DETRAZIONE IVA SUGLI ACQUISTI DI BENI E SERVIZI DA PARTE DI

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DETRAZIONE IVA SUGLI ACQUISTI DI BENI E SERVIZI DA PARTE DI SOGGETTI CHE EFFETTUANO OPERAZIONI ESENTI Sommario: 1. Il comunicato stampa dell Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2005 2. Interpretazione (errata) della normativa e della giurisprudenza comunitaria 3. Art. 13 della VI Direttiva comunitaria del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, sentenza della Corte di giustizia C-45/95 del 25 giugno 1997 e adeguamento della normativa nazionale 4. La più avveduta giurisprudenza di merito. 1. IL COMUNICATO STAMPA DELL AGENZIA DELLE ENTRATE DEL 2 NOVEMBRE 2005 L Agenzia delle Entrate, con comunicato stampa del 2 novembre 2005 ha fornito chiarimenti su un pericoloso fenomeno di depistaggio, giuridico e mediatico, recentemente verificatosi in materia di detrazione dell Iva sugli acquisti di beni e servizi da parte di soggetti che effettuano operazioni esenti, in particolare nel caso di aziende ospedaliere e case di cura. L Agenzia ha dunque ribadito che: - in merito alla sentenza n. C-45/95 con la quale si contestava all Italia di non aver applicato l esenzione nella rivendita dei beni la cui Iva non è stata detratta all atto dell acquisto, con la modifica, mediante l introduzione del numero 27 quinquies, dell art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, l Italia si è adeguata alla decisione dei giudici comunitari; - la Corte di cassazione, su tale questione, non ha mai emesso sentenze contrarie all Amministrazione Finanziaria; è stata in proposito citata in modo del tutto errata la sentenza n. 18013/05 1 con cui la Corte Suprema non ha affrontato il problema della detrazione a fronte di operazioni esenti, ma la questione del mancato riconoscimento della detrazione Iva a fronte di operazioni sia esenti che non imponibili; - quanto, infine, alla presunta acquiescenza dell Amministrazione Finanziaria ad alcune sentenze delle commissioni di merito che hanno concluso in senso opposto, l Agenzia (e l Avvocatura di Stato) ha sempre indicato l obbligo di prosecuzione delle liti e la necessità di impugnare queste eventuali determinazioni giurisprudenziali. 2. INTERPRETAZIONE (ERRATA) DELLA NORMATIVA E DELLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA La necessità per l Agenzia delle Entrate di ricorrere ad un perentorio comunicato stampa quale quello sopra riportato è stata dovuta al fatto che in questi ultimi tempi si sono moltiplicate le istanze di rimborso IVA di soggetti che, richiamandosi alla VI Direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977 2, art. 13, affermano che tale normativa prevede non solo l esenzione per le prestazioni di servizi rese dalle case di riposo, enti assistenziali, ospedalieri ecc., ma anche, nella parte B), alla lettera c) dello stesso articolo, ulteriori esenzioni per le forniture di beni destinati esclusivamente ad un attività esentata. Ad avviso dei richiedenti quindi lo spirito della direttiva sarebbe quello della esenzione delle prestazioni che vengono rese nell esercizio dell attività delle case di riposo, compresa l esenzione sulle forniture di beni destinati all esercizio delle stesse attività. Sempre ad avviso dei richiedenti tali disposizioni comunitarie non sarebbero state recepite dal legislatore italiano, tanto è vero che lo Stato italiano risulterebbe inadempiente e per questo motivo sarebbe stato condannato dalla Corte di giustizia CEE con sentenza del 25 giugno 1997 3. Essendo dunque le norme comunitarie sufficientemente chiare e precise, si imporrebbe, a loro avviso, la disapplicazione della contrastante normativa nazionale. 1 In Servizio di documentazione e economica e tributaria. 2 In Servizio di documentazione e economica e tributaria. 3 In Servizio di documentazione e economica e tributaria. 1

Per tali motivi, avendo pagato dunque all Erario IVA cui non sarebbero stati tenuta in base al diritto comunitario, viene richiesto il rimborso dell IVA sugli acquisti di beni e servizi effettuati senza possibilità di recupero. Tali soggetti vorrebbero dunque semplicemente realizzare il sogno di ogni contribuente che opera nei settori dell'esenzione, quello cioè di poter comprare tutto senza pagare l'imposta sul valore aggiunto. Ma tali soggetti non hanno capito che, se da una parte, essi, laddove dovessero cedere beni ad altro soggetto esente, potranno essere interessati dalla disposizione in esame, non lo saranno invece di certo coloro che a tali soggetti esenti vendono e per i quali (salvo eccezioni), non si realizza la condizione di non avere diritto alla deduzione". 3. ART. 13 DELLA VI DIRETTIVA COMUNITARIA DEL 17 MAGGIO 1977, N. 77/388/CEE, SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA C-45/95 DEL 25 GIUGNO 1997 E ADEGUAMENTO DELLA NORMATIVA NAZIONALE Tali richieste non solo sono dunque del tutto infondate, ma si basano su vere e proprie aberrazioni giuridiche, spesso al limite della lite temeraria. Le azioni di tali soggetti infatti sono impostate su uno stravolgimento del disposto della normativa nazionale e comunitaria e su un camuffamento delle reali disposizioni enunciate dalle stesse sentenze della Corte di Giustizia. E necessario dunque fare chiarezza su come stanno veramente le cose. Con il D.lgs. 2 settembre 1997, n. 313 sono state formulate le disposizioni che dichiarano esenti da Iva la rivendita di beni acquistati con imposta totalmente indetraibile. In particolare il n. 27-quinquies) dell'art. 10 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, proprio per adempiere all'obbligo imposto dalla Corte di giustizia con sentenza C-45/95 del 25 giugno 1997, ha adeguato le norme interne a quelle della VI Direttiva comunitaria. Paradossalmente tali disposizioni di adeguamento vengono però oggi invocate per cercare di sovvertire principi basilari del tributo IVA, visto che a quanti effettuano operazioni esenti, si vuole in sostanza riconoscere lo stesso trattamento di totale detassazione che compete invece solo agli esportatori ed ai soggetti ad essi assimilati. Ma in realtà ciò non è assolutamente possibile. In presenza di attività esenti non può essere riconosciuto il diritto al rimborso dell'imposta assolta, per rivalsa, sugli acquisti di beni afferenti lo svolgimento di attività anch esse esenti. Sono infatti le stesse norme comunitarie che negano in modo assoluto il diritto alla detrazione dell'imposta a monte". L'art. 13 della VI Direttiva comunitaria del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE enumera dunque le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che gli Stati membri debbono esentare dall'iva nei loro ordinamenti interni. La citata Sezione B, lettera c) dell art. 13 della suddetta Direttiva afferma dunque semplicemente che gli Stati membri debbono prevedere al loro interno l'esenzione dall'iva per le rivendite di beni per i quali il cedente, in occasione del loro acquisto, non ha detratto la relativa imposta, o perché i beni stessi erano inizialmente destinati ad un'attività esente, oppure perché colpiti da indetraibilità oggettiva dell'iva. Vero è che, prima dell'emanazione del D.lgs. n. 313 del 1997, la legislazione nazionale aveva recepito le citate disposizioni solo parzialmente ed in modo non del tutto conforme alla VI Direttiva. L'intassabilità delle cessioni era infatti prevista solo a favore dei beni per i quali era stabilita l'indetraibilità oggettiva dell'imposta, ai sensi dell'ex art. 19, comma 2 (ora art. 19-bis1), del D.P.R. n. 633 del 1972; nessuna norma era stata invece introdotta per le cessioni di beni per i quali l'indetraibilità dell'imposta derivava dall'attività esente svolta dal soggetto acquirente-rivenditore. Per la rivendita dei beni esclusi oggettivamente dalla detrazione la norma nazionale prevedeva inoltre l'esclusione dal campo di applicazione dell'imposta [ex art. 2, comma 3, lettera h), del D.P.R. n. 633 del 1972] e non l'esenzione. 2

Per tali motivi, con sentenza C-45/95 del 25 giugno 1997, la Corte dichiarava la Repubblica italiana obbligata a recepire nel proprio ordinamento le norme in questione. Con l'emanazione del D.lgs. n. 313 del 1997, l'italia ha quindi provveduto ad adeguare la normativa del D.P.R. n. 633 del 1972 a quella prevista dall'art. 13, Sezione B), lettera c), della VI Direttiva, stabilendo un trattamento di esenzione per la cessione di tutti i beni privi del diritto a detrazione. È stato quindi inserito all'art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972 il n. 27-quinquies), con il quale sono state ricomprese tra le esenzioni tutte le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2". Alla luce di quanto sopra esposto, non può dunque sussistere più alcun dubbio che l'esenzione dall'iva prevista dalla più volte citata disposizione dell'art. 13, Sezione B, lettera c), della VI Direttiva, trasfusa nel nostro ordinamento al n. 27-quinquies dell'art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, si riferisce soltanto alle rivendite di beni per i quali non è stata operata alcuna detrazione dell'imposta a monte e non certo alle cessioni di beni effettuate nei confronti di chi svolge attività esenti. La Direttiva, possiamo concludere, non consente l'esenzione della cessione del bene alla struttura sanitaria effettuata da un soggetto che opera detraendo l'imposta a monte (come avviene abitualmente nel caso di tutti i fornitori), ma prevede che debba essere esente la cessione del bene effettuata dalla struttura sanitaria o da chiunque non abbia potuto detrarre l'imposta assolta a monte, quando il bene ceduto è destinato esclusivamente ad una attività esentata. 4. LA PIÙ AVVEDUTA GIURISPRUDENZA DI MERITO Dopo l'indicato adeguamento normativo, era lecito insomma attendersi che le incertezze manifestatesi in passato sull'interpretazione dell'art.13, Sezione B), lettera c), fossero definitivamente superate. Ma così evidentemente non è. Secondo la tesi artatamente diffusa (e in certe Commissioni di merito incredibilmente accolta) infatti, gli acquisti effettuati non dovevano essere assoggettati ad Iva e ciò proprio in forza dell'art. 13, Sezione B, lettera c), della VI Direttiva comunitaria, il quale esenterebbe da imposta, non le rivendite di beni per i quali non spetta la detrazione, ma tutte le cessioni di beni poste in essere nei confronti di chi svolge attività esenti da Iva. L'interpretazione che viene data alla disposizione di cui all'art. 13, Sezione B, lettera c), della VI Direttiva (oltre a non corrispondere assolutamente con quanto affermato dalla Corte di Giustizia) è però paradossale e, sotto alcuni profili, appare addirittura aberrante! Dal semplice esame della norma emerge infatti, come visto, la logica conclusione che l'esenzione in parola si riferisce ai soggetti esenti quando rivendono beni per i quali non hanno operato alcuna detrazione e non invece ai loro fornitori i quali (salvo casi eccezionali), svolgendo un'attività imponibile, la detrazione dell'imposta relativa ai beni ceduti ai settori esenti l'hanno certamente operata. Comunque, per fortuna, non tutte le Commissioni di merito interpellate sulla questione in esame sono cadute nel tranello dei ricorrenti. Tale giurisprudenza più avveduta (v. CTR Toscana n. 20 del 18 ottobre 2004 e CTR Toscana n. 41 del 1 ottobre 2005) ha comunque risolto la questione in via pregiudiziale, sulla base di una evidente carenza di legittimazione attiva del soggetto acquirente che intende far valere la non debenza dell'imposta pagata o dovuta per rivalsa. In conformità alla sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 5733 del 10 giugno 1998, è stato infatti giustamente evidenziato come il D.P.R. n. 633 del 1972 dispone che l'iva è dovuta dal cedente, il quale è quindi il contribuente di diritto; il cedente deve quindi rivalersi sul cessionario, il quale è il contribuente di fatto. L'operazione imponibile cioè dà luogo a tre distinti rapporti: uno tra il cedente e l'amministrazione finanziaria, uno tra il cessionario e l'amministrazione Finanziaria e uno tra il cedente e il cessionario. 3

Per effetto di quanto sopra, secondo la Corte le tre azioni sono autonome e quindi non interferiscono tra loro, con la conseguenza che l'amministrazione non potrebbe opporre al cedente che agisca per il rimborso il fatto che costui si sia rivalso sul cessionario; che il cedente non potrebbe opporre al cessionario che agisca in restituzione il fatto che esso (cedente) abbia pagato l'imposta all'amministrazione; che il cessionario non potrebbe opporre all'amministrazione che escluda la detrazione né il fatto che lui abbia pagato in via di rivalsa ai cedente né il fatto che costui abbia pagato l'imposta. La sentenza n. 3306 del 19 febbraio 2004 della Sezione tributaria della Corte di cassazione 4 ha infine definitivamente ribadito che nel sistema dell'iva, soggetto passivo del tributo, e quindi legittimato a richiederne il rimborso, ove il pagamento non sia dovuto, è - ai sensi dell'art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 - il cedente del bene o il prestatore del servizio, non già il cessionario od il committente, i quali ultimi, quali semplici soggetti d'iva, cioè soggetti solo economicamente incisi e consumatori finali, rimangono estranei al rapporto con l'amministrazione finanziaria". La evidente carenza di legittimazione attiva deriva dunque da due differenti ordini di ragioni: a) sulla base della corretta lettura dell art. 13, parte B, lett. c) della VI Direttiva Cee ai ricorrenti in questi casi non spetta alcun rimborso, in quanto, per la stessa ratio della Direttiva essi rivestono la figura di consumatori finali e definitivi; b) nel sistema dell IVA il soggetto passivo del tributo e quindi legittimato a chiederne il rimborso in caso di indebito è il cedente del bene o il prestatore del servizio, non il cessionario o il committente i quali, come semplici soggetti economicamente incisi, rimangono estranei al rapporto con l Amministrazione Finanziaria. I ricorsi (laddove presentati) sono quindi comunque inammissibili. Alcune Commissioni però (vista probabilmente la estrema pericolosità delle richieste dei contribuenti), pur accogliendo la suddetta eccezione di carenza di legittimazione attiva, hanno ritenuto comunque opportuno affrontare incidentalmente anche il merito. È per esempio da evidenziare la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, Sez. VI, n. 105 del 20 ottobre 2004, che, nel rigettare per difetto di legittimazione la domanda di rimborso dell'iva a monte presentata da una casa di cura, si è soffermata ugualmente sul merito della causa con argomentazioni che evidenziano la corretta lettura dell'art. 13, Sezione B, lettera c), della VI Direttiva Iva Afferma infatti la CTP di Foggia che la Direttiva, non consente l'esenzione della cessione del bene alle strutture sanitarie effettuata da un soggetto che detrae l'iva a monte, ma prevede l'esenzione della cessione del bene effettuata da chi non abbia potuto detrarre l'imposta assolta a monte in forza dell'esenzione della sua attività, come avviene per le case di cura, quando il bene ceduto è destinato esclusivamente ad una attività esentata. La CTP sottolinea inoltre un altro importante aspetto della questione che non deve essere sottovalutato, evidenziando che nel caso in cui la Casa di cura opera nell'ambito dei servizio sanitario nazionale, la Casa di cura stessa operando in un regime particolare di mercato cosiddetto governato", nel quale le Case di cura accreditate col servizio nazionale o regionale (transitoriamente perché già convenzionate a norma dell'art. 6 della L. n. 724/1994 ovvero definitivamente o provvisoriamente a norma dell'art. 8-quater del D.Lgs. n. 502/1992 e s.m.) non sono libere di stabilire il prezzo (o tariffa del ricovero) per le prestazioni rese ai cittadini con oneri a carico del servizio sanitario stesso a seguito di accordi contrattuali ex art. 8-quinquies del citato decreto legislativo. Queste tariffe, denominate DRG (Diagnostic Related Groups) o ROD (Raggruppamenti omogenei di diagnosi) sono determinate con provvedimenti statali e sono utilizzate dalle Regioni le quali hanno anche la facoltà di determinarle autonomamente, per la remunerazione dei ricoveri dei cittadini nelle case di cura. Le tariffe sono quantificate sulla base del costo standard degli episodi di ricovero raggruppati col criterio iso-risorse (cioè per livello di risorse assorbite). In sostanza con tale metodo si procede alla determinazione del costo pieno dei vari raggruppamenti dando luogo alla determinazione delle tariffe DRG. Tale costo assomma quello dei fattori produttivi che comprende anche l'iva. Tale criterio è estensibile alle tariffe per prestazioni ambulatoriali. Periodicamente il valore delle prestazioni effettuate in favore dei cittadini 4 In Servizio di documentazione e economica e tributaria. 4

residenti nel territorio italiano viene addebitato alle Aziende unità sanitarie locali che di fatto si accollano anche l'onere dell'iva, al pari del consumatore finale, sgravando la Casa di cura da questo onere. Per effetto di quanto sopra, un eventuale, in ogni caso non dovuto, rimborso dell'iva andrebbe a concretizzare anche un indebito arricchimento. L indirizzo comunitario, quindi, è esclusivamente volto ad evitare la doppia imposizione IVA sul bene destinato ad attività esente nella fase eventuale di rivendita degli stessi e non già nella fase di acquisto. L esenzione in questione pertanto riguarda soltanto le cessioni di beni per i quali il cedente non ha avuto diritto ad alcuna detrazione e non riguarda conseguentemente le cessioni di beni per i quali l acquirente non avrà avuto diritto alla detrazione dell imposta a monte. Tenuto conto della confusione che si è venuta a creare nella giurisprudenza di merito, non è inutile dunque sottolineare ancora una volta che il soggetto passivo nei rapporti sopra delineati è il cedente che abbia in precedenza acquistato senza diritto a detrazione e non già l acquirente esercitante attività esente e che, a valle, intenda procedere alla rivendita. Insomma, tali richieste di rimborso non sono soltanto infondate, ma addirittura aberranti e, laddove accolte, come visto, comporterebbero per l Erario un doppio danno (e, corrispondentemente, un duplice indebito arricchimento per il contribuente). Giovambattista Palumbo Funzionario dell Agenzia delle Entrate 5