La programmazione didattica delle discipline Berta Martini 1. Una trasposizione didattica del sapere epistemologicamente e pedagogicamente fondata Formulare un ipotesi metodologica di programmazione didattica delle discipline richiede una esplicitazione dei criteri di giustificazione dell ipotesi i quali rinviano, a loro volta, a determinate opzioni pedagogiche e, più in particolare, a certe teorie curricolari. 1 Queste ultime, infatti, possono riferirsi a modelli di scuola anche molto distanti fra di loro: da quelli centrati sulla trasmissione dei saperi disciplinari, a quelli centrati sulle modalità di apprendimento degli allievi; da quelli che invocano il cambiamento della scuola in nome di una modificazione dei contesti sociali, a quelli che ne reclamano il rinnovamento in ragione di una organizzazione più efficiente. La nostra opzione, di matrice razionalistica e critica, è a favore del Problematicismo didattico. 2 Ciò perché in questa prospettiva di pensiero la formazione è istanza, dialettica e in divenire, di conciliazione e integrazione del momento eterocentrico (rappresentante le ragioni degli oggetti di apprendimento, cioè della cultura ) e di quello puerocentrico (rappresentante le ragioni del soggetto che apprende, cioè della sua natura ). 3 Il dispositivo progettuale in grado di realizzare questa conciliazione è, dal nostro punto di vista, il curricolo. Un curricolo nel quale le scelte su che cosa insegnare, come e in funzione di quali obiettivi formativi (scelte tanto più significative in una stagione di transizione e di cambiamento del sistema scolastico) convergono in un processo di trasposizione didattica, anch esso dialettico e in divenire, fondato sia in senso epistemologico, sia in senso pedagogico. Il fondamento epistemologico, teso a rispondere prevalentemente all istanza eterocentrica, può essere espresso da un principio di vigilanza o aderenza epistemologica che richiede di interrogarsi continuamente sulle forme didattiche dei saperi in rapporto alle loro forme scientifiche 4. Molto spesso, infatti, i saperi sembrano abitare le aule scolastiche in forme inadeguate e inattuali, distanti tanto dalla cultura dell allievo, quanto dalle loro immagini scientifiche, con il rischio di risultare inaccessibili, obsoleti o inautentici, dunque non significativi ai fini dell apprendimento. Occorre, allora, garantire autenticità epistemica e formativa ai saperi scolastici interpretandoli come forme culturali i cui oggetti, linguaggi e metodi si facciano strumento di formazione della mente e della persona e, quindi, di emancipazione individuale. In che modo? In parte operando una progettazione curricolare epistemologicamente adeguata, ossia capace di affrancare i saperi dall obsolescenza, procedendo ad un loro aggiornamento costante; e dal tradimento, operando consapevolmente scelte sulla base di determinate visioni epistemologiche. Né, d altra parte, sarebbe possibile prescindere da queste: qualunque trasposizione didattica si operi sui saperi, essa è espressione di una certa filosofia, il più delle volte implicita, sul loro senso culturale e formativo. Un esempio storicamente rilevante dell incidenza 1 Per una ricostruzione delle principali teorie curricolari si veda: R. Semeraro, La progettazione didattica, Giunti, Firenze, 1999, pp. 96-128. 2 F. Frabboni, Didattica e apprendimento, Sellerio, Palermo, 2006. 3 Ivi, pp. 21-23. 4 B. Martini, Formare ai saperi, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 64-68. 1
del fattore epistemologico sulle scelte formative risale al 1867, quando alcuni illustri matematici, considerando quello euclideo l unico modello epistemologicamente adeguato per la geometria e ritenendolo inaccessibile per la scuola elementare, ne abolirono l insegnamento a questo livello. Se ancora oggi la geometria risente di una accentuata marginalità (rispetto al curricolo di matematica) e di un eccessivo formalismo, riteniamo che ciò sia conseguenza, almeno in parte, di una visione epistemologica così radicale. Il fondamento pedagogico, invece, teso a rispondere prevalentemente all istanza puerocentrica, attinge da una riflessione di matrice essenzialmente psicopedagogica sulle condizioni di possibilità dell apprendimento in relazione a fattori di contesto e individuali. Si tratta, in questo caso, di far convergere le scelte culturali e didattiche intorno a modelli, 5 cioè a schemi concettuali teorici e metodologici che articolano fini (tipi di obiettivi formativi) e mezzi (tipi di pratiche) secondo alcune opzioni dominanti. Ciò consente ora il ricorso a processi di unificazione che garantiscano pari opportunità formative per tutta la popolazione scolastica (si pensi, per esempio, al modello delle competenze di base e il riferimento a pratiche di insegnamento individualizzato come il mastery learning), ora a processi di diversificazione che garantiscano il rispetto delle differenze psicologiche, culturali e sociali degli allievi (si pensi, per esempio, al modello dei talenti personali e il riferimento a pratiche di insegnamento personalizzato come il Progetto didattico o il laboratorio) 6. In sintesi, la programmazione didattica disciplinare è un processo selettivo che si inscrive in quello più ampio e articolato di trasposizione didattica dal sapere esperto al sapere da insegnare. Come tale, esso reclama scelte consapevoli sia in ordine ai saperi (alle loro forme didattiche possibili e al loro potenziale formativo), sia in ordine alle pratiche del loro insegnamento e apprendimento. Vediamo, dunque, attraverso quali dispositivi possiamo operare queste scelte. 2. L analisi disciplinare Abbiamo detto che operare delle scelte su che cosa insegnare, come farlo e in funzione di quali obiettivi formativi richiede, in generale, il rispetto di un principio di aderenza epistemologica al sapere e l individuazione di condizioni di possibilità dell apprendimento. Ciò equivale a interrogare i saperi disciplinari in chiave epistemologica e formativa. Quali sono gli elementi fondamentali che ne costituiscono lo scheletro o la struttura?; quali le loro specifiche forme di pensiero?; quali i problemi che li contraddistinguono?; quali i metodi caratteristici per la loro soluzione?; quale la portata e il ruolo nella storia del pensiero umano?; quale, infine, il loro significato culturale e sociale? Non solo. Occorre individuare i contesti didattici capaci di dare senso alle conoscenze in essi implicite e tali da permettere l esercizio di specifiche forme di pensiero da parte dell allievo. Come possiamo, da un punto di vista metodologico, procedere in questa direzione? Dobbiamo, ancora una volta, ricondurre questi principi a criteri procedurali che ne permettano la traduzione operativa. È appena il caso di osservare che tali criteri, qualunque essi siano, svolgono una funzione regolativa e selettiva non essendo, tuttavia, né univoci né esaustivi. 5 M. Baldacci, I modelli della didattica, Carocci, Roma, 2004. 6 Sulla differenza fra individualizzazione e personalizzazione si veda: M. Baldacci, Una scuola a misura di alunno, Utet, Torino, 2002; e, dello stesso autore, Personalizzazione o individualizzazione?, Erickson, Trento, 2005. 2
Suggeriamo, in particolare, i criteri di essenzializzazione, problematizzazione e storicizzazione dei saperi disciplinari. Dal punto di vista della progettazione curricolare, ciò significa procedere ad una analisi disciplinare che individui gli elementi essenziali della disciplina in modo trasversale al suo statuto epistemologico per costruire intorno ad essi caratteristici contesti problematici e approfondimenti storici. Procedere secondo essenzializzazioni, problematizzazioni e storicizzazioni nella individuazione del sapere scolastico, non è certo una novità. Possiamo rintracciare tentativi simili già a partire dagli anni Settanta, quando, in diversi settori disciplinari come la storia, la lingua italiana o la matematica furono avanzate proposte significative (in forma sia di sperimentazioni didattiche, sia di progetti editoriali ) che sovvertivano l ordine sequenziale contenutistico dei programmi di allora, a vantaggio di grandi nuclei tematici. Anche i Programmi scolastici elaborati tra gli anni Ottanta e Novanta (si pensi ai Nuovi programmi della scuola elementare, agli Orientamenti per la scuola dell infanzia, ma anche ai cosiddetti Programmi Brocca ) assumono, di fatto, ampiamente questi criteri. In termini di essenzializzazione dei contenuti fu formulata anche la richiesta dei Saggi per la scuola del 2000 e di nuclei fondanti parla anche il Rapporto finale del gruppo Ristretto di lavoro per il riordino dei cicli costituito nel 2001. Eppure, ancora oggi, il testo delle Indicazioni Nazionali certo non rappresenta uno sforzo in questa direzione, né le pratiche didattiche di programmazione disciplinare sembrano risentire in maniera decisiva della necessità di un tale lavoro di chiarificazione concettuale. In altre parole, né gli attuali testi programmatici né le programmazioni didattiche da essi derivate sembrano assumere l essenzializzazione, la problematizzazione e la storicizzazione come criteri di progettazione didattica. Al contrario, qui assumiamo l analisi disciplinare compiuta sulla base di questi criteri come dispositivo metodologico di programmazione disciplinare. L applicazione del criterio di essenzializzazione, infatti, permette l esplicitazione degli oggetti o delle strutture tipiche della disciplina, ma anche dei suoi metodi di indagine e dei suoi linguaggi specifici (siano essi verbali, iconici o simbolici). Si dovrà ricostruire, cioè, la sua geografia, o il suo statuto, il modo in cui possono essere organizzati i suoi elementi costitutivi (oggetti, linguaggi e metodi) e le loro reciproche relazioni. Il criterio di problematizzazione consente di circoscrivere intorno a problemi lo specifico modo di pensare e di agire della disciplina; di costruire intorno ad essi contesti semantici assimilabili a campi di attività e di esperienza nei quali possono essere collocati gli elementi essenziali della disciplina attraverso processi di genesi artificiale del sapere. In questa direzione, infine, la storicizzazione, mostrando quei problemi che hanno originato certe teorie, nonché i tentativi falliti per risolverli (le teorie che sulla base di una certa metodologia si sono rivelate errate), apre la via allo sviluppo di una mente critica. Una mente che pensa e giudica sapendo che i saperi scientifici che sostengono il pensiero e il giudizio sono qualche cosa di costruito storicamente e socialmente tramite la condivisione di regole metodologiche. Il che dà ai saperi un immagine come fatti essenzialmente storici, dunque un immagine antidogmatica. In sintesi, la messa in forma didattica della disciplina prevede due livelli di decostruzione rispondenti alle istanze epistemologica e pedagogica. Se il criterio di essenzializzazione permette di ricostruire l epistemologia della disciplina attraverso la esplicitazione dei suoi elementi costitutivi, i criteri di problematizzazione e di storicizzazione permettono di soddisfare, seppur non in modo esclusivo, l istanza pedagogica presentando tali essenzialità attraverso la mediazione dei campi semantici 3
rappresentati da situazioni problematiche (siano esse storicizzate o artificiali) o da approfondimenti storici. Analisi disciplinare del sapere S d Oggetti di S d O 1 O 2 O 3 Essenzializzazione Individuazione degli oggetti fondamentali della disciplina Problematizzazione Individuazione delle situazioni problematiche (contesti semantici) che insistono su certi oggetti, richiedono l applicazione di certi metodi e utilizzano certi linguaggi P 1 (O 1, O 3, M 2, L 1, ) P 2 (O 2, M 1, L 2, L 1, ) Storicizzazione Individuazione di approfondimenti relativi ai problemi storicamente determinati St 1 (P 1, ) St 2 (P 2, ) Metodi di S d M 1 M 2 M 3 Linguaggi di S d L 1 L 2 L 3 3. L individuazione di un doppio livello di generalità degli obiettivi L analisi disciplinare è un processo che riguarda la disciplina come sistema organizzato di conoscenze, ma anche come forma culturale portatrice di una specifica intenzionalità formativa, quindi, in ultima analisi, come sistema di fini formativi. Questi ultimi si riferiscono alle specifiche dominanze concettuali e metodologiche del sapere attraverso le quali favorire lo sviluppo di attitudini disciplinari generali. La domanda, allora, è un po questa: quali sono le competenze alle quali finalizzare significativamente l insegnamento (per esempio annuale) di una disciplina? 7 Occorre, dal nostro punto di vista, operare a due livelli di generalità. Ad un livello di generalità più ampio (che potremmo far corrispondere alla formulazione di obiettivi formativi generali) la competenza disciplinare si traduce nella capacità di servirsi della disciplina come strumento di indagine e di interpretazione della realtà, come capacità di assumere un habitus (o una forma mentis) che si dà come modalità specifica di interazione con l ambiente esterno. Operativamente, possiamo far dipendere la formulazione di tali obiettivi generali dalle occorrenze individuate durante il processo di analisi disciplinare. Essendo quest ultimo teso ad esplicitare gli elementi e gli ambiti di attività costitutivi della disciplina, ciò consisterà nel tradurre tali elementi e tali ambiti in termini di sapere (padronanza di conoscenze) e di saper fare (possesso di abilità ad un certo livello). Per quanto questo repertorio vada necessariamente integrato con la formulazione di obiettivi non strettamente disciplinari (per esempio, trasversali e metacognitivi), esso fornisce un orizzonte imprescindibile entro il quale orientare l azione didattica, pena il rischio di genericità della programmazione o, ancora 7 Per una discussione sull idea di competenza disciplinare si veda: B. Martini, Le competenze disciplinari, La rivista di pedagogia e di didattica, 3/4, 2005, pp.135-140. 4
peggio, di una sostanziale incoerenza tra il tipo di competenze che vorremmo far raggiungere agli allievi e il tipo di situazioni didattiche che ne dovrebbero consentire la promozione e l esercizio. Ora, un siffatto repertorio di obiettivi funziona, appunto, come un frame all interno del quale inscrivere le diverse situazioni didattiche. Tuttavia, esso è troppo generale per consentire il controllo empirico del raggiungimento degli obiettivi in esso formulati. Questi, essendo espressi in termini di competenze (sapere e saper fare) generali alludono ad un sistema coordinato di conoscenze, abilità e disposizioni interne 8 non direttamente osservabili all interno della situazione didattica. E poiché ciò che si può osservare sono i comportamenti (mentali o concreti) all interno di contesti specifici, occorre individuare situazioni didattiche significative (per esempio situazioni problematiche) che consentano l esercizio, per così dire, contestualizzato, delle competenze generali individuate. Occorre, dunque, porsi ad un livello di generalità più ristretto e individuare per ciascun obiettivo formativo generale un repertorio di obiettivi più specifici (che potremmo far corrispondere agli obiettivi specifici di apprendimento) derivati dalle situazioni didattiche e convergenti rispetto al livello di generalità più ampio. analisi d Elementi fondamentali Oggetti Linguaggi Metodi Situazioni didattiche (UdA) contesti di attività Elementi fondamentali coinvolti Obiettivi formativi generali Obg 1, Obg 2, Obg 3, Obg 1, Obg 2, Obg 3, Obg 1, Obg 2, Obg 3, obiettivi specifici di apprendimento OSA 1, OSA 2, OSA 3, In sintesi, nella elaborazione della programmazione della disciplina ogni obiettivo formativo generale è espressione di un sapere e di un saper fare, derivati dal processo di analisi disciplinare, per i quali occorre allestire una o più situazioni didattiche che ne consentano l esercizio. Tali situazioni, facendo riferimento a contesti specifici di attività (natura dei compiti, modalità di lavoro, tempi, ecc.) rimandano ad obiettivi specifici ed osservabili che contribuiscono all acquisizione di quelle competenze per le quali quei contesti di attività sono stati attivati. 8 Riprendiamo questa definizione dal documento dell OCSE che assume un modello secondo il quale la messa in opera di una competenza mobilita queste tre componenti soggettive. Cit. in M. Pellerey, Le competenze individuali e il portfolio, La Nuova Italia, Firenze 2004, pp- 67-73. 5
4. Dare sistematicità e organicità alla programmazione disciplinare Seguendo Baldacci, 9 possiamo interpretare l Unità di apprendimento (UdA) come un unità di lavoro definita in modo convenzionale e categoriale, quindi come un concetto generale suscettibile di acquisire una diversa fisionomia (quella dell Unità didattica, del Modulo didattico, del Progetto didattico, ecc.) purché corredato di obiettivi, metodi e modalità di valutazione. La programmazione didattica della disciplina, allora, può essere concepita come la costruzione di un percorso, non necessariamente sequenziale, di cui l UdA rappresenta l unità organizzativa. Il problema, giunti a questo punto, è come possiamo garantire completezza e organicità a tale percorso. In altri termini, si tratta di stabilire come distribuire i contenuti di insegnamento lungo il percorso o, il che è equivalente, definire quali UdA saranno dedicate al raggiungimento di determinati obiettivi formativi, in modo che il percorso risulti completo (cioè comprensivo di tutti gli elementi che consideriamo importanti per un certo livello scolastico) e organico (cioè equilibrato rispetto alla possibilità di perseguire certi obiettivi in certi tempi). Va osservato che, da questo punto di vista, il testo delle Indicazioni Nazionali attualmente in vigore non garantisce né completezza né organicità. Ciò perché, se non altro, esso non è stato redatto secondo questi criteri. All indicazione di contenuti atomici si alterna quella di interi domini conoscitivi, così come abilità specifiche si alternano a competenze generali. Si tratterà, invece, di stabilire su quali degli elementi fondamentali (E 1, E 2, E 3, E 4, ) ricavati dall analisi disciplinare insiste ciascuna Unità e, di conseguenza, a quali obiettivi formativi corrispondenti essa contribuisce in maniera prevalente. Immaginiamo, per esempio, che l UdA 3 insista in maniera dominante sugli elementi E 2 e E 4 e che contribuisca, in questo modo, a promuovere l acquisizione delle competenze (o obiettivi formativi) corrispondenti a tali elementi, per esempio Obg 1 e Obg 2 di E 2 e Obg 2 di E4. Se rappresentiamo la situazione in una tavola a doppia entrata e facciamo lo stesso per ciascuna delle UdA componenti la programmazione possiamo, ad ogni passo, visualizzare rapidamente il grado di completezza e organicità del percorso formativo e, se serve, rettificarlo. Unità UdA 1 UdA 2 UdA 3 UdA 4 Essenzialità E 1 E 2 Obg 1 Obg 2 Obg 3 E 3 E 4 Obg 1 Obg 2 Obg1, Obg2 Obg 2 La definizione delle attività didattiche interne a ciascuna UdA, formulate in maniera coerente rispetto ai campi di attività rappresentati dagli elementi E 1, E 2, E 3, E 4 9 M. Baldacci, Unità di apprendimento e programmazione, Tecnodid, Napoli, 2005, pp. 27-39. 6
permetterà, infine, di definire gli obiettivi specifici di apprendimento e le modalità del loro controllo empirico. Osserviamo, tuttavia, che nella tavola sopra raffigurata l ordine delle UdA non rappresenta un ordine temporale di svolgimento. Al contrario, la definizione di diversi cammini possibili internamente al percorso fa parte della stessa procedura di programmazione e dipenderà dal grado di linearità o, viceversa, di reticolarità implicito nelle UdA, dalle loro centrature tematiche, dalle tipologie di attività e dai livelli degli obiettivi previsti. Pubblicato su Riforma e didattica, 4, 2006, 21-26 7