011, n. 9, p. 38, per un'approfondita critica. Cassazione civile sez. I, 15 settembre 2011, n. 18853 Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 01 giugno 2012 Numero: n. 8862 Parti: B.C. C. F.L. Fonti: Diritto & Giustizia 2012, 1 giugno CLASSIFICAZIONE MATRIMONIO - Diritti e doveri dei coniugi - in genere TESTO La violazione di obblighi nascenti dal matrimonio costituisce, da un lato, causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, dall'altro, dà luogo ad un comportamento (doloso o colposo) che, incidendo su beni essenziali della vita, produce un danno ingiusto, con conseguente risarcimento, secondo lo schema generale della responsabilità civile. Pertanto, possono coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno, considerati i presupposti, i caratteri, le finalità, radicalmente differenti. Cassazione civile sez. I, 01 giugno 2012, n. 8862 Autorità: Cassazione civile sez. I Data: 01 giugno 2012 Numero: n. 8862 CLASSIFICAZIONE MATRIMONIO - Diritti e doveri dei coniugi - in genere INTESTAZIONE LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VITRONE Ugo - Presidente - Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere - Dott. DOGLIOTTI Massimo - rel. Consigliere - Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere - Dott. DIDONE Antonio - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 28915/2010 proposto da: B.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BREGNANO 9, presso l'avvocato PIETROLUCCI CINZIA, rappresentata e difesa dall'avvocato RICOTTA NARCISO, giusta procura a margine del ricorso; - ricorrente - contro PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI ANCONA, F. L.; - intimati -

Nonchè da: F.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 7 6, presso l'avvocato BALLOTTA GIAMPIERO, rappresentato e difeso dall'avvocato BERSELLI FILIPPO, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro B.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BREGNANO 9, presso l'avvocato PIETROLUCCI CINZIA, rappresentata e difesa dall'avvocato RICOTTA NARCISO, giusta procura a margine del ricorso principale; - controricorrente al ricorso incidentale - contro PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI ANCONA; - intimato - avverso la sentenza n. 283/2010 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 16/04/2010; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2012 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI; udito, per la ricorrente, l'avvocato NARCISO RICOTTA che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale; il rigetto dell'incidentale; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Tribunale di Macerata, con sentenza in data 16-26 marzo 2009, pronunciava la separazione giudiziale tra i coniugi F.L. e B.C., con addebito al marito, assegnando la casa coniugale alla moglie e disponendo l'affidamento congiunto delle figlie minori E. e F., con collocamento presso la madre; poneva a carico del F. assegni a favore delle due figlie, di importo differente; escludeva l'assegno di mantenimento, nonchè risarcimento dei danni non patrimoniali per la moglie; condannava peraltro il F. a corrispondere alla moglie stessa somma da essa anticipata a favore del marito per l'acquisto di un appartamento. Avverso tale sentenza proponeva appello la B., lamentando la mancata condanna del marito alla corresponsione di assegno di mantenimento e risarcimento di danni a suo favore; censurava altresì la determinazione degli assegni a favore delle figlie, affermando che l'assegno maggiore doveva essere corrisposto a favore della figlia di età superiore; si doleva altresì del riconoscimento dei danni patrimoniali, in misura inferiore alle sue richieste. Costituitosi il contraddittorìo, il F. chiedeva rigettarsi l'appello e, in via incidentale, escludersi l'addebito della separazione a suo carico; censurava altresì la quantificazione dell'assegno per le figlie, effettuato dal primo Giudice, nonchè la condanna alla restituzione di somma a favore della moglie. La Corte d'appello di Ancona, con sentenza in data 17 marzo-16 aprile 2010, in parziale riforma della sentenza impugnata, modificava gli importi degli assegni per le figlie, confermando per il resto la sentenza impugnata. Ricorre per cassazione la B.. Resiste con controricorso il F., che pure propone ricorso incidentale. Resiste con controricorso al ricorso incidentale la B.. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE Per ragioni sistematiche va esaminato dapprima il ricorso incidentale: si censura l'addebito per violazione dell'obbligo di fedeltà a carico del marito e, se tale censura fosse accolta, rimarrebbe assorbito il motivo del ricorso principale circa il risarcimento del danno per tale violazione.