In FormAzione Indicazioni in materia di comunicazione sociale sui Disturbi del Comportamento Alimentare e dell Immagine Corporea
I DISTURBI ALIMENTARI: COSA SONO? di Dora Aliprandi
La dipendenza dal cibo Il corpo è teatro della mente: esperienze profonde ed emotive trovano spesso nel corpo una manifestazione esterna e visibile. E esperienza diffusa il provare mal di stomaco o soffrire di cefalea quando si è tristi o arrabbiati; avere tachicardia quando si è ansiosi; sentire le farfalle nello stomaco quando si è innamorati. Questo accade anche nei disturbi alimentari: ciò che è interno, un disagio profondo, trova nel corpo uno strumento per comunicare e manifestare il dolore. Al centro di queste patologie accanto al corpo è l oggetto cibo, da cui si dipende. Il cibo: quell oggetto tanto amato e tanto odiato Il cibo è un oggetto complesso: non costituisce semplicemente quella benzina necessaria per far muovere la macchina corpo, ma assume un profondo significato simbolico. Non ha solo un importante valore nutritivo, costituisce qualcosa di complesso e multisfaccettato. Il cibo entra e media le nostre relazioni: basti pensare al primo contatto tra madre e bambino che avviene attraverso l allattamento, durante il quale con il cibo si passa anche l accudimento e l affetto. Il pranzo o la cena sono generalmente momenti in cui ci si riunisce con la propria famiglia o momenti di incontro con le proprie relazioni significative. Il rapporto con il cibo, inoltre, è spesso espressione delle nostre emozioni: quando si è nervosi, per esempio, alcuni mangiano di più, mentre ad altri si chiude lo stomaco. Il cibo è anche un oggetto sempre presente, disponibile: gli spacciatori sono ovunque e può essere comprato o raggiunto in qualsiasi momento della giornata. Per tutte queste complesse cause il cibo si presta a diventare l oggetto tanto amato e tanto odiato nei disturbi alimentari: oggetto da cui si dipende, sia negandoselo come nell anoressia sia abusandone come nella bulimia e nel disturbo d alimentazione incontrollata (DAI). In Italia circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione, si trovano a fare i conti con i disturbi del comportamento alimentare (DCA): l 8-10% delle ragazze e l 0,5-1% dei ragazzi soffrono di anoressia-bulimia. Il 95% sono donne, anche se sempre più numerosi sono gli uomini che manifestano questi sintomi e si rivolgono a strutture specializzate. Queste patologie si manifestano prevalentemente tra i 12 e i 25 anni: negli ultimi tempi emerge un preoccupante allargamento delle fasce d età che riguarda in particolare le bambine prepuberi e le donne in età di menopausa 1. Si tratta di patologie prevalentemente declinate al femminile: la ragione va ricercata nel rapporto particolare e problematico con il proprio corpo, la propria identità e autostima. 1 Dati Osservatorio ABA e ISTAT.
Cosa NON sono i disturbi alimentari I nomi di tali disturbi sono ormai noti: anoressia, bulimia e disturbo d alimentazione incontrollata. Attualmente si sta assistendo ad una complessificazione e diversificazione delle manifestazioni del sintomo: spesso si osservano da un lato forme diverse da quelle classicamente intese è il caso per esempio della vigoressia o dell ortoressia ; dall altro sempre più persone soffrono di polidipendenze come dipendenze da alcol, droga o farmaci accanto al sintomo alimentare. Può sembrare una domanda paradossale, ma prima di cercare di tracciare un quadro e descrivere le diverse modalità di espressione di questo dolore è importate sgombrare il campo da fraintendimenti. Non si tratta di malattie dell appetito: non c è nulla nel meccanismo biologico della fame che non vada. Non si tratta nemmeno di patologie da imitazione : spesso, infatti, si sentono frasi come è tutta colpa della società ; è tutta colpa della moda ; è per assomigliare alla velina che mia figlia si è ridotta così etc. Non si intende misconoscere l importanza del sociale in queste malattie sempre più diffuse: il contesto offre un sintomo prêt-à-porter, una via già tracciata attraverso la quale manifestare un dolore che nasce ed è frutto di una storia soggettiva. L importanza di una buona ed etica comunicazione in questo campo non è in discussione: indicativo per esempio è il dato per cui molte ragazze o ragazzi, nati e cresciuti in paesi non occidentali, sviluppano a contatto con la nostra società un sintomo alimentare, espressione di una difficoltà soggettiva di crescita e integrazione. Il contesto traccia la strada, il soggetto si imbatte in essa e la percorre come unico modo per poter esprimere e trattare una sofferenza profonda. Anoressia: non mangio, dunque sono Il DSM IV (Manuale Diagnostico per i Disordini Alimentari) distingue i disturbi alimentari in tre categorie: anoressia, bulimia e DCA non altrimenti specificati. L anoressia è definita come rifiuto a mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo per età e statura. E caratterizzata da un intensa paura ad acquistare peso o diventare grassi: il modo in cui la persona vive il peso e la forma del corpo è patologicamente alterato. Esso influisce eccessivamente sui livelli di autostima, c è un rifiuto a prendere atto di una grave situazione di sottopeso. Nelle donne fertili è caratterizzato da amenorrea (assenza di ciclo mestruale) per almeno tre mesi consecutivi.
Di solito tutto ciò comincia con una dieta dimagrante: quello che si desidera, apparentemente, è migliorare la propria immagine. In realtà poi la dieta si trasforma in un imperativo interiore di nutrirsi di quantità di cibo sempre più irrisorie: la persona anoressica persegue un ideale di magrezza irraggiungibile, rispetto al quale si sente sempre inadeguata. Nonostante la magrezza estrema, il corpo viene percepito sempre grasso. L anoressia quindi si manifesta con una riduzione drastica dell alimentazione e del peso corporeo: la fame viene negata, viene effettuato un calcolo ossessivo delle calorie, un controllo spasmodico giornaliero del peso. La bilancia determina l umore della giornata: quando il numero che appare sul display diminuisce, l umore è euforico, il progetto di una magrezza irraggiungibile si sta realizzando; quando il numero sul display è in aumento, anche solo di qualche grammo, si cade in una disperazione profonda e inesorabile. L anoressia è una patologia del controllo: dietro questa negazione tenace della fame c è una disperata bramosia, non solo di cibo. La persona anoressica ha fame di tutto: di relazioni, di affetti ed emozioni. Per questa ragione, paradossalmente, rifiuta ogni cosa. E nel rifiuto che cerca un illusoria autonomia da ogni bisogno e desiderio. Il concedersi di provare fame incute nella persona anoressica il terrore di perdere il controllo: è per arginare il contatto con le emozioni e le relazioni che non si riescono a controllare, che l equilibrio si istalla su un illusorio controllo del corpo-cibo-peso. Si vive nell illusione che, cambiando il proprio corpo, si possa cambiare la propria vita, diventandone padroni assoluti, senza aver bisogno di nessuno. Il corpo diventa palcoscenico di un dramma straziante: un corpo ridotto alla fame, scheletrico, che evoca l immagine della morte e provoca angoscia, anche negli stessi curanti. E il non mangio, quindi esisto, che può assumere molti significati: un modo per affermare se stessi nella propria vita, a seguito di profondi dolori e sofferenze esperite nel rapporto con gli altri; un modo per trovare una propria identità; un illusoria autonomia dal nutrimento delle relazioni; un modo per diventare visibili rendendosi fisicamente invisibili. Anche se il sintomo si manifesta in modi molto simili, porta impresse le impronte digitali di ciascuno: il significato che esso assume è soggettivo e particolare, così come soggettivi e particolari sono i tempi e le modalità della cura. E raro che una persona anoressica chieda aiuto: ha trovato nel rifiuto del cibo la sua forza e attua in questo modo il suo controllo. Ciò che la spinge a chiedere aiuto spesso sono i famigliari, il rischio della vita o il suo scivolare nella bulimia, non essendo più sostenibile il progetto di mangiare niente.
Bulimia: mangio tutto, per mangiare niente Il DSM IV descrive fenomenologicamente la bulimia come caratterizzata da ricorrenti abbuffate, durante le quali si ingerisce una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nelle stesse circostanze e nello stesso tempo: la sensazione prevalente che accompagna gli episodi è la perdita di controllo. A seguito delle abbuffate vengono attuate inappropriate condotte compensatorie per prevenire l aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. I livelli di autostima sono fortemente influenzati da questi episodi che si verificano almeno due volte la settimana. Come descritto dai criteri diagnostici del DSM, la persona bulimica ingerisce enormi quantità di cibo che espelle subito dopo attraverso il vomito autoindotto o l utilizzo di lassativi: si tratta di un rituale, quello dell abbuffata, che si ripete anche più volte al giorno. Il cibo, che viene letteralmente ingurgitato, non ha gusto o sapore per la persona: si ingeriscono anche cibi che non piacciono, dolci e salati, crudi e surgelati. Si arriva a rubare al supermercato per avere cibo, o rubare soldi per poter comprare del cibo. Dopo aver mangiato, però, si è vittima di un senso di colpa devastante: l unica soluzione sembra essere quella di tornare indietro, rifiutare ciò che è stato assunto. Inizia in questo modo il calvario del vomito autoindotto, che segue le abbuffate, spesso fatte in segreto, quando si è da soli o di notte. La bulimia ha tutte le caratteristiche della patologia da dipendenza: l oggetto da cui si dipende è il cibo. Mentre nell anoressia si mangia tutto il giorno con la mente la persona pensa costantemente al cibo che rifiuta nella realtà, nella bulimia la persona cerca di riempirsi di quanto più cibo possibile, per poi vomitarlo. La sensazione soggettiva è quella di un pozzo buio e profondo da riempire : si tratta di un vuoto soggettivo incolmabile, disperato, che si cerca di riempire attraverso un assunzione di quantità eccessive di cibo. La persona vive nel momento dell abbuffata una totale perdita di controllo. Si vorrebbe rifiutare tutto, come nell anoressia, riprendere il controllo totale, senza però riuscirci. Si mangia e si vomita tutto e tutti : questo può durare anni, e viene spesso accompagnato da una caduta dell autostima. Il vissuto che accompagna più frequentemente la bulimia è infatti la vergogna. Ci si ripromette di smettere da un momento all altro: da domani, da Natale, dal mio compleanno etc. smetto. Quello che manca non è la forza di volontà: non semplicemente imponendosi di non farlo si può smettere, ma solo capendo ed elaborando le cause profonde che hanno portato la persona a sviluppare questa patologia.
Gravi sono gli effetti della bulimia sul corpo: il corpo viene maltrattato con accanimento. Possono verificarsi pericolose conseguenze che interessano l apparato digerente, l esofago, i denti e i capelli. A differenza dell anoressia, dove il corpo urla il proprio dolore e angoscia l altro, la bulimia non è così visibile: la persona è spesso normopeso. Questa aspetto accentua ancora di più il vissuto di vergogna: un terribile segreto da nascondere, uno schifo che deve essere tenuto sepolto e deve rimanere invisibile a tutti. Anche la bulimia, come l anoressia, porta le impronte digitali della persona, quindi assume significati soggettivi e peculiari: può essere un modo per vomitare la propria rabbia o dar voce attraverso il cibo a emozioni esperite ma non espresse; un modo per dar voce illusoriamente a se stessi e trovare una propria identità; un modo per ritagliare un proprio spazio di fronte ad una profonda sofferenza nelle relazioni ed un male di vivere. La bulimia può essere considerata l altra faccia dell anoressia: è sempre più raro che capitino in forma pura. La persona di solito attraversa fasi anoressiche e bulimiche: quando il controllo sul corpo-cibo-peso non riesce più a reggere si scivola nella bulimia. Spesso ciò che chiede una persona bulimica è quella di diventare o tornare ad essere anoressica: vorrebbe riprendere il controllo della situazione. Attraverso un percorso di cura può trovare un suo modo soggettivo e peculiare di gestire il vuoto personale, le emozioni e le relazioni, che non sia il ripristino dell anoressia o l abbuffata. Disturbo d Alimentazione Incontrollata: una soluzione per non esserci Il DSM IV inserisce il Disturbo d Alimentazione Incontrollata (DAI) tra i disturbi d alimentazione non altrimenti specificati: viene diagnosticato quando la persona vive ricorrenti episodi di abbuffate in assenza di condotte compensatorie. Quando si parla di DAI è importante distinguerlo dall obesità cosiddetta semplice, conseguenza principalmente di disfunzioni metaboliche, e per tanto non annoverata tra i disturbi dell alimentazione. La persona che soffre di DAI assume grandi quantità di cibo, non lo vomita, e spesso lo sceglie con cura. La ruminazione anoressica attraverso la mente diventa una ruminazione reale: la persona sviluppa una vera e propria dipendenza dal cibo, a cui pensa in ogni momento e che assume costantemente, con modalità diverse rispetto alla bulimia. Il cibo ha in questo caso talvolta sapore e gusto: il cibo viene selezionato e assunto fino ad aumentare di peso in modo sproporzionato.
Spesso si sente parlare di binge eating come un allarmante fenomeno in diffusione: in effetti si tratta di una vera e propria malattia sociale, che interessa un numero sempre maggiore di persone, anche in fascia pediatrica e adolescenziale. Da qui i tentativi di soluzione da parte del contesto: un esempio è costituito dalla proposta di riduzione delle porzioni al ristorante o maggiore attività fisica. In realtà anche il DAI, come gli altri sintomi alimentari, porta il peso della storia individuale: l adipe in molti casi costituisce una sorta di barriera che sembra proteggere dalle emozioni e dalle relazioni. Il cibo diventa un anestetico al dolore di vivere, una soluzione magica alle difficoltà. In realtà sembra innescarsi un circuito che cortocircuita : il cibo è la soluzione, la persona ne assume a dismisura, ingrassa e ciò influisce negativamente sulla propria autostima, creando depressione che, a sua volta, porta ad un sempre maggior ricorso al cibo. E difficile per le persone che soffrono di DAI poter chiedere aiuto: spesso si fraintende il disturbo come golosità smodata o debolezza. C è vergogna, si ha paura della derisione sociale. Si ricorre più facilmente ad interventi sul corpo come il bendaggio gastrico, che si dimostrano ben poco risolutivi del problema, il quale si ripresenta puntualmente dopo l intervento. Solo l accoglimento del dolore può consentire alla persona di evitare il ricorso al cibo come modalità di trattare la sofferenza. Le nuove patologie dell alimentazione Si assiste oggi ad una diversificazione delle manifestazioni del sintomo: il trinomio corpo-cibo-peso si declina in molti modi diversi, non più inquadrabili con una definizione classica di disturbi alimentari. Nella diversità delle modalità di espressione, vale qui ciò che è stato affermato prima: ogni sintomo porta le impronte digitali del suo portatore. E frutto di una storia individuale, di vissuti ed emozioni soggettive, di un modo peculiare di vivere e sentire le relazioni con l altro. Due esempi della diversificazione nella manifestazione dei sintomi alimentari sono la vigoressia e l ortoressia. La Vigoressia è l ossessione per la perfezione del corpo, riguarda prevalentemente i maschi che si percepiscono sempre come troppo magri e poco muscolosi. Un ruolo importante è giocato dai modelli culturali di bellezza e prestazione fisica e, nei contesti sportivi, dalle pressioni alla competizione da parte di compagni e allenatori. Alla base ci sono spesso un senso di inadeguatezza e la paura di fallire. L Ortoressia si riferisce all ossessione maniacale per i cibi sani. Scatta quando si passa da un semplice interesse per l argomento a non poter più toccare una pietanza sulla cui
provenienza non si abbiano certezze, modificando la propria alimentazione al punto da non avere quasi altro pensiero. Controllare ciò che si mangia può essere l espressione di un disagio più profondo come la paura di affrontare gli altri. I disturbi alimentari e il campo delle dipendenze Si assiste oggi ad una complessificazione del quadro clinico nel campo dei disturbi alimentari: è sempre più frequente osservare accanto al sintomo l associarsi di uso e abuso di alcolici e di droga, in particolare di cocaina. La sostanza, qualsiasi essa sia, diventa la soluzione illusoria per trattare tematiche troppo angoscianti per la persona, per riempire il proprio vuoto interiore, per rincorrere un illusoria autonomia da tutti, dipendendo solo dall oggetto. Le sostanze diventano quindi l auto-cura: sono dei farmaci che servono per lenire il proprio dolore e perseguire una soddisfazione e un godimento autistico, in cui vive una passione cieca per l oggetto escludendo tutte le relazioni. E importante a questo punto effettuare un chiarimento sull uso della parola dipendenza: questo termine viene generalmente associato nel senso comune a dei mostri come la droga, l alcol o il gioco d azzardo; richiama delle paure profonde, di perdita di controllo del sé e della propria vita a causa dell abuso di una sostanza. In realtà non tutte le dipendenze sono patologiche: gli esseri umani, a partire dalla loro nascita e soprattutto nei primi anni di vita, sono dipendenti dal loro contesto. Anche durante la vita adulta l individuo è legato al sostegno affettivo degli altri: ci realizziamo e affermiamo noi stessi attraverso le relazioni con i nostri simili. Tutto ciò non ha un significato negativo, anzi è la trama che caratterizza le nostre esistenze. La dipendenza diventa patologica nel momento in cui ciò che regna è una seduzione totale che la sostanza esercita sull individuo: è un oggetto o una serie di oggetti di cui non si può più fare a meno. Si tratta di oggetti di cui la persona si fa per disfarsi degli altri, del legame che viene percepito come pericoloso e rischioso, che non si riesce a gestire. Si tratta di un modo per risolvere la propria sofferenza: per questo motivo le persone che soffrono di polidipendenze difficilmente chiedono aiuto, proprio perché la sostanza è la soluzione, non il problema. Certo la soluzione si rivela illusoria e altamente nociva, spingendo l individuo verso gravi rischi di intossicazione e di danni all organismo di vario genere. L essenziale è invisibile agli occhi rivela la volpe al Piccolo Principe. Allo stesso modo i comportamenti alterati del cibo e dell uso di sostanze sono solo ciò che appare e nascondono l essenza del problema: un disagio profondo, una sofferenza interiore. Le cause delle patologie alimentari sono molteplici e vanno rintracciate nella storia della persona e
nelle dinamiche relazionali. Spesso ciò che si osserva è che il cibo o la sostanza costituiscono da un lato una soluzione per la gestione di problematiche emotive, dall altro una risposta prevalente ai bisogni di cura e affetto. Il pensiero ossessivo della sostanza sembra una soluzione, un auto-cura per non pensare, per riuscire ad affrontare le difficoltà esistenziali. Spesso si riscontrano nella vita di chi soffre di disturbi alimentari perdite affettive importanti, abbandoni e traumi. E stimato che ci sia un elevatissima incidenza, in chi soffre di disturbi alimentari, di abusi subiti in età infantile e non elaborati. La sostanza si pone quindi come una sorta di anestetico che impedisce di avvertire il dolore, ma toglie così la possibilità di avvertire qualsiasi altra emozione di fronte alla quale ci si sente fragili e vulnerabili. La scommessa nel percorso di cura è quello di trovare una soluzione alternativa alla dipendenza, che consenta al soggetto di uscire dall autismo della sostanza per entrare in relazione con l altro e mettere parola alla sofferenza, prima espressa solo con l uso smodato dell oggetto.