1977 storia di un anno Breve introduzione: il 1977 mese per mese

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1977 storia di un anno Breve introduzione: il 1977 mese per mese Raccontare la storia di un anno, attraverso alcuni degli avvenimenti più importanti di ogni mese, per cercare di inserire il lettore nel contesto dell epoca e permettergli di capire la situazione di quel periodo. È questo l'obiettivo del nostro lavoro. Ispirati dalla struttura libro 1969, tutto in un anno di Paolo Conti, abbiamo analizzato i principali fatti avvenuti in Italia nel 1977, uno degli anni più densi e politicamente accesi della storia repubblicana italiana. Anno di proteste e manifestazioni sindacali che sfociarono sovente in scontri armati tra le due opposte anime dell estremismo terroristico e tra queste e la polizia. Un anno che passerà alla storia con un significato dal colore tetro, segnato dall'odore acre dei lacrimogeni sparati quotidianamente, delle vetture date alle fiamme nelle piazze e dal dolore di tante inutili morti. Tra civili, attivisti e membri delle forze dell'ordine caduti per mano del terrorismo e manifestanti morti negli scontri di piazza, le vittime del 1977 furono 21 (12 delle quali provocate da attentati terroristici). È importante sottolineare che tutto l anno è caratterizzato dal cosiddetto Movimento del 77, un moto nato tra i gruppi della sinistra extraparlamentare caratterizzato soprattutto dalla dichiarata contestazione al sistema dei partiti, dei sindacati e dei movimenti politici com erano stati fino ad allora. Il movimento nacque in concomitanza della crisi delle organizzazioni che avevano condotto ed egemonizzato le lotte sociali negli anni successivi al Sessantotto e con l'avvento di quella che fu definita università di massa : gli atenei non erano più frequentati quasi esclusivamente da studenti provenienti dai ceti più benestanti, ma anche in larga parte da giovani provenienti dal proletariato. Infatti la scuola classista, entrata in crisi con il Sessantotto, era stata in parte superata con la legge sul diritto allo studio del 1969. Il 1977 italiano è da ricordare come l anno dell ultima e forse più intensa fiammata delle proteste studentesche e operaie che, iniziate nel 1968 erano perdurate nel nostro Paese per un intero, tesissimo decennio.

GENNAIO La rocambolesca fuga dal carcere di Prospero Gallinari (a cura di Davide Filippi) 2 gennaio 1977, domenica sera, casa circondariale di Santa Bona, a due passi dal centro di Treviso. Un detenuto della sezione penale si accascia al suolo, colpito da un malore. O almeno così sembra. Ma si tratta d altro. È l inizio di un evasione che vedrà coinvolti 12 detenuti. Tra loro ci sono Vincenzo Andraus, personaggio di spicco della malavita milanese condannato più volte all'ergastolo per omicidio, ma soprattutto un uomo che negli anni seguenti avrà un ruolo di grande rilievo nel terrorismo italiano: Prospero Gallinari, 25 anni, noto membro delle Brigate Rosse. Il malore è una trappola: nove detenuti riescono a prendere in ostaggio dieci agenti di polizia penitenziaria. La situazione esplode. Un centinaio di metri più in là, dove sono rinchiusi i detenuti politici, altri tre carcerati, estratti i coltelli, costringono i secondini a farsi aprire il cancello della sezione, prendendo in ostaggio un brigadiere. L'evasione dura pochi minuti, che però sembrano infiniti: prima viene preso il controllo dell'infermeria, poi del dormitorio delle guardie e infine si arriva all'intercinta. I tredici detenuti impugnano armi e fucili dalla rastrelliera, rinchiudono le guardie in una cella e fuggono usando mezzi diversi, c è chi si allontana a piedi, chi con una Vespa. Gallinari sale su una Nsu Prinz di una donna ferma al semaforo. Con lui ci sono altri sei compagni. Il viaggio non è lungo, una sessantina di chilometri, direzione Padova, ma è rocambolesco: il gruppo cambia continuamente mezzo per evitare di essere intercettato dalle forze dell ordine lanciate all inseguimento. La Prinz verrà ritrovata a pochi chilometri dal carcere, a Zero Branco. A Padova Gallinari si rifugia in casa di amici. Lì resta nascosto per un paio di mesi, prima di scappare nuovamente verso Torino e poi a Roma. Una fuga clamorosa quella da Santa Bona, che segnò un epoca. I detenuti avevano disarmato le guardie e si erano impadroniti del carcere intero. Tutti i carcerati avrebbero potuto fuggire. L organizzazione era perfetta: c era un commando interno ed uno esterno che aspettava i fuggitivi. Tutto fu pianificato con grande efficienza e non ci furono feriti. Da quel momento lo Stato capì che doveva organizzarsi in modo diverso, per affrontare una nuova organizzazione criminale. Quella fuga fu possibile perché c erano carenze organizzative, di personale e di struttura: gli edifici erano vulnerabili. Da quel momento in poi le carceri iniziarono a dotarsi di una nuova organizzazione e di attrezzature più sofisticate. Sulla fuga di Gallinari molto si è detto e molto si è scritto anche per la sua singolarità: 22 giorni dopo, tra l altro, il brigatista sarebbe uscito comunque per effetto della decorrenza termini. Anni dopo qualcuno ipotizzò l evasione pilotata : far fuggire Gallinari per arrivare al covo di Mario Moretti. La formulò il presidente della commissione Stragi, il senatore Giovanni Pellegrino, il quale sostenne di averlo saputo da un politico, l'ex ministro dell'interno Paolo Emilio Taviani. Una versione che il terrorista contestò con decisione. Gallinari diede una spiegazione anche alla decisione di fuggire nonostante l'imminente decorrenza termini: quelle scadenze, a detta del brigatista, venivano continuamente spostate. La versione della fuga pilotata è respinta anche dal

magistrato che indagò sull accaduto. Dal momento dell'evasione fino al nuovo arresto (24 settembre 1979), Prospero Gallinari fa parte della colonna romana delle Brigate Rosse, partecipando con un ruolo di grande rilievo al sequestro di Aldo Moro nel marzo 1978: è uno dei quattro componenti del nucleo di fuoco travestiti da avieri Alitalia che massacra la scorta del Presidente della Democrazia Cristiana. Dopo il cruento agguato, Gallinari rimase nel covo prigione e passò i 55 giorni del rapimento insieme a Moro. Al momento dell'arresto Gallinari viene gravemente ferito alla testa dal fuoco di una pattuglia di polizia mentre stava cambiando le targhe a macchine rubate che sarebbero servite per un'azione di lì a poco. Durante gli anni di prigionia non collabora con i magistrati, ma anzi, continua fino alla fine a prendere parte all'analisi politica delle Brigate Rosse. Il 14 gennaio del 2013, Gallinari muore a causa di un malore. Con la sua scomparsa, la possibilità di fare definitiva chiarezza sugli ultimi giorni di Aldo Moro e su altri fatti controversi riguardanti le BR diventa sempre più lontana. FEBBRAIO La cacciata di Lama (a cura di Gabriele Picco) Nei primi mesi del 1977 si consumò la rottura tra il partito comunista italiano e i gruppi della protesta, che appartenevano invece alla sinistra extraparlamentare. La famosa cacciata di Lama, avvenuta nel febbraio di quell anno, è considerata per l appunto l episodio simbolo nonché il culmine di questo processo di allontanamento. Il PCI dimostrò infatti una totale incapacità di capire il nuovo movimento (che evidentemente sottovalutò) e di essere ormai alienato dagli ambienti della lotta. Protagonisti di questo evento furono quei gruppi che erano sorti dal movimento studentesco del 1968 69 e che negli anni successivi diedero vita a piccoli partiti e movimenti, di cui citiamo fra gli altri: Lotta Continua, Autonomia Operaia, Il Manifesto e l ala detta creativa dei gruppi giovanili, di cui facevano parte i cosiddetti Indiani Metropolitani che costituivano l'area più libertaria del Movimento del 77. Queste entità si collocarono alla sinistra del PCI, poggiando la loro identità sull intransigenza rivoluzionaria. Lo scontro con il PCI, considerato traditore degli ideali rivoluzionari, era a lungo andare inevitabile. Il partito aveva infatti in quegli anni avviato la politica del compromesso storico (col conseguente avvicinamento alla DC), abbandonato la lotta di classe contro il potere borghese e caldeggiato la linea dei sacrifici per lo

sviluppo (moderazione salariale, l avviamento alla precarietà dei contratti di lavoro) in cambio dell entrata nell area di governo e della stabilità sociale. Il clima di tensione venuto a crearsi portò quindi codeste fazioni della sinistra extraparlamentare a dare il via alle manifestazioni di quell anno, pregne delle loro opinioni critiche. In questo contesto ostile il PCI, nel vano tentativo di riprendere il controllo dei movimenti studenteschi e di ribadire la preferibilità della politica di sacrifici per lo sviluppo a quella del rifiuto creativo del capitalismo avanzata dalle contestazioni del 77, decise di scendere in campo nei confronti del movimento organizzando un comizio all interno dell università occupata della Sapienza di Roma (precisamente in piazzale Minerva). L evento fu organizzato dalla CGIL, che scelse come oratore Luciano Lama, allora segretario del sindacato e politico di lungo corso del PCI, sostenitore della linea dei sacrifici per lo sviluppo e critico della tesi del salario come variabile indipendente del sistema economico. A Luciano Lama l operazione andò malissimo: gli studenti avevano infatti già il giorno prima deciso di rendergli impossibile l orazione con fischi e slogan (assieme con un Lama fantoccio in scala 1:1 montato su una scala da biblioteca con le ruote e un palchetto con ringhiere con la scritta NON LAMA NESSUNO ). Durante il comizio, poi, la contestazione dell'ala creativa si trasformò in scontro aperto con il servizio d'ordine del sindacato. Non furono sufficienti nemmeno due altoparlanti da 10000 watt per far sentire la voce di Lama. Gli scontri, per violenza e intensità, causarono lo scioglimento anticipato del comizio e l'abbandono della città universitaria da parte della delegazione della CGIL. Lo stesso Lama fu costretto a correre giù dal furgone palco e darsela a gambe, incalzato dall'attacco dei contestatori. C'è chi se lo ricorda sconvolto e sudato, preoccupato di venire catturato dagli autonomi. L'evento diverrà famoso e ricordato come "La cacciata di Lama" dall'università La Sapienza. Lo stesso giorno, come conseguenza di quell'episodio, il rettore dell'università Antonio Ruberti consegnò la città universitaria alla polizia che procedette allo sgombero violento degli occupanti. In seguito alla cacciata di Lama, le già frequenti manifestazioni si intensificarono e si inasprirono portando a diversi scontri e incidenti che sarebbero continuati lungo l intricato corso di tutto il 1977. MARZO Lorusso e Graziosi, due vittime di un mese di sangue (a cura di Maurizio Favaro e Sonia De Matteis) Il marzo del 1977 fu un mese particolarmente ricco di eventi degni di nota, spesso tragici e bagnati dal sangue di diverse vittime. La cacciata di Lama aveva contribuito notevolmente a rendere ancora più teso un clima già nervoso. La città di Bologna in quel periodo fu, in modo particolare, teatro di violentissimi scontri di piazza che l 11 marzo degenerarono con conseguenze terribili. Intorno alle 10.00 del mattino di quel giorno, il movimento cattolico integralista di Comunione

e Liberazione (CL) aveva tenuto un assemblea all interno dei locali universitari del capoluogo emiliano, alla quale parteciparono circa 400 persone. Alcuni studenti della facoltà di medicina, attivisti della sinistra extraparlamentare, tentarono di entrare nell'aula dove si svolgeva la riunione, ma furono violentemente respinti dal servizio d'ordine. La notizia dell'indizione dell'assemblea di CL si sparse rapidamente e cominciarono ad affluire gruppi di persone contrarie tra i quali una compagine di Autonomia Operaia che diede vita ad una rumorosa contestazione. Gli aderenti all'assemblea si barricarono nell'aula. Il direttore dell Istituto di Anatomia, appurata la situazione di pericolo, ne informò il rettore Rizzoli, il quale chiese l'intervento delle forze dell ordine. In breve tempo, intervenne sul posto un notevole contingente di carabinieri che, effettuando una carica contro gli studenti di sinistra, consentì agli assediati di lasciare incolumi l'assemblea. L'intervento massiccio delle forze dell'ordine fece salire ulteriormente la tensione già elevata, il che scatenò una reazione violenta dei giovani della sinistra extraparlamentare. Gli scontri di piazza si estesero a tutta la zona universitaria e nelle zone circostanti. Nel corso degli scontri, un'autocolonna dei carabinieri in marcia in via Irnerio fu attaccata all'altezza dell'incrocio con via Mascarella. L'autocarro di testa fu colpito nella parte anteriore sinistra da una bottiglia molotov che provocò un principio d'incendio esternamente al mezzo, rapidamente estinto dalle forze dell'ordine presenti sul luogo. Il guidatore del veicolo, il carabiniere di leva Massimo Tramontani, balzò a terra dalla portiera destra, lasciando il mezzo senza guida fermarsi autonomamente. Il militare a quel punto, ancora sotto attacco, esplose alcuni colpi d arma da fuoco. Contemporaneamente Pierfrancesco Lorusso (per tutti Francesco), giovane venticinquenne militante di Lotta Continua, venne colpito da un proiettile, riuscendo a trascinarsi per qualche metro verso via Mascarella prima di cadere al suolo morente. La notizia della morte di uno studente del movimento si diffuse rapidamente e ne seguì l'affluire di migliaia di persone vicine alla sinistra extraparlamentare verso l'università e l'organizzazione di un corteo di protesta non autorizzato che fu avviato nel primo pomeriggio e che venne subito disperso con violente cariche. Una parte dei manifestanti si diresse allora verso la stazione ferroviaria centrale, occupandone i binari e scontrandosi con la polizia intervenuta a rimuovere il blocco, mentre altre frange occuparono

il centro storico distruggendo tra l'altro numerose vetrine di esercizi commerciali. Bologna visse una giornata tragica, all'insegna della guerriglia urbana con lanci di bombe, di un omicidio, del ferimento di un carabiniere e di numerose carcerazioni (in totale furono 46). Tutte le iniziative di protesta lanciate nei giorni successivi furono duramente represse, anche attraverso l'esecuzione di arresti e fermi di polizia. Ne furono vittime, tra gli altri, anche gli animatori di Radio Alice, emittente legata al movimento studentesco, chiusa dalla polizia. Le indagini per l uccisione dello studente iniziarono subito. Secondo una ricostruzione dei fatti, Lorusso, al rumore degli spari, si sarebbe girato per vedere cosa stava succedendo alle sue spalle e in quel momento sarebbe stato raggiunto dal proiettile. Per quanto in contraddizione con le ricostruzioni ufficiali, resta nell'opinione comune l'identificazione della morte di Lorusso con un colpo sparato alla schiena. Il proiettile non fu mai ritrovato e non si poté fare una perizia balistica per individuare né l'arma né il calibro della stessa e non si poté mai accertare se il giovane avesse fatto parte del gruppo che aveva attaccato l'autocolonna, o se avesse assistito o partecipato allo scontro. Per l'omicidio, l unico indagato fu il carabiniere Massimo Tramontani: fu sospettato come responsabile della morte di Lorusso e arrestato. Il militare dell'arma aveva fatto uso del suo fucile Winchester, infrangendo le disposizioni, sparando dei colpi, a sua detta, a scopo intimidatorio durante gli scontri con i manifestanti. Scarcerato dopo circa un mese e mezzo, venne prosciolto per l omicidio a causa della mancanza di prove. Il 24 ottobre 1977 fu dichiarato innocente anche per l'uso delle armi in quanto, secondo il giudice, il suo comportamento era giustificato dalla situazione critica in cui si trovava. Il tribunale credette a chi affermava di aver visto Tramontani esplodere i colpi di fucile verso l alto e non diede seguito ai numerosi testimoni che sostenevano che il carabiniere avesse sparato ad altezza d uomo. L uccisione di Pierfrancesco Lorusso rimane ancora oggi senza colpevoli. Una lapide commemorativa è stata posta in corrispondenza del luogo dove lo studente cadde colpito a morte, in via Mascarella 37 a Bologna. Il testo della lapide recita: I compagni di Francesco Lorusso qui assassinato dalla ferocia armata di regime l'11 marzo 1977 sanno che la sua idea di uguaglianza di libertà di amore sopravviverà ad ogni crimine. Francesco è vivo e lotta insieme a noi. La stessa triste sorte dello studente bolognese capitò, in un contesto differente, a Claudio Graziosi, un ventenne agente di polizia del IV reparto Celere di Napoli che aveva appena dato il cambio al II di Padova in ausilio alla Polizia della Capitale.

Alle ore 23.00 del 22 marzo 1977, un autobus della linea 27 dell ATAC stava percorrendo Viale Trastevere in direzione Monte Verde Nuovo. Claudio Graziosi, che si trovava in quell autobus poiché doveva ritornare in caserma per prestare quella notte servizio di ordine pubblico, riconobbe in una giovane donna bionda che portava con sé due grandi borse e indossava un cappellino verde la terrorista Maria Pia Vianale. La donna era un esponente di spicco dei NAP (Nuclei Armati Proletari), un organizzazione terroristica di sinistra. La Vianale era evasa dal carcere femminile di Pozzuoli nel Gennaio 1977. Graziosi, preso dai sospetti, si alzò e raggiunse l autista passando a fianco della donna. Osservandola ricevette ulteriore conferma dei suoi presentimenti. La donna ricambiò lo sguardo in modo molto distratto e si alzò in piedi per uscire alla seguente fermata dell autobus. L agente, dopo essersi riservatamente qualificato esibendo il distintivo, invitò il conducente del mezzo a dirigersi verso Via Volpato, dove si trovava una sede della polizia di Stato. Alla deviazione dell autobus seguirono diverse proteste da parte dei passeggeri. La donna, avendo capito subito la situazione, si accostò nervosamente all uscita ma l agente, consapevole che la sua copertura era saltata, le si avvicinò, si identificò, e la trattenne per poterla portare alla stazione di polizia. Immediatamente Graziosi venne freddato da due colpi di pistola alla schiena provenienti da una Browning calibro 9 appartenente ad Antonio Lo Muscio, un altro terrorista dei NAP che si trovava sull autobus e che il giovane poliziotto non aveva riconosciuto. A quel punto si scatenò una gran confusione e tutti i passeggeri del mezzo pubblico si diedero alla fuga, inclusi i due terroristi che si diressero verso il ponte ferroviario di via Portuense. Il giovane agente rimase da solo, a terra, in una pozza di sangue. Nei mesi seguenti, Lo Muscio venne ucciso in uno scontro con i carabinieri e la Vianale nuovamente arrestata. Claudio Graziosi si aggiunge quindi alla lunga lista di giovani membri delle forze dell ordine ai quali gli anni di piombo hanno rubato la vita. APRILE Avvocato! (a cura di Enrico Mottes) 28 aprile 1977: alle tre del pomeriggio, ora della ripresa del lavoro pomeridiano in studio, il legale Fulvio Croce, giunto nell'androne, si sentì chiamare da un giovane uomo ad alta voce: Avvocato!. Si voltò e fu giustiziato con cinque colpi di pistola. Gli esecutori furono riconosciuti in un gruppo di brigatisti: Rocco Micaletto,

Lorenzo Betassa, Angela Vai e Raffaele Fiore in veste di autista. A fare fuoco fu Rocco Micaletto con una Nagant 7.62 cecoslovacca. I motivi di questo terribile omicidio a sangue freddo sono da cercare in ciò che accadde circa un anno prima. Il 17 maggio 1976 era iniziata a Torino (o, meglio, sarebbe dovuta iniziare) la prima udienza del processo contro le Brigate Rosse, che però saltò per il rifiuto degli imputati di accettare i loro avvocati assegnati d ufficio. Era il primo atto del così detto processo guerriglia. Esso era una forma di propaganda armata: i terroristi rifiutavano la giustizia borghese e dunque di difendersi, rifiutando i difensori d'ufficio, dichiarandosi prigionieri politici e cercando di usare gli stessi processi per processare a loro volta lo Stato e la società. Il processo fu sospeso e l udienza rimandata. Il Consiglio dell Ordine degli avvocati di Torino, convocato ad horas, discusse a lungo se assecondare la volontà delle Brigate Rosse, concedendo a queste l autodifesa (applicando una regola della Convenzione europea sui diritti dell uomo) o se toccasse all Ordine assumere il delicato compito della difesa d ufficio. Si optò, forse anche a causa della partecipazione emotiva all assassinio del magistrato Francesco Coco avvenuto in quel periodo, per la seconda opzione, nominando Fulvio Croce come difensore di Renato Curcio. Fulvio Croce, che aveva una grande esperienza come legale e per questo era stato eletto nel 1968 presidente dell Ordine degli Avvocati di Torino, avrebbe anche dovuto nominare i legali per i restanti imputati: Alberto Franceschini, Paolo Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari. La prima cosa che fece fu fissare un colloquio con i suoi assistiti, che ebbe luogo il 5 giugno 1976. Durò circa un'ora ma fu tesissimo poiché Curcio dimostrò di avere un ottima cultura in campo giuridico, e dopo un accenno dell avvocato sui possibili vantaggi processuali di una difesa tecnica domandò: Voi siete brigatisti?. E all ovvia risposta negativa replicò: Allora siete contro di noi perché o si è brigatisti o si è contro, noi contestiamo il sistema nel quale s inserisce la vostra difesa tecnica. Il colloquio si concluse con un secco invito di Curcio a rifiutare la nomina. Nonostante queste minacce, Fulvio Croce rimase impassibile e non rinunciò all incarico come fecero gli altri designati. La sua temerarietà gli costò la vita. L omicidio dell avvocato, avvenuto a soli cinque giorni dalla ripresa dell udienza, ebbe una grossa importanza sul seguito del tumultuoso processo. Infatti, nelle quarantotto ore successive, trentasei dei quarantadue giudici popolari estratti a sorte presentarono un certificato medico con il quale, denunciando una sindrome depressiva diagnosticata clinicamente, rinunciarono al mandato conferitogli. Al presidente della Corte Guido Barbaro non restò che rinviare una seconda volta il processo per l impossibilità di costituire una giunta popolare. A seguito di questo fatto il governo replicherà con uno schema di legge per allungare il periodo di carcerazione preventiva nel caso in cui il processo venga ritardato a causa

degli imputati. Il processo al nucleo storico delle Brigate Rosse riprenderà solo l 8 marzo del 1978 e si chiuderà il 23 giugno, dopo due anni di rinvii, con la condanna degli imputati a pene comprese fra i 10 e i 15 anni. Tra il 1979 e il 1980 tutti i responsabili dell omicidio di Croce vennero assicurati alla giustizia (Betassa perde la vita nel 80 in uno scontro con il nucleo Antiterrorismo di Dalla Chiesa). MAGGIO La studentessa caduta (a cura di Martina Cattaruzza) Anche il mese di maggio fu particolarmente acceso: a seguito dell espansione dei gruppi autonomi, le occasioni di conflitto si moltiplicarono esponenzialmente. Per questo motivo in seno al governo Andreotti allora in carica, il ministro degli interni Francesco Cossiga adottò misure drastiche volte ad arginare le proteste collettive. In particolare, grande fervore venne suscitato dal divieto di indire qualsiasi tipo di manifestazione pubblica in tutto il Lazio fino alla fine di maggio. Il provvedimento di Cossiga venne fortemente sostenuto dal Partito Comunista Italiano, che riteneva di non trovarsi più di fronte a semplici turbamenti dell ordine, ma a un criminoso assalto armato allo Stato e alla società. Nonostante la proibizione, però, grandi gruppi di militanti diedero comunque il via a episodi organizzati di protesta. Tra questi, quello maggiormente degno di considerazione fu quello di sabato 12 a Roma, durante il quale venne indetta un iniziativa (proposta dal Partito Radicale) da parte degli appartenenti a varie formazioni della sinistra extraparlamentare per protestare contro la diminuzione degli spazi di espressione politica e il clima repressivo nei loro confronti, in occasione del terzo anniversario della vittoria al referendum sul divorzio. Alla manifestazione erano presenti circa 5.000 agenti delle forze dell'ordine in assetto antisommossa, coadiuvati da agenti in borghese. Marco Pannella, del Partito Radicale, lasciò una dichiarazione ai giornalisti riguardo allo schieramento della polizia: "È in assoluto la prima volta, da una decina di anni, che i servizi d'ordine pubblico in occasione di manifestazioni a Piazza Navona (anche quelli di gruppi qualificati come violenti) vedono le forze di polizia schierate all'interno della piazza e non attorno ai punti d'accesso. Chi ha preso questa decisione (che chiediamo venga immediatamente revocata) è semplicemente o un incosciente, o un incapace, o un provocatore, o le tre cose insieme. Si sta evidentemente cercando uno scontro: non sarebbe la prima volta che nello stato prevalgano coloro che giocano la carta della sua dissoluzione nella violenza e nel caos". Alle 13.00 esatte un reparto di carabinieri, guidato da un ufficiale, si avvicina al palco della manifestazione tenutasi in Piazza Navona e comincia a smontare gli altoparlanti e le altre apparecchiature predisposte per il raduno. Alcuni militanti si sdraiano per terra. I carabinieri li sollevano di peso e li trascinano a qualche metro di distanza. La situazione tuttavia appare ancora tranquilla, nei ristoranti e nella piazza ci sono turisti e curiosi. Alle 13.45 è resa di pubblico dominio la notizia che la Federazione unitaria CIGL CISL UIL, con un fonogramma inviato in mattinata al ministro Cossiga, a firma dei segretari Lama, Macario e Benvenuto (investiti del problema da un intervento del Partito Radicale), ha chiesto che venga concessa l'autorizzazione alla manifestazione "per garantire il principio delle libertà politiche che deve valere per tutte le forze democratiche". Il Partito Radicale ribadisce in un comunicato le

caratteristiche pacifiche e le motivazioni politiche della manifestazione. Vi è un tentativo di diversi esponenti politici di discutere d'urgenza con il ministro Cossiga la possibilità di evitare incidenti, lasciando che la manifestazione si tenga pacificamente, ma fallisce. Il gruppo parlamentare di Democrazia Proletaria, venuto a conoscenza del nuovo rifiuto del ministro, giudica come inaccettabile, prevaricatore e provocatorio il comportamento di Cossiga, teso a confermare una grave decisione che lede le libertà democratiche. Alle ore 15.00 i primi tafferugli, piccoli incidenti. Agenti e carabinieri mostrano chiaramente di avere avuto ordine di usare le maniere pesanti nei contatti diretti. Davanti a Palazzo Madama un primo pestaggio ha come vittima un gruppo di giovani radicali che portavano un tavolo per la raccolta delle firme per i referendum assieme al deputato di Democrazia Proletaria Mimmo Pinto. Per tutta risposta, una decina di radicali decide di sedersi per terra, a braccia alzate, davanti al Senato, per rispondere in forma non violenta all'atteggiamento della polizia. Di nuovo battibecchi poi la prima carica, condotta da una trentina di carabinieri armati di fucile. I militari dell'arma piombano addosso ai dimostranti seduti, adoperando il calcio dei fucili come sfollagente. Tre giovani sono duramente picchiati, ammanettati, caricati su un cellulare e condotti via. Vengono spintonati e picchiati anche giornalisti e fotografi: a questi ultimi si impone di consegnare i rullini impressionati. Nei successivi momenti della giornata scoppiarono diversi incidenti, con il lancio di bombe incendiarie e colpi d arma da fuoco. Intorno alle 19.00 alcuni parlamentari mediarono con le forze dell ordine, per consentire ai manifestanti di evacuare la zona verso Trastevere. Il consenso fu in realtà apparente: da quel momento gli incidenti si fecero più gravi. Durante l evacuazione, furono lanciati fumogeni e vennero esplosi colpi di pistola,

apparentemente da Ponte Garibaldi. La situazione si fece confusa, i manifestanti iniziarono a fuggire. Il primo a essere ferito fu l allievo sottufficiale dei Carabinieri Francesco Ruggeri. Poco dopo, due grosse motociclette dei vigili urbani montate da tre agenti in divisa e un uomo in borghese, arrivarono sul lungotevere all'angolo con piazza Belli. Un vigile scese, impugnò la pistola e sparò ad altezza d'uomo, in direzione dei dimostranti. In quell istante, alcuni presenti videro cadere a terra la studentessa diciannovenne Giorgina Masi, raggiunta da un proiettile calibro 22 all addome. Subito soccorsa, venne trasportata in ospedale, dove i medici non poterono fare nulla per salvarle la vita. Le indagini che seguirono la morte, videro l avvocato Luca Boneschi battersi per la verità, ricavandone una denuncia per diffamazione dal giudice istruttore Claudio D'Angelo, che nel maggio 1981 archiviò il caso. Più volte si tentò di far ripartire il processo, consegnando un'istanza di riapertura dell'istruttoria nella quale si puntava sulle molteplici testimonianze di chi aveva visto le forze dell'ordine sparare ad altezza d'uomo su ponte Garibaldi, ma inutilmente. Molti agenti non vennero mai interrogati dalla magistratura, e quelli che invece depositarono la propria testimonianza dissero all'unisono che erano arrivati a ponte Garibaldi a incidenti terminati. La storia della morte di Giorgina Masi è stata presa a simbolo di molte lotte giovanili contro presunte ingiustizie della polizia e della politica, ed è ancora oggi oggetto di forte polemica. GIUGNO Attentato a Montanelli: Ma non possono illudersi che mi fermi (a cura di Camilla Scrazzolo) Milano, 2 giugno 1977. Verso le dieci del mattino, il giornalista Indro Montanelli, ex inviato del Corriere della Sera e fondatore del Giornale Nuovo, esce dall albergo in cui risiede per recarsi a piedi in redazione. All angolo tra via Manin e Piazza Cavour, un uomo, che probabilmente non sapeva che il giornalista portava con sé una pistola, lo avvicina alle spalle e lo chiama ad alta voce. Mentre Montanelli sta per girarsi, l attentatore gli spara alle gambe, scaricandogli addosso un intero caricatore di una pistola 7.65 munita di silenziatore. La pratica era quella che veniva definita, con un neologismo coniato in quel periodo, gambizzazione. Montanelli sente cedere le gambe ma non estrae la pistola. Il suo unico