Leadership di pace. (Tratto da LEADERSHIP al FEMMINILE di Francesca Romano e Daniela Bonetti)



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Leadership di pace (Tratto da LEADERSHIP al FEMMINILE di Francesca Romano e Daniela Bonetti) «Papà, ma qual è il migliore amico della donna?» «Eh?» «L uomo ha il cane, ma la donna chi ha? Resta sola?» Ermanno Ferretti (su Twitter) Non per combattersi, ma per completarsi Ci siamo appena chieste se gli uomini siano la causa di tutti i guai. Ovviamente la risposta è no. Questo non è un manuale su come sconfiggere gli uomini sui campi di battaglia professionali e personali, né un apologo delle straordinarie qualità della donna contrapposte alle presunte nefandezze del maschio. Non ci interessa erigere monumenti alle donne in quanto tali.

Che senso avrebbe? Non renderemmo giustizia né a quante eccellono sfruttando a pieno le proprie risorse interiori, né a quante sfruttano in minima parte il potenziale umano che hanno avuto la fortuna di ricevere in dote, trascinando un esistenza al di sotto del loro potenziale. Non abbiamo nessuna intenzione di alimentare il conflitto fra uomini e donne, che tutto sommato si alimenta già a sufficienza da solo. I meriti, come i demeriti, sono individuali, non del genere femminile o maschile. In effetti, ti vogliamo invitare a guardare le cose da altri punti di vista, perché il nostro è un invito all unione di due tipologie di leadership, una di stampo maschile e una di impronta femminile. Ogni essere umano, donna o uomo, ha la possibilità di armonizzarle in sé, per raggiungere più alti standard di realizzazione in ogni ambito della vita. È fondamentale capire che non è possibile né consigliabile associare in modo univoco la «leadership al maschile» agli uomini e la «leadership al femminile» alle donne. Modelli di pensiero e comportamento che possiamo descrivere come femminili e altri che decidiamo di definire maschili possono appartenere, variamente dosati, tanto all uomo che alla donna.

Ti è mai capitato di conoscere donne leader, grintose e agguerrite e nondimeno dotate di innegabile femminilità, dolcezza, amabilità? O viceversa uomini capaci di accedere facilmente alle proprie emozioni e di condividerle apertamente, ma non per questo meno combattivi quando arriva il momento di superare le avversità che li separano dai propri obiettivi? Questi individui forniscono a tutti noi un esempio di leadership versatile, a tutto tondo. Sono leader di se stessi, il tipo di persone che sanno dare voce alla propria leadership sia quando ha tratti più spiccatamente maschili, sia quando parla nei toni della femminilità (vedremo più avanti come). Invidiabili, vero? sì, ma soprattutto, imitabili! L unione di leadership al maschile e al femminile è un percorso che può essere compiuto da ciascuna (e ciascuno) di noi. Nell Eneide, Virgilio definisce a più riprese Enea, l eroe collegato alla fondazione di Roma e alla dinastia augustea, «pietoso», e non perché faceva pena, ma perché la provava! Enea era un guerriero tutto d un pezzo che tuttavia non nascondeva le lacrime, quando gli sgorgavano spontanee. Un attimo dopo, con gli occhi ancora umidi, era capace di impugnare la spada e partire all attacco, senza alcuna

contraddizione. Può sembrare strano, ma solo perché siamo abituati a stili di leadership che si sono sviluppati nella differenziazione più che nell unione, nella separazione di presunti opposti più che nel loro dialogo, nel segnare confini più che nell attraversarli. Ma la leadership al maschile non potrebbe essere tale senza lo specchio costituito dalla leadership al femminile, né questa si sarebbe evoluta nella forma che oggi le riconosciamo se non avesse avuto il suo contraltare nella leadership al maschile. Mai come in questo caso è bene ricordare che gli opposti non esistono per combattersi, ma per completarsi a vicenda. Troppo a lungo donne e uomini si sono negati la possibilità di sperimentare l ampia ricchezza di possibilità fornita dall adozione di entrambi i modelli di leadership, con risultati a volte drammatici. Gli uomini se ne privano ogni volta che respingono il diritto di entrare in contatto con le proprie emozioni per lasciarsene ispirare, le donne in tutte le circostanze in cui esitano ad accedere alla propria forza interiore, anteponendo senza giudizio il cuore al pensiero razionale, il proprio relativismo alla fiducia in sé. In un caso o nell altro, guidare se stessi ed eventualmente altre persone continuando a perpetuare un

modello di leadership troppo rigido, tagliato lungo il solco dell identità di genere, oggi è una scelta perdente. Ci può condannare a non raggiungere la nostra vera realizzazione. «Luidership» e «leidership» Nonostante non abbiamo alcuna intenzione di alimentare una disputa fra i generi, dobbiamo riconoscere che nelle scarpe delle donne c è qualche sassolino da togliere. Come vedremo nel quarto capitolo, nonostante gli enormi progressi conseguiti in termini di uguaglianza e pari opportunità negli ultimi secoli, la realtà in cui viviamo è tuttora dominata da uno stile di leadership che antepone la forza alla dolcezza, la determinazione alla flessibilità, la logica dei numeri alle ragioni dei sentimenti. Nessuno può negare che dobbiamo a questa leadership tutta al maschile alcuni tra i più grandi traguardi dell umanità, ma è anche vero che le più orribili tragedie della storia si sarebbero potute evitare o ridimensionare se solo con la leadership di lui si fosse fusa armoniosamente la leadership di lei. Oltre a questo, avremmo avuto un mondo popolato da persone più felici e quindi meno disposte a rovinarsi la vita a vicenda. Persone in cui luidership e leidership potevano

convivere in armonia, per usare due simpatici neologismi. Invece il modello di leadership plasmato solo dal lato maschile è rimasto sordo al lato femminile, che avrebbe potuto temperarne gli eccessi. Contemporaneamente, il modello forgiato solo dal lato femminile ha aspettato a lungo il suo momento e oggi, mentre emerge da secoli di lotte niente affatto concluse, stenta talvolta a riconoscersi, si confonde con la luidership. Noi donne, abituate come siamo a metterci in discussione, corriamo il rischio di perdere la nostra vera natura. Ma di quella natura tutti noi, donne e uomini, abbiamo bisogno. Insomma, se finora il mondo è stato in gran parte plasmato dalla leadership al maschile, è pressoché certo che raggiungerà il prossimo stadio evolutivo solo quando la forza generativa della leidership avrà lo spazio che merita. Non basta essere donne La leadership che va oltre l identità di genere è quella che coniuga le caratteristiche prettamente maschili con le doti tipicamente femminili. È quindi di fondamentale importanza che le donne riconoscano pienamente il proprio ruolo di leader. Per quanto siano potenzialmente le più predisposte a esprimere le risorse tipiche della leadership al femminile,

non tutte le donne sono necessariamente in grado di padroneggiarle. Ma come, noi donne non dovremmo essere dotate per natura di tutte queste risorse interiori? non dovremmo esserne le depositarie naturali? La risposta è un grande e inequivocabile no. Prendiamo il caso di Francesca (sì, proprio una delle autrici di questo libro). I suoi genitori volevano un figlio maschio, ma arrivò lei. Fin da piccola si rivelò il tipico «peperino» dalla risposta pronta, indisciplinata e disposta a tutto pur di averla vinta. Minuta, scura di capelli e carnagione, si comportava «da maschiaccio». Il padre, un poliziotto dotato di un ferreo codice morale, le insegnò quanto fosse importante non arrendersi mai, tenere duro e farsi rispettare. Francesca apprese la lezione perfettamente. Imparò a combattere per quello che voleva, incurante di sentimenti e vulnerabilità, perfino della propria. Il tempo passò e lei divenne una bella ragazza, che però vestiva come un maschio. Giunta a 14 anni non aveva mai indossato una gonna, se non obbligata dalla madre, solo pantaloni, e teneva testa a tutti coloro che osavano trattarla

con indulgenza. Non voleva essere considerata una femminuccia. La femminilità aveva un vantaggio, però essere una bella ragazza si rivelò uno strumento di potere. Si accorse presto che i maschi in sua presenza perdevano parte della loro boria, si lasciavano portare per mano. La dura, nella coppia, era lei. Una che sapeva posare le piastrelle, alzare un muro di mattoni e zittire un uomo in due parole. Una che, entrata nell ufficio di un broker, imparava il mestiere e in pochi mesi segnava il record aziendale di provvigioni. Ormai fumava come una ciminiera e faceva mangiare la polvere ai colleghi maschi. Lavorava notte e giorno e guadagnava più di loro. Come sempre, otteneva quello che voleva. Era una che non si arrendeva mai, una guerriera. I rapporti con i suoi colleghi erano freddi. Francesca li teneva a una certa distanza, soprattutto quelli che considerava «perdenti». Per lo più tutti quegli uomini la avvicinavano per due motivi: carpire il segreto dei suoi successi professionali o portarsela a letto. O tutti e due. Ma le guerriere non vanno sfidate a cuor leggero.

Un giorno il suo principale, che probabilmente aveva avuto una giornata no, entrò nel suo ufficio senza bussare, si appoggiò allo stipite, la guardò con sufficienza e mugugnò: «Che fai? non ti pago per fumare!». Lei, che si era «fatta il mazzo» per arrivare lì, anche lavorando fino a notte fonda... lei che si era conquistata il rispetto con i risultati che aveva prodotto, lei che aveva tenuto bassa la testa e imparato il mestiere a costo del suo equilibrio psicofisico afferrò la catasta di incartamenti che giacevano sulla scrivania e li gettò addosso al capo, strillando frasi irripetibili. Era tesa? sì, lo era. Se sul lavoro non si sentiva rispettata, la sua vita privata era in alto mare. Le era relativamente facile cominciare una storia d amore, ma gestirla e farla evolvere in una relazione a lungo termine era al di sopra delle sue capacità. Eppure, per quanto possa suonare strano, il desiderio più grande di questa giovane donna dal pugno di ferro era avere una famiglia, dei figli e crescerli donando tutto l amore di cui sentiva capace. Se solo non avesse incontrato solo uomini insopportabilmente deboli o di falsa leadership! Come poteva fidarsi veramente di loro?

La prospettiva di avere una famiglia si allontanava, mentre tutto quello che faceva era demolire un rapporto di coppia dopo l altro. Di lì a qualche anno Francesca divenne la proprietaria e socia di due agenzie immobiliari che giravano a pieno regime. In tutto quel tempo il suo rapporto affettivo più prolungato era stato con un cane corso di sessanta chili che si chiamava Ippo e scorrazzava per il suo alloggio dettando legge e ringhiando ai fidanzati di turno. Almeno lui aveva carattere. Francesca non si era mai arresa, aveva tenuto duro, si era fatta rispettare. Suo padre era fiero di lei. Una volta lo dichiarò davanti a tutti i parenti. Era una cena di natale: «Volevo tanto un maschio e invece ho una figlia con le palle». Sì, Francesca era una guerriera. Ma era una leader? La risposta è no. Tanto meno Francesca era una leader al femminile. Le ragioni per cui rispondiamo con tanta certezza sono almeno tre. 1. Francesca aveva molte regole su ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, su come le persone, per esempio i fidanzati e i colleghi, si dovessero comportare in una miriade di circostanze e su come invece non dovessero assolutamente agire. Queste tante, tantissime regole, di cui

oltretutto era solo in parte consapevole, erano così rigide che nessuna deroga era ammessa. Era la tipica persona troppe-regole-troppo-rigide. 2. In secondo luogo Francesca aveva la tendenza a giudicare gli altri, cosa che le impediva di entrare in sintonia con ciò che provavano. Era scarsamente empatica. 3. Infine aveva completamente represso le proprie fragilità. Non sapeva che essere vulnerabili è un requisito della leadership anziché la sua antitesi. Francesca aveva adottato il codice del padre, un uomo che non accettava compromessi, tutto d'un pezzo. Ma essere tutto d'un pezzo può ridurci a pezzi. Dunque, tornando alla domanda da cui siamo partite: basta essere una donna, magari tosta, per diventare una leader al femminile? Come avrai intuito, la risposta è no. Anzi, non è raro che le donne diventino perfetti esempi di leader eccessivamente al maschile, trasformandosi in guerriere. Oggi sappiamo che le differenze comportamentali fra donne e uomini sono sia di natura culturale sia di origine biologica. Uomini e donne non sono affatto uguali. E allora come potrebbero esserlo i loro modelli di leadership?