DA LEADER DI SE STESSI A LEADER DI ALTRI



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DA LEADER DI SE STESSI A LEADER DI ALTRI

PREMESSA Il primo ciclo di puntate di Leader di te stesso si chiuderà nello stesso modo in cui conclude l omonimo libro, con il capitolo dal titolo Da leader di te stesso a leader degli altri. Un leader di se stesso sa di non poter fare a meno degli altri e che la sua felicità dipende da quanto sarà capace di costruire rapporti positivi con la gente. Anche per questo chi è leader di se stesso viene quasi automaticamente riconosciuto leader anche dal proprio gruppo di appartenenza, famiglia, colleghi, amici. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, un vero leader non ha bisogno di imporre con la forza, ma guida il proprio gruppo semplicemente con l esempio. Un po come accade in palestra, dove se ti alleni con impegno e costanza arriva presto qualcuno a chiederti consigli su come fare o semplicemente se può allenarsi con te, così a anche nella palestra della vita, se sarai un buon esempio troverai presto qualcuno che ti seguirà, che vorrà imparare da te e chiederà come muoversi. Ecco alcune delle caratteristiche fondamentali del leader: sa ascoltare attivamente cerca di comprendere dimostra sincero interesse presta attenzione alle piccole cose è coerente sa chiedere scusa quando si sbaglia è disponibile e infine è un buon coach, ovvero contribuisce alla crescita degli altri. Un vero leader non lega a sè le persone con vincoli di dipendenza emotiva, ma mira piuttosto a costruire rapporti di collaborazione in cui anche l altro si senta sempre premiato. Uno dei modi migliori per contribuire alla crescita delle persone che ci stanno vicine è saper dare dei feed-back capaci di motivarle a dare meglio. Anche di questo si parlerà durante la trasmissione, che avrà come ospite il prof. Francesco Alberoni. Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 2

NOTE Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 3

LA VITA E UNO SPORT DI SQUADRA Indubbiamente l uomo è nato come essere sociale. Abbiamo avuto modo di comprendere come il bisogno di connessione sia uno dei bisogni fondamentali dell essere umano e come nel contribuire diamo alla nostra vita un senso più profondo e raggiungiamo il vero appagamento. Quindi, chiunque pensi di fare tutto da solo, di essere felice da solo, in realtà potrà difficilmente realizzare il suo obiettivo. La vita è uno sport di squadra e il destino di chi è da solo è comunque triste, indipendentemente da quelle che sono le ricchezze o qualsiasi altro aspetto materiale di cui ci si possa circondare. Anche l eremita che sceglie una vita ascetica, lontana da ogni suo simile, raggiunge la felicità grazie al contatto con un essere universale che rappresenta il tutto e quindi comunque non da solo. Il bisogno dell altro è nella natura umana: l uomo, millenni addietro, era un animale, un primate e, in quanto tale, era già un essere sociale. Perciò siamo stati esseri sociali ancor che esseri umani! A questo punto però è importante approfondire alcuni aspetti di questa evoluzione, perché quelle scimmie per loro fortuna avevano l istinto che le guidava nei comportamenti sociali e nelle loro relazioni. Se è possibile infatti osservare scontri e litigi tra scimmie, questi comportamenti aggressivi sono circoscritti ad una situazione e, come succede sempre nel mondo animale, sono di rapida soluzione e brevissima durata. Difficilmente, infatti, si vedono scimmie che non si considerano per lunghi periodi oppure che arrivano a creare delle vere e proprie faide familiari o vendette trasversali come quelle a cui assistiamo tra esseri umani. E non mi sto riferendo a vendette tra clan mafiosi, ma delle semplici vendette che accadono in normali gruppi familiari o in un qualsiasi ufficio dove c è un protrarsi di rancori, di mezze frasi, di sgambetti più o meno palesi, del parlare negativamente alle spalle di qualcuno Ci sono persone che vanno in pensione a sessantacinque anni e continuano nel tempo, magari al bar, a parlar male di questo o quel collega che hanno sempre odiato, delle malefatte che sono state compiute verso di loro e alle quali loro stessi hanno risposto. Questo è un comportamento che in natura non è concepibile ed è solo uno degli esempi dei fraintendimenti ai quali si può andare incontro per banali problemi di comunicazione e non comprensione del fatto che abbiamo bisogno degli altri per realizzare la nostra felicità. Sia che una persona abbia degli obiettivi concreti, materiali, sia che una persona voglia semplicemente migliorare la propria vita emozionale ha comunque bisogno di persone che gli stiano intorno e che contribuiscano a questi obiettivi ed ha bisogno a sua volta di contribuire agli obiettivi delle persone a lui prossime, un bisogno intrinseco di vivere, sentire, avvertire la realizzazione di quelli che sono i loro stessi scopi. Quindi, chiarito il fatto che chiunque pensi di raggiungere la felicità o la realizzazione da solo non ha alcuna possibilità di riuscirci, è importante andare a capire come relazionarci efficacemente con gli altri, in modo da creare intorno a noi un ambiente che possa farci stare bene e dove ci sia uno scambio di energia positiva e supporto ed è questo l obiettivo di questo capitolo. Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 4

DALLA DIPENDENZA ALL INTERDIPENDENZA Nel nostro cammino verso la maturità sono tre le fasi di crescita che possono essere attraversate da un individuo. La prima è quella di dipendenza, obbligatoria per tutti, poiché inevitabilmente vissuta nei primi anni di vita nei quali, qualsiasi bambino è totalmente dipendente dagli adulti sia per i suoi bisogni di sussistenza, un riparo, il cibo, l igiene, sia per i suoi bisogni psicologici. Crescendo, il bambino inizia ad acquisire una sua indipendenza, partendo dall imparare a mangiare e a lavarsi da solo, fino a che, anno dopo anno, si affranca completamente dalla dipendenza dalla famiglia, allontanandosi da casa e mantenendosi da solo. Fino a questo livello di indipendenza arrivano più o meno tutti, chi prima o chi dopo. Non tutti però riescono a raggiungere l'indipendenza emozionale: buona parte degli adulti, anche se fisicamente prestanti o con ruoli di responsabilità in famiglia o nella società, rimangono totalmente dipendenti dagli altri per quanto riguarda l'approvazione, il giudizio, il sentirsi dire "bravo", la soddisfazione dei propri bisogni e valori. Una persona può dirsi veramente indipendente quando non ha più alcun tipo di dipendenza nei confronti delle persone che la circondano, né fisica, né psicologica. Può cioè stare in piedi da sola, vivere una vita felice e soddisfacente anche da sola. La dipendenza si riferisce al tu ( tu ti devi prendere cura di me, tu mi fai arrabbiare, tu dovevi occuparti di questo ), l'indipendenza si riferisce all io : ( io ho cura di me stesso, io sono responsabile di ciò che mi accade e delle mie reazioni alle sollecitazioni esterne, io mi dovevo occupare di questo ). L'indipendenza emotiva porta a non lasciarsi devastare" dalle opinioni negative che altri possono avere sul nostro conto. Lasciarsi contrariare eccessivamente dalle opinioni altrui o snaturare i propri comportamenti per poter ottenere gratificazioni o consensi sono indici evidenti di dipendenza emotiva. Ciò non significa che un complimento non debba far piacere. Naturalmente fa star bene sentirsi dire "bravi" e gratifica anche colui che è emotivamente indipendente. Ma una cosa è che faccia piacere, una cosa è averne bisogno per sentirsi bene. La persona emotivamente indipendente rimane in equilibrio sia che riceva un complimento sia che non lo riceva, consapevole del proprio valore indipendentemente dal giudizio altrui. L'indipendenza emotiva comporta il fatto che si sia autonomi nel pensare e nel creare le proprie opinioni e che si sia intimamente soddisfatti del risultato delle proprie azioni, che altri ce lo dicano o meno. Se la persona dipendente è continuamente proiettata verso l'esterno in cerca di conferme e sicurezze, la persona indipendente è centrata, è dentro di sé, proiettata verso l'interno. Raggiungere una vera indipendenza non significa ovviamente non cercare di creare rapporti con altre persone e rompere ogni rapporto con l esterno, facendo riferimento solo a sé stessi. A questo punto siamo pronti per un ultimo salto di qualità, quello che riproietta l'individuo all'esterno, ma mantenendo la sua centratura: l'interdipendenza, ovvero il decidere di unirsi sinergicamente a qualcuno e combinare le proprie caratteristiche con quelle di altri per fare qualcosa che da soli non avremmo mai potuto realizzare. In precedenza dal tu siamo passati all' io : ora, il pronome personale dell interdipendenza è il noi. Noi insieme possiamo farlo, noi decidiamo di mettere Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 5

insieme il nostro meglio per compiere quest'opera che nessuno dei due da solo potrebbe realizzare. L'interdipendenza è la filosofia di vita della squadra, del team, dell'organizzazione. Essere interdipendenti significa riconoscere che fa piacere essere amati e gratificati anche se non si cade in depressione in mancanza di questo, significa essere consapevoli del valore delle proprie idee, ma anche di quelle di altri, che possono dare origine a creature uniche e meravigliose. Vuol dire sentirsi liberi di condividere se stessi con gli altri senza sentirsi minacciati, aprendo il cuore e le potenzialità alle persone che sono state scelte come compagni di strada. Spesso le persone confondono l interdipendenza con la dipendenza. Questa scarsa comprensione del valore di questa relazione è tendenzialmente dovuta alla sua scarsa conoscenza: se ci guardiamo intorno sono davvero pochi i rapporti davvero interdipendenti, soprattutto nell ambito dei rapporti di coppia. Siamo molto più avvezzi a unioni dove uno dei due guida la coppia e l altro segue o, peggio ancora, dove due persone che non sono in grado di reggersi in piedi da sole, si appoggiano l una all altra per ottenere un mediocre risultato di stabilità. Ritengo che per questo motivo l essere single stia diventando così di moda: all idea di chiudersi in un rapporto che li limita nella propria libertà, di scelta e di azione, dove l altro viene vissuto come una palla al piede e dove, di conseguenza, l iniziale momento di euforia viene rapidamente sostituito da tante emozioni negative, molte persone preferiscono di gran lunga rimanere da soli. E queste caratteristiche sono tipiche dei rapporti di dipendenza, così frequenti in una società come la nostra che, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenza, poco ci aiuta a sviluppare una reale indipendenza. Non si può creare un rapporto di interdipendenza se non si è diventati prima indipendenti emotivamente. Persone dipendenti tenderanno inevitabilmente a creare rapporti di dipendenza reciproca. In un rapporto interdipendente due individui scelgono liberamente e consapevolmente di stare insieme, perché sanno che, a fronte delle rinuncie che implica l adattarsi agli altri, potranno insieme dare vita ad una sinergia, una relazione dove i nostri singoli valori, anziché sommarsi, vengono moltiplicati esponenzialmente dalla nostra unione. Sanno che da soli potrebbero farcela benissimo, ma decidono che insieme a qualcun altro è molto meglio. Mi piace pensare ad un rapporto di coppia come a due ciclisti in fuga, i quali, per viaggiare più velocemente verso il traguardo, si alternano al comando, un po tirando e un po facendosi tirare dal compagno, con il risultato che in due riescono a mantenere una velocità di crociera ben superiore a quella che avrebbero potuto tenere da soli. In una coppia non dovrebbe mai esistere un solo leader, ma due, che si alternano alla guida a seconda delle circostanze e delle necessità, che si supportano e si stimolano a vicenda, che danno e ricevono in ugual misura. Chi è Leader di se stesso desidera unirsi ad altri Leader, a persone che possano correre veloci insieme a lui, invece che rallentarlo. Una dote di tutti i grandi Leader è quella di circondarsi di persone dotate di altrettanta Leadership e con i quali poter condividere la responsabilità del progetto e poter insieme portarlo a compimento. Allo stesso modo un buon rapporto di coaching non crea mai e in nessun modo dipendenza. Obiettivo del coach è quello di rendere il suo allievo il più autonomo possibile e totalmente indipendente dalla sua presenza. Per usare un esempio utilizzato di frequente, preferisce non dargli il pesce, ma insegnargli a pescare, perché sa che dandogli il pesce lo alimenta per un giorno, ma insegnandogli a pescare lo sfamerà per tutta la vita! Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 6

NOTE Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 7

STILI DI LEADERSHIP CAPO Autoritario No critica No ascolto Io Si responsabilità Ego Grande Stimola Emulazione PORTAVOCE Democratico Si a critica e spazio a tutti Voi No responsabilità Ego piccolo LEADER Autorevole Noi Delega: sviluppa altri leader Carisma Si critica Si responsabilità Ascolta tutti, decide lui Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 8

LA LEADERSHIP SITUAZIONALE Lo stile di leadership Lo stile di leadership è il modo in cui ci si comporta per cercare d influenzare l operato degli altri. Lo stile di leadership è una combinazione di comportamento direttivo e comportamento di sostegno. COMPORTAMENTO DIRETTIVO Comprende: dire chiaramente agli altri che cosa fare, come farlo, dove e quando; seguire da vicino ogni fase della realizzazione. COMPORTAMENTO DI SOSTEGNO Comprende: ascoltare le persone, sostenerle e incoraggiarle nei loro sforzi, favorire il loro coinvolgimento nella soluzione dei problemi e nel processo decisionale. Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 9

IL FEED-BACK SANDWICH Nel processo di crescita di una persona il feed-back gioca un ruolo fondamentale. La critica costruttiva è lo strumento per eccellenza che permette di focalizzare le aree di miglioramento sulle quali lavorare. La reazione istintiva di chiunque venga criticato direttamente, è di difesa. Se le barriere si alzano, risulta alquanto improbabile accettare una critica per quanto costruttiva che sia. Per questo motivo abbiamo pensato al Feedback a Sandwich. Il feedback a Sandwich e diviso in tre parti (proprio come un sandwich): prima una lode su ciò che è andato bene, i punti positivi; dopo viene la parte più delicata, ciò che potrebbe essere fatto meglio - la vera farcitura del sandwich; infine chiudiamo il panino con il come si potrebbe fare meglio, ossia la soluzione. In questo modo non si colpisce direttamente l Ego della persona e si raggiunge facilmente l obiettivo. E di fondamentale importanza non limitarsi a criticare solamente, ma proporre soluzioni concrete, evidenziando il buon lavoro eseguito e il margine di miglioramento a disposizione. Una difficoltà che può incontrare un coach rapportandosi con le altre persone è quella di fornire una valutazione su un comportamento da correggere o da migliorare, quello che nella comunicazione viene chiamato feed-back. Spesso le persone oppongono delle resistenze al ricevere un feed-back anche se ne riconoscono l utilità, poiché si sentono criticate e quindi, in un certo qual modo, attaccate. Dale Carnegie, autore del favoloso best-seller Come trattare gli altri e farseli amici (ed. Bompiani), libro che viene giustamente considerato la Bibbia dei rapporti umani, suggerisce di cominciare sempre dalla lode, ed è quello che viene definito feed-back a sandwich. Immagina un panino dove il pane rappresenti un commento positivo e l imbottitura la critica costruttiva che vogliamo far arrivare alla persona. Il fatto che quest ultima sia inserita tra due morbide fette di pane, ci ricorderà visivamente la strategia da adottare per dare un feed-back correttivo in maniera semplice ed efficace. E' fondamentale non incominciare subito con la parte che "non va", ma partire dal commentare ciò che è stata fatto correttamente: Mi è piaciuto molto come hai fatto questo oppure Sei stato davvero bravo quando Partire da ciò che è stato fatto bene metterà il collaboratore a suo agio, il quale, sentendosi apprezzato, si rilasserà predisponendosi ad ascoltare anche il resto. In molti sono talmente abituati a focalizzarsi solo sugli aspetti negativi da avere grandi difficoltà ad evidenziarne di positivi. C'è sempre qualcosa di buono, anche se non balza immediato agli occhi e il buon Leader sa "scovarlo" ed enfatizzarlo. Il secondo passo è evidenziare ciò che non va, e anche per questo occorre usare tattica: la frase d'approccio è "ciò che può/deve essere migliorato è " oppure ciò che poteva essere fatto meglio è, anziché "non va per niente bene" o "dovevi fare in questo modo". Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 10

"Sarebbe stato più efficace fare questo anziché quello: la prossima volta segui questo modello": Un tale approccio aiuta chi deve ascoltare la critica a percepirla non come tale bensì come una forma di cooperazione e di sinergia. Dopo aver definito con esattezza e precisione l area da migliorare, chiudi il sandwich con l altra fetta di pane, terminando con un messaggio positivo tipo: sono certo che se farai in questo modo, otterrai un risultato favoloso oppure migliorando questo aspetto otterrai enormi soddisfazioni, un messaggio che trasferisca la tua fiducia nel fatto che credi nelle sue capacità e possibilità di ottenere un risultato straordinario. Insomma, facile come mangiare un panino! NOTE Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 11

ESSERE UN COACH Innanzitutto, se hai scelto di intraprendere una strada che ti porti ad essere sempre più Leader di te stesso, devi essere consapevole che questa tua decisione di crescita personale, di metterti in gioco, di cercare delle informazioni in più per sviluppare il tuo sistema di pensiero verso uno che ti dia dei risultati maggiori, può sicuramente comportare dei problemi di relazione con gli altri. Come? Mi stai dicendo che migliorare mi farà stare peggio con la gente? No, non sto dicendo questo. Intendo dire che la tua evoluzione ti porterà a fare i conti con un inevitabile cambiamento nei rapporti con gli altri. Nel momento stesso in cui, grazie ad una maggiore consapevolezza della natura umana, sarai in grado di notare aspetti che prima non notavi, di ascoltare gli altri in maniera diversa da prima, di dare significati diversi ai loro comportamenti rispetto a quelli che avresti dato in passato, il tuo rapporto con il prossimo non potrà non essere diverso da prima. Questo ha sicuramente moltissimi risvolti positivi, ma può anche comportare delle difficoltà soprattutto nel rapportarti con coloro che, non avendo compiuto la stessa crescita, sono rimasti al tuo stesso livello di pensiero di qualche tempo addietro e che adesso potrebbero in qualche modo apparirti un po limitati nei loro schemi di ragionamento e limitanti per il tuo sviluppo. E un discorso che può apparire un po altezzoso, ma semplicemente onesto, perché è ciò che vedo accadere continuamente e che crea grandi conflitti nelle persone che sono su un percorso di crescita mentale, emozionale e spirituale. Ma allo stesso modo, sono fermamente convinto che chi sviluppa delle conoscenze e delle capacità che gli permettano di vivere una qualità di vita maggiore, abbia il dovere sociale e morale di assumersi la responsabilità di trasferirle agli altri. Cosa sarebbe successo se tutti gli autori di grandi scoperte o di rivoluzionarie invenzioni non le avessero condivise con l umanità? Allo stesso modo chi sviluppa un livello di pensiero più alto, ha il compito di trasferirlo alle persone che lo circondano, di contribuire alla loro crescita, di diventare un educatore. Educare deriva dal latino ex ducere e significa condurre fuori, sprigionare e portare alla luce ciò che è già dentro ogni uomo. Non instillare nel proprio allievo dei nuovi concetti, ma di aiutarlo invece a trovare le verità che sono già dentro di lui, a renderlo consapevole di ciò che già inconsapevolmente conosce. Tra l altro fare questo è un modo straordinario per soddisfare i propri bisogni al massimo livello e con un esperienza di assoluta prima classe! Il miglior modo per farlo, però, non è certo quello di ergersi a insegnante, ponendosi in una posizione di superiorità nei confronti di chi ne sa meno di noi. Un atteggiamento del tipo Io che ne so più di te adesso ti insegno come si fa non farà altro che sortire l effetto opposto, ossia di allontanare le persone. I migliori maestri hanno la consapevolezza e l umiltà di ricordarsi sempre che sono solo uno strumento per gli altri, che quando l allievo è pronto il maestro appare e che quindi Nessuno può insegnare qualcosa ad un altro uomo. Può solo aiutarlo a tirare fuori qualcosa che ha già dentro di sé. Galileo Galilei Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 12

Il miglior modo per farlo è, innanzitutto, farlo per sé e poi, eventualmente, condividere con altri la propria esperienza e i propri risultati. Un buon Leader guida con l esempio! Se vuoi essere uno stimolo per le altre persone, sii l esempio vivente di ciò che credi e affermi. Se il tuo impegno sarà quello di essere Leader di te stesso, di migliorarti costantemente, di ottenere i risultati che ti sei prefissato e di raggiungerli godendoti il percorso, insomma, di stare bene, stai pur certo che le persone intorno a te lo noteranno. E inevitabilmente ti prenderanno come punto di riferimento. Nel film Forrest Gump c è una metafora straordinaria di tutto ciò ed è quando Forrest decide di correre, attraversando più volte da costa a costa gli Stati Uniti. Lui va per la sua strada, senza dare spiegazioni a nessuno e lo fa con una coerenza tale, da diventare il simbolo di colui che sa dove stà andando e perché lo stà facendo. E, inevitabilmente, c è chi inizia a seguirlo, a correre dietro di lui e a prenderlo come esempio. Non ha dovuto fare niente perché accadesse, la gente lo seguiva perché voleva imparare da lui. Come accade in una qualsiasi palestra, dove se ti alleni con impegno e con costanza, arriva presto qualcuno a chiederti consigli su come allenarsi o, semplicemente, se è possibile allenarsi con te, nel momento in cui sarai un buon esempio nella palestra della vita, troverai presto qualcuno che ti seguirà, che vorrà imparare da te e ti chiederà come fare. Ovviamente non sarà così con tutti. Anzi. Quelli che si comporteranno in questo modo saranno tutti quelli che avranno voglia di imparare, anche loro potenziali Leader di se stessi. Poi ci sono tutti gli altri, generalmente la maggior parte, che quando vedono qualcuno che ottiene risultati speciali, invece che prendere da lui l esempio, se ne sentono sminuiti e quindi tenderanno a denigrarlo o a contrastarlo. Purtroppo la tendenza a non voler considerare come tale chi ci appare meglio di noi, poiché questo ci fa sentire minori o inferiori, va ovviamente a discapito della facilità delle relazioni. Conseguentemente chi è riuscito ad ottenere qualche risultato in qualche campo dovrà per prima cosa armarsi di una grande dose di pazienza, capire che questo accade per delle ben precise ragioni e tramite questa grande dose di pazienza ripercorrere, ristudiare il percorso che lo ha portato ad ottenere questi grandi risultati in quel determinato campo, così da poter trovare un efficace strategia per poterlo comunicare alle persone che ancora non hanno fatto quel tipo di percorso o raggiunto quelle consapevolezze che portano a maggiori risultati. Si troverà inoltre ad affrontare l invidia di chi non ha quei risultati e dovrà affrontare una serie di resistenze che sono le stesse di cui potrebbe parlarvi un allenatore di qualsiasi sport. Il suo ruolo è infatti quello di esortare, spingere l allievo affinché raggiunga il massimo del suo potenziale. Un coach è proprio colui che guida le persone a sfruttare di più il loro potenziale. Se l atleta ha sempre fatto dieci flessioni sarà convinto che quello sia il suo limite e il ruolo del coach è quello di spingerlo oltre quel limite. Cosa accade quando qualcuno cerca di spingerci oltre quei limiti o cerca di farci cambiare qualche abitudine e di portarci fuori dalla nostra zona di comfort? Tendenzialmente sviluppiamo delle resistenze e le sviluppiamo sia verso noi stessi che verso colui che sta cercando di spingerci oltre. Un coach deve aspettarsi questa reazione e deve strutturare tutta la sua forma mentis e la sua comunicazione verso questo tipo di reazione. E ne più ne meno quello che può aspettarsi un genitore insomma, nella crescita dei propri figli. Inizialmente ci sarà una fase di fiducia e gratitudine, quando il bambino è ancora totalmente dipendente, ma poi ci sarà una fase pre-adolescenziale, adolescenziale in cui Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 13

ci imbatteremo in un netto rifiuto ogni volta che tenteremo di indirizzarlo in una qualche direzione. Una situazione dove c è comunque del contrasto, ma dove il genitore ha comunque il dovere di indirizzare il figlio verso determinate scelte che sono dovute a una maggiore esperienza. Indirizzare un figlio non significa costringerlo a seguire i comportamenti che noi riteniamo giusti, ma significa indirizzarlo, fare il nostro meglio perché ciò accada. Non possiamo di certo controllare le persone, ma sappiamo che possiamo influenzarle e quindi il ruolo del coach è quello di influenzare il suo allievo a fare ciò che ritiene sia più efficace per l allievo stesso. Indubbiamente il mestiere dei genitori è una delle situazioni di coaching più difficili che ci siano NOTE Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italiasrl 14

CONSIGLIATI DA ROBERTO RE ONE MINUTE MANAGER, Kenneth Blanchard - Sperling & Kupfer Questo libro insegna il modo più rapido per aumentare la produttività, i profitti, la soddisfazione sul lavoro e il benessere personale. Si tratta di un nuovo e rivoluzionario metodo sul management che ha già dato risultati decisamente positivi. http://www.hrdonline.it/articledetail.jsp?id=lib00100 ONE MINUTE MANAGER INSEGNA A DELEGARE, Kenneth Blanchard - Sperling & Kupfer Questo libro risolve uno dei problemi più che frequentemente assillano i manager d'oggi, la gestione del tempo, lanciando un messaggio semplice ed esplicito: non assumersi responsabilità di un problema se esso non compete direttamente. E' essenziale infatti, a livello dirigenziale, ottimizzare il tempo a disposizione, usufruendone in maniera razionale e, soprattutto stabilendo con chiarezza le priorità. Tuttavia, molti manager sono soliti sostituirsi ai membri del proprio staff in svariate circostanze. E' possibile invece delegare, responsabilizzando così i subordinati e assicurandosi al contempo che il lavoro venga affidato alla persona adatta. http://www.hrdonline.it/articledetail.jsp?id=lib00099 Materiale soggetto a Copyright - 2006 HRD Training Group by HRD Italia srl 15