anna casella paltrinieri * Lavoro femminile in Africa: il dono, la reciprocità e il sacrificio. Riflessioni di antropologia dello sviluppo.



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anna casella paltrinieri * Lavoro femminile in Africa: il dono, la reciprocità e il sacrificio. Riflessioni di antropologia dello sviluppo. A vederle curve nei campi, coi neonati legati sul dorso, accompagnate dai ragazzetti più grandi, non si può certo indulgere in considerazioni romantiche. Il lavoro, per le donne africane, è prima di tutto fatica. Ma non si tratta solo della fatica della coltivazione. In qualsiasi mercato, rurale o urbano, si incontrano donne impegnate a vendere ogni cosa: dai prodotti della terra (i pomodori, le cipolle ) alle medicine, alla conserva di pomodoro, ai tessuti, alle pentole di alluminio 1. Nel corso di una recente visita in Bénin ho potuto aggiornare la mappa delle attività che competono alle donne africane: spaziano dalla agricoltura, all allevamento, alla manutenzione della casa, alla produzione di tessuti ed utensili, al commercio (di alimenti, di oggetti artigianali e dell industria), all insegnamento, all'accompagnamento e alla cura. Se ci concentriamo sopratutto sulla fascia più povera della popolazione, il mondo rurale, dobbiamo osservare come il lavoro per le donne africane sia una modalità di vita. Anzitutto perchè si realizza entro gli spazi della quotidianità familiare, poi per l enorme dispendio di tempo che richiede e, infine, perché non si limita ad una funzione ripetuta e nella quale le donne divengono specialiste, ma raggruppa una lunga serie di attività tra loro eterogenee, in gran parte riferite alla sussistenza e alla cura. La donna contadina, che dispone sostanzialmente di un solo strumento, una zappa dal manico corto, sa padroneggiare l intero ciclo della coltivazione, della raccolta, della trasformazione e distribuzione di cibo 2. Lo si vede molto bene nella produzione del garì, la farina di mandioca che ha grande utilizzo nella cucina beninese e che si ricava appunto, da una varietà di mandioca (manihot esculenta). Pur non richiedendo, come la mandioca brasiliana utilizzata dagli indigeni, * Docente di antropologia culturale - Università Cattolica del Sacro Cuore. 1 Ho già trattato questo argomento in un volume dal titolo Mercati del Mozambico (Vita e Pensiero, Milano, 2005) frutto di una ricerca sul campo nelle regioni mozambicane di Sofala e Cabo Delgado. 2Kaag M., Usage foncier et dynamique sociale au Sénégal rural, Rozenberg, Leyden, 2005, pp. 116 ss.

l eliminazione del principio velenoso, la trasformazione in fecola e, in seguito, in garì impone una lavorazione piuttosto lunga, poiché il tubero deve essere dapprima tagliato in pezzi, lasciato macerare, spremuto, tostato e, finalmente, ridotto in farina. Non si spreca nulla perché ciò che si ricava dalla spremitura viene utilizzato per produrre tapioca. Dunque, le donne del Bénin (ma la considerazione può essere estesa a tutte le donne africane che vivono in campagna) sono specialiste nella produzione di cibo per l'alimentazione o per la vendita nei mercati. Esse conoscono, coltivano e trasformano molti prodotti come i pomodori, le cipolle o le arachidi che vendono sia fresche sia tostate, l igname (varie piante del genere dioscorea), il pesce che viene affumicato per essere meglio conservato, ecc. Sono anche capaci di utilizzare alimenti non tradizionali, ad esempio la soia con la quale producono un formaggio, mediante un procedimento artigianale. E la loro attività non si esaurisce nella lavorazione agricola e nella commercializzazione: presso il centro di accoglienza per giovani sfuggite ai matrimoni forzati, nella città di Bohicon (nei pressi della antica capitale del Dahomey, Abomey), ci è capitato di osservare la produzione delle pentole di alluminio realizzata da ragazzine la cui età andava dai nove ai diciotto anni. Come ai primordi della metallurgia, esse utilizzavano un rudimentale forno incassato nella terra (la cui ventilazione era garantita dal movimento della ruota di una bicicletta) nel quale facevano fondere l'alluminio che poi collocavano in stampi d'argilla preparati al momento 3. Questi brevi esempi possono suggerire riflessioni relative sia alla metodologia con la quale studiare il lavoro femminile in contesti non occidentali, sia a temi oggi molto dibattuti come la differenza tra sistemi economici e la loro qualità, sia infine, alla relazione tra lavoro femminile e sviluppo. Lavoro è un termine sintetico e non permette bene di capire quale sia l esperienza delle donne che vivono nelle campagne dell Africa (o dei paesi poveri). In generale si definisce come lavoro una attività remunerata e formalizzata, un insieme di mansioni specifiche che strutturano relazioni entro un preciso sistema giuridico di diritti e doveri 4. Questa descrizione, che fa riferimento ad un sistema economico complesso, orientato secondo uno schema liberista e alle profonde 3 Sia la produzione di formaggio di soia, sia la realizzazione delle pentole di alluminio sono state da me osservate nella città di Bohicon nel giugno 2012. 4 Del resto, come ben si vede in questi ultimi tempi, anche in Occidente il lavoro ha subito tante e tali trasformazioni da risultare spesso irriconoscibile. Nicoli D., Il lavoratore coinvolto. Professionalità e formazione nella società della conoscenza, Vita e Pensiero, Milano, 2009.

trasformazioni culturali legate ai movimenti di difesa e tutela dei lavoratori, come quelle che si sono verificate in Europa nel Novecento, mostra tutti i suoi limiti etnocentrici se applica alla condizione delle donne africane delle campagne. Anzitutto, la loro attività va collocata entro la sfera privata, domestica: una famiglia allargata che può essere molto numerosa, strutturata in forma gerarchica e nella quale, tradizionalmente, vige la divisione di genere in relazione al lavoro e all'esercizio del potere 5. Entro questa comunità è richiesto alle donne di assumere il ruolo di produttrici di beni e dispensatrici di servizi. È, dunque, un lavoro che si realizza sulle due dimensioni del rapporto con la terra (l'agricoltura per la sussistenza) e del rapporto di servizio con le persone alle quali si è legati da parentela o affinità 6. Come già ricordato, non è una attività ben distinta e definita: diventa piuttosto una condizione di vita che, peraltro, non si è scelta ma è collegata in maniera automatica alla propria condizione o acquisita con lo status di donna sposata 7. Non si configura neppure come iniziativa individuale, condotta per avere remunerazione economica, mentre diviene, piuttosto, il modo col quale si contribuisce alla sussistenza del gruppo familiare. Per questi motivi il lavoro femminile viene inquadrato entro uno schema di doveri comunitari, mentre non garantisce, se non incidentalmente, diritti economici individuali. Il lavoro agricolo delle donne, ad esempio, produce reddito solo se la donna dispone di eccedenze da vendere al mercato, ma non è finalizzato principalmente a questo. Gli studi di antropologia economica sulle società non industrializzate hanno sottolineato spesso, da Malinowsky in avanti, la stretta relazione tra sistema sociale, sistema giuridico e attività lavorativa. L'antropologia sostantivista ha mostrato come l'economia sia funzione della vita sociale e poggi sulle relazioni interpersonali configurandosi, appunto, come una economia della parentela 8. Oggi, in particolare 5Intervista a Blaise Akpoli, Bohicon, giugno 2012. Anche: Schön B., Madre, in Wulf C. (a cura), Vom Menschen. Hanbuch Historische Anthropologie, Beltz Verlag-Weinheim und Basel, 1997 (tr. it., Le idee dell'antropologia, Mondadori, Milano, 2002 pp. 324 ss). 6In questo senso costituisce, secondo la visione della Arendt, una sorta di attività obbligata per far fronte alle necessità della vita e dunque, è diverso dalla espressione della creatività umana. Arendt H., Vita activa, La condizione umana, Bompiani, Milano, 1988, pp. 58-96. 7 Busoni M., Il valore delle spose. Beni e persone in antropologia economica, Meltemi, Roma, 2001, pp. 30 ss. 8Wilk R.R., Economies and Cultures, West View Press, Boulder, 1996 (tr. it., Economie e culture. Introduzione alla antropologia economica, Bruno Mondadori, Milano, 2007). Anche, Gosselin G., Pour une anthropologie du travail rural en Afrique noire, in Cahiers d'études africaines, Vol. 3 N 12. 1963. pp. 511-550, doi: 10.3406/cea.1963.3712,url:http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/cea_0008-0055_1963_num_3_12_3712, Consultato il 31 luglio 2012.

l'orientamento sociologico antiutilitarista, per definire esperienze economiche fondate su criteri diversi da quelli del sistema liberista, usa il termine di lavoro informale o anche di economia informale 9. Latouche, ad esempio, riferendosi all Africa e alla sua capacità di esprimere una economia non individualista e non fondata sul profitto individuale, ritiene che il lavoro capitalista (lavoro alle dipendenze, imprenditoria personale ) non abbia affatto scalzato le antiche modalità che si reggono sul dono e sulla reciprocità, con tutte le implicazioni sociali che ciò comporta. La società africana funziona dunque, con una commistione di fattori, vale a dire con un certo grado di mercato internazionale, di mercato locale e di dono. Dare, ricevere, ricambiare costituiscono lo schema entro il quale si sviluppano le relazioni sociali che in Africa permettono la sopravvivenza. Nella visione di Latouche, infine, il modello socio-economico africano sarebbe capace di resistere alla propagazione dello schema neoliberista e anche alle innumerevoli proposte di sviluppo delle agenzie internazionali. Questa economia di reciprocità, non orientata al consumo, viene presa ad esempio per mostrare l'opportunità della uscita dallo schema costrittivo della economia produttivistica e la necessità della decrescita soprattutto per i paesi occidentali, ormai soffocati dall'esagerato consumismo 10. È una visione sicuramente suggestiva e significativa, che tuttavvia, presenta almeno due aspetti deboli: il primo (abbondantemente messo in risalto da vari studiosi) sta in una opzione ideologica che raggruppa sotto il concetto di dono pratiche profondamente diverse tra di loro e, spesso, ambigue 11 ; il secondo, nello specifico, sta invece nella sottovalutazione (a mio parere, drammatica) del ruolo imposto alla donna in quelle economie della parentela che, appunto, si sostengono sul suo lavoro. Detto altrimenti: il lavoro femminile, nelle economie parentali, non viene considerato come attività produttrice di reddito, quanto piuttosto come servizio ai membri della famiglia, dono entro lo schema della relazione e della reciprocità. Ma ciò comporta, come effetto sociale, che a questa attività non vengano associati diritti se non quelli che comunque derivano dalla appartenenza al nucleo familiare. Inoltre, poichè l'ambito del lavoro domestico è enormemente ampio (come si è visto, 9Caillé A., Don, intérêt et désintéressement, La Découverte, Mauss, 1994 (tr. it., Il terzo paradigma: antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998). 10 Latouche S., L autre Afrique. Entre don e marché, 1997 (tr. it., L altra Africa: tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 19-22). 11Dei F., Tra le maglie della rete: il dono come pratica di cultura popolare, in Dei F. (a cura), Culture del dono, Meltemi, Roma, 2008, pp. 11-19.

comprende la produzione dei beni e la loro commercializzazione, il lavoro di cura e di assistenza...) ciò si traduce in un carico molto pesante per le donne africane. Più che un dono il lavoro femminile sembra configurarsi come un sacrificio e, in quanto tale, ricollegarsi piuttosto ad uno schema di potere e di controllo già visto da autori classici, quali Goody e Meillassoux. Si apre, allora, una importante riflessione relativa al rapporto tra lavoro femminile, emancipazione e sviluppo (inteso sia come sviluppo sociale, sia come sviluppo delle capacità e della consapevolezza individuale) 12. È chiara, a livello teorico e fenomenologico, l'ambiguità del lavoro. Questi può sicuramente essere una modalità di umanizzazione, un elemento per rendere più significativa e sociale l esperienza umana; ma può anche risolversi un una maniera alienante di relazione nel momento in cui non permette a colui che produce di disporre del frutto del proprio lavoro (secondo l'analisi marxista), oppure lo inserisce entro relazioni sociali che non lo favoriscono o che, in alcuni drammatici casi, lo rendono addirittura sottomesso. Se è vero, infatti, che il lavoro è costitutivo all umanità, è altrettanto vero che molta parte delle problematiche che affliggono la vita dell uomo originano o derivano dal lavoro: dalla sua mancanza, dal suo eccesso, dal fatto che esso sia inadeguato, realizzato senza le opportune risorse o tutele, alienato, costretto, schiavo. E si tratta di una ambiguità connaturata alla condizione umana perchè il lavoro può prodursi sia come necessità per la sopravvivenza, dunque, forma di dipendenza dalla propria materialità e dalla socialità così come si è venuta strutturando storicamente, sia, invece, nelle sue espressioni migliori, come azione creativa, che trasforma e dà senso e diventa esperienza spirituale 13. Torniamo, dunque, al lavoro femminile in Africa. Esso è, come già ricordato, anzitutto fatica. Al pari dei lavori antichi della civiltà contadina che abbiamo conosciuto (il carbonaio, il mugnaio, l agricoltore ) anche le donne africane sperimentano l essere soggetti ad una natura che resiste e non si fa addomesticare. Lavorando anzitutto col corpo (torna l'immagine delle donne curve sui campi) esse sembrano l'icona di quella maledizione biblica che condanna l'umanità a guadagnare il pane col sudore della fronte, vale a dire con fatica eccessiva. E a questo riguardo si può tentare un primo confronto: se l'occidente 12Sull'antropologia economica e l'antropologia dello sviluppo, vedi L. Rami Ceci, Sviluppo dell'antropologia economica nella modernità, in T. Tentori, Elementi di antropologia economica, Armando, Roma, 2009, pp. 9-49. 13Mi riferisco a questo riguardo, alla visione di H. Arendt.

sperimenta oggi una tirannia della tecnica e una trasformazione (o una diminuzione sostanziale) della possibilità di interagire col mondo e con le cose, il che si traduce in una mancanza totale di autonomia 14, per le donne africane, poter disporre di strumenti più adeguati, di diritti e di tutele significa anzitutto emanciparsi da una condizione di pura servitù. Altri aspetti debbono essere rilevati. L'analisi sulle modalità con le quali si realizza il lavoro femminile in Africa non può essere disgiunta da quella sulla condizione delle donne, il che significa (anche) sulle condizioni di estrema difficoltà e sperequazione che esse sperimentano e sui loro tentativi creativi e originali di modificarle. Il fatto che il lavoro sia in larga parte realizzato entro la cornice familiare porta come conseguenza, mi pare, la difficoltà ad essere realmente elemento di sviluppo e di emancipazione per le donne (ci si potrebbe domandare, forse, se ciò non possa essere allargato a tutta la questione del lavoro domestico, nella misura in cui questo rimane legato ad una divisione di genere e concepito solo entro lo schema della reciprocità non misurabile in termini economici) 15. Configurandosi come una funzione della complessa vita domestica, il lavoro delle donne africane è orientato al mantenimento della istituzione e fatica ad assumere significati di promozione della persona 16. Ad esempio non permette di acquisire capacità per migliorare economicamente; essendo pensato come un servizio non viene associato ai diritti individuali di partecipazione e democrazia, che costituiscono conquiste del pensiero sociale, mentre contribuisce, al contrario, a mantenere le donne entro una cornice di subalternità. Lo dimostra, osservando un altro aspetto della condizione femminile, la dispersione scolastica, più alta per le donne che per i maschi, e dovuta in parte al fatto che le famiglie preferiscono occupare le figlie nella attività domestica 17. Trattare del lavoro femminile in Africa, mi pare, significa trattare di diritti individuali e di democrazia. Allora, poiché la condizione femminile, specie per le 14Benasayag M, Abécédaire de l'engagement, Bayard, 2004 (tr. it., Contro il niente. Abc dell'impegno, Feltrinelli, Milano, 2005). 15Picchio A., Visibilidad analíca y Política del trabajo de reproducción social, in Carrasco C. (a cura), Muyeres y Economía: Nuevas perspectivas para viejos y nuevos problemas, Icaria, Barcelona, 2003, pp. 201-242. 16 Cabanes R., L anthropologie du travail au 21 siecle, in Anthropologie et Société, vol. 24, n 1, 2000, pp. 79-94, htpp://id.erudite.org/iderudit/015637ar; consultato il 1 luglio 2012. 17Commissione Economica per l'africa, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Valutazione reciproca dell'efficacia dello sviluppo in Africa: promesse e risultati, OECD, 2009, p. 43.

donne povere, è inscindibilmente legata al lavoro e poiché questo si configura entro degli schemi troppo costrittivi e troppo privati, obiettivo della emancipazione può essere quello di liberare almeno in parte il tempo delle donne perché possano occuparsi di se stesse, della propria educazione, della propria salute 18. In questo senso, progetti che hanno lo scopo di razionalizzare l attività femminile (ad esempio, con l introduzione di sistemi tecnologici migliorativi, come la realizzazione di forni di argilla che mantengono il calore più a lungo e che quindi garantiscono risparmio di tempo e di combustibile) sono sicuramente importanti ma, almeno a mio parere, non colgono il cuore del problema che è quello di permettere alla donna di non essere sempre legata al lavoro come necessità e di scegliersi il ruolo che meglio la esprime. Allo stesso modo le considerazioni attuali sulla preponderanza della razionalità strumentale di weberiana memoria sono sicuramente fondamentali in un contesto occidentale, nel quale l'estrema burocratizzazione imposta al lavoro e al sistema sociale in generale opera per inaridire le relazioni personali 19. Al contrario, nel contesto socio-lavorativo africano rurale (e delle società non industralizzate) il problema sembra piuttosto quello di temperare la dominanza della logica familiare. Non perché questa logica non funzioni (al contrario pare funzionare ancora benissimo) ma proprio perchè il suo reggersi sul sacrificio delle donne e, in certa parte, anche dei bambini (un ambito di ricerca a mio parere importante e urgente è quello relativo alla diffusione del lavoro minorile, che spesso si configura come servitù, o vera e propria schiavitù) la trasforma in logica familistica che vorrebbe imporsi come unica fonte di moralità e di legittimità. Se in Occidente è lo squilibrio dell'eccesso di mercato e di contrattualità a dover essere rivisto, in Africa, mi pare, è la visione più attenta ai diritti delle varie parti (le donne, i bambini, l'ambiente) ad orientare l'azione creativa di molte donne. Si pensi, ad esempio, alla vicenda di Wangari Maathai, ambientalista e politica keniota, impegnata nella promozione della donna e nella tutela dell'ambiente per la quale davvero si può riproporre l'idea del lavoro come possibilità per l'uomo di essere corresponsabile nella conservazione del 18Arendt H., Vita activa..., op. cit., pp. 127 ss. 19Naturalmente, ciò non svaluta un dibattito importante che trova, oggi, le sue ragioni nella profonda crisi di fiducia che si sta verificando nel nostro mondo. Girardo M., Riscopriamo Caffè e l'economia degli affetti, in Avvenire, 20-7-2012, p. 24.

creato (Genesi 2-2 e anche Genesi 38-41) 20. Interpreto nel senso di uno sviluppo della coscienza dei diritti individuali anche le trasformazioni della stessa famiglia allargata beninese nella quale assume via via più importanza l economia domestica delle famiglie nucleari di contro alle famiglie estese, un tempo titolari di diritti economici e di potere sui singoli 21. Un ultimo aspetto riveste particolare importanza e riguarda la cornice macroeconomica nella quale le donne del Bénin realizzano la loro attività. Se si passa per un villaggio nel tardo pomeriggio, quando i mercati si stanno concludendo (in città, invece, essi continuano fino a tarda notte, alle luci delle lampade ad olio) si notano lunghe teorie di automobili che si allontanano stracolme di ceste di pomodori. Nei mercati rurali del Bénin (come in quelli di tutta l'africa, del resto) approdano i raccolti della agricoltura domestica e, dunque (poichè nessuno diversifica la produzione) si ha sempre, a seconda della stagione, un eccesso di beni, tutti dello stesso tipo, come pomodori, cipolle, tuberi... Si comprende perciò il comportamento economico delle donne che stanziano al mercato, le quali possono essere obbligate, alla fine della giornata, a vendere i loro prodotti molto deperibili ad acquirenti che, evidentemente, non se ne serviranno per uso familiare e li trasporteranno altrove. Ma il cerchio si chiude quando, osservando di cosa dispongono le famiglie a basso reddito per la preparazione del loro cibo quotidiano, si nota che la sauce (che accompagna la maggior parte dei piatti della cucina beninese) viene preparata utilizzando lattine di salsa di pomodoro prodotta in Cina. Difficile credere, ovviamente, che si tratti degli stessi pomodori prelevati dai grossisti ma la parabola dei pomodori che passano dal mercato rurale alle imprese di trasformazione e tornano sulle tavole della popolazione beninese sotto forma di concentrato, la dice lunga sulla cornice entro la quale è collocata l'attività agricola: anche le donne africane, pur da una posizione molto marginale, stanno dentro uno schema globalizzato. Se non è globalizzato il loro lavoro lo è comunque il frutto della loro fatica. In questo schema le donne africane produttrici di pomodori sostengono (loro malgrado) l'industria di trasformazione degli alimenti e diventano (sempre loro malgrado) consumatrici di prodotti stranieri (o di soia, come nel caso ricordato in 20É dunque, il riferimento ai valori fondamentali, non economici, a diventare discriminante. Paltrinieri G., L'enciclica Caritas in Veritate ed il pensiero della decrescita, Tracce di riflessione per un'economia più giusta, Esercitazione per il Baccalaureato Quinquennale in Sacra Teologia, Facoltà teologica dell Emilia Romagna, a.a. 2011-2012, p. 3. 21 Intervista a P. Matias, anziano Fon, Bohicon, giugno 2012.

apertura di questo articolo, del formaggio che esse producono, o di medicine che vengono dall'india e compaiono, di contrabbando sui mercati e via dicendo...). È dunque, il sistema economico ad asservire al mercato e al consumo anche collettività che potrebbero avere una loro autonomia. Come ricorda Zamagni, l'economia schiavizza, tramite la produzione e il consumo, anzitutto distinguendo tra consumatori e produttori, poi assoggettando, in veste di lavoratore, alla techné, infine imponendo un tempo sempre maggiore per il consumo 22. Dobbiamo ancora una volta verificare come questo processo, impersonale e imposto, non aiuterà in alcun modo le donne ad uscire dalla loro povertà. Lo sviluppo, inteso come sviluppo integrale, assume caratteri metaeconomici, giuridici, e si àncora ad una visione antropologicamente più corretta e, sopratutto, a criteri etici 23. Istanza ecologica, reale emancipazione della donna, diritti dei bambini, economia limitata al suo compito parziale, a vantaggio di una migliore vita relazionale e politica: queste sembrerebbero essere le priorità sulle quali lavorare. Bibliografia 1. Arendt H., The Uman condition, The University of Chicago, Chicago 1958 (tr. it. Vita activa, La condizione umana, Bompiani, Milano, 1988). 2. Benasayag M, Abécédaire de l'engagement, Bayard, 2004 (tr. it., Contro il niente. Abc dell'impegno, Feltrinelli, Milano, 2005). 3. Busoni M., Il valore delle spose. Beni e persone in antropologia economica, Meltemi, Roma, 2001. 4. Cabanes R., L anthropologie du travail au 21 siecle, in Anthropologie et Société, vol. 24, n 1, 2000, pp. 79-94, htpp://id.erudite.org/iderudit/015637ar; consultato il 1 luglio 2012. 5. Caillé A., Don, intérêt et désintéressement, La Découverte, Mauss, 1994 (tr. it., Il terzo paradigma: antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998). 6. Carrasco C. (a cura), Muyeres y Economía: Nuevas perspectivas para viejos y nuevos problemas, Icaria, Barcelona, 2003. 7. Casella Paltrinieri A., Mercati del Mozambico. Persone, beni e cultura nei mercati di Sofala e Cabo Delgado, Vita e Pensiero, Milano, 2005. 8. Commissione Economica per l'africa, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Valutazione reciproca dell'efficacia dello sviluppo in Africa: promesse e risultati, 22Zamagni S., Globalization and the new migratory question, in Globalization. Ethical and Institutional Concerns. The proocedings of the Seventh Plenary Session of the Pontifical Accademy of Social Scienzes, 25-28 aprile 2001, cit. in Paltrinieri G., L'enciclica Caritas in Veritate ed il pensiero della decrescita, op. cit., p. 20. 23Paltrinieri G., L'enciclica Caritas in Veritate ed il pensiero della decrescita, op. cit., pp. 80-85.

OECD, 2009. alleo review - anna casella paltrinieri 9. Dei F. (a cura), Culture del dono, Meltemi, Roma, 2008. 10. Girardo M., Riscopriamo Caffè e l'economia degli affetti, in Avvenire, 20-7-2012, p. 24. 11. Gosselin G., Pour une anthropologie du travail rural en Afrique noire, in Cahiers d'études africaines. Vol. 3 N 12. 1963. pp. 511-550,doi: 10.3406/cea.1963.3712,url:http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/cea_0008-0055_1963_num_3_12_3712, Consultato il 31 luglio 2012. 12. Latouche S., L autre Afrique. Entre don e marché, 1997 (tr. it., L altra Africa: tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 2000). 13. Olivier de Sardan J.P., «De la nouvelle anthropologie du développement à la socio-anthropologie des espaces publics africains», in Revue Tiers Monde 3/2007 (n 191), pp.543-552, URL : www.cairn.info/revue-tiers-monde-2007-3-page-543.htm; DOI : 10.3917/rtm.191.0543. 14. Kaag M., Usage foncier et dynamique sociale au Sénégal rural, Rozenberg, Leyden, 2005. 15. Melandri L., Un'altra economia o un altro rapporto tra uomini e donne? in Gli Altri, settimanale, 8-4-2011, p. 16. 16. Nicoli D., Il lavoratore coinvolto. Professionalità e formazione nella società della conoscenza, Vita e Pensiero, Milano, 2009. 17. Paltrinieri Giambattista, L'enciclica Caritas in Veritate ed il pensiero della decrescita, Tracce di riflessione per un'economia più giusta, Esercitazione per il Baccalaureato Quinquennale in Sacra Teologia, Facoltà teologica dell Emilia Romagna, a.a. 2011-2012. 18. T. Tentori, Elementi di antropologia economica, Armando, Roma, 2009. 19. Wilk R.R., Economies and Cultures, West View Press, Boulder, 1996 (tr. it., Economie e culture. Introduzione alla antropologia economica, Bruno Mondadori, Milano, 2007) 20. Wulf C. (a cura), Vom Menschen. Hanbuch Historische Anthropologie, Beltz Verlag-Weinheim und Basel, 1997 (tr. it., Le idee dell'antropologia, Mondadori, Milano, 2002).