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Organizzazione: MACULA - Centro Internazionale di Cultura Fotografica Direzione Artistica - Alessandro Giampaoli Curatela - Marco Andreani, Alessandro Giampaoli, Debora Ricciardi Partner istituzionale: Comune di Pesaro Patrocini: Regione Marche, Provincia di Pesaro e Urbino, Comune di Pesaro Con la collaborazione di: mc2gallery - Milano Direttore - Vincenzo Maccarone Direttore Artistico - Claudio Composti Testi: Marco Andreani, Claudio Composti, Alessandro Giampaoli, Debora Ricciardi Progettazione grafica: Andrea Gamberini - Artù comunicazione Staff: Giancarla Ugoccioni, Arianna Zaffini, Alice Bosco, Roberto Cofini, Livia Santin, Susanna Tarsi Rete: ORTOpolis - Etra educational, HangartFest, Macula, Proartis, Quatermass-x, Sponge arte contemporanea; in collaborazione con LEMS laboratorio elettronico musica sperimentale. Si ringrazia: Marco Becherini, Annalisa Cioffi, Antonio Cioffi, Collettivo Spazio Bianco, Antonio D Elisiis, Giovanni Gaggia, Clio Gaudenzi, Marco Gaudenzi, Michele Giovanelli, Maria Giovanna Ianuario, Carolina Marzano, Marco Mencoboni, Massimo Morresi, Gianpiero Puricella, Roberto Recanatesi, Angelo Renzi, Antonella Renzi, Eugenia Casini Ropa, Stefano Sanchini, Paolo Semprucci, Roberto Vecchiarelli, Alessandra Zanchi, Fondazione Pesaro Nuovo Cinema, Rossini Opera Festival Con il sostegno di: Banca Marche, Dinamica Software, Filippini Trasporti, Hotel Alexander, Pesaro Parcheggi, Peso Netto, UniCredit

INTUS ET IN CUTE Con questa pubblicazione intendiamo segnare il primo punctum: penetrare in profondità quella materia viva che è la sperimentazione artistica attraverso il linguaggio fotografico e fissarla su carta. Il punctum barthesiano percorre i sensi come una scarica elettrica, genera un emozione per accasarsi nella mente. In tempi di dati virtuali, effimeri e transitori, riteniamo indispensabile fornire strumenti di riflessione ed approfondimento che siano anche rassicurante presenza fisica, testimonianza concreta di esperienze condivise. Questa volontà è fedele alle linee programmatiche di Macula - Centro Internazionale di Cultura Fotografica che promuove iniziative di carattere pubblico a favore della conservazione, dello studio, della valorizzazione e diffusione della fotografia storica e contemporanea intese nelle loro inscindibili valenze storico-documentarie e artistico-culturali. La fotografia costituisce infatti uno dei punti nevralgici della contemporaneità, oggetto e strumento di analisi privilegiato per comprendere il nostro tempo. Tuttavia fermarsi al mezzo risulterebbe quantomeno limitante: per questo vogliamo porre l attenzione sulle ricerche artistiche particolari, nel senso etimologico del termine, individuando di volta in volta il medium che possa avvicinare percorsi anche apparentemente distanti. Il primo segno lo tracciamo attraverso l opera di due artisti che utilizzano come mediatore il corpo, luogo dell agire che viene ricoperto o spogliato della materia. Se in Kusterle la materia della Natura si fa pelle, superficie che accoglie i passi dell artista e riveste il pianeta Uomo come il pianeta Terra, proteggendone il nucleo vitale, nell opera di Benedetta Bonichi il nucleo è svelato, spogliato dell habitus per mostrarsi essere, più che mai vivente. È l inizio del viaggio. Dentro e sotto la pelle. Alessandro Giampaoli

LO SGUARDO DELL OMBRA. RADIOGRAFIE DI CORPI IMMEMORI Si appoggiava alla vanga (egli scavava sempre nuove fosse) e si chinava a raccogliere, per terra, la scapola di un cristiano; la teneva un poco in mano, parlando, e poi la buttava in un canto. Il terreno era disseminato di ossa, che affioravano dalle vecchie tombe [ ]. Il paese è fatto delle ossa dei morti, - mi diceva, nel suo gergo oscuro [ ]. Qui, dove il tempo non scorre, è ben naturale che le ossa recenti, e meno recenti e antichissime, rimangano, ugualmente presenti, dinanzi al piede del passeggero. Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli. Non hanno occhi le decine di personaggi ritratti nelle fotografie di Roberto Kusterle e Benedetta Bonichi qui presentate (unica eccezione, per quest ultima, l opera Avec amour). Chiusi, nascosti, rivolti altrove oppure bruciati dal procedimento radiografico. Per gli antichi gli occhi costituivano le porte d accesso all anima, per cui incrociare lo sguardo di un uomo significava stabilire con lui un contatto intimo, tale da poterne scrutare i pensieri più autentici. All osservatore di queste immagini non è data possibilità alcuna di entrare in empatia col soggetto raffigurato attraverso lo sguardo. La potente intensità visiva frutto di abili accorgimenti formali e compositivi, come vedremo - con cui questi esseri si presentano a noi, va così a scontrarsi con la loro impermeabile estraneità, innescando il paradosso di una lontananza che si manifesta in tutta la sua esuberanza luminosa. Spogliati di ogni elemento contingente, privi di un qualunque pretesto o funzione narrativa, retorica o documentaria, il loro stesso apparire su questa soglia paradossale sembra assumere la forma straniante di un atto del tutto ingiustificato e privo di senso. Scrive Rocco Ronchi: Prelevata dal mondo ambiente, divenuta immagine, la cosa è esclusa dal mondo in cui per altro è inclusa [ ]. È un pezzo di mondo l immagine è una parte reale della cosa che si è assolto una volta per tutte dalle relazioni che lo connettevano al mondo-ambiente [ ]. La sua solitudine è essenziale come la sua indisponibilità di principio. È dunque l immagine fotografica in quanto tale a collocare il soggetto in un al di là del mondo assolutamente inabitabile, in uno spazio spettrale che rassomiglia a quello ordinario, mostrando però una insuperabile dissomiglianza di fondo, popolato non da uomini, ma da marionette che possono suscitare un riso espiatorio o provocare una sensazione di perturbamento. E se Ronchi giustamente eleva tale dimensione a paradigma dell arte contemporanea, sottolineandone la genesi specificatamente fotografica, allora gli uomini-scheletro della Bonichi e gli esseri immemori e assorti di Kusterle, ne sono senz altro degni abitanti. Mi sono ritrovato spesso, davanti alle fotografie dei due artisti, pervaso dalla sensazione di essere di fronte a qualcosa di sordo e impenetrabile, qualcosa come un blocco inarticolato e senza nome che continuo a fissare, provando inutilmente a scioglierlo nella chiarezza di un concetto, di una qualche definizione. È indubbio che provenga dall immagine, ma è altrettanto evidente che in qualche modo ne trascenda il contenuto specifico, l originalità, i dettagli di cui si compone e la forma particolare. La stessa oscura percezione, infatti, mi assale in maniera simile davanti a immagini pur diverse tra loro. Di qualunque cosa si tratti, so innanzitutto per certo che mi riguarda in prima persona, accompagnandosi a un esperienza di spaesamento ben poco poetica o romantica di cui, istintivamente, farei volentieri a meno. So anche che passare in rassegna l interessante letteratura critica sulle opere di questi autori sfavillante di richiami al mito o a reconditi significati archetipici, di rimandi alla storia dell arte, a testi letterari o all immaginario simbolico della cultura occidentale, di allegorie, interpretazioni ingegnose ed ekphrasis brillanti, di analisi semiotiche e iconologiche solitamente non solo non mi permette di fare passi in avanti nella comprensione di questo stato d animo, ma mi distoglie e mi allontana da esso. In Note su fotografia e storia, uno splendido saggio del 1979 che anticipa le punte più avanzate del

dibattito teorico sul fotografico dei decenni successivi, Giulio Bollati individua due atteggiamenti di fondo della cultura alta di fronte all immagine fotografica. Da una parte la fotografia è considerata copia esatta del reale, frammento di irrefutabile realtà. Dall altra, l errore speculare a questa sottovalutazione maccanicamente naturalistica e documentaria, consiste nel mantenere la fotografia, malgrado tutte le assicurazioni e i giuramenti in contrario, dentro quella continuità estetico-figurativa che essa, appunto, ha interrotto, e nell aspettarla alle prove di un annosa concezione dell «opera d arte». Bollati non si limita a individuare il problema, ma indica la via d uscita da questa ormai secolare impasse: la soluzione, scrive, non sta a metà strada tra documento e opera d arte, ma in un «altrove» alla cui esplorazione sono partiti da tempo viaggiatori non di rado geniali (le guide saranno Walter Benjamin e L interpretazione dei sogni di Sigmund Freud). Se dunque le categorie estetiche maturate in secoli di riflessione e di abitudine non fanno presa sull immagine fotografica, è perché questa ci fa regredire a uno stadio in cui l immagine si sottrae al controllo del pensiero razionale. Se l arte ne era stata esorcizzata, la fototografia, questo rettangolo di realtà oltre il quale è l ignoto spaziale e temporale, ha risvegliato l arcaico e il demonico dormienti nel profondo, riportando a galla quelle verità inconsce che il pensare per concetti non è in grado di attingere. Il nostro rapporto con l immagine fotografica, prosegue Bollati, oscillante tra una reazione «arcaica» e tentativi di controllo razionale della più varia natura, affonda infatti nell indistinto dell esperienza [ ], inclina a confondere l oggetto e la sua rappresentazione. Ecco, forse è proprio questo il punto. Nonostante i trucchi di terra, le maschere vegetali, la stranezza degli abiti marini e dei corpi radiografati o le sfarzose finzioni sceniche dei due fotografi, io non posso fare a meno di scorgere e pensare all essere reale che era lì davanti all obiettivo al momento dello scatto. Immagino il suo volto che si rilassa all improvviso dopo il fatidico clic, il corpo teso che si scioglie nell agio di una postura finalmente naturale dopo estenuanti sedute in posa. Lo vedo mentre ammicca al fotografo o scambia una battuta coi suoi assistenti, si strucca e si riveste per immergersi nuovamente nella vita di tutti i giorni. Quindi ritorno a guardarlo ridotto a immagine e mi chiedo in quale assurda dimensione lo abbia collocato il dispositivo fotografico: senz altro lì, presente a un passo da me, e al tempo stesso del tutto assente, a una distanza infinita da me, ormai irraggiungibile nel quadro quotidiano di gesti e azioni dirette a uno scopo, dotate di senso. La cosa era là, l afferravamo nel movimento vivo di un azione comprensiva, - e, divenuta immagine, istantaneamente eccola divenuta l inafferrabile, scrive Maurice Blanchot, non la stessa cosa allontanata, ma questa cosa come allontanamento. In pagine celebri, Roland Barthes aveva perfettamente individuato la natura contraddittoria dell immagine fotografica e il carattere doloroso, traumatico e indicibile di quello che chiamava il punctum: qualcosa parte dall immagine e mi trafigge, mi anima, qualcosa di indefinibile ( Ciò che posso definire non può realmente pungermi. La impossibilità di definire è un buon sintomo di turbamento ) viene a sconvolgere i codici abituali e condivisi di lettura dell immagine (lo studium). Di che cosa si tratta? Di un paradosso: Il noema del noema della Fotografia sarà quindi: È stato : ciò che io vedo si è trovato là [ ]; è stato là, e tuttavia è stato immediatamente separato; è stato sicuramente, inconfutabilmente presente, e tuttavia è già differito. Entrambe le cose contemporanemaente, assurdità logica di un pezzo di mondo che non sta nel mondo (Ronchi). In un suo denso saggio, proprio riferendosi alla distinzione di Barthes tra studium e punctum, Ronchi scrive che due sono, dunque, le vie della Fotografia. C è innanzitutto una fotografia che dice e che si lascia leggere come un testo, prestandosi ad una riconoscibilità immediata, dove il reale viene riconosciuto in modo quasi automatico perché conforme alle nostre attese. C è però anche una fotografia-traccia che, chiudendosi come un riccio al contatto con l ansia ermeneutica dello spettatore, invece di dire pianamente che cosa è l oggetto al quale rinvia ne attesta la presenza, collocandolo in un presente assolto dalla sua relazione al futuro, presente puro estraneo all ordine diegetico della

narrazione. Sta all osservatore, dunque, decidere: Se si percorrerà la strada più impervia si abbandonerà il mondo umano troppo umano del lavoro e della storia, del progetto e del significato, per entrare in un territorio ambiguo e seducente dove si è in balia della fascinazione e si è in preda di un desiderio senza nome. In questo mondo rovesciato le cose, invece di restarsene fisse al loro posto, manifestando la loro incrollabile identità al giudizio determinante che le scopre come questo o come quello, si mettono, grazie al punctum, a oscillare sul posto: non sono più quello che sono senza nemmeno diventare altre da quello che sono ma se ne stanno in bilico, sulla soglia in una condizione di sconcertante neutralità. Sotto questo aspetto Barthes era stato chiaro: tra lo studium (l elemento culturale, codificato dell immagine, attraverso il quale leggo chiaramente le intenzioni del fotografo) e il punctum (il dettaglio casuale e indefinibile che mi ferisce scompigliando i codici abituali di lettura) vi è una relazione di copresenza. Posso dunque scegliere di percorrere la via della riconoscibilità e della lettura immediata e banale, e allora nelle foto di Kusterle vedrò solo una donna con un curioso abito di pesci e molluschi, un corpo tatuato, un volto ricoperto di lumache o arbusti, o in quelle della Bonichi esseri per metà uomini e metà animali, che si pettinano guardandosi allo specchio o fanno una piroetta tenendo in mano una scarpa. Oppure decidere di incamminarmi ai lati di quello sdoppiamento perturbante del reale che l immagine fotografica opera sempre, del suo rapporto costitutivo con l alterità (Ronchi). Non c è dubbio che Kusterle e la Bonichi abbiano da tempo optato per la strada più impervia. Ma il pubblico, i critici, gli amici a cui mostrano le loro opere? Scrive Barthes: Può darsi che nel quotidiano dilagare delle foto [ ] il noema «È stato» sia non già rimosso, ma vissuto con indifferenza, come un aspetto scontato. I fotografi sanno bene come il pubblico generalmente tenda a credere ai loro scatti come a una informazione immediatamente veritiera, mettendo preferibilmente in atto tentativi di controllo razionale della più varia natura, potremmo dire con Bollati. Se da una parte la complicità dell osservatore è comunque essenziale, dall altra ecco prospettarsi per l artista il compito di assecondare e portare alla massima intensità espressiva i termini contraddittori e il fascino di quel quid indefinibile che s intravede baluginare al fondo di ogni immagine fotografica. Consideriamo ad esempio le straordinarie creature protagoniste della serie Mutabiles nymphae di Kusterle. La potenza visiva con cui ci appaiono e sembrano avvicinarsi a noi, è il frutto di una serie di precisi accorgimenti. Innanzitutto la scelta di un formato tale da mostrarcele a grandezza naturale, come se le incontrassimo nel mondo reale. L effetto è ulteriormente rafforzato sia dalla resa incredibilmente realistica, tattile della texture dei loro abiti, sia dal carattere monumentale del loro presentarsi a noi, ottenuto attraverso la scelta di un punto di vista frontale, di un inquadratura ravvicinata e grazie al loro stagliarsi su di uno sfondo privo di elementi di disturbo e piatto, che annulla una qualunque possibilità di sviluppo narrativo e di articolazione prospettica su più piani. Ciò produce due effetti: da una parte le ninfe sembrano quasi premere e aderire alla superficie della fotografia, ponendosi alla massima vicinanza possibile rispetto all osservatore, quasi potessimo toccarne la bellezza regale; dall altra, tutta l attenzione di quest ultimo viene così concentrata su di esse, senza possibilità di distrazione. Ma il fascino magnetico e senza fine di questi esseri, nasce dalla compresenza, nella stessa foto, di un moto diametralmente opposto e altrettanto intenso - di allontanamento e nascondimento. L assoluta stranezza dei loro abiti marini, la loro natura divina e, soprattutto, i loro occhi chiusi rivolti altrove rispetto a chi guarda, producono un effetto di assenza e distanza, di completo ripiegamento su di sé. È come se, dopo aver deciso di riemergere per un istante dal loro regno subacqueo, agghindate a festa per mostrarsi agli uomini in tutto il loro splendore, fossero già sulla via del ritorno, indifferenti a noi e già sprofondate di nuovo in un mondo totalmente altro dal nostro. Come se, paradossalmente, fossero apparse per mostrarci tutta la straniante invisibilità di esseri trascendentali.

È significativo che molte delle osservazioni fatte valgano anche per le serie Mutazione silente e Riti del corpo, quasi che, una volta individuato un nucleo visivo di fondo e avendone portato le intime contraddizioni alla massima espressione, Kusterle non potesse far altro che esprimerne il fascino indicibile in una serie di continue variazioni sul tema, come conferma anche il carattere ripetitivo di ogni singola serie. Ancora più interessante è notare come la Bonichi adotti accorgimenti simili a quelli visti e come anche nella sua ricerca sia possibile individuare un nucleo visivo di base (scheletri e corpi radiografati) scavato per anni. Qui la scelta del grande formato è anzi più spinta, così come ancora più intensa grazie alla trasparenza della carne - è la mancanza di profondità e il conseguente effetto di appiattimento dei corpi sulla superficie dell immagine. E come le figure di Kusterle si stagliano sulla matericità vuota e senza fondo di strabilianti grigi diafani e opachi al tempo stesso, quelle della Bonichi emergono da neri assoluti o dal magico bagliore di livide luci biancastre, come le immagini di un sogno o di un incubo, eludendo i variegati sfondi su cui si agita la nostra esistenza quotidiana per conferire ai soggetti un evidenza quasi allucinata. Nel caso della Bonichi, inoltre, il carattere straniante dei personaggi raffigurati, di cui vediamo lo scheletro, è senz altro maggiore, nonché una delle componenti principali della sua opera. Ci troviamo letteralmente di fronte al paradosso di veri e propri morti-viventi, con la loro ironia leggera e sinistra al tempo stesso (reazione difensiva a un turbamento profondo e rimosso, come insegnano Freud e Henri Bergson nel suo saggio sul riso). Gli scheletri sono infatti una chiara proiezione, nel presente dell immagine, del futuro della morte, un immediata visualizzazione di quell ombra cadaverica che ci accompagna in ogni momento e che diventeremo. Barthes vedeva nei suoi ritratti fotografici il fatto di essere diventato Tutto- Immagine, vale a dire la Morte in persona, mentre Philippe Dubois sottolinea come l atto fotografico implichi sempre l idea di un passaggio, di un attraversamento irriducibile da un tempo evolutivo ad un tempo fisso, dal regno dei vivi al regno dei morti [ ], dalla carne alla pietra. Di nuovo emerge la straordinaria sovrapposizione tra le opere dell artista e quelli che sono i caratteri essenziali e irriducibili dell immagine fotografica. Viene in mente la celebre lirica di Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Questo verso, infatti, non fa che realizzare anch esso la compenetrazione tra il futuro della morte ( che ci accompagna dal mattino alla sera ) e il presente degli occhi di lei ( così li vedi ogni mattina ). Limite di convergenza paradossale, irrealizzabile nel mondo dei fatti reali: quando la morte sarà arrivata non potrò più vedere i suoi occhi, nemmeno in immagine; fino a che potrò vederli, al contrario, la morte non sarà davvero arrivata. La parola, però, per dare evidenza a questa soglia, può solamente dire e poi contraddire (verrà la morte e avrà i tuoi occhi). L immagine fotografica, invece, la porta a perfetta espressione, accogliendo in se stessa ciò che il mondo reale e il dire predicativo non potranno mai accogliere, rendendo visibile ciò che non potrà mai esserlo altrimenti. Non è forse questo, del resto, il compito paradossale - di ogni artista? BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO BARTHES R. (1980) La camera chiara, Einaudi, Torino. BLANCHOT M. (1955) Lo spazio letterario, Einaudi, Torino 1967. BOLLATI G. (1979) Note su fotografia e storia, in C. Bertelli, G. Bollati, Storia d Italia. Annali 2. L immagine fotografica 1845-1945, Einaudi, Torino, tomo primo, pp. 5-55. DUBOIS P. (1983) L atto fotografico, Quattro Venti, Urbino 1996. Marco Andreani LEVI C. (1945) Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino, 1990. RONCHI R. (2001) Il pensiero bastardo. Figurazione dell invisibile e comunicazione indiretta, Christian Marinotti, Milano. (2007) La solitudine dell immagine. Blanchot, il fotografo e il paradigma modernista, in C. Oggionni (a cura di), Solitudini contemporanee, Franco Angeli, Milano. (2008) Immagine vita, in «Diario Gerra 01», Spazio Gerra, Reggio Emilia, pp. 59-79.

COGITO ERGO SUM CORPO «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». (Roy Batty, cyborg da Blade Runner 1982) Se foto-grafia significa scrittura con la luce, allora Roberto Kusterle è uno scrittore. Le sue opere fotografiche, infatti, hanno una fortissima affinità con la letteratura di fantascienza, in particolare con la letteratura di Philip Kindred Dick (1928-1982). É dal suo romanzo di fantascienza Il cacciatore di androidi, del 1968 (in originale Do Androids Dream of Electric Sheep? ), che è stato tratto il celebre film Blade Runner (1982) di Ridley Scott, carico dei temi cari allo scrittore americano: cos è reale e cosa non lo è, cosa è umano e cosa no. Roberto Kusterle, goriziano classe 1948, crea mondi immaginari, senza tempo. Ne nasce un senso di mistero ed ambiguità che suscita riflessioni d ogni tipo. Ancor più destabilizzante e difficile a credersi (la domanda di Dick: cosa è reale e cosa no?) sono, non solo i suoi soggetti, ma anche queste vere e proprie mise en scène di ambientazioni di mondi paralleli creati ad hoc, a mano, dall artista goriziano. Tutto quello che si vede nei suoi set scenografici è reale, senza interventi o manipolazioni al computer: come l enorme testa (vera scultura) de Il sostegno dell Io, in cui un uomo si sforza di scalzare da un terreno arido (vero greto di un torrente in secca) un enorme testa simulacro (altro termine caro a Dick) che ricorda la statua di un idolo, molto simile allo stesso uomo che spinge. L opera di Kusterle diventa così fotografia, scultura, teatro, performance, video. Il corpo è il vero medium su cui Kusterle sperimenta le sue visioni. La pelle diventa testo su cui leggere i codici delle Natura, alla quale aspira un ritorno totalizzante, in cui Uomo e Natura si fondano insieme (come nella serie Segni di Pietra ), fino ad un totale scambio tra pietra e pelle, in cui l una sembra carne e l altra pietra. Roberto Kusterle indaga l inverosimile o forse l irreale, ma soprattutto il senso dell umano e dell Essere, come fece Dick. Tra i personaggi dell artista goriziano e lo scrittore americano c è in comune la stessa condanna: una solitudine incolmabile e la ricerca di sé, resa vera attraverso l esperienza del corpo. Come il poliziotto protagonista Deckard, creato da Dick, si interroga circa i cyborg, forse lui stesso androide, così ci domandiamo noi circa gli esseri di Kusterle: sono umani? Provano sentimenti come noi? Il loro corpo prova dolore? La nostra certezza di esistere arriva dal dubbio, perché il pensiero ce lo conferma: Cogito ergo sum ( Penso quindi sono ) come sosteneva il filosofo francese Cartesio (1596-1650). Ma chi mi sta di fronte è un soggetto come noi o piuttosto un androide o un mostro? Abbiamo bisogno di conferme. Singolare notare come Cartesio parlava già di uomini e macchine quando, definendo la capacità di pensare (cogitare) la definiva come capacità di autocoscienza che appartiene solo agli uomini dotati di «[...] un corpo che funziona meccanicamente, come una macchina: incomparabilmente meglio ordinata e ha in sè movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare». E la conferma più forte di sé è negare l altro da sé, il diverso che non si conosce. Claudio Composti

IL CORPO e L ANIMA (delle COSE) [7] il Signore Dio plasmò l uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l uomo divenne un essere vivente. (Genesi) Nella Storia dell Arte, così come nella Scienza o nella Letteratura, i grandi artisti sono stati quelli che, più degli altri, hanno avuto la capacità di vedere oltre. Delle antenne del mondo in grado di captare, forse nemmeno in piena coscienza, quello che la gente comune non può (o non vuole) vedere: l invisibile. Pensiamo alle opere visionarie dipinte da Hyeronimus Bosch, al genio di Leonardo Da Vinci o al surrealismo onirico di Renè Magritte, di Max Ernst e di Salvador Dalì. La percezione e la lettura del mondo hanno subìto una rivoluzione grazie all invenzione della macchina fotografica. Una vera macchina del tempo, capace di fermare l attimo in un eterno immortale. Salva cose, persone, paesaggi dall inevitabile deperimento. Indaga la realtà e il corpo. Al di là delle nozioni tecniche del funzionamento, la Foto-grafia (che significa scrittura di luce ) ha un lato magico e inspiegabile per il fatto stesso di rendere la luce una penna, con cui scrivere le mille storie della Vita. E della Morte. Il corpo morto, infatti, come per la Filosofia e la Scienza in primis e la Pittura poi, divenne un tema inevitabilmente attraente per la Fotografia, forse per cercare, con questo splendido mezzo moderno, la prova provata dell esistenza di un qualcosa che l occhio umano non percepisce. L Anima. Perchè non di solo corpo siamo fatti. David Levi Strauss nel suo saggio Politica della fotografia (1) cita Christian Metz nel dire che [ ] La ripresa fotografica è immediata, definitiva, come la morte [ ]. Lo stesso tentativo di indagare la Morte (e forse ancor di più, l Oltre ) muove da sempre l attenzione di fotografi: pensiamo a Wegee, a Serrano o ad uno degli artisti più controversi della fotografia contemporanea, Joel Peter Witkin. [ ] L oscurità dentro di noi è tale che per me diventa affascinante. [ ] A me sembra che i migliori mezzi per arrivarci siano gli strumenti estetici della fotografia [.]. Partendo da presupposti opposti, ma con lo stesso medium fotografico, Benedetta Bonichi indaga il corpo e oltre attraverso le sue radiografie fotografiche, andando sotto pelle. Benedetta ci mostra, in una ricerca quasi scientifica, esseri (umani?) che vivono ( Donna che si specchia ), amano ( La conversazione platonica e Battaglia ), muoiono ( Narciso ) in un continua fusione tra Amore, Vita, Morte. La Morte si sconta vivendo diceva Ungaretti. Benedetta Bonichi ce lo ricorda in un memento mori foto-radiografico che svela allo stesso tempo tutta la forza della Vita, tentando forse di dimostrare il lato nascosto delle cose, quasi a cercare la riprova di quell Anima ( l alito di Dio ) che rende vivo ogni Essere. Non necessariamente umano (pensiamo all opera La sirena o Collana di perle ). Tanto più, Benedetta in questa ricerca della verità delle cose, arriva a indagare il simbolo per eccellenza della sacralità: Cristo. Nella splendida opera che è la Crocifissione, a dimensione naturale, stampato su tela, in cui la radiografia di un uomo in croce rimanda alla sacralità di una contemporanea Sacra Sindone. Quasi a voler dare prova scientifica della crocifissione di Cristo. Un estremo tentativo, molto umano, di cogliere il passaggio esatto tra il qui e l Aldilà dove, come si dice, ogni corpo morto perde 21 grammi. Il peso dell Anima. (1) Politica della fotografia (Edizioni postmedia books 2007) Claudio Composti

ROBERTO KUSTERLE

NEMESIS O Nemesi, ti celebro, Dea, Somma Regina, tutto vedi, osservando la vita dei mortali dalle molte stirpi; Eterna, Augusta, che sola ti rallegri di ciò che è giusto, che muti il discorso molto vario, sempre incerto, che temono tutti i mortali che mettono il giogo al collo: perchè a Te sempre sta a cuore il pensiero di tutti, nè ti sfugge l anima che si inorgoglisce con impulso indiscriminato di parole. Tutto vedi e tutto ascolti, tutto decidi; in Te sono i giudizi dei mortali, demone supremo. Vieni, Beata, Santa, agli iniziati sempre soccorritrice: concedi di avere una buona capacità di riflettere, ponendo fine agli odiosi pensieri empi, arroganti, incostanti. (Mesomedes, Inno a Nemesis, II d.c.)

Ci fu un tempo in cui i pensieri e le parole erano un tutt uno con l azione. Un tempo dove si manifestavano le proprie intenzioni e le parole erano sacre per chi le pronunciava. Poi venne il tempo di Inganno che mise il giogo al collo, per derubare quell energia che l uomo ha perduto nel rinunciare a tessere la trama della propria esistenza! Nemesis è colei che ripristina l ordine armonico nel mondo, colei che proviene dalla Notte e che sussurra da lontano che è tempo di ritornare a sé. Da qui la scelta di una dea ctonia a sigillo dell universo visionario di Roberto Kusterle, artista, demiurgo, poeta, sciamano, perseverante occhio curioso, che attraverso le immagini fotografiche ci consegna le chiavi per varcare la soglia di quel mondo altro che coincide col primordiale inizio, con quel sonno senza sogni, di cui non possiamo né potremo mai avere coscienza. I corpi diventano luoghi sacri del pensiero dell artista, che fonde l epidermide plastica con la linfa vegetale e animale, creando nuovi esseri ibridi, carichi di una sensualità ancestrale, prigionieri di una memoria ormai perduta, resi ciechi dall incapacità di armonizzarsi con la Natura e ormai sordi all eco del Tempo senza Tempo. Il tentativo di colmare questo vuoto riconduce ogni suono verbale all originario sapienziale Silenzio. Lo sguardo si inabissa nella percezione di uno spazio senza orizzonti, di un tempo privo di limiti. Il tempo ciclico diventa ritmicità uroborica, che corrisponde alla nascita di un nuovo inizio segnato dalla riemersione acquatica, di cui sono forte emblema le creature ipnotiche Mutabiles Nymphae. La niña milagrosa, lo spirito bambino capace di udire il richiamo, la voce lontana dell anima mundi, è seme nascosto nelle tracce della terra, nell alveo secco di un fiume che poco prima scorreva copioso e che ora rivendica, lacerato, la dignità della Natura ferita che aspetta la cura dell uomo distratto. Le madri del Fato tessono nell ombra beata dei loro secreti la trama degli eventi e delle parole silenziose, mentre l umanità estraniata autofagocita se stessa in un banchetto di finte vanità. Corpi senza ombre vagano alla ricerca di quella fonte primigenia, tentano invano di recuperare la vista attraverso occhi vitrei di creature marine, tendono le corde vocali su un canto afono, frugano chiocciole labirintiche nella speranza di ritrovare l ascolto. Le ali dei sogni, frammenti di farfalla, aurora dell anima, sono lì appese, pronte per tentare continuamente il volo. Ma l uomo eterno Icaro dalle ali incerte, è nelle pietre, figlie della terra, che ritrova la forza interiore e il coraggio ancora da liberare per svelare la propria identità. Se non può volare, può sempre entrare in simbiosi con le viscere sacre e diventare consapevole del proprio pensiero inconscio e represso. La spiritualità magmatica della materia penetra nel derma e la stessa umana pelle si trasforma in matrice di memoria sulla pietra che conserva orme apotropaiche di presenze precarie. Se solo imparassimo a fissare la nudità dell abisso ci accorgeremmo di non avere perduto l eredità bifronte del Sole e riscopriremmo le nubi alchemiche degli antri magici, la grandezza della Madre esiliata. Debora Ricciardi