EFFETTI DELLE PIOGGE SUI DEPOSITI PIROCLASTICI DELLA REGIONE CAMPANIA

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EFFETTI DELLE PIOGGE SUI DEPOSITI PIROCLASTICI DELLA REGIONE CAMPANIA Leonardo Cascini, Sabatino Cuomo, Settimio Ferlisi Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Salerno e-mail: l.cascini@unisa.it; scuomo@unisa.it; sferlisi@unisa.it Sommario Con riferimento ad un ampia porzione della Regione Campania nelle quali coltri di terreno piroclastico sono sistematicamente sede di differenti fenomeni di instabilità innescati da piogge di particolare intensità e durata, la presente nota illustra i principali risultati di una ricerca volta ad evidenziare le relazioni esistenti per assegnati fattori predisponenti tra valori delle suzioni nelle coltri e caratteristiche degli eventi pluviometrici, da una parte, e tipologie di fenomeni d instabilità, d altra. 1. Introduzione Le coperture piroclastiche che ammantano i rilievi della Regione Campania sono sistematicamente sede di fenomeni di instabilità innescati da eventi pluviometrici. La tipologia di tali fenomeni varia, tuttavia, in funzione dei fattori predisponenti l instabilità (caratteristiche litologiche della formazione sulla quale insistono le coltri, pendenza dei versanti, caratteristiche idrauliche e geotecniche dei terreni piroclastici coinvolti e loro assetti stratigrafici, ecc.), delle condizioni iniziali (valore della suzione nelle coltri), delle condizioni al contorno (caratteristiche, in termini di intensità e durata, degli eventi pluviometrici) che intervengono nel definire il problema. Facendo riferimento al contesto geologico che, nel corso dei secoli, è stato sede di eventi dalle conseguenze spesso catastrofiche, la presente comunicazione fornisce un contributo sugli effetti stagionali delle piogge facendo riferimento sia al database sugli eventi occorsi nel passato e sia alle conoscenze disponibili sull andamento nel tempo della suzione, grandezza quest ultima che varia in misura significativa nel corso dell anno idrologico condizionando il comportamento idraulico e meccanico delle coltri piroclastiche sede dei fenomeni di instabilità La finalità dello studio è quella di pervenire, attraverso un corretto inquadramento degli eventi occorsi nel passato, ad un attendibile previsione di quelli futuri, nell ottica di una adeguata valutazione della suscettibilità e della pericolosità delle coltri all innesco di fenomeni di instabilità che possono provocare conseguenze differenti nelle aree pedemontane in funzione delle loro caratteristiche in termini di volumi mobilitati, reologia della miscele acqua-sedimento e delle caratteristiche geometriche/cinematiche del flusso nel tratto che si propaga dalle aree di innesco fino alle zone di deposito. 2. Il contesto geologico di riferimento Un area dell estensione di circa 3.000 km 2 all interno della regione Campania è ricoperta da depositi piroclastici che hanno tratto origine dall attività esplosiva dei complessi vulcanici del Somma-Vesuvio e di Roccamonfina (Fig. 1a). Con riferimento alle problematiche di interesse, l area in questione può essere suddivisa in 4 contesti (A1, A2, B, C), differenti per caratteristiche geologiche, idrogeologiche e geomorfologiche, ed al cui interno ricadono 212 Comuni le cui aree urbanizzate sono, in larga misura, classificate a rischio molto elevato nei Piani stralcio per l Assetto Idrogeologico Rischio da

frana (L. 183/89; L. 365/2000) per la possibile occorrenza di fenomeni di flusso rapido che traggono origine nelle coltri piroclastiche. Un analisi specifica dei contesti geologici e dei fenomeni di instabilità che in essi hanno sede esula dallo scopo del presente lavoro che focalizza essenzialmente l attenzione sul contesto A1, vale a dire quello maggiormente affetto nel corso dei secoli da eventi catastrofici in termini di conseguenze per la proprietà e per la vita umana (Fig. 1b). All interno di tale contesto, pur in presenza del medesimo substrato che è essenzialmente costituito da calcari mesozoici, fortemente fessurati e fratturati nelle zone di contatto con le sovrastanti coltri piroclastiche, si notano molteplici differenze riguardanti i) la forma e la dimensione dei bacini (Fig. 2) nei quali hanno sede i fenomeni di instabilità, ii) lo spessore ed il grado di saturazione delle coltri (a sua volta variabile nel corso dell anno), iii) la presenza o meno di elementi antropici lungo i versanti, etc. Tali sostanziali differenze, unitamente alla diversa collocazione geografica dei rilievi montuosi, condizionano la tipologia dei fenomeni di instabilità dei versanti che si verificano in differenti periodi dell anno come brevemente discusso nel successivo paragrafo. a) b) Fig 1. a) Mappa dei depositi piroclastici nella regione Campania (modificata da Cascini et al., 2013); b) distribuzione spaziale delle vittime causate da fenomeni franosi tipo flusso nel contesto geologico A1 (da Cascini et al., 2013). a) b) 0 1 km 0 0.1 km Fig 2. Esempi di differenti bacini montani: a) bacino montano del Reginna Maior (monti Lattari, Costiera Amalfitana); b) bacino montano del Tuostolo (monti di Sarno) (modificata da Cascini et al., 2013). 3. Fenomeni di instabilità e loro distribuzione nel corso dell anno Le differenze dei fenomeni di instabilità che hanno sede all interno del contesto geologico A1 (Fig. 1a) rendono necessario il ricorso, per un loro inquadramento, ad almeno due delle classifiche proposte nella letteratura sui fenomeni di flusso rapido e, in particolare, a quelle di Costa (1988) e di Hungr et

al. (2001). La prima di tali classifiche evidenzia che ai fenomeni in questione è attribuita una differente denominazione in funzione della concentrazione volumetrica di sedimenti delle miscele in movimento secondo una scala nominale così definita: per percentuali minime di sedimenti comprese tra lo 0,4% e il 20 % il fenomeno è definito water flood ; laddove tali percentuali siano contenute nell intervallo 20-47 % il termine introdotto è quello di hyperconcentrated flow ; si passa, infine, nel campo dei debris flow in presenza di sedimenti con percentuali variabili tra il 47% e il 77%. E appena il caso di osservare che, passando da un tipo di fenomeno ad un altro, si modificano anche i valori tipici del peso dell unità di volume e della resistenza al taglio oltre che della reologia della miscela. Da parte loro, Hungr et al. (2001) utilizzano il termine debris avalanche quando il fenomeno di instabilità si genera, alimenta e propaga su un versante aperto; viceversa, il fenomeno è definito debris flow laddove la massa instabile si propaghi secondo un percorso fortemente condizionato dalla presenza di un impluvio o di altre forme morfologiche che di fatto la canalizzano per un tratto significativo tra l area di innesco dei fenomeni di instabilità e le zone di deposito dei flussi. Facendo riferimento alle suddette classifiche, Cascini et al. (2013) sottolineano, innanzitutto, come tutte le fenomenologie in precedenza richiamate possano avere sede nel contesto geologico di interesse anche se la distribuzione spaziale e temporale di ognuna di esse non è casuale essendo condizionata da molteplici fattori quali la forma dei bacini e le caratteristiche delle precipitazioni meteoriche, da una parte, ed il valore della suzione prima dell inizio dell evento pluviometrico critico, dall altra. Con riferimento alla forma dei bacini si osserva che in forme tipiche della costiera Amalfitana (Fig. 2b), indipendentemente dalle modalità di innesco dei fenomeni di instabilità lungo i versanti, la percentuale dei sedimenti presenti nella miscela che evolve verso valle tende a ridursi per i) le portate generalmente non trascurabili lungo gli alvei in conseguenza degli eventi pluviometrici e/o ii) gli accumuli temporanei che lungo gli alvei medesimi si formano in conseguenza di ostruzioni causate da masse di terreno e/o vegetazione provenienti dalle sponde laterali. Conseguentemente, in ambienti morfologici simili, i fenomeni che invadono gli abitati ubicati allo sbocco dei bacini montani sono generalmente classificabili come hyperconcentrated flow o water flood. Per quanto riguarda le piogge si osserva che intensità e durata differiscono in misura ragguardevole in funzione del periodo dell anno e dell area investita dall evento meteorologico; a tal riguardo, De Luca (2013) individua essenzialmente tre categorie principali di eventi rispettivamente corrispondenti a i) celle temporalesche isolate; ii) eventi frontali o baroclini, iii) uragani mediterranei (Fig. 3). Rimandando a De Luca (2013) e Cascini et al. (2013) per tutti gli approfondimenti ritenuti necessari, qui si vuole semplicemente sottolineare che in genere gli eventi che avvengono al termine della stagione estiva e prima dell inverno sono caratterizzati da una durata complessiva ridotta, dell ordine di alcune ore, e da una elevata intensità, mentre nel pieno della stagione invernale e fino al termine di quella primaverile gli eventi pluviometrici hanno una durata complessiva molto maggiore ed una intensità oraria minore. Le differenti caratteristiche degli eventi pluviometrici, unitamente alle differenti condizioni di saturazione delle coltri piroclastiche, contribuiscono a favorire essenzialmente l innesco di hyperconcentrated flows e di water floods nel periodo che va da agosto a dicembre e di debris flows (generalmente denominate colate rapide di fango), da dicembre a giugno. Due tipici esempi sono rispettivamente rappresentati dall evento che nell autunno del 1954 funestò la Città di Salerno e molti Comuni della costiera Amalfitana, dove si registrarono 319 vittime, e dall evento del maggio 1998 che causò la perdita di 159 vite umane e danni economici ingentissimi in 4 Comuni dell entroterra campano. Per le notevoli differenze delle caratteristiche degli eventi pluviometrici alla base dei due fenomeni appena citati si rimanda a Tranfaglia e Braca (2004) e a Cascini (2005), ricordando qui che nell autunno del 1954 caddero circa 500 mm di pioggia in 16 ore mentre nel maggio 1998 Cascini et al. (2003) hanno stimato in 240 mm la pioggia cumulata in 48 ore, a valle di circa 9 giorni di pioggia di intensità ridotta ma persistente nell arco delle 24 ore.

Gli effetti che piogge così differenti possono causare in due periodi dell anno in cui le condizioni iniziali caratterizzanti le coltri piroclastiche sono, a loro volta, totalmente diverse sono approfonditamente analizzati in Cascini et al. (2013) e riassunti nel paragrafo successivo. Fig. 3. a) Modello digitale del terreno (DTM) 25 25 m della regione Campania. Esempi di diverse tipologie di precipitazioni: b) eventi frontali (17 novembre 1985), c) uragani mediterranei (26 ottobre 1954), d) celle temporalesche isolate (29 dicembre 1970) (modificata da De Luca et al., 2010) 4. Le relazioni esistenti tra fenomeni di instabilità e loro distribuzione nel corso dell anno Le possibili relazioni esistenti tra eventi pluviometrici e fenomeni di instabilità lungo i versanti possono essere adeguatamente inquadrate partendo dall analisi dei valori tipici della suzione nel corso dell anno che è resa possibile da un database che si è andato arricchendo nel tempo a partire da alcuni mesi prima dell evento del 1998, quando il gruppo di Geotecnica dell Università di Salerno ritenne di dovere avviare, a seguito dell emergenza idrogeologica del gennaio 1997, misure in sito con tensiometro portatile in alcuni siti campioni della costiera Amalfitana. Una campagna di indagini eseguita con la medesima strumentazione partì immediatamente a valle degli eventi luttuosi del 1998 sui versanti del massiccio carbonatico del Pizzo d Alvano (Cascini e Sorbino, 2004) lungo i quali sono state eseguite più di 5.000 misure nel corso di circa tre anni. In considerazione della rilevanza del tema, qualche tempo più tardi sono stati strumentati un certo numero di siti pilota dall Università di Napoli Federico II che si è avvalsa di strumentazione sia fissa (Evangelista et al., 2008) e sia portatile (Pirone et al., 2010). Grazie alla consistente mole di dati sin qui acquisita si può asserire che, a fronte di un andamento apparentemente casuale della suzione, si riconoscono valori e trend ben definiti di tale grandezza nel corso dell anno soprattutto se si fa riferimento a grandezze mediate su un periodo temporale di 30 giorni; queste chiaramente evidenziano come le coltri si desaturino al termine della stagione piovosa per poi iniziare a saturarsi nuovamente con un valori medi pressoché costanti nel corso della stagione invernale. Contribuiscono a variazioni talvolta consistenti, ancorché locali e di breve durata, sia

fenomeni piovosi particolarmente intensi e sia una sequenza di giorni asciutti. Ulteriore elemento che concorre a condizionare i valori estremi della suzione è rappresentato dall esposizione dei versanti che, laddove rivolti a Nord, tendono a desaturarsi molto di meno nella stagione estiva rispetto a quelli con esposizione a Sud. Rimandando a Cascini et al. (2013) per tutti gli approfondimenti sul tema, in Tabella 1 si riporta un quadro riassuntivo significativo che riassume le tipiche condizioni associabili nel corso dell anno ad un versante presente nel contesto geologico oggetto di interesse. Partendo dai dati riportati in Tabella 1 e dalle precipitazioni tipiche nei diversi periodi dell anno (De Luca, 2013), in Cascini et al. (2013) sono sviluppate semplici analisi geotecniche di tipo parametrico che mettono chiaramente in luce come l instabilità dei versanti nella stagione piovosa sia essenzialmente da mettere in relazione a frane superficiali che, qualora si verifichino fenomeni di liquefazione statica nella fase di post-rottura, si propagano verso valle essenzialmente come debris flow. Viceversa, nelle altre stagioni dell anno, in considerazione dello stato di saturazione dei versanti, i fenomeni di instabilità non possono essere analoghi ai precedenti in quanto non si registrano significative modifiche del regime delle pressioni neutre anche a seguito di eventi pluviometrici critici che, di fatto, per le loro caratteristiche generano essenzialmente fenomeni erosivi superficiali di tipo lineare e/o areale (Mele e Del Prete, 1999; Bovolin, 2012). Tabella 1. Interpretazione dei tipi di instabilità dei versanti basa su precipitazioni, aspirazione e dati storici (modificata da Cascini et al., 2013). *data from Rossi and Chirico (1998), ** data from Cascini and Sorbino (2004), *** data from Mele and Del Prete (1999), Cascini et al. (2008) and Bovolin (2012). 5. Considerazioni conclusive La gestione scientifica dell emergenza idrogeologica del maggio 1998, causata da colate rapide di fango occorse in un lasso di 14 ore circa, ha di fatto rappresentato una svolta in materia di analisi e zonazione del rischio da frana che, proprio a partire dalle prime fasi della gestione, si è caratterizzata per il perseguimento di obiettivi ragionevoli in relazione ai tempi, alle risorse ed alle conoscenze disponibili. L approccio perseguito ha consentito di perimetrare in soli undici giorni le aree a rischio residuo nei Comuni colpiti dalle colate e, nei mesi immediatamente successivi, di ottemperare alle richieste dei dettati legislativi che hanno imposto alle Autorità di Bacino di perimetrare, sulla base di una scala nominale composta di 4 classi, le aree a rischio sul territorio di loro competenza. Questo processo ha consentito di individuare in Campania 212 Comuni i cui territori sono suscettibili a fenomenologie analoghe a quelle occorse nel maggio 1998 e a cui corrisponde un analogo livello di rischio in base all approccio di tipo euristico utilizzato ed al livello preliminare di zonazione che con tale approccio è stato possibile perseguire (Cascini et al., 2012). La presente comunicazione vuole evidenziare che un significativo e sistematico approfondimento di molteplici tematiche, reso possibile da studi e riflessioni portate avanti nel tempo da ricercatori di differenti aree disciplinari, ha evidenziato come i fenomeni che possono aver sede nei 212 Comuni

della Regione Campania possano tra loro fortemente differenziarsi in termini di meccanismi d innesco, modalità di propagazione ed entità dei volumi mobilitati in funzione del periodo dell anno e del luogo in cui si verificano. Tale considerazione appare di fondamentale importanza non già per modificare l attuale zonazione del rischio, che proprio per il suo livello preliminare rimane immutata, quanto piuttosto per procedere ad un analisi avanzata dei fenomeni che tenga conto dei principi basilari e dei metodi propri della Meccanica dei Terreni, la cui utilizzazione è indispensabile per sviluppare analisi quantitative del rischio (QRA) che devono necessariamente basarsi su una valutazione avanzata di molteplici fattori quali le modalità di innesco dei fenomeni, il volume delle miscele in movimento e la loro reologia oltre che dell ambiente morfologico nel quale gli stessi fenomeni si originano, si propagano e si arrestano. La presente nota è dedicata alla memoria del compianto Prof. Giuseppe Sorbino. Bibliografia Bovolin V. (2012). Studio idraulico dell evento alluvionale avvenuto ad Atrani (SA) il 9 settembre 2010. Parte I: ricostruzione dell evento. Cooperativa Universitaria Editrice Studi, Fisciano, 54 pp. Cascini L. (2005). La gestione scientifica dell emergenza idrogeologica del maggio 1998 nella Regione Campania. Rubbettino Editore, 278 pp. Cascini L., Ferlisi S., Vitolo E. (2012). La valutazione dei PsAI-Rf alla luce delle linee guida del JTC-1. In: Cascini L. (ed.), Criteri di zonazione della suscettibilità e della pericolosità da frane innescate da eventi estremi (piogge e sisma). Composervice S.r.l., Padova, pp. 50-51. Cascini L., Sorbino G., Cuomo S., Ferlisi S. (2013). Seasonal effects of rainfall on the shallow pyroclastic deposits of the Campania region (southern Italy). Landslides, DOI 10.1007/s10346-013-0395-3. Cascini L., Ferlisi S., Vitolo E. (2008). Individual and societal risk owing to landslides in the Campania region (southern Italy). Georisk, 2(3),125 140. Cascini L., Sorbino G. (2004). The contribution of soil suction measurements to the analysis of flowslides triggering. In: Picarelli L. (ed.) Proc. of the Int. Workshop on Occurrence and mechanisms of flow-like landslides in natural slopes and earthfills, 14 16 May 2003 Sorrento. Pàtron Editore, Bologna, pp. 77 85. Cascini L., Sorbino G., Cuomo S. (2003). Modelling of flowslide triggering in pyroclastic soil. In: Picarelli L. (ed.) Proc. of the Int. Conference on Fast Slope Movements Prediction and Prevention for Risk Mitigation, 11 13 May 2003 Napoli, vol. 1. Pàtron Editore, Bologna, pp. 93 100. Costa J.E. (1988). Rheologic, geomorphic, and sedimentologic differentiation of water floods, hyperconcentrated flows, and debris flows. In: Baker V.R., Kochel R.C., Patton P.C. (eds.) Flood geomorphology. John Wiley and Sons, Inc., New York, pp. 113 122. De Luca C. (2013). Previsione e prevenzione di eventi idrologici estremi. Tesi per il conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca in Ingegneria Civile per l Ambiente ed il Territorio. Università di Salerno, 155 pp. De Luca C., Furcolo P., Rossi F., Villani P., Vitolo C. (2010). Extreme rainfall in the Mediterranean. Proc. of the Int. Workshop on Advances in Statistical Hydrology, 23 25 May 2010 Taormina, Italy, pp. 1 11. Evangelista A., Nicotera M.V., Papa R., Urciuoli G. (2008). Field investigation on triggering mechanisms of fast landslides in unsaturated pyroclastic soils. Proc. of the 1st European Conference on Unsaturated Soil, 2 4 July 2008, Durham, United Kingdom. Taylor and Francis Group plc, London, pp. 909 915. Hungr O., Evans S.G., Bovis M.J., Hutchinson J.N. (2001). A review of the classification of landslides of the flow type. Environ Eng Geosci, 7(3),221 238. Mele R., Del Prete S. (1999). Lo studio della franosità storica come utile strumento per la valutazione della pericolosità da frane. Un esempio nell area di Gragnano (Campania). Boll Soc Geol Ital, 118,91 111. Pirone M., Papa R., Nicotera M.V. (2010). Test site experience on mechanisms triggering mudflows in unsaturated pyroclastic soils in southern Italy. Proc. of the 5 th Int. Conference on Unsaturated Soils, Barcelona, Spain, 6 8 September 2010, vol. 2. CRC Press/Balkema, Leiden, pp 1273 1278. Rossi F., Chirico G.B. (1998). Definizione delle soglie pluviometriche d allarme. National Group for Defence from Hydrogeological Catastrophes National Research Council (G.N.D.C.I.-C.N.R.), 2.38 Operative Unit, Salerno. Department of Civil Engineering, University of Salerno, Italy. Tranfaglia G., Braca G. (2004). Analisi idrologica e meteorologica dell evento alluvionale del 24 25 Ottobre 1954: confronto con le serie storiche e valutazione del periodo di ritorno di eventi analoghi. In: Esposito E., Porfido S., Violante C. (eds.). Il Nubifragio.dell Ottobre 1954 a Vietri sul mare. Costa d Amalfi, Salerno. Pubblicazione G.N.D.C.I. n. 2870, pp. 295 348.