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Scuola e gioco L istituzione di scuole pubbliche destinate all educazione e alla formazione delle nuove generazioni è una conquista dello Stato moderno. In Itala il tardivo raggiungimento dell Unità nazionale ha rallentato l avvio di questo processo a differenza di quanto è avvenuto in altre realtà europee e nordamericane. Nel 1861, infatti, al momento della nascita del Regno d Italia, nella Penisola si registrava un tasso altissimo di analfabetismo. Si calcola che solo il 3-4 % della popolazione sapesse scrivere e leggere perfettamente la lingua italiana mentre almeno il 90% degli italiani, specialmente nel centro e nel sud del paese, risultava analfabeta. Questa drammatica situazione preoccupò i nostri governanti che cercarono di porvi riparo con una serie di disposizioni (legge Casati del 1859, legge Coppino del 1877) ma solo agli inizi del XX secolo diventarono più evidenti gli effetti positivi degli interventi dello Stato in campo scolastico. Il fatto è che inizialmente è l istituzione delle scuole elementari venne affidata ai Comuni che non sempre si dimostravano capaci di provvedere al bisogno. In questa situazione i vari governi presieduti da Giovanni Giolitti all alba del nuovo secolo decisero di avocare a sé ogni competenza in materia scolastica e nel volgere di poco tempo si assistette alla nascita di una rete di scuole omogeneamente distribuite su tutto il territorio nazionale. Nelle nostre contrade il problema dell analfabetismo era gravissimo. Nel 1870, quando anche il Lazio entrò a far parte del Regno d Italia, a Suso su circa 2300 abitanti solo tre erano alfabeti. Le fonti per lo studio sistematico di questi problemi sono i censimenti nazionali della popolazione che si svolgono ogni dieci anni (dal 1861 in poi ) e, per gli uomini, i fogli matricolari che vengono istruiti puntualmente dal giorno di visita di leva e registrano il curriculum del soldato

fino al proscioglimento della sua classe. Se si esaminano questi fogli per i nati dal 1880 al 1899 (le classi che sono chiamate combattere nel 1915-18) si nota subito che la percentuale degli analfabeti risulta in costante lieve calo rispetto ai dati del 1871. Esse, invece, si abbassa dai nati dal 1900 in poi, a dimostrazione che l intervento dello stato è risultato efficace. Limitatamente nel nostro territorio, per i combattenti della grande guerra emerge un altro dato interessante: tra i soldati provenienti da Sezze ci sono meno analfabeti rispetto a quelli provenienti da Suso. Da ciò si può evincere che gli sforzi dell Amministrazione comunale per combattere l analfabetismo nella campagna furono poco efficaci. Va anche detto, però, che i susaroli,almeno nei primi successivi al 1870, si mostrarono poco interessati a frequentare la scuola che da molti genitori veniva considerata una perdita di tempo. I bambini venivano avviati subito al lavoro, quasi sempre nella Pianura Pontina. Ancora più marcato risultava l analfabetismo tra le femmine. A dispetto di tutto ciò, va detto, ad onore dei soldati, che essi si batterono valorosamente su tutti i campi di guerra in Italia e fuori del Paese e contribuirono a scrivere una delle pagine più drammatiche ma anche più esaltanti della nostra storia nazionale. Ad essi e soprattutto ai Caduti sui diversi fronti deve andare la nostra perenne riconoscenza. Il fenomeno dell evasione o dispersione scolastica, per usare termini attuali, sollecitò l interessamento di molti intellettuali come Giovanni Cena o Sibilia Aleramo che crearono scuole nell Agro Pontino proprio per sottrarre all analfabetismo tanti bambini delle nostre zone che già all età di 9-10 anni lavoravano in pianura. Per creare una scuola non si richiedevano allora mezzi enormi. Erano necessari un aula, di solito presa in affitto dai privati, dei banchi, una lavagna, gesso e inchiostro. Anche a Suso diversi ambienti vennero

adattati ad aule scolastiche. In breve tutte le contrade ebbero le loro piccole scuole e maestri attenti a fare opera di sensibilizzazione presso le famiglie sulla fondamentale importanza di mandare i propri figli ad apprendere almeno i rudimenti dell istruzione. Anche le bambine sempre più numerose si sedettero, e con ottimi risultati, sui banchi di scuola. Nacquero le prime borse per contenere l abbecedario e qualche quaderno. Erano borse di stoffa cucite alla meglio da mamme o zie volenterose. Verso la metà degli anni venti cominciarono a diffondersi anche da noi le borse di cartone portate a tracolla. Le bambine vi inserivano a volte anche bambole sempre di stoffa, per i maschi era invece obbligatorio portare con sé una fionda e una trottola. Andare a scuola era anche un occasione per dedicarsi ai giochi soprattutto perché a casa raramente erano concessi momenti lucidi. I maestri, in genere molto severi, non gradivano la presenza a scuola di simili strumenti e spesso si adoperavano a sequestrarli per poi restituirli agli alunni solo alla fine dell anno scolastico. A scuola si doveva stare solo per imparare a leggere e scrivere. In caso contrario veniva messa in funzione una sottile bacchetta spesso offerta al maestro dai ragazzi stessi. Le bacchette sulle palme delle mani, a volte, qualche ceffone facevano parte integrante del processo educativo e nessuno ne metteva in discussione la sana utilità. Naturalmente i ragazzi non potevano restare senza fionda o trottola. Ne costruivano altre ma avevano l accortezza di nasconderle prima di entrare in classe per recuperarle alla fine delle lezioni. A volte, purtroppo, nel nascondiglio non si trovava. Qualcuno aveva provveduto a rubare i preziosi strumenti di lavoro e così bisognava ricostruire il tutto per non sfigurare di fronte ai compagni. Le classi erano molto numerose. In alcuni casi si arrivava a 40 alunni per classe. Spesso si trattava di pluriclassi che vedevano insieme alcuni alunni del terzo, quarto e quinto anno della scuola primaria. Nessuno se ne

lamentava. L importante era appropriarsi dell arte di scrivere e far di conto, ritenuta difficilissima dalle persone anziane. Le aule erano prive di riscaldamento e d inverno spesso si battevano i denti. In rari casi si disponeva di una stufa ma per metterla in funzione gli alunni dovevano provvedere a portare ciascuno un pezzo di legno da casa. Per combattere il freddo molti bambini portavano con sé il cosiddetto scaldino. Era un barattolo sul quale era affisso un manico di filo di ferro della lunghezza di circa un metro. Dopo aver praticato alla base di esso alcuni fori per permettere alla cenere di cadere, veniva riempito per circa un terzo di brace e nel restante spazio venivano inseriti piccoli pezzi di legno. Attraverso il manico il barattolo veniva fatto roteare e nel vortice che ne seguiva i pezzi di legno prendevano immediatamente fuoco sviluppando una bella fiamma che provvedeva a riscaldare più mani intirizzite dal freddo. I maestri e tante maestre soffrivano anch essi il freddo e le difficoltà di raggiungere a volte a piedi sedi piuttosto distanti dal centro di Sezze, come in altre parti d Italia. Ma erano puntuali sul lavoro. Essi avvertivano la scuola come una missione, quella di redimere la popolazione italiana da secoli di ignoranza per portarla a competere dignitosamente e orgogliosamente, visto il nostro illustre passato, con le nazioni più avanzate. Sentivano come proprio il dovere di contribuire a fare gli italiani e guardavano prima al bene della Nazione e solo in via secondaria al proprio interesse. Primo dovere era quello di insegnare a tutti la lingua italiana perché le nuove generazioni di italiani imparassero a capirsi tra di loro. Oggi si assiste ad una rinascita dei dialetti e qualche solone tuona contro la scuola che avrebbe imposto su tutto il territorio la lingua italiana. Costoro molto superficialmente dimenticano che per molto tempo anche dopo il raggiungimento dell Unità nazionale tra gli italiani non era facile intendersi e

solo l italiano, lingua colta, poteva riuscire a fare di un popolo disperso una nazione. Le famiglie e gli alunni, sapevano apprezzare l abnegazione dei maestri e li ringraziavano con alcuni piccoli doni : uova, dolci, frutta, la pizza di uova alla fine dell anno scolastico. Questo mondo sembra oggi molto lontano eppure ha caratterizzato la vita di tutti noi fino agli inizi degli anni sessanta. Lo abbiamo voluto ricordare perché forse in esso possono essere rintracciati dei valori tuttora validi, capaci di aiutare le nuove generazioni ad orientarsi in un mondo diverso e sempre più globalizzato. La guerra con gli schioppitti Cambiano i tempi, cambiano le abitudini e gli interessi, ma «alla guerra» i bambini giocano oggi come ieri. Negli ultimi tempi sono i videogiochi ad imperare, fino a trenta anni fa erano gli «schioppitti», le «pistole a lastichetti» e gli «stoppacculo». Erano «armi» facili da costruire, bastava qualche pezzo di legno, un coltellino e tanta buona volontà. L 'ingegno dei piccoli guerrieri era enorme. Le munizioni per le loro pistole - gli elastichetti -, non si compravano in armeria - in cartolibreria -. Che fare? Semplice, si prendeva una vecchia camera d'aria, la si tagliava accuratamente con il coltellino comprato alla fiera del paese, e il gioco era fatto. Per gli «schioppitto» e lo «stoppacculo» le munizioni non erano un problema: bastoncini di legno per il primo e ghiande per il secondo, si trovavano in grande quantità. I piccoli passavano interi pomeriggi a combattere senza esclusione di colpi. Di quelle battaglie resta il ricordo nelle parole dei padri e dei nonni. E' curioso come

ancora oggi, chi vuole imbarcarsi in un'impresa per cui non dispone di mezzi idonei, sia velocemente liquidato come uno che «vò fa la guera co' gli schioppitti». I bambini di un tempo non giocavano però solo con «armi» innocue. Un «giocattolo» ancora molto amato ai nostri giorni è la «frezza» - meglio conosciuto come mazzafionda -. I bambini - e i genitori - sapevano bene che con quell'attrezzo ci si poteva fare veramente male. Si trovò allora una variante meno cruenta alla guerra vera e proprio. Si giocava «a spacca» dove l'unico rischio che si correva era di tornare a casa senza mazzafionda. Si faceva la conta e chi usciva doveva posizionare il suo amato giocattolo per terra. A debita distanza i compagni scagliavano sassi, con la propria «frezza», contro la mazzafionda «nemica». Quando si mancava il bersaglio, la propria arma diventava l'obiettivo degli altri compagni. Si passavano così momenti spensierati, all'aria aperta e in movimento. Quello che oggi non accade più. I giochi elettronici, dove si possono uccidere migliaia di persone in pochi minuti, formano le nuove generazioni di guerrieri. Formare però è una parola grande, un tempo il gioco era veramente una scuola di vita, gli attrezzi dovevano essere costruiti, ci voleva pazienza e abnegazioni, erano necessari dei sacrifici, oggi invece i genitori, un amico o un parente, regalano direttamente il necessario per conquistare il mondo, distruggere la terra, o colonizzare lo spazio. Il gioco perde così la sua funzione educativa e diventa un mero passatempo. Almeno per i passatempo, forse, era meglio quando si stava peggio.

Il gioco tra presente e passato Il gioco è fondamentale per la crescita di un bambino, lo aiuta a socializzare con gli altri, ad esprimersi e a sviluppare fantasia e ingegno. Chiunque di noi nell età adolescenziale ha passato ore e ore a giocare e a divertirsi e prima di noi, senza dubbio, lo hanno fatto i nostri genitori e i nostri nonni. Capita spesso che questi raccontino delle loro esperienze, di quando passavano ore e ore a realizzare i loro strumenti ludici oppure di quando insieme ad altri coetanei davano vita ad emozionanti sfide con il pitto o con i sassetti. I giochi di una volta non erano come quelli della nostra generazione, erano realizzati artigianalmente con materiali comuni quali legno, latta, carta. Con un po di pazienza ed ingegno i bambini di ieri fabbricavano oggetti come lo schioppitto di canna, lo stoppacculo, il pitto, il ziccaflò, la carrozza col filo di ferro, la frezza ecc.. attraverso questi giochi i nostri nonni sono cresciuti ed hanno imparato a vivere. Oggi, causa il progresso e le tecnologie, i giocattoli sono completamente diversi da quelli di allora, sono costruiti utilizzando materie plastiche, non sono più realizzati artigianalmente ma prodotti in serie nelle fabbriche. Inoltre la maggior parte di essi permettono solo giochi individuali; ricordiamo in proposito le Playstation, molto apprezzate e gettonate tra i ragazzi. Tali videogiochi realizzati con grafiche accattivanti e sempre più realistici spesso creano solo dipendenza oltre che alterare le capacità psichiche del giocatore. Per i più piccoli sono preferibili attività alternative alla propria Playstation oppure i classici giochi di società, i quali permettono di comprendere il mondo che li circonda, di esprimersi liberamente e mettere alla prova le proprie capacità. Oltre ad essere cambiati i giochi, sono anche cambiati gli ambienti dove poter divertirsi, i nostri nonni giocavano all aria aperta a diretto contatto con la natura; oggi, invece, trovare degli spazi verdi, luogo di incontro e relax, è

sempre più difficile e questo, purtroppo, costringe i più piccoli ad essere relegati in ambienti angusti. Oggi riproporre i giochi con cui i bambini di ieri si divertivano non avrebbe più senso in quanto essi non appartengono più alla nostra cultura moderna, però, non possiamo negare un pizzico di invidia ed ammirazione nel rivedere i nostri nonni sorridenti e gioiosi giocare tra loro mentre noi non riusciamo ad essere felici nonostante la ricchezza. Questo dimostra che ci si possa divertire anche con poco. La pupa di pezza Quando ero bambina giocavo spesso con la pupa di pezza. Lo facevo nei ritagli di tempo che mi restavano dopo aver studiato, riordinato la casa e preparato il pranzo a mio fratello e alle mie sorelle, perché i miei genitori andavano a lavorare. Se qualche pomeriggio ero libera, insieme alle mie amiche ci riunivamo e giocavamo a sassetti, nascondino o a cecalatti, a corda, a zoppì etc ma il nostro gioco preferito era la pupa di pezza, una piccola bambola che noi facevamo utilizzando stoffe vecchie di vestiti che non si utilizzavano più. Il busto, la testa e le braccia le facevamo ognuno separati e li riempivamo di pezzi di stoffa per poi cucirli insieme. Le gambe non le facevamo perché non erano necessarie, poiché il vestito che le cucivamo era molto lungo (abito da sera) e le gambe non si vedevano; poi le facevamo un cappellino di carta e glielo poggiavamo sulla testa. Infine, facevamo anche un lettino di pezza: si prendeva un pezzo di stoffa molto largo all interno del quale si mettevano pezzettini di stoffa per imbottirlo dopodichè lo chiudevamo cucendolo. Cosi mettevamo la bambola a dormire e noi continuavamo a raccontarci delle storie. Benilde Ciarelli

Un poco la invidio mia madre perché con le sue amiche di infanzia, per quel poco di tempo che aveva riusciva a giocare e a divertirsi, costruivano ed inventavano insieme giochi e storie, ciò che oggi non accade più, molto probabilmente perché tutto già inventato (se cosi possiamo dire) da coloro che inventano per professione, non esiste più il piacere di dire questo l ho fatto io. Giocare è un modo per stare insieme con altri bambini; vuol dire socializzare, infatti, per il bambino è molto importante giocare, perché è soprattutto con esso che il bambino comunica e diventa grande. Probabilmente gli adulti di oggi, (poco meno quelli di qualche anno fa), comunicano poco con i loro figli a causa della vita frenetica che si conduce e, proprio per questo, dovremmo riflettere un pochino sulla vita di questi futuri adulti cercando di comunicare un poco di più con loro. Maria Antonietta Rapone Vari tipi di trottole o pitti. Le trottole più piccole sono ricavate dalle ghiande mentre i pitti, pizzangre e pizzangrelle sono realizzate artigianalmente. Le prime si facevano girare lanciandole con pollice ed indice. I secondi con la stroppola, una sottile cordicella di cotone. La lippa: composta da due pezzi di legno. Si gioca in coppia o a squadre.

Fionda o frezza composta da forcinella, elastici, soletta. Utilizzata per giocare a spacca o per la caccia a piccoli volatili. Fuciletto o schioppitto composto da un pezzo di canna (da lancio) ed un archetto (la forza di spinta). Le munizioni sono ghiande o piccole bacche. Pupa di pezza : giocattolo preferito dalle bambine di una volta. Veniva confezionato dalle stesse utilizzando vecchie stoffe. Stoppacculo : all estremità anteriore della canna è applicata una ghianda (che funge da proiettile) e all altra la stoppa. Spingendo il bastoncino in avanti, per effetto dell aria che si comprime all interno della canna, la ghianda viene espulsa accompagnata da un botto. Carrozza realizzata in assi di legno e ruote ricavate dalla sezione di tronchi di piccole dimensioni. Al centro di queste veniva praticato un foro ed inserite alle estremità dei due assi. Talvolta l asse anteriore poteva essere mobile. Frezza o fionda pronta all uso.

Palla di pezza composta da diversi stracci tenuti insieme da una sottile cordicella. È l antenato degli attuali palloni di cuoio. Il cerchio: i bambini inserivano l estremità della canna nella parte interna del cerchio e correndo lo facevano ruotare.